giovedì 23 dicembre 2021

FESTA DELLA SANTA FAMIGLIA - DOMENICA 26 DICEMBRE 2021

 


SANTA FAMIGLIA DI GESU’, MARIA E GIUSEPPE





(Lc 2, 41-52)

 

Paolo Cugini

 

La festa della santa famiglia ci ricorda che la dinamica della fede, la conoscenza dei suoi misteri e le indicazioni del cammino che siamo chiamati a percorrere avviene all’interno della vita famigliare. Questa è già una prima e profonda indicazione. Troviamo Dio, il suo cammino verso di noi, quando viviamo in modo autentico le relazioni che il Signore ci ha donato. Il padre, la madre, i nonni, i fratelli e le sorelle, infatti, non ce li scegliamo, ma ce li troviamo alla nascita. Non sono come gli amici, che incontriamo lungo la vita e che cambiamo a partire dai luoghi e dai contesi in cui viviamo. Le persone di una famiglia sono il dono che Dio ci fa per crescere in modo umano. L’attenzione alle relazioni familiari è il primo passo significativo, non solo per il nostro cammino di umanizzazione, ma anche spirituale. Comprendere questo aspetto della vita di fede, comporta immediatamente l’impegno di investire sempre di più nel qualificare le nostre relazioni familiari, l’attenzione a chi ci sta intorno, a chi condivide ogni giorno il cammino della vita.

Il secondo aspetto significativo che appare nella festa della santa famiglia è la sua povertà. Dio decide di nascere non solo in una famiglia povera, ma anche in una regione e in un territorio caratterizzato dalla povertà. Dio scegli di non nascere ricco, in un castello, ma povero tra i poveri. Gesù è nato e cresciuto con una mamma analfabeta, un padre falegname, considerato, a quei tempi, un lavoro infame, una casa povera. Gesù cresce vivendo sulla propria pelle il frutto delle disuguaglianze sociali, in cui pochi detengono la maggior parte dei benefici, mentre la maggioranza vive di briciole. Gesù e la sua famiglia hanno vissuto, come tanti di briciole. Questo aspetto della povertà di Gesù, che la ritroviamo anche negli anni della maturità, della sua vita pubblica, va presa seriamente in considerazione. Che cosa c’insegna questo dato biblico che, allo stesso tempo, è una scelta di Dio? Ci dice che nella ricchezza, nel lusso, negli agi, non matura la nostra fede. Al contrario, una vita essenziale, una famiglia che si sforza continuamente di condividere ciò che ha, non investe solo per rispondere ai propri bisogni, ma si apre agli altri, ai poveri che incontra nel cammino, sforzandosi continuamente di mantenere uno stile basso, essenziale, crea il terreno affinché possa maturare la fede, la fiducia nella giustizia di Dio, nella sua bontà e misericordia.

Il terzo aspetto che possiamo sottolineare di questa santa famiglia è la libertà di ogni membro con la tradizione dei padri. Maria accetta la proposta scandalosa di essere madre prima del matrimonio, ponendosi immediatamente in una situazione gravissima dal punto di vista della legge mosaica. Maria si affida a Dio e accetta il rischio di venire uccisa dalla comunità, perché trasgredisce il precetto. Non da meno è Giuseppe, che viene definito giusto, vale a dire, un uomo che obbedisce i comandamenti di Dio. Rimasto sconvolto dalla notizia della gravidanza di Maria, accetta la proposta dell’angelo in sogno e trasgredisce la legge mosaica, che prevedeva la lapidazione in caso di adulterio, la prende con sé e la custodisce. Infine, sappiamo tutti che cosa combinerà il loro figlio Gesù quando inizierà l’attività pubblica. Sin dall’inizio del suo ministero, Gesù trasgredisce il primo e fondamentale comandamento la cui trasgressione conduceva alla morte: il rispetto del sabato. Una famiglia, dunque, di ribelli, una ribellione nei confronti di una legge che soffoca la vita, nella continua ricerca della volontà d’amore del Padre. Anche in questo caso, come in altri, ritroviamo nell’umanità di Gesù, nel suo stile i tratti salienti dei suoi genitori, che erano poveri, ma grandi in saggezza e amore al Padre.

È la vita essenziale che ci conduce ad aggrapparci alla Parola del Signore per cercare conforto in Lui e scoprirne la presenza delicata in alcune esperienze personali in cui le nostre forze vengono provate al limite. Sono proprio queste situazioni limite, che diviene importante avere qualcuno di familiare che ci può sostenere, consigliare e con cui noi stesso possiamo parlare, condividere la nostra situazione. La santa famiglia di Nazareth, se vista da vicino, insegna tutto questo e anche di più.

 

lunedì 20 dicembre 2021

OMELIA DI NATALE 2021

 




Paolo Cugini

 

Per chi ha seguito il percorso proposto durante l’avvento dalle letture del giorno, Il Natale non può un che essere un messaggio di gioia. La speranza annunciata continuamente dalla Parola di un evento capace di riempire di pienezza l’umanità si è realizzato: c’è gioia grande sulla terra! Facciamo nostre, allora, le parole del profeta Isaia che dice: “Come sono belli sui monti i piedi del messaggero che annuncia la pace, del messaggero di buone notizie che annuncia la salvezza” (Is 52, 7). Colui che ha vissuto nell’attesa di una parola capace di dare una risposta alle proprie inquietudini, un senso al proprio cammino, una pienezza al vuoto interiore, non può che gridare di gioia percependo la realtà dell’evento: c’è un salvatore!

Dio, che molte volte e in diversi modi nei tempi antichi aveva parlato ai padri per mezzo dei profeti, ultimamente, in questi giorni, ha parlato a noi per mezzo del Figlio, che ha stabilito erede di tutte le cose e mediante il quale ha fatto anche il mondo (Eb 1,1-2).

