venerdì 22 febbraio 2019

OMELIA DOMENICA XXVI-B






XXVI domenica/B
(Nm 11,25-29; Sal 18; Gc 5, 1-6; Mc 9, 38-48)

Paolo Cugini

 La legge del Signore è perfetta, rinfranca l’anima; la testimonianza del Signore è verace, rende saggio il semplice” (Sal 18).

1. La Domenica è il giorno del Signore e siamo giunti attorno a questo altare per cercare ristoro in Lui, nella Sua legge, nelle Sue Parole, per trovare una risposta alle domande di senso che ci siamo posti durante la settimana e che non hanno ancora trovato una soluzione. Ci mettiamo, allora in religioso ascolto del Testimone verace, di colui che, per amore al Padre, ha donato tutta la propria vita per noi, divenendo in questo modo credibile e degno della nostra attenzione. Desideriamo, in questo modo, accogliere la saggezza che viene da Lui, per poterla condividere con i fratelli e le sorelle che durante la settimana Lui stesso porrà sul nostro cammino.

2. Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato ci sono tre riflessioni che possiamo sviluppare per crescere nella sapienza del Signore.
La prima la prendiamo da questi due versetti:

                       Ma Gesù disse: non glielo proibite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito dopo possa parlare male di me. Chi non è contro di noi è per noi” (Mc 9,39-40).

Dinnanzi alla richiesta dei discepoli, che esigono l’intervento di Gesù per censurare l’azione di qualcuno che agiva in suo nome scacciando i demoni, il Signore risponde in questo modo sorprendente, costringendo i discepoli e noi stessi ad una doverosa riflessione. Che cosa ha voluto dire Gesù con questa risposta? Credo che Gesù ci abbia invitati ad aprire i nostri orizzonti, le nostre menti. L’egoismo che chiude i nostri cuori non ci permette di guardare al di là del nostro naso e, di conseguenza, ci conduce a creare chiusure, divisioni, rivalità e, soprattutto, a vedere nell’altro non un fratello, una sorella, ma un nemico. La libertà del Signore che riceviamo dallo Spirito Santo nei sacramenti, ci spinge a rimanere aperti sul mondo, a non cercare negli altri il negativo, le differenze, ma soprattutto ciò che unisce. Gesù non è invidioso di nessuno e non considera nessuno un rivale, perché il suo modo di essere e di agire con le persone, non è misurato da questi sentimenti negativi, ma dall’amore. Ciò significa che la libertà dei figli di Dio nasce e si rafforza dall’amore che riceviamo dal Padre in Cristo. La verifica di questo amore e della verità del nostro rapporto con  Di,o la misuriamo esattamente nell’apertura che dimostriamo con le persone che non sono del nostro giro, o con quelle realtà che umanamente potrebbero esercitare una minaccia per la nostra reputazione. Queste parole di Gesù ci invitano, allora, a considerare la Chiesa non un recinto chiuso, il recinto dei buoni, ma una possibilità di crescita umana e spirituale che ci conduce, come già dicevo, non ad allontanarci dagli altri, a separarci, ma ad avvicinarci. In altre parole, i cristiani che seguono il Signore lo seguono proprio nel cammino difficile che Lui ha percorso e che ha pagato a duro prezzo, il prezzo della croce, il cammino che riesce a vedere nella persona l’immagine di Dio e quindi qualcosa di prezioso, da valutare positivamente.

                       Chiunque vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, vi dico in verità che non si perderà la sua ricompensa” (Mc 9, 41).

Ancora una volta il metro di giudizio di Gesù non è l’appartenenza ad un circolo ristretto di puri, ma il modo di relazionarsi all’altro considerando un fratello, una sorella, soprattutto quando si tratta di persone in difficoltà. E’ bene, allora, approfittare di questa Parola, per verificare la nostra idea chiusa di Chiesa, il nostro modo chiuso e bigotto di andare incontro agli altri.

3. La seconda idea che possiamo evidenziare nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato è questa:

 “Chi scandalizza uno di questi piccoli che credono, sarebbe meglio per lui che gli passassero al collo una mola da asino e lo buttassero in mare”( Mc 9,42).

