Paolo
Cugini
L’esperienza
pastorale che vivo come prete a contatto con giovani e adulti, mi ha portato ad
una conclusione che è questa: il cammino della vita di fede di una persona
dipende molto dalla narrazione iniziale, da come gli è stata raccontata e
trasmessa all’inizio. Accompagnando giovani e adulti mi accorgo, ad un certo
punto del cammino, che la narrazione iniziale su Dio non era corretta. Negli
adolescenti me ne accorgo attraverso le risposte alle mie domande. Mi accorgo
quando il virus spirituale, tipicamente occidentale, dell’individualismo
esistenziale è già entrato e ha già devastato l’anima. Ascoltare dei ragazzi
che affermano che a loro Dio non serve, significa che c’è stato un processo
rapido di assimilazione di contenuti sbagliati, spacciati per religione che li
ha condotti ad una conclusione negativa nei confronti di Dio e di tutto ciò che
rappresenta. Del resto davanti ai loro occhi hanno adulti che confermano le
loro affrettate conclusioni: è possibile vivere senza Dio e, spesso, è molto
meglio. Eppure, vivere senza Dio non è un’opzione indolore, perché significa
rifiutare il mistero dell’esistenza, il senso autentico della vita.
Qual
è, allora il senso di Gesù nella storia degli uomini e delle donne? Ha rivelato
al mondo che cosa significhi essere fatti ad immagine e somiglianza di Dio. Sei
un uomo autentico, una donna autentica, quando ami in modo disinteressato e
gratuito. Questo è ben visibile in Gesù che ha fatto della sua vita un dono per
tutti e tutte. Gesù ha amato indipendentemente dal fatto di ricevere amore. Non
ha amato per riceve amore in contraccambio: ha amato e basta. Proprio questo
gli hanno rinfacciato i suoi nemici mentre era morente sulla croce: “Salva te
stesso, tu che hai salvato gli altri” (). Gesù ha slavato gli altri donando se stesso,
il proprio tempo, la propria vita. Ha amato i suoi amici e le sue amiche sino
alla fine: non li ha abbandonati (cfr. Gv 13,1).
Gesù
ha manifestato che l’uomo e la donna ad immagine di Dio hanno sete di Giustizia
(Cfr. Mt 5, 3s). Infatti, vediamo Gesù, durante la sua vita pubblica, sempre
dal lato dei poveri, affermando che il ricco non entrerà nel regno dei cieli.
Ci entrano solo i ricchi che distribuiscono i beni ai poveri. Gesù ci ha
aiutato a capire che la povertà distrugge il progetto di uguaglianza di Dio e che
occorre andare alla radice del problema, sanare alla radice le ingiustizie che,
con il tempo, generano le disuguaglianze e producono gli schieramenti, le
tensioni. Paolo, riflettendo su questo mistero, giunge ad affermare che in
Cristo: “non c’è Giudeo né Greco; non c’è schiavo né libero; non c’è maschio e
femmina perché tutti siamo uno in Cristo Gesù” (Gal 3,28). Anche Pietro arriva
a comprendere che “Dio non fa differenza di persone, ma accoglie chi lo teme e
pratica la giustizia” (At 10, 34s).
L’ultimo
aspetto che voglio sottolineare dell’essere a somiglianza di Dio che Gesù è
venuto a manifestare è la pace. Vive male chi vive generando tensioni,
aggredendo gli altri. Gesù è uomo di pace. Ha costruito una comunità di uomini
e donne lavorando continuamente affinché fra loro vi fosse armonia. Siamo figli
e figlie di Dio quando lavoriamo per stemperare le tensioni nei luoghi in cui
viviamo. “Pace a voi” (Gv 20, 19). È questo il saluto di Gesù risorto fatto ai
suoi discepoli. Realizziamo pienamente la nostra umanità quando viviamo in pace
e questa pace ha un prezzo: la rinuncia a far valere ad ogni costo la propria
ragione. Per questo Gesù durante la passione è rimasto in silenzio.
Questo
stile di vita, questo modo di stare al mondo tra gli uomini e le donne per
poter essere interiorizzato e compreso ha bisogno di un luogo esistenziale
specifico: il presepio. Il Natale ci insegna che il punto di partenza per una
vita autentica è la precarietà, l’essenzialità, in altre parole: la povertà
evangelica. Non puoi dire di essere un discepolo e una discepola del Signore e
vivere nell’abbondanza, perché ti metti già dalla parte di chi produce
disuguaglianza. Per comprendere e interiorizzare il messaggio di Gesù occorre
sempre mettersi dalla sua parte, che è la parte dei poveri, degli emarginati.
Non puoi cibarti del corpo di Cristo, che è il corpo di colui che ha condiviso
tutto di sé e poi accumulare beni: è una contraddizione.
La
domanda che potremmo farci ora è la seguente: esiste un criterio per capire se
abbiamo ascoltato la narrazione giusta nel posto esatto? Esiste. Il criterio lo
troviamo voltando pagina, dove troviamo scritto che Gesù venne ricercato per
essere ucciso e che poi assieme a Giuseppe e Maria sono dovuti fuggire in
Egitto. E poi, sfogliando ancora, troviamo Gesù adulto perseguitato dai capi
religiosi, sbeffeggiato dagli uomini del tempio, odiato perché faceva cose
prodigiose e la gente lo seguiva. Ecco, se nella nostra vita siamo odiati e
perseguitati a causa delle scelte che facciamo in nome del Vangelo, vuole dire
che la narrazione ascoltata nell’infanzia era quella giusta, narrata nel posto
giusto.
A
Natale siamo invitati a riavvolgere il nastro della narrazione su Gesù, per
ascoltarla bene questa storia e non correre il rischio di costruire una casa
sulla sabbia, senza fondamenta. Sembra bella, per un tempo ma, alla fine
dell’anno, viene giù. Buon Natale.
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