La lettera agli ebrei ci ricorda un dato sul quale abbiamo lavorato nel tempo di avvento, vale a dire, che la salvezza viene da lontano, non è un dato improvvisato, ma è frutto di un progetto, di un pensiero, di una volontà che esprime libertà e amore. Tradotto in un linguaggio comprensibile, questo discorso significa che la venuta del Salvatore non ha nulla d’improvvisato, non è un evento accaduto per caso, ma è stato voluto, pensato, ina altre parole, è frutto dell’amore del Padre. Un primo significato del Natale in questa prospettiva vuole dire che ogni intervento di liberazione, ogni azione che intende produrre salvezza per gli altri, esige tutti questi ingredienti che il Padre ha messa nell’evento del Figlio: amore, pazienza, intelligenza, libertà.

 

In principio era il Verbo e il Verbo era presso Dio e il Verbo era Dio. Egli era, in principio, presso Dio: tutto è stato fatto per mezzo di lui e senza di lui nulla è stato fatto di ciò che esiste (Gv 1,1-2).

Tutto questo diventa vero nella descrizione che il Vangelo di Giovanni fa del mistero di Gesù. Se chi ascolta questi versetti ha un po' di sensibilità biblica si rende subito conto che Giovanni sembra volere correggere Genesi. Anche perché il redattore del libro della Genesi non aveva la più pallida idea di chi fosse, in realtà, il messia. Nessuno dei profeti dell’Antico Testamento, infatti, aveva mai identificato il futuro messia con il Figlio di Dio, cioè con Dio stesso. Ci era andato vicino Daniele, quando annunciava la venuta del Figlio dell’uomo e cioè di qualcuno che andava al di là dell’umano. Ecco perché Giovanni, nel prologo del suo Vangelo, avendo conosciuto da vicino il Signore in vita e poi morto e risorto, modifica leggermente le prime parole della pagina che narra la creazione dicendo che, in realtà, Dio non ha creato la terra, il cielo e il mare così, in modo immediato, ma attraverso il logos (verbo). Infatti, tutto è stato fatto per mezzo di Lui. Del resto lo aveva già intuito anche Paolo quando nella lettera ai Colossesi afferma: Egli è prima di ogni cosa e tutte le cose sussistono in lui (Col 1,17). Questo discorso è molto importante perché ci fa capire in che senso il Natale ci riguarda. Colui, infatti, che è venuto al mondo, Gesù Cristo, rivela all’umanità, ad ogni uomo e ad ogni donna il significato profondo della sua identità. Se tutto è stato fatto per mezzo di lui e tutto sussiste in Lui, dentro questo tutto c’è anche la mia umanità, la mia persona. In altre parole, è guardando a Lui che possiamo capire il senso della nostra vita, possiamo comprendere il perché siamo venuti al mondo e la direzione del cammino che dovremmo prendere.

Ormai la società ha riempito di tanti significati il Natale non sempre è facile recuperare quello autentico. Per questo la parola di Dio viene in nostro aiuto per togliere ogni dubbio. È Cristo la luce del mondo ed è solo in Lui che c’è la vita. Se volgiamo vivere una vita piena, il cammino che siamo invitati a percorrere è verso di Lui. Buon Natale

 

DA ACAZ A MARIA

 



«Chiedi per te un segno dal Signore, tuo Dio, dal profondo degli inferi oppure dall'alto».
Ma Acaz rispose: «Non lo chiederò, non voglio tentare il Signore»
Is 7, 10-11).

Allora Maria disse: «Ecco la serva del Signore: avvenga per me secondo la tua parola» (Lc 1,38).

Il cammino del cristiano può essere compreso all’interno di quel percorso che va da Acaz a Maria. Acaz è il simbolo dell’umanità che rifiuta il piano di Dio, che non ascolta la proposta del Signore, perché preferisce i propri piani. Acaz è anche il simbolo dell’umanità che ha paura, che è irretita dalle proprie paure e non accetta di lasciarsi aiutare ad aprirsi, ad uscire da se stessa.

C’è un orgoglio originale nell’uomo e nella donna, che non gli permette di vedere oltre alle proprie paure, un’umanità ingabbiata dall’istinto di sopravvivenza. Per cogliere il senso profondo del Natale, della nascita del Salvatore, occorre tenere presente questa situazione che descrive un aspetto importante della condizione umana. Maria, al contrario, è il simbolo dell’umanità che fa un cammino per liberarsi dalle paure e dalla forza dell’istinto di sopravvivenza.

Per questo cammino Maria si fa aiutare dalla sua intelligenza e dalla sua libertà, che la conducono a interrogarsi, a spingere il pensiero verso qualcosa di altro dalle sue percezioni immediate che la porterebbero a rifiutare la novità a lei proposta. Il cammino di fede è dunque un passaggio coraggioso che va da Acaz a Maria, dall’umanità chiusa in se stessa verso un’umanità libera e intelligente che si apre alla novità che la vita gli presenta. 

venerdì 17 dicembre 2021

ATTI DEGLI APOSTOLI CAPITOLO 13

 




(annotazioni)

I Capitoli 13-14: formano un’unica narrazione del primo viaggio missionario di Paolo.

Primo viaggio di Paolo. Nel libro degli Atti si tratta della prima evangelizzazione a largo raggio programmata da una chiesa locale, anche se pur sempre limitata alle zone vicine alla provincia di Siria -Cilicia.

2 Tm 3,11; 2 Cor 11,24: sono altre fonti che testimoniano della storicità del viaggio narrato da Lc.

Risulta evidente come Lc abbia armonizzato la narrazione del primo viaggio con l’insegnamento di Gesù sull’apostolato (Lc 9,1-6-11; 10,1-11; 21, 12-19).

Lc presenta il primo viaggio come tipo e modello dei viaggi missionari organizzati dalle chiese: una missione condotta in piena conformità con le esigenze e le promesse di Gesù.

Lc intende tracciare il ritratto ideale del grande apostolo delle genti, secondo il modello evangelico: un apostolo instancabile, perseguitato, ma senza paura, di grande eloquenza e rivolto essenzialmente alle grandi masse.

1-3: vengono nominati profeti e dottori, ma non presbiteri. Dottori appare solo qui negli Atti. Profeti e dottori sono carismi che troviamo altrove (Rom 12,6; 1 cor 12,28; Ef 4,11).

