mercoledì 25 gennaio 2023

IV DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO A

 




Sof 2,3; 3, 12-13; Sal 145; 1 Cor 1, 26-31; Mt 5,1-12°

 

Paolo Cugini

 

Cerchiamo il Signore, ma facciamo fatica a vederlo. Vorremmo seguirlo più da vicino ma, non appena ci avviciniamo, le sue parole ci sembrano strane, troppo dure. La proposta di Gesù, per coloro che vivono nel mondo del benessere, sollecitati ogni giorni ad accumulare cose, a rincorrere una vita agiata, sembra veramente scandalosa, troppo lontana dal nostro modi di sentire e di pensare. E allora ci rifugiamo nelle devozioni, nel ritualismo formale, nell’obbedienza ai precetti così, pensiamo noi, possiamo considerarci al riparo, persone religiose che si meritano il paradiso per quello che fanno. È la strada opposta al Vangelo, che nessuno può presumere di meritare, perché lo possiamo solo accogliere gratuitamente. Quando questo accade, iniziano cammini d’incarnazione, percorsi in cui la fede ci porta a vivere in modo nuovo, meno preoccupati di noi stessi e dei nostri successi e più attenti a chi ci sta intorno. In fin dei conti la conversione alla proposta di Gesù l’ha riassunta molto bene Paolo: smettere di vivere per sé per imparare a vivere per Dio e per gli altri, soprattutto i più bisognosi. È questo il senso della relazione tra la fede e la vita, il sacro e il profano. È autentica quella fede in Gesù che, dopo aver accolto il suo amore, sente il desiderio di condividerlo, di operare scelte coerenti con il Vangelo ascoltato. Quando questo processo di rinnovamento interiore, smettiamo di ricercare il culto per sentirci persone religiose, brave, per andare alla ricerca del regno di Dio, collaborando nella comunità per realizzare un mondo di giustizia, di pace e di condivisione.

Cercate il Signore voi tutti, poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia,
cercate l'umiltà; forse potrete trovarvi al riparo nel giorno dell'ira del Signore. «Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero» (Sof 2, 3).
Ci sono situazioni che siamo invitati a creare se desideriamo percepire la presenza del Signore, del suo amore, del suo cammino. Possiamo cambiare i contesti: possiamo scegliere. Mi sembra questo il senso della profezia di Sofonia. C’è un popolo umile e povero nel quale il Signore s’identifica: sta a noi decidere che scelte operare per appartenere a questo popolo. Queste parole sono in linea con ciò che abbiamo ascoltato in queste ultime domeniche. C’è uno stile evangelico fatto di sobrietà, di semplicità e di essenzialità che è il terreno privilegiato affinché la Parola di Dio cresca in noi e produca i suoi frutti. Se, dunque, desideriamo camminare sulle vie che il Signore ha tracciato diventa importante pensare, riflettere, capire, pregare: che cosa fare, Signore, per fare in modo di appartenere al popolo umile e povero che tu prepari? Smettere di pensare la propria vita in termini di ricerca di successo, di sicurezze materiali che non fanno altro che porci in situazioni conflittuali, divenendo complici del mono delle disuguaglianze ben visibile nell’Occidente. Il salmo 145 che viene proposto nella liturgia di oggi, conferma quanto detto sopra. È un Dio che sta sempre ed esclusivamente dalla parte dei poveri, di chi ha fame; sta dalla parte degli oppressi, di chi si trova in difficoltà come le vedove, i forestieri. Questa è la giustizia di Dio, che non tace dinanzi ai soprusi, ma interviene, prende parte, in una parola: si schiera.

Beati i poveri in Spirito, perché di essi è il regno dei cieli… Beati i miti, perché erediteranno la terra” (Mt 5,3s).

Pagina bellissima che diventa un balsamo per tutti coloro che ogni giorno vivono sulla propria pelle situazioni di ingiustizia e di esclusione. Gesù oggi dice: beati voi, oppressi. Se il mondo vi tratta male, Dio vi consola ed è schierato dalla vostra parte: potete contare su di Lui. Se siete depredati di tutto al punto che non avete nemmeno un pezzo di terra per coltivare il raccolto per il fabbisogno della famiglia per i ricchi prepotenti si prendono tutto, ebbene Dio vi darà in eredità la terra. Sono immagini forti, ma molto belle, che arrivano diritte al cuore dei poveri e dei diseredati della storia. Questa pagina, comunque, dice qualcosa anche per noi, perché rivela il cammino che dovremmo compiere e il senso dell’azione dello Spirito Santo nelle nostre vita. Saleggiamo attentamente il testo, infatti, nei versetti sono delineati i tratti dell’umanità di Gesù: mite, umile, operatore di pace, giusto, misericordioso. Per tutti coloro che l’accolgono, lo Spirito Santo riproduce in noi i tratti di questa umanità straordinaria, ci fa diventare collaboratori dell’azione creatrice di Dio, che è delicata, non s’impone, è paziente.

Considerate la vostra chiamata, fratelli: non ci sono fra voi molti sapienti dal punto di vista umano, né molti potenti, né molti nobili (1 Cor, 1,26). È esattamente questo che Paolo capisce. La partecipazione alla costruzione del Regno di Dio non dipende da particolari doti, o da titoli specifici, perché è Dio che opera in tutti coloro che sono disponibili, è Dio che trasforma lo stolto in sapiente, il debole in forte, il nulla in una possibilità nuova di vita. Tutti siamo chiamati per realizzare questo cammino: nessuno è escluso. Tutti e tutte davanti a Dio abbiamo la possibilità di umanizzare la nostra esistenza. La nostra risposta significa la disponibilità a lasciarci trasformare da Lui.

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