venerdì 7 aprile 2023

OMELIA VENERDI SANTO

 



Is 52, 13 - 53, 12; Sal 30; Eb 4, 14-16; 5, 7-9; Gv 18, 1 - 19, 42

 

Paolo Cugini

 

Il Triduo ci fa entrare nel mistero di Dio per un’angolatura nuova, mai vista e pensata.  Abituati a pensare Dio come potente, forte, distante da tutto e tutti, nella passione e morte di Gesù ci viene offerta una grande sorpresa. Dalla croce appare la debolezza di Dio, la sua fragilità che non è nascosta, anzi. Debolezza di Dio che getta immediatamente una luce di solidarietà con noi. La croce di Gesù ci dice che la potenza di Dio non sta nella forza, nell’apparenza, ma in qualcos’altro che dev’essere cercato. È proprio questo che faremo meditando sul brano della passione di Giovanni, che dà il tono alla celebrazione del Venerdì Santo.

 Per la crocefissione di Gesù che stiamo meditando oggi, si può prendere come criterio interpretativo lo stesso versetto utilizzato ieri per la lavanda dei piedi. Dio, nessuno lo ha mai visto: il Figlio unigenito, che è Dio ed è nel seno del Padre, è lui che lo ha rivelato (Gv 1,18). Giovanni ci dice che dobbiamo imparare a guardare il crocefisso come la manifestazione del volto di Dio. In Gesù, infatti, nelle sue scelte e nel suo stile di vita, viene rivelato Dio stesso. Che cosa ci rivela, allora, la croce su Dio?  

Giovanni nel Vangelo ci ricorda che il cammino di fede non è frutto della volontà umana, ma una scelta e, allo stesso tempo, un dono di Dio. Dice, infatti, Gesù ad un certo punto del discorso che realizza dopo la moltiplicazione dei pani: “nessuno può venire a me se non l’attira il Padre che mi ha mandato” (Gv 6,44). Seguiamo il Signore solo perché il Padre ci attira a Lui. La sequela è importante perché è Gesù che ha parole di vita e da Lui sgorga la vita vera. Potremmo, allora chiederci: come fa il Padre ad attirarci verso il Figlio, in che modo? Ce lo dice Gesù stesso sempre nel Vangelo di Giovanni: “quando sarò innalzato da terra attirerò tutti a me” (Gv 12, 32). Sembra un dato inverosimile, impossibile da credere ma il Padre ci attira attraverso la croce del Figlio. Allora ci chiediamo: perché? Come mai propria la croce è strumento del Padre per attirare l’umanità?

Paolo ci aiuta in questo senso quando dice: “noi invece annunciamo Cristo crocifisso: scandalo per i Giudei e stoltezza per i pagani; ma per coloro che sono chiamati, sia Giudei che Greci, Cristo è potenza di Dio e sapienza di Dio. Infatti, ciò che è stoltezza di Dio è più sapiente degli uomini, e ciò che è debolezza di Dio è più forte degli uomini” (1 Cor 1, 23-25). Non si comprende il mistero della croce e come mai proprio lì è celato il mistero di Dio utilizzando la logica dei filosofi, la sapienza umana. San Paolo ci allerta che nemmeno la riflessione della comunità ebraica è in grado di risolvere l’enigma, perché considera la croce uno scandalo. Solo guardando al percorso storico di Gesù possiamo dire qualcosa sulla rivelazione del mistero di Dio nella morte in croce di Gesù. Come Gesù è arrivato a morire in croce e perché?

Ogni sua parola e ogni suo gesto è stato un atto d’amore verso il Padre e verso i fratelli e le sorelle. Gesù ha amato e la qualità del suo amore è stata la gratuità, il dono di sé, da una parte e il servizio alla verità, dall’altra. Gesù ha amato non tacendo mai i soprusi degli uomini del tempio, i loro inganni e sotterfugi per angariarsi il popolo. Gesù ha smascherato la falsità delle guide religiose che mettevano le loro tradizioni al posto della Parola di Dio. Gesù è venuto sulla terra per aprirci gli occhi e mostrarci il cammino della vita: ci ha amato smascherando la falsità del mondo, degli insegnamenti degli uomini religiosi. Questo cammino ha provocato l’ira degli uomini del tempio che lo hanno condannato ad una morte infame.

La croce di Gesù, allora, non manifesta una forza fisica, dei poteri sovraumani. C’è una carne debole come la nostra appesa alla croce. Ciò che colpisce di questo corpo debole e sofferente è la qualità di amore che ha espresso sino alla fine. Gesù, infatti, non si è tirato indietro e proprio la sua fedeltà rivela lo spessore del suo amore. “Avendo amato i suoi che erano nel mondo li amò sino alla fine” (Gv 13,1), ci ha ricordato il Vangelo di Giovanni proprio ieri. Cos’è stato, infatti, la lavanda dei piedi, quel chinarsi del Maestro per lavare i piedi ai suoi discepoli, se non un grande gesto d’amore, che rivela il pensiero di Gesù non chiuso in se stesso, ma sempre attento verso coloro che ha accanto. Chi ama fa di tutto perché chi è vicino possa essere protetto, possa ricevere vita. Ancora. Che parole piene d’amore sono state quelle pronunciate da Gesù sulla croce quando, guardando coloro che lo stavano uccidendo. Ha detto: “Padre, perdona loro perché non sanno quello che fanno” (Lc 23,34).

Guardiamo alla croce perché c’è così tanto amore in quel corpo debole e insanguinato da alimentare per sempre tutta l’umanità. Guardiamo a Lui, alla sua croce per imparare a non vergognarci delle nostre debolezze, le nostre fragilità perché come ha imparato Paolo seguendo da vicino il Cristo: “quando sono debole è allora che sono forte” (2 Cor 12,10). Quando impariamo l’umiltà di guardare in faccia la nostra debolezza potremo permettere all’amore di Dio di entrare in noi, rafforzarci per continuare il cammino contando non sulle nostre poche forze, ma sul suo grande amore.

 

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