Il rito dell’imposizione delle mani, non attestato nelle lettere paoline, riflette la prassi ecclesiale dell’epoca di Lc.

13,1. Antiochia diventa il principale centro di diffusione del Vangelo nel mondo pagano.

2. il redattore ama sottolineare il legame tra l’azione di Dio e le decisioni dei responsabili in sintonia con la comunità. E ha cura d’inserire una vocazione personale, come quella di Paolo, all’interno e nella dimensione della Chiesa.

3. la Chiesa entra in sintonia con la decisione dello Spirito e la realizza. L’azione liturgia della Chiesa garantisce che l’operare degli evangelizzatori sarà sotto la guida e la protezione dello Spirito Santo. L’unità con la chiesa è fonte di benedizione per il singolo. Per Lc, solo ora Paolo riceve la chiamata ad essere apostolo delle genti.

4-12. missione Cipro.  Ipotesi: Lc disponeva di un’unica tradizione, un racconto del genere miracolo e punizione: il confronto tra paolo e il mago, che il redattore ha completato con la conversione del proconsole. Il mago apparteneva alla corte del proconsole.

Roloff: i missionari cristiani dovevano affrontare una spietata lotta religiosa concorrenziale, appena uscivano dalle immediate frontiere del giudaismo. In simili circostanze per provare la verità del Vangelo diveniva importante poter dimostrare in modo convincente la superiorità dello spirito del risorto sugli altri concorrenti. Sullo sfondo è possibile leggere la rivalità di Mosè-Aronne con i maghi egiziani. Morale: nessuno ostacolo alla diffusione della parola.

Bar-Jesu: rappresenta l’Israele incredulo

Proconsole: esprime l’apertura del paganesimo alla fede.

La scena conferma Paolo come vero missionario in continuità con l’attività di Gesù, degli apostoli, e particolarmente di Pietro.

9. Per la prima volta Saulo riceve il nome di Paolo.

11. Cecità del mago: colui che accecava gli altri con le false dottrine viene a sua volta accecato? Il mago accecato non può camminare da solo.

12. Miracolo e annuncio sono due manifestazioni dell’agire divino, che si completano facendo nascere la fede.

Di tutta l’attività missionaria a Cipro, Lc narra solamente una conversione: quella del proconsole. Forse Lc vuole dimostrare che la diffusione della Parola è capace di superare gli ostacoli che il nemico non mancherà di seminare sulla strada.

 

13-43: Il discorso ad Antiochia di Pisidia.

È un discorso che Paolo rivolge ai giudei. Il discorso inizia dalla storia di Dio con Israele, una storia salvifica che si realizza nella risurrezione di Gesù. Emerge il tema centrale in Paolo, che è la giustificazione per fede, che segna il distacco dal giudaismo. Novità: l’annuncio di salvezza ad Israele sarà proclamato a tuta l’umanità. Il discorso è diviso in quattro parti:

a.      16-25: sintesi della storia d’Israele che mette in luce l’iniziativa premurosa di JHWH. Una simile panoramica si legge anche nel discorso di Stefano (c.7), ma con una prospettiva diversa: lì si parla dei patriarchi, qui viene sottolineata l’iniziativa divina orientata alla realizzazione del suo progetto. Paolo vuole dimostrare che il piano salvifico iniziato con Israele continua nel mondo pagano. C’è la novità dell’attenzione data a Giovanni Battista.

b.     26-31: viene esposto il kerigma centrale, morte e resurrezione di Cristo, Lc restringe la responsabilità della morte di Gesù agli abitanti di Gerusalemme e ai loro capi. La resurrezione è vista come azione di Dio che realizza la Scrittura.

c.      32-37. Ci sono varie citazioni che mirano alla dimostrazione scritturistica della risurrezione: Sal 2,7; Is 55,3; Sal 16/15, 10.

d.     38-41: riprende l’appello della conversione presente in quasi tutti i discorsi missionari, conversione necessaria per ottenere il perdono dei peccati.

42-43: esito positivo del discorso presso gli ascoltatori.  

A differenza dei discorsi di Pietro spesso duri e polemici, oltre che accusatori, Paolo mantiene un profilo basso, non polemico, L’ignoranza dei giudei è servita come strumento del progetto salvifico di Dio.

28. c’è il tema dell’innocenza di Gesù.

33. C’è il problema delle citazioni di Lc per dimostrare la risurrezione di Gesù. Il ragionamento è essenzialmente cristiano e suppone la conoscenza e l’accoglienza dell’evento della risurrezione. I testi scritturistici adottati non dimostrano la risurrezione di Gesù ai giudei della sinagoga, ma sono letti come conferma profetica dell’evento per colui che già crede.

34. La presenza di Is 55,3 nel contesto attuale ha la sua utilità. La citazione viene accostata al contenuto del salmo 15,10 e dev’essere quindi spiegata in relazione a quest’ultimo. Dal momento che il Salvatore risorto vive eternamente, egli è in grado di compiere quello che è stato profetizzato da Isaia: dare le cose sante, cioè tuto quello che era stato incluso nella promessa fatta a Davide, ma che Davide stesso non avrebbe potuto attuare per la generazione presente, poiché egli non è scampato alla corruzione. Il vero Davide è in realtà Cristo: egli è fonte di santificazione. Comunicando i beni della salvezza, Gesù risorto, il Santo, santifica mediante la partecipazione alla sua santità.

44-52: passaggio dai giudei ai pagani

C’è un parallelismo voluto con Lc 4. Lc ha creato una sorta di compendio della storia missionaria di Paolo. La persecuzione è sempre presente, proprio come era stato annunciato in At 1,8.

47. Is 49,6: citazione per giustificare la missione ai pagani.

49. è un sommario sulla diffusione della Parola di Dio.

50 la persecuzione non riguarda la comunità nascente ma gli evangelizzatori.

