Is 52, 13 - 53, 12; Sal 30; Eb 4,
14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1 - 19, 42
Paolo Cugini
Il Triduo ci fa entrare
nel mistero di Dio per un’angolatura nuova, mai vista e pensata. Abituati a pensare Dio come potente, forte,
distante da tutto e tutti, nella passione e morte di Gesù ci viene offerta una grande
sorpresa. Dalla croce appare la debolezza di Dio, la sua fragilità che non è
nascosta, anzi. Debolezza di Dio che getta immediatamente una luce di
solidarietà con noi. La croce di Gesù ci dice che la potenza di Dio non sta
nella forza, nell’apparenza, ma in qualcos’altro che dev’essere cercato. È proprio
questo che faremo meditando sul brano della passione di Giovanni, che dà il
tono alla celebrazione del Venerdì Santo.
Per la crocefissione di Gesù che stiamo meditando
oggi, si può prendere come criterio interpretativo lo stesso versetto utilizzato
ieri per la lavanda dei piedi. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio
unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato (Gv
1,18). Giovanni ci dice che dobbiamo imparare a guardare il crocefisso come la
manifestazione del volto di Dio. In Gesù, infatti, nelle sue scelte e nel suo
stile di vita, viene rivelato Dio stesso. Che cosa ci rivela, allora, la croce
su Dio?
Giovanni nel Vangelo ci
ricorda che il cammino di fede non è frutto della volontà umana, ma una scelta
e, allo stesso tempo, un dono di Dio. Dice, infatti, Gesù ad un certo punto del
discorso che realizza dopo la moltiplicazione dei pani: “nessuno può venire
a me se non l’attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). Seguiamo il
Signore solo perché il Padre ci attira a Lui. La sequela è importante perché è
Gesù che ha parole di vita e da Lui sgorga la vita vera. Potremmo, allora
chiederci: come fa il Padre ad attirarci verso il Figlio, in che modo? Ce lo
dice Gesù stesso sempre nel Vangelo di Giovanni: “quando sarò innalzato da
terra attirerò tutti a me” (Gv 12, 32). Sembra un dato inverosimile,
impossibile da credere ma il Padre ci attira attraverso la croce del Figlio.
Allora ci chiediamo: perché? Come mai propria la croce è strumento del Padre
per attirare l’umanità?
Paolo ci aiuta in questo
senso quando dice: “noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i
Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia
Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti, ciò
che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di
Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1, 23-25). Non si comprende il mistero
della croce e come mai proprio lì è celato il mistero di Dio utilizzando la
logica dei filosofi, la sapienza umana. San Paolo ci allerta che nemmeno la riflessione
della comunità ebraica è in grado di risolvere l’enigma, perché considera la
croce uno scandalo. Solo guardando al percorso storico di Gesù possiamo dire
qualcosa sulla rivelazione del mistero di Dio nella morte in croce di Gesù.
Come Gesù è arrivato a morire in croce e perché?
Ogni sua parola e ogni
suo gesto è stato un atto d’amore verso il Padre e verso i fratelli e le
sorelle. Gesù ha amato e la qualità del suo amore è stata la gratuità, il dono
di sé, da una parte e il servizio alla verità, dall’altra. Gesù ha amato non
tacendo mai i soprusi degli uomini del tempio, i loro inganni e sotterfugi per
angariarsi il popolo. Gesù ha smascherato la falsità delle guide religiose che mettevano
le loro tradizioni al posto della Parola di Dio. Gesù è venuto sulla terra per
aprirci gli occhi e mostrarci il cammino della vita: ci ha amato smascherando
la falsità del mondo, degli insegnamenti degli uomini religiosi. Questo cammino
ha provocato l’ira degli uomini del tempio che lo hanno condannato ad una morte
infame.
La croce di Gesù, allora,
non manifesta una forza fisica, dei poteri sovraumani. C’è una carne debole
come la nostra appesa alla croce. Ciò che colpisce di questo corpo debole e
sofferente è la qualità di amore che ha espresso sino alla fine. Gesù, infatti,
non si è tirato indietro e proprio la sua fedeltà rivela lo spessore del suo
amore. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine” (Gv
13,1), ci ha ricordato il Vangelo di Giovanni proprio ieri. Cos’è stato,
infatti, la lavanda dei piedi, quel chinarsi del Maestro per lavare i piedi ai suoi
discepoli, se non un grande gesto d’amore, che rivela il pensiero di Gesù non
chiuso in se stesso, ma sempre attento verso coloro che ha accanto. Chi ama fa
di tutto perché chi è vicino possa essere protetto, possa ricevere vita.
Ancora. Che parole piene d’amore sono state quelle pronunciate da Gesù sulla
croce quando, guardando coloro che lo stavano uccidendo. Ha detto: “Padre,
perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).
Guardiamo alla croce perché
c’è così tanto amore in quel corpo debole e insanguinato da alimentare per
sempre tutta l’umanità. Guardiamo a Lui, alla sua croce per imparare a non
vergognarci delle nostre debolezze, le nostre fragilità perché come ha imparato
Paolo seguendo da vicino il Cristo: “quando sono debole è allora che sono
forte” (2 Cor 12,10). Quando impariamo l’umiltà di guardare in faccia la
nostra debolezza potremo permettere all’amore di Dio di entrare in noi,
rafforzarci per continuare il cammino contando non sulle nostre poche forze, ma
sul suo grande amore.
Nessun commento:
Posta un commento