mercoledì 21 giugno 2017

AMORE ALLA VITA




DOMENICA 9 GIUGNO 2013 - X/C DEL TEMPO COMUNE
(1 Re 17,17-24; Ps 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17)
 Paolo Cugini

1. Dopo le tante domeniche solenni che abbiamo celebrato in questi ultimi mesi del periodo di Pasqua e Pentecoste , la liturgia ritorna al Tempo Comune e ci rimarrà per alcuni mesi, sino al Tempo d’ Avvento che avverrà alla fine di novembre. In questo Tempo Comune avremo l'opportunità di riflettere sui temi significativi del nostro camminare quotidiano, scoprendo i significati che la Parola di Dio dà ai contenuti sui quali lavoriamo giorno dopo giorno. In questa domenica, che è la decima del tempo comune, tempo che era iniziato subito dopo il tempo di Natale, il tema che ci viene proposto é quello della vita. Sia la prima lettura che il Vangelo ci parlano della resurrezione di una persona giovane. Nella prima lettura si parla della resurrezione di un bambino, mentre nel Vangelo è narrata la risurrezione di un ragazzo. In tutti i due i casi un giovane morto viene restituito vivo alla propria madre. La domanda che potremmo rivolgerci è questa: che insegnamento riceviamo da queste narrazioni di risurrezione?
2. Un morto dal punto di vista spirituale potremmo indicarlo come colui che ha rotto il proprio legame con la vita e, siccome la vita viene da Dio, é morto colui che non vive in Dio, che ha tagliato il proprio legame con Dio. In entrambe le narrazioni sono le madri le protagoniste dell’intervento divino. Nel primo caso la madre si arrabbia con il profeta per la morte del proprio bambino, quasi colpevolizzando Elia per l’accaduto. Elia entra in azione con una preghiera con la quale chiede l’intervento di Dio. É la preghiera del profeta, dell’uomo di Dio che è ascoltato dal Padre. Affinché la preghiera sia ascoltata e la morte si trasformi in vita bisogna essere profeti, uomini e donne di Dio, persone che hanno fatto della propria vita un dono al Signore, qualsiasi sia la vocazione. Per fare ciò dovremmo prendere sempre più seriamente il nostro battesimo, viverlo come un dono, trasformando la nostra vita in dono. La preghiera di Elia è la preghiera di un uomo che ha fatto della propria vita un totale servizio al Signore.
 3. Nel Vangelo è Gesù che sente compassione per la madre vedova che perde l’unico figlio ed entra decisamente in azione. É la situazione che provoca l’entrata di Dio nella storia. Il Dio che si è rivelato nella persona di Gesù Cristo non sopporta la sofferenza dei piccoli, dei poveri, degli oppressi. E infatti che cosa  c’è di piú piccolo, povero e disperato di una madre vedova che ha perso il suo unico figlio? É in questo Dio che crediamo, nel Dio che ascolta il grido dei sui piccoli ed entra nella storia degli uomini e delle donne per dare vita, per trasformare situazioni di morte in vita.
4. “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Mi ha fatto impressione questa espressione di Gesù. Oggi incontriamo molti giovani morti nel significato sopra accennato e cioè senza Dio. Quanti giovani vivono oggi senza nessun riferimento al Vangelo, alla proposta di Gesù, nell’illusione di poter vivere senza di Lui! Eppure da sempre la maggior parte dei giovani che incontriamo sono passati dalle nostre sale di catechismo. E allora perché se ne sono andati? Perché oggi vivono come se Dio non esistesse, pur avendolo conosciuto, por avendo ascoltato per molto tempo la sua Parola? Come potrebbe la Chiesa oggi dirigere le parole di Gesù ai giovani che incontra “morti” sul proprio cammino?
5. “Tutti furono presi da timore e glorificavano Do”. Il mondo riconosce la presenza di Dio nella storia quando avviene una trasformazione, un passaggio dalla morte alla vita. Glorificare Dio significa credere in Lui. Il prodigio provoca la fede del mondo. La Chiesa é chiamata a compiere questo prodigio per aiutare il mondo a credere in Dio, ma come può fare ciò?
Sono due le indicazioni che ci sono state consegnate dalle letture. La prima é che solamente una Chiesa profetica, e cioè una Chiesa che vive e si alimenta del Signore é in grado di rivolgere al Padre una preghiera di supplica. La Bibbia c’insegna che Dio Padre ascolta sempre la preghiera dei suoi servi e serve. Se ci premono i giovani e la loro vita dovremmo convertirci una volta per tutte al Signore, uscire dai nostri egoismi e metterci al Servizio del Signore. La morte spirituale dei giovani deve provocare la nostra conversione.

