sabato 4 novembre 2017

DICONO MA NON FANNO






Paolo Cugini

Nel Vangelo che oggi è proclamato c’è un richiamo contro l’ipocrisia dei farisei, vale a dire contro la loro ricerca di visibilità. Cercano visibilità perché l’obiettivo del loro cammino non è il Padre, ma se stessi. Hanno bisogno del parere egli uomini e delle donne per sentirsi qualcosa, sentirsi apprezzati. E’ il prezzo che si paga quando si vive riempendosi di materia, che crea il vuoto, il nulla. Siccome sono concentrato su di me e la molla dei miei pensieri e dei miei gesti è la proiezione del mio io nel mondo, che nasce dall’istinto di sopravvivenza, che si manifesta nell’attaccamento a se stesso, allora cerco il parere degli altri. E’ il prezzo che si paga quando si lega la propria identità a ciò che si è materialmente e allora diviene fondamentale avere, più che essere. Il Signore ci mostra che il cammino verso l’autenticità si manifesta nell’essere figlie e figli di Dio e, di conseguenza, quando questa percezione avviene, smettiamo di cercare di piacere agli altri, perché la nostra unica consolazione sta nel Padre.

Nel Vangelo di oggi c’è anche un richiamo all’uguaglianza. Siamo tutti fratelli e sorelle: questo è il punto di partenza del discorso di Gesù. Non ci può essere nella comunità cristiana una logica di casta. Non ci può essere nella comunità cristiana una dinamica di carriera, di volere essere migliore degli altri, perché siamo tutti fratelli e sorelle. Nessuna diversità che possa umiliare il fratello e la sorella. Questa uguaglianza, che è dono dello Spirito Santo e che siamo chiamati a viver nella comunità, dev’essere ben visibile nella liturgia, perché è lì che facciamo memoria del Signore “finché Egli venga”. Quando nella comunità viviamo il principio di uguaglianza voluto dal Signore, lo rendiamo visibile affinché gli altri vedendo possano crede. Del resto è stato Lui sesso che, nel contesto dell’ultima cena narrata da Giovanni, disse: “Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avrete amore gli uni per gli altri” (Gv 13,35). Comunità di fratelli e sorelle nasce quando il Signore è riconosciuto come l’unico maestro, l’unico che vale la pena seguire. Significa anche uscita dalla religione individualista e narcisista, che spinge l’uomo e la donna ad isolarsi a cercare un modello di perfezione basato sullo sforzo personale più che sull’accoglienza del dono di Dio manifestato in Gesù.

La verità dell’assimilazione dello stile del Signore del voler essere come Lui sta nell’umiltà, che sgorga dal principio dell’Incarnazione. Più si diventa simili a Lui, sia come frutto dell’impegno personale d’imitarlo, che come accoglienza del dono che è Lui e che operano in noi che lo seguiamo, meno ci perdiamo nei fronzoli della vita. Se c’è una cosa che accomuna i discepoli e le discepole del Signore è la chiarezza e la fermezza nel cammino. L’umiltà richiesta da Gesù ha anche questo risvolto nella vita pratica. 

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