giovedì 31 dicembre 2020

L'ANNUNCIO SCONVOLGENTE DELLA MISERICORDIA DI DIO

 



SOLENNITA' DI MARIA MADE DI DIO

Primo gennaio 2021

 

Paolo Cugini

 

Ti benedica il Signore
e ti custodisca.
Il Signore faccia risplendere per te il suo volto
e ti faccia grazia.
Il Signore rivolga a te il suo volto
e ti conceda pace".
Così porranno il mio nome sugli Israeliti e io li benedirò
» (Nm 6, 22-27).


La Parola di Dio accoglie tutti noi, all’inizio dell’anno, con una benedizione speciale, la benedizione che Dio ha indicato per il popolo d’Israele, mentre vagava nel deserto per giungere alla terra promessa. “Il Signore faccia risplendere per te il suo volto e ti faccia grazia” (Lv 6, 24). Dio ci benedice facendo risplendere il suo volto su di noi: che cosa significa? Vuole dire che nella vita quotidiana l’essere benedetti da Dio si vede perché portiamo nei nostri gesti e nelle nostre scelte il volto di Dio. Dio ci benedice durante quest’anno, facendo in modo che le nostre scelte, i nostri gesti siano espressione del suo volto. In altre parole: il volto di Dio è riconoscibile al mondo attraverso il nostro stile di vita che lo comunica e, mostrandosi attraverso di noi, può provocare cammini di cambiamento. Questa benedizione, se ci pensiamo bene, è in sintonia con quello che si dice nella preghiera del Padre nostro: sia santificato il tuo nome. Il nome di Dio è santificato quando viviamo conforme gli insegnamenti del Figlio, che troviamo nel Vangelo. E’ l’augurio che ci facciamo per questo nuovo anno.



“Fratelli, quando venne la pienezza del tempo, Dio mandò il suo Figlio, nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge, perché ricevessimo l'adozione a figli.
E che voi siete figli lo prova il fatto che Dio mandò nei nostri cuori lo Spirito del suo Figlio, il quale grida: Abbà! Padre! Quindi non sei più schiavo, ma figlio e, se figlio, sei anche erede per grazia di Dio”
(Gal 4,4-7).

San Paolo nella lettera ai Galati ci ricorda il senso della venuta di Gesù che, allo stesso tempo, diventa per noi l’indicazione del cammino che dobbiamo compiere. Questo cammino è in linea con quello che abbiamo ascoltato nel tempo di Natale. C’è una relazione che ritorna ed è quella tra legge e libertà. Gesù nasce dalla donna (Maria) e sotto la legge (mosaica). La prima nascita ci conduce ad un’esistenza filiale, ad un nuovo rapporto con il Padre, mentre la vita nella legge ci soggioga, ci conduce a temere Dio, alla paura. Il cammino da compiere quest’anno consiste nell’uscire dalla relazione di paura di Dio verso un rapporto con il Padre da Figli in cui viviamo in piena libertà. Ed è questo il senso del cammino di fede: diventare persone libere per poter amare le persone che incontriamo. Per questo è necessario abbandonare la religione dei doveri e dei precetti e seguire il cammino di libertà tracciato da Gesù.



Questo tipo di riflessione lo troviamo anche nel Vangelo di oggi.

In quel tempo, [i pastori] andarono, senza indugio, e trovarono Maria e Giuseppe e il bambino, adagiato nella mangiatoia. E dopo averlo visto, riferirono ciò che del bambino era stato detto loro.
Tutti quelli che udivano si stupirono delle cose dette loro dai pastori. Maria, da parte sua, custodiva tutte queste cose, meditandole nel suo cuore. I pastori se ne tornarono, glorificando e lodando Dio per tutto quello che avevano udito e visto, com'era stato detto loro. Quando furono compiuti gli otto giorni prescritti per la circoncisione, gli fu messo nome Gesù, come era stato chiamato dall'angelo prima che fosse concepito nel grembo
(Lc 2, 16-21).

 

Il primo giorno del nuovo anno si apre con la buona notizia: quelli che la religione considera i lontani, per Dio sono i vicini. I pastori, infatti, erano considerati persone impure per la loro attività; erano considerati emarginati e per questo erano esclusi dalla religione e per questo non potevano partecipare alle funzioni del tempio. Conforme alla tradizione, si credeva che quando il messia sarebbe arrivato li avrebbe puniti, come tutti coloro che vivono lontani dalla religione. Quando, però, Dio si rivolge a loro attraverso l’angelo, non li punisce, ma li avvolge con la luce del suo amore. In questo modo, viene smentita clamorosamente la dottrina tradizionale della retribuzione: non c’è più un Dio che punisce, ma un Dio che ama. Quando Dio s’incontra con i peccatori non li punisce, ma li circonda con il suo amore. Il Figlio di Dio è nato nella loro condizione. Non è arrivato il giustiziere, ma il salvatore. È questa la buona notizia: oggi è nato per noi il salvatore, colui che è venuto per avvolgerci con il suo amore, la sua misericordia: è un messaggio davvero stupendo e stupefacente!

Da parte di quelli che ascoltano c’è sconcerto: c’è qualcosa che non va. Nella dottrina, Dio castiga i peccatori: è lo scandalo della misericordia. Crolla quello che la dottrina della tradizione insegnava, vale a dire che Dio puniva i peccatori. L’annuncio dei pastori è sconvolgente: loro sono avvolti dalla luce dell’amore di Dio e non dal fuoco delle tenebre, assieme a tutti gli altri peccatori. È l’inizio di una novità che sconvolgerà il mondo al punto da condannare a morte colui che proclamava tale cambiamento. Si aspettavano la spada di Dio e invece arriva l’agnello immolato. Attendevano un giustiziere e invece arriva la misericordia infinita che avvolge tutti e tutte. Il messaggio è sconvolgente e Gesù lo riproporrà costantemente sia con dei gesti eclatanti di perdono, che con le parole che riprendono i discorsi dei profeti: voglio misericordia e non sacrifici (Mt 9,13).