51. Manca la prospettiva spazio temporale del viaggio (lunghezza, durata, pericoli, fatica, ecc.).

52. l’ultima parola riguarda il seme gettato che ha portato frutto: è nata una giovane comunità con le caratteristiche dell’autenticità: la pienezza della gioia e la pienezza dello Spirito Santo. Tale pienezza dello Spirito Santo può essere messa in relazione con la persecuzione: sperimentare la gioia nella persecuzione è dato dallo Spirito Santo. 

giovedì 16 dicembre 2021

ESULTA O STERILE

 



Esulta, o sterile che non hai partorito,
prorompi in grida di giubilo e di gioia,
tu che non hai provato i dolori,
perché più numerosi sono i figli dell'abbandonata
che i figli della maritata, dice il Signore.
Allarga lo spazio della tua tenda,
stendi i teli della tua dimora senza risparmio,
allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti,

poiché ti allargherai a destra e a sinistra
e la tua discendenza possederà le nazioni,
popolerà le città un tempo deserte.
Non temere, perché non dovrai più arrossire;
non vergognarti, perché non sarai più disonorata;
anzi, dimenticherai la vergogna della tua giovinezza
e non ricorderai più il disonore della tua vedovanza.
Poiché tuo sposo è il tuo creatore,
Signore degli eserciti è il suo nome;
tuo redentore è il Santo d'Israele,
è chiamato Dio di tutta la terra
(Is 54).

Immagine potentissima d’Isaia, che rivela la grandezza straordinaria della sua intelligenza e della sua anima. Immagine che dice anche dell’originalità del pensiero ebraico. Sono parole che vanno oltre l’umano, la capacità umana d’intendere le cose. Probabilmente, sono parole frutto di un’intensa esperienza di preghiera, di contemplazione del mistero.  Come sfondo storico al testo di Isaia 54 c’è senza dubbio l’esperienza angosciante dell’esilio in Babilonia e la conseguente e progressiva perdita di speranza.

Dentro questo malessere esistenziale il profeta riesce a vedere quello che Dio sta preparando, una nuova discendenza non tanto secondo la carne, ma secondo lo Spirito; una generazione docile alla Parola di Dio, perché, come dirà Geremia (31,34) l’avrà piantata nel cuore. E allora ci vogliono madri capaci di partorire questa generazione di figli e possono essere solamente madri sposate al Signore, consacrate totalmente a Lui. Credo che sia l’inno più chiaro e profondo di esaltazione alla verginità consacrata. È vero che qui si parla di donna sterile, ma lo si può estendere in senso spirituale alla verginità consacrata. C’è la promessa di una discendenza numerosa che nascerà dalla donna sterile. Tutto ciò sarà possibile perché: “tuo sposo è il tuo creatore”. È questo versetto che può essere interpretato come riferimento alla verginità consacrata, in cui la donna non ha dolori per il parto, ma diviene feconda di una generazione di figli che nascono dall’ascolto della parola del Signore. Madri che generano figli docili alla parola del Signore: è questo il senso di una vita consacrata a Dio.

Allarga lo spazio della tua tenda, stendi i teli della tua dimora senza risparmio, allunga le cordicelle, rinforza i tuoi paletti: continuano ad essere riprese le immagini del tempo dell'Esodo: è un popolo di pastori, nomade e quindi le immagini che si susseguono sono quelle del tempo della liberazione dall'Egitto, quando un popolo, nella sua gioventù, si sposa con il suo Dio Liberatore, nel deserto.

mercoledì 15 dicembre 2021

TRA CIELO E TERRA, GIUSTIZIA E VERITA'

 



Stillate, cieli, dall’alto
e le nubi facciano piovere la giustizia;
si apra la terra e produca la salvezza
e germogli insieme la giustizia.
Io, il Signore, ho creato tutto questo
(Is 45,7).

Incontro di cielo e terra. La giustizia viene dal cielo e la salvezza dalla terra. La stessa giustizia che piove dal cielo, allo stesso tempo germoglia dalla terra. È un‘affermazione simile a quella che si trova nel salmo 85:

La verità germoglierà dalla terra
e la giustizia si affaccerà dal cielo (Sal 85,12).

Sono versetti che lasciano intravedere il mistero dell’incarnazione, l’incontro tra cielo e terra nella persona di Cristo. Parafrasando si potrebbe dire: la giustizia che viene da Dio fa germogliare la verità, che diventa salvezza per l’umanità. Quando giustizia e verità sono unite in modo indissolubile, c’è salvezza per l’uomo e la donna. Viceversa, quando sono separate, quando la giustizia va a braccetto con la menzogna e lo fa per sete di potere e di ricchezza, non c’è più salvezza, ma ingiustizia e falsità, che provocano distruzione. In Gesù questa unione indissolubile di giustizia e verità è visibile ed ha prodotto salvezza per l’umanità.

Lo giuro su me stesso,
dalla mia bocca esce la giustizia,
una parola che non torna indietro:
davanti a me si piegherà ogni ginocchio,
per me giurerà ogni lingua».
Si dirà: «Solo nel Signore
si trovano giustizia e potenza!»

Interessante notare come in tutti i testi biblici che parlano della giustizia la fanno derivare da Dio. Se si osserva attentamente come nei Vangeli Gesù applica questa giustizia, si scoprirà che la declina esclusivamente come misericordia. La giustizia che scende dal cielo ha un nome ben preciso: misericordia. Non c’è cielo senza terra e non c’è giustizia senza verità e, la verità che opera la giustizia si chiama misericordia.

 Misericordia e verità s'incontreranno,

giustizia e pace si baceranno (Sal 85,11). 

martedì 14 dicembre 2021

ATTI DEGLI APOSTOLI CAPITOLO 12

 



(Annotazioni)

 

Il tema centrale del capitolo è la prigionia e la liberazione miracolosa di Pietro. È un racconto nello stile realistico della leggenda popolare.

A partire dal Capitolo 10 l’interesse del narratore si è portato decisamente sull’apertura della Chiesa nel mondo pagano. Questo capitolo sembra, dunque, fuori posto, una parentesi.

Viene ribadita la necessità della persecuzione quale elemento di fecondità per l’espansione della chiesa. L’annuncio del Vangelo incontra ostacoli, ma li supera: muore il persecutore e cresce la parola.