La seconda indicazione la troviamo nel Vangelo. Gesù tocca la bara. Fino a quando la nostra disperazione si ferma alle parole dette e scritte non succederà nulla nell’ottica della fede. Bisogna toccare la bara! Fino a quando il padre di famiglia va al bar o non smette di lavorare e non trova mai il tempo  per parlare con il proprio figlio/a, continua a costruire lentamente la sua bara. Sino a quando la madre si preoccupa solamente dei vestiti e dell’esterno e non prova mai ad abbozzare un minimo dialogo sui problemi dei propri figli, sta semplicemente martellando i chiodi delle loro bare. Bisogna avere umiltà di sentire la puzza di morte che esce dalla bara. Bisogna che un giorno arriviamo ad avere il coraggio di prendere il martello per togliere i chiodi alla bara, di fermare il corteo di gente che sta portando tanti giovani al cimitero della vita. E poi c’è la Chiesa, la comunità di cristiani che deve poter toccare le bare dei giovani che incontra, non facendo la corsa con il mondo e cioè, non offrendo in un modo più masticato e ripulito quello che il mondo già offre, ma avendo il coraggio di proporre quello che é chiamata a proporre: Gesù Cristo. Una Chiesa creativa che pensa al modo per poter parlare de Gesù ai giovani, senza provocare sensazioni di disagio, ma di fame di Dio. Per fare questo la Chiesa dovrebbe avere il coraggio di abbandonare una volta per tutte la logica mondana di offrire la proposta del Vangelo come se fosse obbligatoria, come una proposta scolastica che deve essere fatta. Quando la Chiesa avrà il coraggio di presentare ai giovani il Vangelo di Gesù per quello che è e cioè, una proposta di vita che esige un’adesione personale libera e non un obbligo o un’imposizione,  forse in questo modo potrà trovare la forza per dire ai giovani che incontra: ragazzo/a, dico a te: alzati!

domenica 4 giugno 2017

PENTECOSTE 2017




            Paolo Cugini

Ed essi furono tutti pieni di Spirito Santo e cominciarono a parlare in altre lingue come lo Spirito dava loro il potere di esprimersi” (At 2, 4).
Il primo effetto dello Spirito Santo in coloro che lo ricevono si manifesta nella necessità di uscire fuori, di condividere ciò che hanno ricevuto. È la chiesa in uscita. La chiesa nella prospettiva della narrazione di Luca, nasce così, uscendo dal tempio per annunciare il messaggio del Regno nelle piazze, all’esterno. La verità dell’accoglienza dello Spirito Santo è l’impulso ad uscire, a condividerlo, ad annunciarlo. Altro dato interessante che troviamo nel testo di Luca è sull’identità di colro che ricevono lo Spirito. “Furono tutti pieni di Spirito Santo”: cho sono questi tutti? Senza dubbio i 120 che erano nel Cenacolo ad aspettare la discesa dello Spirito Santo. Tra loro c’erano gli 11 e poi Mattia e Barnaba. Oltre a loro anche alcune donne. 120 è chiaramente un  numero simbolico che indica la totalità della Chiesa che non è costituita solo di maschi, ma anche da donne. E’ questo un dato interessante perché lo Spirto Santo scende su tutti e tutte e tutti sono chiamati ad uscire dal tempio per condividere il dono ricevuto.