Parole durissime nelle quale Gesù intende esprimere un’idea molto semplice che, però, spesso dimentichiamo e cioè che, nel cammino di santificazione, che è un cammino di umanizzazione non siamo da soli. La vita cristiana non è una lotta per dimostrare chi è il migliore, il più bravo. La santità non è un premio che si conquista rivaleggiando con gli altri ma, come abbiamo ascoltato domenica scorsa, mettendoci dietro gli altri, a servizio dei fratelli e sorelle che il Signore pone nel nostro cammino.
Questo versetto è allora estremamente legato al precedente, perché ci invita a mantenerci sempre attenti non a noi stessi, ma alle persone che ci sono vicine, a rimanere cioè persone aperte sul mondo e sugli altri, a non chiuderci in recinti, a non considerare la Chiesa un ritrovo di privilegiati. Infatti, è questo modo di fare altezzoso e orgoglioso che spesso allontana i “piccoli”, cioè coloro che si stanno avvicinando alla comunità e che sono ancora fragili nella fede. Questi piccoli devono vedere realizzati in noi gli stessi sentimenti che erano in Gesù (cfr. Fil 2,5), che si è abbassato, si è fatto piccolo, uomo come noi per ascoltarci, per servirci, per indicarci il cammino. Gesù por essendo di natura divina, non ci ha fatto pesare la sua radicale superiorità da noi, ma l’ha messa da parte, se ne è spogliato affinché noi non ci sentissimo a disagio, ma riconoscessimo in lui un amico. In questa prospettiva, scandalizziamo, allontaniamo un “piccolo”, quando siamo arroganti, quando ci riteniamo superiori, quando utilizziamo la Parola di Dio non per cambiare la nostra vita ma per giudicare e fare a pezzi la vita degli altri. E’ questa arroganza presuntuosa che Gesù condanna, perché invece di avvicinare, allontana le persone dal Suo messaggio di amore. Lo Spirito Santo che riceviamo nell’Eucaristia di oggi, se lo lasciamo agire, trasforma il nostro egoismo in amore, le nostre chiusure in possibilità di dialogo, i nostri giudizi severi, in parole che possono costruire amicizia. Lasciamoci, allor,a trasformare dall’amore del Signore.

4. C’è un’ultima riflessione che Gesù nel Vangelo di oggi ci consegna, una riflessione dai toni duri, ma che è importante approfondire per non lasciare incompleto il suo insegnamento.

 Se la tua mano ti scandalizza, tagliala: è meglio per te entrare nella vita monco, che con due mani andare nella Geenna, nel fuoco inestinguibile(Mc 9,43).

Che cosa c’insegna il Signore con queste parole? Credo che sia un invito a prendere sul serio il cammino di fede, che se ha momenti comunitari come le liturgie, procede anche attraverso scelte personali. Tra queste scelte importanti che dobbiamo compiere nel cammino, ci sono anche gli elementi che dobbiamo deciderci di togliere dalla nostra vita, quegli elementi che ostacolano la nostra crescita nell’amore. La maturazione spirituale passa attraverso momenti di estrema positività,assieme ad altri in cui dobbiamo intervenire drasticamente. E, allora, dobbiamo ogni tanto avere il coraggio di fermarci nel nostro cammino per ascoltarci, ascoltare il Signore, per capire che cosa non sta funzionando, che cosa sta ostacolando il cammino. Quante volte ci  è capitato di capire, intuire che c’è qualcosa che non va, qualcosa che ci sta lasciando tristi, dubbiosi, inquieti e, nonostante ciò abbiamo continuato lo stesso, trascinandoci per paura di ascoltare la nostra coscienza, per non voler soffrire, per non voler prendere un decisione radicale. Chiaramente la vita è fatta anche di questi tentennamenti, anche perché la vita di fede non è una corsa progressiva e inarrestabile verso la meta. L’importane, comunque, è non rimanere sepolti sotto le macerie dei nostri fallimenti, non cercare di nasconderli troppo a lungo da noi stessi per paura del giudizio degli altri. Se fossimo un popolo di santi Dio non avrebbe mandato il suo Figlio unico a morire per noi. Ciò significa che Lui sa benissimo che abbiamo bisogno del suo aiuto.
Chiediamogli, allora, in questa Eucaristia di aiutarci, durante questa settimana, a non scappare da noi stessi, ma di fermarci per avere il coraggio di togliere dalla nostra anima quei tumori spirituali che possono pregiudicare tutta la nostra esistenza, la nostra felicità.







sabato 2 febbraio 2019

LA SOLITUDINE DEL PROFETA (Mc 4, 21-30)