Nel capitolo 12 con la morte di Giacomo e la partenza di Pietro si conclude il tempo del collegio apostolico a capo della chiesa di Gerusalemme e subentra Giacomo, fratello di Simone.

Dio raduna un popolo nuovo costituito da giudei e da pagani e contro il quale si solleva l’ostilità dei giudei.

Secondo gli studiosi per comporre questo capitolo Luca utilizza un materiale che non è di sua produzione.

I dettagli dell’incarcerazione di Pietro hanno come obiettivo di evidenziare l’azione di Dio.

Luca parla della liberazione di Pietro dal carcere in termini che fanno pensare alla liberazione di Israele dall’Egitto da parte di JHWH: essa avviene di notte, durante la festa pasquale; Pietro è invitato a mettersi i sandali ai piedi (cfr. Es 12,11), perché sarà liberato dalla mano dell’oppressore e condotto fuori dalla prigione come Israele fuori dall’Egitto.

Pietro vive una nuova Pasqua di liberazione, egli fa l’esperienza del Dio liberatore, del Dio dell’esodo che agisce così lungo la storia della salvezza.

Emerge anche il volto della comunità cristiana: esposta alla persecuzione essa reagisce non con l’odio e la violenza, ma con l’arma della preghiera e la preghiera, a sua volta, manifesta il legame fraterno che unisce i membri fra di loro in una vera famiglia nella quale si condividono sofferenze e gioie.

12,1. Agrippa I, pronipote di Erode il Grande.

12,2. Morte di Giacomo fratello di Giovanni. È l’unica notizia che gli Atti forniscono della morte di uno dei Dodici. Ucciso di spada: decapitazione, second l’uso dei romani.

La morte di Giacomo pone termine all’esistenza del collegio dei Dodici. Giacomo non viene sostituito, al contrario di Giuda. La situazione è cambiata: la chiesa apostolica giudica superata la sua funzione di rivolgersi unicamente ad Israele quale popolo escatologico.

12,3. La morte è gradita ai giudei. Ora non sono solo le autorità giudaiche ad essere contro alla chiesa, ma anche il popolo.

5. colpisce la preghiera incessante, siccome è costante, la preghiera sarà esaudita. C’è la solidarietà tra i credenti

6. Pietro dorme: non ha fatto alcun stratagemma per liberarsi. Tutto serve a mettere in evidenza l’intervento miracoloso di Dio.

8-9: la passività dell’apostolo è anche obbedienza.

11: qui è il Signore che è protagonista. Ormai Dio opera a favore della Chiesa ciò che aveva fatto a favore d’Israele. La liberazione miracolosa di Pietro ha il fine implicito della missione.

12: Giovanni (nome ebraico) -Marco (nome latino). La tradizione lo identifica con l’evangelista.

Alcuni deducono he la casa di Maria era luogo di cristiani ellenisti. Abbiamo la prima testimonianza di una chiesa domestica a Gerusalemme e la pratica della preghiera notturna in uso nella chiesa primitiva. La presenza di una porta esterna e di una domestica fa suppore che la famiglia di Maria era di condizioni benestanti e sarebbe una conferma che i cristiani di Gerusalemme non erano tenuti a vendere ogni loro bene.

17. Luca lascia a Pietro il compito di presentare Giacomo. Siamo di fronte ad un cambiamento nell’unità e nella continuità.

18. Secondo il diritto romano la guardia responsabile subisce la pena al posto dell’evaso.

19. Erode cerca e non trova.

22. La divinizzazione di un uomo è sempre stata aborrita dalla fede giudaica e cristiana. L’atteggiamento giusto è quello di Barnaba e paolo descritto in Atti 14,14.

23. Il peccato fondamentale è non rendere gloria a Dio (Gen 3,5).

24-25 conclusione redazionale.

 

 

 

IV DOMENICA AVVENTO/C

 



Paolo Cugini

 

Siamo giunti alle porte del Natale, accompagnati da una grande abbondanza di Parola di Dio, di profezie messianiche, che avrebbero dovuto aiutarci ad orientare il nostro pensiero verso colui che viene, nella direzione giusta. Il rischio, infatti, è attendere qualcuno in un luogo in cui non apparirà nessuno. Per questo è importante il cammino di avvento per non correre il rischio di attendere il Signore dove Lui non verrà e, invece, predisporsi a riceverlo dove le letture ci hanno offerto e continuano ad offrirci qualche indicazione.

E tu, Betlemme di Èfrata,
così piccola per essere fra i villaggi di Giuda,
da te uscirà per me
colui che deve essere il dominatore in Israele
(Mi 5,1).

Il primo avvertimento ci viene dal profeta Michea, che ci allerta sul luogo della nascita del Salvatore. Non dobbiamo aspettarlo nella grande Gerusalemme, centro nevralgico della politica e della religione del popolo d’Israele, ma nella piccola e insignificante Betlemme. Il grande viene dal piccolo. È uno dei tanti paradossi che caratterizza la storia della salvezza. Ce lo ricorda anche paolo nella sua lettera ai Corinzi, quando dice che: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è stolto per confondere i sapienti, ha scelto ciò che nel mondo è debole per confondere i forti” (1 Cor 1,27s). Aspettare il Natale dalla parte indicata da Dio significa imparare a cercare il Signore non nell’apparenza delle cose grandi e forti, ma in ciò che rimane ai margini, scartato da tutti, che non ha nessuna considerazione e che nessuno guarderebbe. Proprio come Betlemme, un piccolo borgo nella periferia di Gerusalemme, al quale nessuno dava importanza. Ce l’ha data Dio.

In quei giorni Maria si alzò e andò in fretta verso la regione montuosa, in una città di Giuda. Entrata nella casa di Zaccaria, salutò Elisabetta (Lc 1, 39s).

     In un mondo dominato dagli uomini, all’interno di una cultura patriarcale che relega le donne ai margini della società, Dio sceglie proprio loro come protagoniste della sua storia. Dio rompe gli schemi culturali dall’interno, indicando in questo modo che quel tipo di cultura così pesantemente a favore di una parte rispetto all’altra, non è frutto della sua volontà: tutt’altro. Anche questa delle donne, è sempre nella stessa linea delle scelte di Dio, che sconvolge le logiche del mondo. Dio non sceglie ciò che è maggioranza, ciò che il mondo si aspetta. Si potrebbe obiettare che per forza di cose le donne diventano protagoniste perché ogni uomo nasce da una donna. Obiezione che è vera sino ad un certo punto, perché in questo brano di Vangelo le donne prendono la parola, esprimono pareri, si raccontano e si benedicono.

