ESERCIZI SPIRITUALI PRESBITERI DIOCESI DI REGGIO EMILIA-GUASTALLA
MAROLA 6-10 NOVEMBRE 2017
MONS. LUCIANO MONARI
Sintesi: Paolo Cugini
VI MEDITAZIONE
GIOVANNI
9
L’episodio
si colloca nella festa delle capanne e nel contesto della luce. Era una festa e
qui Gesù afferma: Io sono la luce del mondo. Il segno della guarigione del
cieco nato realizza ciò che il prologo aveva annunciato: la vita era la luce
per gli uomini. Questa luce è la vita stessa, la vita con la v maiuscola. E’ il
tema dominante del Vangelo: trasmettere la vita di Dio attraverso la fede in
Gesù. La luce è effetto di questa vita che entra nel mondo e entrando nel mondo
la illumina.
C’è
Gesù, i discepoli, i vicini, i genitori, i farisei: tutti questi gruppi entrano
in scena due a due.
Gesù
e i suoi discepoli. L’incontro con il cieco nato è lo
stimolo per porre una questione teologica. Un cieco nato pone un interrogativo,
perché non può avere peccato visto che è nato così. Forse paga il peccato dei
genitori. Gesù risponde spostando l’ottica, che è la manifestazione dell’opera
di Dio: in che modo le opere di Dio possono manifestarsi in un cieco nato? E’
un problema di rivelazione e non teologico. Il modo concreto è quello che Gesù
mette subito in atto curando il cieco. Gesù prende l’iniziativa e la sua azione
provoca una guarigione. E’ un miracolo raccontato in modo breve. Deve lavarsi
dalla piscina di Siloe, e fa riferimento ad un inviato che allude all’identità
di Gesù. Infatti, è la parola Siloe che rimanda al significato di inviato. Gesù
ha il compito di rivelare al mondo la Gloria di Dio, che è Lui. La piscina di
Siloe allude alla persona di Gesù che s’identifica con la missione che ha
ricevuto dal Padre. Ciò provoca varie reazioni:
I
vicini. E’ la reazione dei mass media. Siamo davanti alla
reazione della curiosità, un fatto di cronaca. C’è tanta curiosità nella
narrazione. Sono gli spot dei nostri mezzi di comunicazione, dove le cose
vengono amplificate per pochi giorni e poi si sgonfia tutto. La curiosità può
essere uno stimolo, ma rimane nell’ambito del superficiale. La fede richiede la
fatica e il coraggio di porre domande impegnative, nelle quali il soggetto è
coinvolto. Le domande della fede coinvolgono colui che le fa. La curiosità si
ferma al primo ostacolo. Viviamo molto di frammenti di vita, di piccole
esperienze, che però non durano. Le cose a cui ci attacchiamo sono generalmente
cose a breve scadenza. Invece la fede ha bisogno di un cammino di speranza che
deve coinvolgere tutta la vita.
I
farisei. Non sono superficiali: vogliono capire le
cose. Devono dare una valutazione religiosa corretta. Il problema è che la
guarigione è avvenuta nel giorno di sabato e la ricerca dei farisei s’incaglia
su questo problema. Fra i farisei nasce uno scisma, una spaccatura. Di fronte a
Gesù questo fenomeno dello scisma nel Vangelo di Giovanni capita spesso. Il
cieco afferma che Gesù è un profeta. E’ un passo avanti rispetto alla
definizione di prima, nel dialogo con i vicini, dove affermava che non sapeva
chi era. I farisei non sono contenti.
I
genitori. Giovanni interpreta l’atteggiamento dei
genitori come un modo di tirarsi fuori dalla questione, perché può diventare
pericolosa. I genitori sanno che il potere si trova nelle mani dei giudei. Se
si espongono troppo, il potere dei farisei può fare paura attraverso la
scomunica, l’espulsione dalla sinagoga, che voleva dire essere emarginati,
fuori dalla convivenza sociale. L’isolamento è una delle paure più profonde
dell’uomo. C’è un prezzo troppo alto da pagare, per questo rimandano tutto al
loro figlio. I farisei appaiono agli occhi dei genitori come giudici inflessibili.
Per questo alla fede non ci arrivano, perché la fede costa e può significare
dal punto di vista sociale un prezzo da pagare, soprattutto nei primi tempi.
Il
cieco. L’interrogatorio comincia con un’affermazione
perentoria: sappiamo che quest’uomo è un peccatore. Quando un peccatore
riconosce i suoi peccati, dà gloria a Dio, perché significa dar ragione a Dio. Il
giudizio è già stato dato su Gesù da parte dei farisei. Il giudizio pone fine
su tutta la ricerca. La risposta del cieco è interessante. E’ un richiamo alla realtà,
al fatto, all’esperienza. I fatti avranno bisogno d’interpretazione che però
dovrà tener conto dei fatti. C’è un punto fermo che dev’essere tenuto in
considerazione: l’evento reale. Questa realtà è la struttura di ogni
testimonianza cristiana. Possiamo parlare di Gesù solamente a partire dall’esperienza.
L’incontro con Gesù ha migliorato la mia esperienza umana: è questo il punto di
partenza. Il cieco non cade nella trappola dell’interrogatorio dei farisei che
s’inaspriscono. Il cieco manifesta che i farisei stanno cercando d’incastrare
Gesù, alterando i dati di fatto. Non si tratta più di fatti, ma di appartenenze
diverse. Il cieco spiega che la guarigione c’è stata e quindi viene da Dio. La
conclusione è scontata, vale a dire la contrapposizione radicale dei farisei
contro il cieco nato: lo cacciano fuori dalla comunità d’Israele.
Gesù
e il cieco. La guarigione piena è alla fine, quando
il cieco riconosce il Figlio dell’uomo come colui che l’ha guarito. La
guarigione diventa l’occasione per aprirsi alla Vita. Io sono venuto nel mondo per giudicare: per discernere, per
separare. La venuta di Gesù pone un punto di separazione tra gli uomini. Nella
rivelazione di Gesù c’è un’opera di capovolgimento. Quelli che vedono non
colgono la luce nuova e non riescono a percepire il nuovo che ha cominciato a
rispendere e allora diventano ciechi nei confronti della luce nuova. Non accettare
la rivelazione dell’amore di Dio in Gesù, la cecità diventa voluta e quindi un
peccato. E’ la condizione dei farisei, che non riconoscono Gesù e la Vita che
viene da Lui. La condizione dell’uomo è di essere senza vita, mentre il dono di
Dio in Gesù è proprio la vita.
Il
Vangelo di Giovanni è un grande processo dove la rivelazione di Dio si
confronta con l’autosufficienza dell’uomo. Alla fine occorre prendere
posizione. Il capitolo 9 presenta alcune posizioni dinanzi a Gesù e alla sua proposta.
Nessun commento:
Posta un commento