Paolo Cugini


Leggendo con attenzione il testo di Luca ci si accorge che Gesù, ad un certo punto, interrompe la lettura di Isaia 61, legge cioè solamente i prime tre versetti e, invece di continuare, si mette a sedere. Perché questa interruzione? Come mai non ha voluto continuare la lettura del testo che gli era stato affidato, ma si è messo a sedere? Sfogliando la pagina di Isaia 61 ci si accorge che del testo Gesù legge solamente i primi versetti che annunciano l’avvento del futuro Messia di amore e di liberazione per i poveri, a promulgare l’anno di misericordia, per allietare gli afflitti. Gesù si ferma e non legge i versetti successivi che dicono quello che il popolo d’Israele avrebbe voluto ascoltare, vale a dire, l’annuncio della vendetta di Dio contro i persecutori del popolo di Israele e l’annuncio dello splendore di Israele nei confronti degli altri popoli. No, Gesù, interrompendo la lettura, la interpreta, annunciando che il vero significato della presenza di Dio nella storia consiste nell’aiutare gli uomini e le donne a vivere con dignità il loro essere figli di Dio, chiamati all’amore e alla libertà. Niente più odi, ne guerre, né rancori, ma solamente amore e relazioni di pace, alla ricerca di quel cammino di uguaglianza che era nel progetto iniziale di Dio.

Perché gli ascoltatori rimangono sconvolti dalle parole di Gesù, che annunzia a tutti che queste parole di pace annunciate da Isaia si realizzano nella sua persona, definendo in questo modo la sua missione, il senso del suo essere nel mondo? Prima di tutto perché il suo discorso si distanza radicalmente da quella tradizione che vedeva il messia come un uomo forte, che avrebbe guidato un esercito contro gli oppressori. Ecco perché la gente rimane sbigottita al punto da porre interrogativi sulla paternità di Giuseppe. Il figlio Gesù, infatti, sembra proprio non assomigliargli per niente. Giuseppe, infatti, come tutti i bravi israeliti, conservava la tradizione dei padri e celebrava nella sinagoga il culto che, tra le altre cose, coltivava l’attesa paziente del messia liberatore potente. Non solo, ma oltre a non assomigliare pe nulla al padre, Gesù invece di starsene buono visto che il clima si era surriscaldato, rincara la dose citando due esempi che, nella storia d’Israele, erano stati estremamente negativi.

Il primo esempio riguarda il caso di Elia all’epoca della grande siccità che durò tre anni. Ebbene, Gesù ricorda che YHWH inviò Elia non ad una israelita, ma a una donna straniera in territorio straniero, una vedova a Sarepta di Sidone. L’altro esempio, sempre sulla stessa linea, ricorda che All’epoca di Eliseo fu purificato un lebbroso straniero e non un’israelita: Naaman il Siro. Questi esempi che Gesù cita non sono a caso, ma nella line di quello che ha espresso nell’interpretazione di Isaia 61, vale a dire che d’ora innanzi, il dono della salvezza è offerto a tutti e quindi vengono escluse una volta per sempre le separazioni, che fomentano gli odi, i culti fatti di sacrifici di animali che esigono la violenza. Gesù cita la vedova di Sarepta di Sidone e Naaman il Siro, per mostrare che questo annuncio di amore e salvezza universale fatto a tutti e tutte, era già preannunciato nelle scritture e, di conseguenza il suo discorso, lungi dall’essere una proposta campata per aira frutto dell’esaltato di turno, s’inserisce in verità in un’ antichissima tradizione veterotestamentaria testimoniata tra l’altro, da due profeti molto significativi nella storia d’Israele, vale a dire Elia e il suo successore Eliseo.

“Ma egli passando in mezzo a loro si mise in cammino” (Mc 4,30). Secondo alcuni esegeti, vale a dire studiosi di Sacra Scrittura, la resistenza del popolo che vuole uccidere Gesù e il suo passare in mezzo a loro per continuare il cammino verso Gerusalemme, anticipa la sua Resurrezione. Gesù è il profeta che non solo guarda al passato, come fa il popolo d’Israele, ma indica il cammino verso il futuro, mostrando come Dio crea sempre qualcosa di nuovo. Rimanere ancorati al passato è il modo specifico delle persone che si lasciano condurre dall’istinto di sopravvivenza, che quindi non si pongono in un atteggiamento di crescita spirituale ed esistenziale. Il particolare rapporto di Gesù con il Padre, relazione di amore e libertà, si scontra con la religione del tempio e del culto, incapace di vedere al di là dei propri interessi, di difesa dello status quo. Gesù come profeta solitario, che formerà una piccola comunità di discepoli e discepole e, attraverso questa comunità annuncerà il senso profondo della presenza di Dio nella storia, non fatta di precetti e di celebrazioni di riti obbligatori per controllare la propria giustizia personale e, in questo modo, mettendosi nella posizione di giudicare gli altri, ma di relazioni nuove autentiche, basate sulla libertà e l’amore, comunità di vita alla quale tutti e tutte sono invitati, senza esclusione di nessuno.