“Costoro che parlano non sono forse tutti galilei? E com’è che li sentiamo ciascuno parlare la nostra lingua nativa? … Li udiamo annunziare nelle nostre lingue le grandi opere di Dio” (At 2, 8s).
Questo impulso all’annuncio si manifesta come sforzo di renderlo intellegibile a qualsiasi cultura che s’incontra. Lo Spirito Santo aiuta a rendere comprensibile il Vangelo a qualsiasi cultura. È, anche in questo caso, uno sforzo di uscita. È colui che annuncia che è chiamato a rendersi comprensibile a coloro ai quali si vuole annunciare il Vangelo. Che cosa significa questo? In primo luogo, che il Vangelo non esige l’annullamento delle culture altre, ma la consapevolezza che ogni cultura è in grado di accogliere il Vangelo. Ciò vuole dire anche il riconoscimento del valore positivo di ogni cultura. Questo lavoro di evangelizzazione delle culture, degli ambiti nei quali viviamo esige un cammino di avvicinamento. Solamente avvicinandoci potremo conoscere e. così, discernere il cammino da intraprendere affinché l’annuncio del Vangelo diventi comprensibile.

Ricevete lo Spirito Santo; a chi rimetterete i peccati saranno rimessi e a chi non li rimetterete resteranno non rimessi” (Gv 20, 22-23).

L’evangelista Giovanni fa coincidere la Pasqua con la Pentecoste. Dopo la Risurrezione Gesù va dai suoi discepoli e dona loro lo Spirito Santo. Il primo frutto dello Spirito Santo consegnato ai discepoli è la capacità di rimettere i peccati. Perché questo annuncio? Mi sembra che sia la possibilità che Gesù Risorto offre a tutti di rimettersi nel cammino del Signore, soprattutto coloro che si sentono lontani. È il volto della comunità accogliente, tenda da campo in mezzo al mondo, che allarga i paletti affinché tutti trovino posto. 

sabato 3 giugno 2017

VENITE E VEDETE





BOCCA DI MAGRA 1-3 GIUGNO
VENITE E VEDRETE: GIOVANNI 1, 35-39


Suor Fabrizia Giacobbe
Sintesi: Paolo Cugini

Questo testo si apre e si chiude con due annotazioni di carattere temporale. Il Vangelo di Giovanni ci parla di giorni, di ore, dello scorrere del tempo che costituisce la storia del mondo. Narrazione di un tempo nuovo. È lo scorrere del tempo che è la nostra vita, che possiamo vivere in modo nuovo. Gesù vuole che viviamo intensamente il nostro tempo. Per questo dobbiamo dare un senso alla vita.
Occorre aprirsi ai passaggi di Dio sulla nostra esistenza. Tenere il cuore aperto al signore che passa nella nostra vita. Passa oggi e passa dove siamo. Gesù si fa presente dove siamo. Gesù è colui che ci rivela il volto di Dio. L’agnello di Dio è un richiamo alla Pasqua. Dio vuole la nostra vita e la nostra liberazione: è questo il messaggio pasquale per eccellenza. Il modo per dare la vita è consegnarla. Richiamo a Isaia. Gesù ci dice che il dono della vita è quello che rende la vita pienamente umana.I due discepoli seguono Gesù. Parole dette da altri, in questo caso Giovanni Battista, provocano il cammino di fede, il cammino dei discepoli.

Grati alla Chiesa perché continua ad indicarci l’agnello di Dio. I discepoli si muovono perché intuiscono che c’è qualcosa in Gesù.