Allora ho detto: "Ecco, io vengo
- poiché di me sta scritto nel rotolo del libro -
per fare, o Dio, la tua volontà"»
(Eb 10,5).

     La storia della salvezza, che ci conduce alla nascita del Messia, passa attraverso la debolezza della Parola, contenuta nel rotolo del libro. Una parola che non è proclamata in modo eclatante e assordante, ma che è bisbigliata nelle orecchie di chi cerca Dio, di chi ha sete della Verità. Tutto il mistero del messia annunciato nelle profezie dei profeti dell’Antico Testamento, che abbiamo ascoltato durante le settimane di Avvento, è appeso alla debolezza di una parola lieve, leggera. Non ha infatti nulla di quella pompa tipica dei proclami imperiali del tempo. E proprio questo aspetto mette in evidenza una differenza sostanziale tra i due tipi di parola. Infatti, mentre le parole imperiali sono gridate sulle piazze e vengono imposte agli uomini indipendentemente dalla loro volontà, la Parola di Dio è proclamata nella sinagoga ed esige l’adesione libera dell’ascoltatore. Qui s’inserisce un altro tipo di debolezza ben più profondo e misterioso, vale a dire la debolezza di Dio che, per realizzare la parola, aspetta l’adesione e la risposta positiva dell’ascoltatore. Tutto il cosmo è rimasto con il fiato sospeso in attesa di un’adesione positiva da parte di Maria. Debolezza del mistero di Dio che si affida alla volontà dell’uomo e della donna per realizzare il suo progetto di amore eterno.

Anche questo è Natale.

 

 

 

VOCE

 




Paolo Cugini

Guai alla città ribelle e impura, alla città che opprime! Non ha ascoltato la voce, non ha accettato la correzione (Sof 3,1). Ascoltare la voce: è questo un compito importante della vita spirituale. Ascoltare la voce (interiore, voce che viene da altrove) richiede silenzio, la capacità di fermarsi, l’umiltà di stare fermi. Il rischio è sentire il male che questa voce provoca quando non è ascoltata, il dolore dentro che lacera il cuore. Ascoltare la voce per vivere bene, per volersi bene, per non farsi del male. Non basta, infatti ascoltare: occorre vivere ciò che si è udito. Ascoltare la voce per permetterle di dirmi parole d’amore, di riempirmi il cuore di gioia, di svuotarmi dalle parole vane, dalle illusioni che devastano la mente. Ascoltare la voce per permetterle di innalzarmi verso l’alto e, così, non correre il rischio di lasciarmi avvolgere dalle tenebre. Occorre un allenamento quotidiano per imparare a distinguere la Voce tra le voci e rimanere sintonizzati su quella. È quella stessa voce che grida nel deserto: “preparate la via del Signore…”.

Ed è la stessa che ogni mattina viene narrata dal salmo: “Ascoltate oggi la sua voce, non indurite il vostro cuore”. Imparare a fare i conti con questa Voce significa capire il senso della storia, il significato della vita, l’amore che siamo chiamati a vivere. E tutto, grazie a questa Voce, che ci orienta, ci riprende, ci dissuade, ci conduce, ci riempie di gioia. Forse il mistero di Dio è racchiuso in questa voce che tutti abbiamo la possibilità di percepire e di ascoltare. Forse una delle più nitide manifestazioni di Dio è esattamente attraverso questa voce, che richiede solo attenzione.  

giovedì 9 dicembre 2021

TI TENGO PER LA DESTRA

 



Io sono il Signore, tuo Dio,

che ti tengo per la destra
e ti dico: «Non temere, io ti vengo in aiuto».
Non temere, vermiciattolo di Giacobbe,
larva d'Israele;
io vengo in tuo aiuto (Is 41,13).

Alzarsi con questa consapevolezza, che Tu non ci molli la mano, che non debbiamo aver paura, perché Tu sei con noi, in ogni momento e non ci abbandoni. È questo il messaggio di Isaia che oggi viene donato alla Chiesa e che rivela l’aspetto personale della relazione del mistero del Padre con ogni persona. Non sentirsi solo, sentire di essere avvolto dall’amore del Padre, è un grande dono della fede. Fare di tutto durante la giornata per evitare pensieri oscuri, che nascono dalla solitudine, pensare positivo, ricordando questi versetti, richiamando la presenza del Mistero, facendo spazio alla sua presenza.

Tu, invece, gioirai nel Signore,
ti vanterai del Santo d'Israele.
I miseri e i poveri cercano acqua ma non c'è;
la loro lingua è riarsa per la sete.
Io, il Signore, risponderò loro,
io, Dio d'Israele, non li abbandonerò.
Farò scaturire fiumi su brulle colline,
fontane in mezzo alle valli;
cambierò il deserto in un lago d'acqua,
la terra arida in zona di sorgenti.
Nel deserto pianterò cedri,
acacie, mirti e ulivi;
nella steppa porrò cipressi,
olmi e abeti;
perché vedano e sappiano,
considerino e comprendano a un tempo
che questo ha fatto la mano del Signore,
lo ha creato il Santo d'Israele (Is 43).

Non smettere di sognare: è questo che mi viene da dire leggendo questa pagina d’Isaia. Allo stesso tempo questi versetti mi suggeriscono quello che dovrebbe essere il mio compito in una comunità: produrre visioni positive; aiutare le persone a non smettere di guardare al futuro con il cuore pieno di speranza. Produrre immagini che sappiano illuminare l’immaginazione, per non permettere agli eventi negativi di devastare la speranza, di farla a pezzi e di rendere il cuore pieno di amarezza. Portatore di speranza: è questo il mio compito.

