Sof
2,3; 3, 12-13; Sal 145; 1 Cor 1, 26-31; Mt 5,1-12°
Paolo
Cugini
Cerchiamo
il Signore, ma facciamo fatica a vederlo. Vorremmo seguirlo più da vicino ma,
non appena ci avviciniamo, le sue parole ci sembrano strane, troppo dure. La
proposta di Gesù, per coloro che vivono nel mondo del benessere, sollecitati
ogni giorni ad accumulare cose, a rincorrere una vita agiata, sembra veramente
scandalosa, troppo lontana dal nostro modi di sentire e di pensare. E allora ci
rifugiamo nelle devozioni, nel ritualismo formale, nell’obbedienza ai precetti
così, pensiamo noi, possiamo considerarci al riparo, persone religiose che si
meritano il paradiso per quello che fanno. È la strada opposta al Vangelo, che
nessuno può presumere di meritare, perché lo possiamo solo accogliere
gratuitamente. Quando questo accade, iniziano cammini d’incarnazione, percorsi
in cui la fede ci porta a vivere in modo nuovo, meno preoccupati di noi stessi
e dei nostri successi e più attenti a chi ci sta intorno. In fin dei conti la
conversione alla proposta di Gesù l’ha riassunta molto bene Paolo: smettere di
vivere per sé per imparare a vivere per Dio e per gli altri, soprattutto i più
bisognosi. È questo il senso della relazione tra la fede e la vita, il sacro e
il profano. È autentica quella fede in Gesù che, dopo aver accolto il suo
amore, sente il desiderio di condividerlo, di operare scelte coerenti con il
Vangelo ascoltato. Quando questo processo di rinnovamento interiore, smettiamo
di ricercare il culto per sentirci persone religiose, brave, per andare alla
ricerca del regno di Dio, collaborando nella comunità per realizzare un mondo
di giustizia, di pace e di condivisione.
Cercate
il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate
la giustizia,
cercate l'umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del
Signore. «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero» (Sof 2, 3). Ci
sono situazioni che siamo invitati a creare se desideriamo percepire la
presenza del Signore, del suo amore, del suo cammino. Possiamo cambiare i
contesti: possiamo scegliere. Mi sembra questo il senso della profezia di Sofonia.
C’è un popolo umile e povero nel quale il Signore s’identifica: sta a noi
decidere che scelte operare per appartenere a questo popolo. Queste parole sono
in linea con ciò che abbiamo ascoltato in queste ultime domeniche. C’è uno
stile evangelico fatto di sobrietà, di semplicità e di essenzialità che è il
terreno privilegiato affinché la Parola di Dio cresca in noi e produca i suoi
frutti. Se, dunque, desideriamo camminare sulle vie che il Signore ha tracciato
diventa importante pensare, riflettere, capire, pregare: che cosa fare,
Signore, per fare in modo di appartenere al popolo umile e povero che tu
prepari? Smettere di pensare la propria vita in termini di ricerca di successo,
di sicurezze materiali che non fanno altro che porci in situazioni conflittuali,
divenendo complici del mono delle disuguaglianze ben visibile nell’Occidente.
Il salmo 145 che viene proposto nella liturgia di oggi, conferma quanto detto
sopra. È un Dio che sta sempre ed esclusivamente dalla parte dei poveri, di chi
ha fame; sta dalla parte degli oppressi, di chi si trova in difficoltà come le
vedove, i forestieri. Questa è la giustizia di Dio, che non tace dinanzi ai
soprusi, ma interviene, prende parte, in una parola: si schiera.
“Beati
i poveri in Spirito, perché di essi è il regno dei cieli… Beati i miti, perché erediteranno
la terra” (Mt 5,3s).
Pagina
bellissima che diventa un balsamo per tutti coloro che ogni giorno vivono sulla
propria pelle situazioni di ingiustizia e di esclusione. Gesù oggi dice: beati
voi, oppressi. Se il mondo vi tratta male, Dio vi consola ed è schierato dalla
vostra parte: potete contare su di Lui. Se siete depredati di tutto al punto
che non avete nemmeno un pezzo di terra per coltivare il raccolto per il
fabbisogno della famiglia per i ricchi prepotenti si prendono tutto, ebbene Dio
vi darà in eredità la terra. Sono immagini forti, ma molto belle, che arrivano
diritte al cuore dei poveri e dei diseredati della storia. Questa pagina,
comunque, dice qualcosa anche per noi, perché rivela il cammino che dovremmo
compiere e il senso dell’azione dello Spirito Santo nelle nostre vita. Saleggiamo
attentamente il testo, infatti, nei versetti sono delineati i tratti dell’umanità
di Gesù: mite, umile, operatore di pace, giusto, misericordioso. Per tutti
coloro che l’accolgono, lo Spirito Santo riproduce in noi i tratti di questa
umanità straordinaria, ci fa diventare collaboratori dell’azione creatrice di
Dio, che è delicata, non s’impone, è paziente.
Considerate
la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di
vista umano, né molti potenti, né molti nobili (1
Cor, 1,26). È esattamente questo che Paolo capisce. La partecipazione alla
costruzione del Regno di Dio non dipende da particolari doti, o da titoli specifici,
perché è Dio che opera in tutti coloro che sono disponibili, è Dio che
trasforma lo stolto in sapiente, il debole in forte, il nulla in una possibilità
nuova di vita. Tutti siamo chiamati per realizzare questo cammino: nessuno è
escluso. Tutti e tutte davanti a Dio abbiamo la possibilità di umanizzare la
nostra esistenza. La nostra risposta significa la disponibilità a lasciarci
trasformare da Lui.
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