Che cosa cercate? È la domanda centrale. La prima parola di Gesù nel Vangelo di Giovanni è una domanda. Dio è interessato a farci venire fuori così come siamo. Che cosa stiamo cercando? In che direzione stiamo camminando? Siamo sollecitati a lasciarci interrogare. Importante è andare a fondo. Giovanni pensa che come discepoli siamo chiamati ad essere discepoli adulti. Per questo è importante che ci chiediamo: che cosa cerchiamo? Nel Nuovo Testamento c’è molta gente che cerca Gesù. Qui il Vangelo ci dice che se cerchiamo la gioia, la libertà, una capacità di amare in modo gratuito, la vita autentica, allora possiamo seguire il Signore.

La risposta di Dio è più grande dei nostri desideri. Il Vangelo ci dice che Gesù è il pane della vita, la luce. I discepoli rispondono: maestro dove abiti? È una domanda che vuole dire il desiderio di casa, di famiglia, di relazioni vere nelle quali qualcuno può essere se stesso. È desiderio di relazione. Alla fine ciò che cerchiamo davvero è qualcuno, qualcuno da amare. Desiderare per gli altri la stessa libertà che desideriamo per noi.

Venite e vedrete. Venite è un invito che è segno di piena accoglienza rivolto a chiunque in qualsiasi situazione. A volte il NT ci dice che Gesù chiede anche di entrare. Dio abita là dove lo si lascia entrare. Vedrete: voi vedrete solo dopo essere venuti. Occorre buttarsi nel cammino anche se non sappiamo dove va a finire. L’importante non è la meta, ma la strada. L’importante è la scelta della strada. Non c’è un programma. La fede non è un calcolo, ma follia, fantasia di Dio. Non è assicurazione, ma rischio. Il rimanere con cui si chiude il testo è un nuovo inizio, un nuovo cammino.

Quattro del pomeriggio. È la fine di un giorno e l’inizio di un altro. Dio ha una sola paura: che i nostri desideri siano troppo piccoli. 

MEDITAZIONE SU GEREMIA 1,4-8





BOCCA DI MAGRA
2 GIUGNO 2017

Riflessione di pe Pino Piva
Sintesi: Paolo Cugini
Geremia 1, 4-8

Mi ha colpito l’alternanza del brano di Geremia e il Cantico dei Cantici.
Prima di formarti dal grembo materno ti conoscevo: nella scrittura il verbo conoscere ha sempre una realtà affettiva, perché è nell’amore che conosciamo l’altra persona.  Amare significa conoscere e conoscere significa amare. È una conoscenza che comporta una sicurezza, che se mette a nudo è perché va in profondità; è una conoscenza che protegge custodisce, perché accompagna.

Ti ho consacrato: mi prende per Lui. Sei mio, mi appartieni e io ti appartengo. Ti ho riservato per me per darti una missione. Insieme possiamo essere per gli altri: per questo sei consacrato.

Sono giovane, Signore, non so parlare. La risposta di Geremia è la paura, paura di essere coinvolto in una relazione, la paura di essere amati. Come posso meritarmi l’amore che mi dai? Non mi sento all’altezza, allora per favore non amarmi. È l’amore gratuito di Dio, che non chiede nulla se non di essere amati. Signore non amarmi perché nella mia esperienza di amore c’è stato abbandono e questo fa male. Signore non amarmi così. Paura di non essere veramente amati.
E Dio ci dice: come ti amo io non ti ama nessuno. Lasciati amare.

Non dire sono giovane. Non temere perché io sono con te per proteggerti. Amore è prendersi cura della pienezza dell’altro. È volere il bene dell’altro. Io ci sono per te: è questo l’amore di Dio, che dice a Geremia, che dice a ciascuno di noi.

Domande:
1.      Il Signore ci conosce ancor prima di nascere: e io mi conosco?
2.      Ognuno di noi ha una missione da compiere: qual è la mia?
3.      Spesso troviamo delle scuse per non affrontare le sfide della vita ma è il Signore stesso che ci sostiene. Quale sfida attraverso il mio cuore?

4.      La nostra vita ha senso se vissuta in cammino. A che punto è il mio cammino?