In verità io vi dico: fra i nati da donna non è sorto alcuno più grande di Giovanni il Battista; ma il più piccolo nel regno dei cieli è più grande di lui

Giovanni Battista chi era, se non un personaggio che faceva sognare le persone, soprattutto i più poveri e afflitti. La sua predicazione dai toni duri, con il costante invito alla conversione, non era altro che un invito ad aprire i cuori per fare spazio a Colui che stava per venire. In questo modo costringeva i suoi ascoltatori a guardare avanti, a utilizzare il presente per preparare il terreno al nuovo che stava arrivando.

 

mercoledì 8 dicembre 2021

IMMACOLATA CONCEZIONE

 



(Lc 1,26-38)

Paolo Cugini

 

Come tutti i dogmi della Chiesa, anche quello dell’Immacolata Concezione ci aiuta a riflettere sul mistero della presenza del Figlio di Dio nella storia, che provoca un’analisi all’indietro sulle sue origini. È la resurrezione di Gesù che ha provocato la ricerca sulla sua identità, la sua natura, la sua relazione con il Padre e lo Spirito Santo. Solo in seconda battuta, la riflessione sull’identità di Gesù ha coinvolto anche i suoi parenti stretti e, in modo particolare, sua madre Maria. Ciò che si dice di lei sia nei vangeli, sia come frutto della riflessione della Chiesa, com’è nel caso dei dogmi mariani e, tra questi, quello dell’Immacolata concezione, non possono essere slegati dalla persona del Figlio, perché tutto fa riferimento a Lui, unico mediatore universale di salvezza. Quando la devozione popolare prende questa strada, fa di Maria una divinità, distorcendo, in questo modo, i dati biblici e le stesse intenzioni della Chiesa. Per questo motivo, nella riflessione di oggi ci possiamo chiedere: che cosa ci rivela del mistero di Dio e del suo Figlio Gesù, la solennità dell'Immacolata Concezione? Se prendiamo come riferimento, per rispondere alla domanda, il brano di Vangelo proposto, troviamo degli aspetti significativi che possono aiutarci nel nostro cammino di fede.

“Nulla è impossibile a Dio”. È questo che dice l’angelo al termine del dialogo con Maria nell’evento dell’annunciazione. E questo per dire che, chi cerca il Signore, deve abituarsi alle sorprese, a percorrere dei cammini diversi dal solito e imparare a cercare Dio dove solitamente la nostra immaginazione non lo cercherebbe. In questa stessa prospettiva Paolo ci ricorda che: “Dio ha scelto ciò che nel mondo è ignobile e disprezzato” (1 Cor 1,26-27), per confondere colro che si ritengono sapienti. Il mistero di Dio è avvolto nel mistero delle sue scelte, che esigono attenzioe e dipsonibilità alla fiducia. Nella vita di Maria, così come nella vita di Gesù, siamo invitati ad allargare il nostro sguardo, ad assimilare il modo di pensare del Signore, che percorre strade diverse da quelle battute. Ci sono, allora, nel brano di Vangelo di oggi, alcuni passaggi che dicono di questa diversità, che vale la pena sottolineare.

Galilea. L’angelo di Dio non viene inviato a Gerusalemme, capitale della Giudea, che aveva il nome del capostipite delle dodici tribù, il luogo dove risiedeva la presenza di Dio, il tempio di Gerusalemme, ma in una regione molto disprezzata che deve il nome al profeta Isaia (Is 28,23): Galilea, distretto dei gentili (distretto: galil), dei pagani, dei miscredenti.

Nazareth: borgo selvatico mai citato nell’AT. Lo storico Giuseppe Flavio parla dei galilei come gente bellicosa.

Maria: fra tanti nomi viene scelto il nome che nella bibbia portava sfortuna. Nome della sorella di Mosè castigata e, da allora Maria, come nome non appare più nella bibbia. Per questo non si metteva alle bambine il nome Maria. Ebbene Dio, per realizzare il suo piano di salvezza, sceglie come madre del suo Figlio proprio una donna di nome Maria.

Piena di Grazia: riempita dalla grazia. Dio non guarda i meriti di Maria, ma la riempie del suo amore.

Lo chiamerai Gesù: è inaudito, perché la donna non può dare il nome il figlio e poi il nome è quello del marito secondo la tradizione. Colui che nascerà sarà il liberatore del popolo. Perché Giuseppe rimane fuori da questo annuncio? Perché secondo la tradizione il padre non trasmetteva solo i connotati biologici, ma anche la tradizione religiosa e morale. Gesù non seguirà i padri d’Israele, ma il suo Padre.

L’azione di Dio non ha limiti, ma ha bisogno dell’ascolto e della collaborazione dell’uomo. Maria è colei che si fida. Per questo è madre e, allo stesso tempo, discepola del Signore e c’invita a seguirlo non per le strade tracciate dal mondo, ma per i sentieri indicati dal Padre.

 

 

martedì 7 dicembre 2021

ATTI DEGLI APOSTOLI CAPITOLI 10-11

 



(Annotazioni)

1-33

La narrazione della conversione di Cornelio (molti dicono che in realtà si tratta della conversione di Pietro!) è il brano più lungo degli Atti, che occupa quasi due capitoli. La Conversione di Cornelio segna l’inizio dell’entrata dei non-giudei nel popolo della salvezza

La costruzione del brano è messa in modo tale che l’incontro tra Pietro e Cornelio sembra un evento voluto esplicitamente da Dio.

Questa narrazione tratta del contatto fra cristiani e pagani; il suo fine è quello di far cadere una regola che impediva ai cristiani di mangiare e di essere ospiti in casa dei gentili.

Con l’entrata dei gentili nella chiesa viene inaugurata la missione verso il mondo pagano. La chiesa passa da setta giudaica ad un gruppo religioso aperto la mondo.

 Il battesimo di Cornelio e la sua entrata nella chiesa assieme ad altri non giudei, non è dovuta all’iniziativa umana, ma interamente alla volontà divina. È Dio che guida ogni cosa.

34-43

È uno degli otto discorsi messi sulla bocca di Pietro. C’è il nucleo centrale del Kerigma: morte e risurrezione di Cristo. Il discorso insiste sul motivo della testimonianza.

