Paolo Cugini
Nel Vangelo che oggi è proclamato c’è un richiamo contro l’ipocrisia dei
farisei, vale a dire contro la loro ricerca di visibilità. Cercano
visibilità perché l’obiettivo del loro cammino non è il Padre, ma se stessi.
Hanno bisogno del parere egli uomini e delle donne per sentirsi qualcosa,
sentirsi apprezzati. E’ il prezzo che si paga quando si vive riempendosi di
materia, che crea il vuoto, il nulla. Siccome sono concentrato su di me e la
molla dei miei pensieri e dei miei gesti è la proiezione del mio io nel mondo,
che nasce dall’istinto di sopravvivenza, che si manifesta nell’attaccamento a
se stesso, allora cerco il parere degli altri. E’ il prezzo che si paga quando
si lega la propria identità a ciò che si è materialmente e allora diviene
fondamentale avere, più che essere. Il Signore ci mostra che il cammino verso
l’autenticità si manifesta nell’essere figlie e figli di Dio e, di conseguenza,
quando questa percezione avviene, smettiamo di cercare di piacere agli altri,
perché la nostra unica consolazione sta nel Padre.
Nel Vangelo di oggi c’è anche un richiamo all’uguaglianza.
Siamo tutti fratelli e sorelle: questo è il punto di partenza del discorso di
Gesù. Non ci può essere nella comunità cristiana una logica di casta. Non ci
può essere nella comunità cristiana una dinamica di carriera, di volere essere
migliore degli altri, perché siamo tutti fratelli e sorelle. Nessuna diversità
che possa umiliare il fratello e la sorella. Questa uguaglianza, che è dono
dello Spirito Santo e che siamo chiamati a viver nella comunità, dev’essere ben
visibile nella liturgia, perché è lì che facciamo memoria del Signore “finché
Egli venga”. Quando nella comunità viviamo il principio di uguaglianza voluto
dal Signore, lo rendiamo visibile affinché gli altri vedendo possano crede. Del
resto è stato Lui sesso che, nel contesto dell’ultima cena narrata da Giovanni,
disse: “Da questo tutti sapranno che
siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Comunità
di fratelli e sorelle nasce quando il Signore è riconosciuto come l’unico
maestro, l’unico che vale la pena seguire. Significa anche uscita dalla
religione individualista e narcisista, che spinge l’uomo e la donna ad isolarsi
a cercare un modello di perfezione basato sullo sforzo personale più che sull’accoglienza
del dono di Dio manifestato in Gesù.
La
verità dell’assimilazione dello stile del Signore del voler essere come Lui sta
nell’umiltà, che sgorga dal principio dell’Incarnazione. Più si diventa simili
a Lui, sia come frutto dell’impegno personale d’imitarlo, che come accoglienza
del dono che è Lui e che operano in noi che lo seguiamo, meno ci perdiamo nei
fronzoli della vita. Se c’è una cosa che accomuna i discepoli e le discepole
del Signore è la chiarezza e la fermezza nel cammino. L’umiltà richiesta da
Gesù ha anche questo risvolto nella vita pratica.
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