Il vero culto è temere il Signore e praticare la giustizia. Lc riconosce che nel mondo pagano possano esistere uomini che conducono un’esistenza gradita a Dio.

44-48 La pentecoste dei gentili.

È il culmine del racconto. Come nella prima Pentecoste lo Spirito Santo è effuso su ogni credente. Lc vuole mettere in luce l’iniziativa divina del dono dello Spirito Santo sui pagani, più che mettere in luce le tappe di un’iniziazione.

11,1-18

Lc riprende e riassume quanto narrato in precedenza. Si percepisce meglio che l’entrata dei pagani nella chiesa è volontà di Dio. C’è il problema sotteso della comunione della mensa tra cristiani e pagani.

19-30 la missione degli ellenisti ad Antiochia

Lc porta l’attenzione sulla fondazione della comunità di Antiochia. E sullo sviluppo che la predispone a divenire un importante centro di missione. Secondo Lc per la prima volta ad Antiochia convivono giudeo-cristiani e pagano-cristiani. La continuità tra Gerusalemme ed Antiochia è garantita grazie agli ellenisti dispersi da Gerusalemme.

27-30. la colletta di Antiochia per la Giudea.

È un brano che rafforza l’impressione di una grande unità tra la comunità siriana e quella di Gerusalemme. 

mercoledì 1 dicembre 2021

II DOMENICA DI AVVENTO/C

 




(Bar 5.1-9; Fil 1,4-11; Lc 3,1-6)

Paolo Cugini

 

Il tempo di avvento possiede una propria spiritualità specifica, che va ricercata nei contenuti che le letture ci offrono. C’è un cammino che ci viene proposto, durante il quale siamo invitati a sgombrare il campo della nostra vita da ogni forma di religiosità che non abbia come riferimento la Parola del Signore, per non correre il rischio di credere in cose vane, in fantasie di uomini. Avvento, dunque, come tempo di liberazione da tutto ciò che ostacola una comprensione più vera e profonda del mistero di Dio, per una più autentica comprensione del senso della vita, di ciò per cui valga davvero la pena di vivere. Avvento come tempo per scegliere nuovamente il senso e la direzione di un cammino, per una vita piena e felice e questo è possibile solamente se ci riprendiamo in mano il nostro presente.

 

Nell'anno quindicesimo dell'impero di Tiberio Cesare, mentre Ponzio Pilato era governatore della Giudea, Erode tetràrca della Galilea, e Filippo, suo fratello, tetràrca dell'Iturèa e della Traconìtide, e Lisània tetràrca dell'Abilène, sotto i sommi sacerdoti Anna e Càifa, la parola di Dio venne su Giovanni, figlio di Zaccarìa, nel deserto.

La grande domanda che pone il tempo di avvento nel nostro cammino alla luce delle letture ascoltate, è la seguente: nel contesto storico, sociale e politico in cui viviamo, è possibile vedere la salvezza di Dio operata da Gesù Cristo (cfr. Lc 3,6)? Il primo passo da compiere per rispondere alla domanda, consiste nel prendere coscienza del mondo in cui viviamo, della situazione storica, dei meccanismi di potere che sono in atto, delle logiche di oppressione nelle quali siamo spesso inconsapevolmente avvolti. Ci viene chiesto di passare da una vita religiosa che ci porta a sacrificare il presente in vista di una promessa futura, ad una consapevolezza sempre più nitida e autentica del nostro presente. C’è una responsabilità a cui siamo chiamati come discepoli del Signore, ed è quella che ci invita a renderci conto dove siamo, dove abitiamo, capire che cosa gira intorno a noi. I primi versetti del Vangelo di Luca, che descrivono in modo dettagliato il periodo storico che caratterizza la nascita di Gesù, ci vuole dire proprio questo, vale a dire, che per riconoscere la presenza di Dio in mezzo a noi occorre avere consapevolezza del tempo in cui viviamo, interessarsi dei problemi politici e sociali, perché Gesù Cristo è il Signore della storia che è venuto ad abitare in mezzo a noi.

com'è scritto nel libro degli oracoli del profeta Isaìa: «Voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, raddrizzate i suoi sentieri! Ogni burrone sarà riempito, ogni monte e ogni colle sarà abbassato; le vie tortuose diverranno diritte e quelle impervie, spianate.

Per poter percepire la presenza del Signore in mezzo a noi, è importante conoscere la situazione storica e sociale del tempo in cui viviamo, ma non basta: occorre un paso successivo. Per vivere con consapevolezza del tempo presente bisogna imparare a discernere tra le situazioni negative che possono portarci a confondere e, invece, i cammini autentici, che ci fanno vivere bene. Lo dice san paolo nella seconda lettura di oggi: “cresca sempre più in conoscenza e in pieno discernimento, perché possiate distinguere ciò che è meglio” (Fil 1,10). Tempo di avvento, dunque, è il tempo in cui siamo chiamati a mettere in atto un discernimento dentro le situazioni storiche e politiche nelle quali siamo immersi. Ciò significa, che non possiamo permetterci di vivere alla giornata di andare avanti come abbiamo sempre fatto, non curanti di ciò che ci circonda. L’attenzione è uno degli atteggiamenti fondamentali che l’avvento ci stimola a ricercare e a chiedere allo Spirito Santo, per sfuggire dai cammini della superficialità che sono sempre in agguato.

Preparate la via del Signore.

Preparare la via del Signore significa che, non solo il Signore viene per donarci la sua vita, ma occorre mettere la nostra vita nelle condizioni di accoglierlo. Tempo di Avvento è anche, dunque, un tempo in cui siamo invitati a liberare il campo della nostra vita da tutte quelle situazioni ambigue, che non ci permettono di cogliere la presenza del Signore. In questo percorso il profeta Baruc ci avverte che non siamo soli, perché mentre noi siamo all’opera per preparare la via del Signore, Dio ha deciso di spianare ogni alta montagna e le rupi perenni, di colmare le valli livellando il terreno, perché Israele proceda sicuro sotto la gloria di Dio (Bar 5).