 Anche Maria si è stupita, perché quello che ha ascoltato non corrispondeva a quello che la tradizione le aveva consegnato, ma ha un atteggiamento nuovo: cerca il vero senso della novità. Dinanzi alle novità spesso abbiamo reazioni dure, perché accogliere la novità significa disponibilità al cambiamento, a modificare le nostre vite, il nostro stile. La novità portata da Gesù farà fatica ad entrare. Gesù, infatti, non seguirà le orme dei padri, ma il Padre: è proprio un’altra storia.  

 

mercoledì 30 dicembre 2020

LIBERI PER AMARE

 



Lectio su 2 Pt 1, 3-4

 

Paolo Cugini

 

Cristo nella sua potenza divina ci ha fatto dono di ogni bene per quanto riguarda la vita e la pietà, mediante la conoscenza di colui che ci ha chiamati con la sua gloria e potenza. Con queste ci ha donato i beni grandissimi e preziosi che erano stati promessi, perché diventaste per loro mezzo partecipi della natura divina, essendo sfuggiti alla corruzione che è nel mondo a causa della concupiscenza.

 

Il brano di Pietro viene spesso citato quando si parla di divinizzazione, vale a dire, la trasformazione dell’uomo e della donna attraverso l’azione dello Spirito Santo, nella divinità di Dio. Questo processo spirituale viene spiegato bene da un padre della Chiesa dei primi secoli del cristianesimo:

 

Dio si è fatto uomo affinché l’uomo diventi Dio” (Atanasio).

È il tema della divinizzazione che si è sviluppato nella mistica ortodossa: diventare come Dio. “I beni grandissimi e preziosi” a cui fa riferimento Pietro, sono i sacramenti – segni materiali della presenza di Cristo – che accolti riproducono nella nostra umanità i tratti dell’umanità di Gesù.

Questo cammino di trasformazione è spiegato da Paolo in questi termini:

 

 E noi tutti, a viso scoperto, riflettendo come in uno specchio la gloria del Signore, veniamo trasformati in quella medesima immagine, di gloria in gloria, secondo l'azione dello Spirito del Signore (2 Cor 3,18).

 

Lo Spirito Santo ci trasforma nell’immagine di Cristo che noi contempliamo quando assimiliamo la sua Parola che, a questo punto, non è semplicemente una lettera, ma potenza di Dio (Rom 1,16) che produce la nostra salvezza (1 Cor 15,1-2).

Questo processo di trasformazione in Cristo esige da parte dell’uomo e della donna l’impegno di non lasciarsi travolgere dalla corruzione del mondo che avviene attraverso la concupiscenza. Diceva la pensatrice francese Simone Weil (1909-1943): “Amare Dio significa non attaccare il cuore alle cose vane”. La concupiscenza è un intenso desiderio di appagamento, spec. Sessuale. Nella morale cristiana, passione intemperante, predominio della materia sullo spirito. In teologia, uno dei segni del peccato originale; per i protestanti il peccato originale stesso.

Che cosa riproduce in noi lo Spirito Santo quando lo accogliamo, gli facciamo spazio nella nostra vita? Ce lo ricorda sempre San Paolo quando nella lettera ai Galati, ci ricorda che:

Il frutto dello Spirito è amore, gioia, pace, pazienza, benevolenza, bontà, fedeltà, mitezza, dominio di sé; contro queste cose non c’è legge” (Gal 5, 22).

 

Lo Spirito Santo, allora, riproduce in noi “gli stessi sentimenti che furono di Cristo Gesù” (Fil 2,5), i tratti della sua umanità e, in questo modo, ci libera progressivamente dalla forza della concupiscenza, che ci schiavizza, ci rende dipendente dalle cose materiali. La vita nello Spirito del Signore è, dunque, un cammino di liberazione per poter essere persone libere capaci in questo modo di amare.

martedì 29 dicembre 2020

Lectio Prima lettera di Giovanni 1,1-4

 

 


Paolo Cugini

Qual è il contenuto fondamentale della 1 Gv? Giovanni ha scritto questa Lettera in una situazione di crisi della sua comunità cristiana, del che non c’è da stupirsi. Nella comunità di Giovanni c’è crisi, sia dal punto di vista della verità di fede, sia dal punto di vista del comportamento.  Dal punto di vista delle verità di fede perché c’è gente che non crede nell’Incarnazione, cioè non accetta fino in fondo il fatto che Dio sia diventato carne, che Gesù di Nazareth sia veramente Dio fatto uomo, il Figlio di Dio: e questo discorso, per noi scontato, è tuttavia scandaloso: che Dio, il Dio creatore, eterno, incomprensibile, inafferrabile, sia diventato carne, cioè Gesù di Nazareth, questo va veramente contro tutte le idee che uno si fa di Dio con la sua intelligenza. Il motivo per cui Giovanni scrive la sua prima lettera è espresso in 5,13: «Questo vi ho scritto perché sappiate che possedete la vita eterna, voi che credete nel nome del Figlio di Dio». Giovanni scrive per darci sicurezza, per darci gioia, consolazione, per darci la sicurezza che nel cammino che stiamo facendo, di fede, di obbedienza al Figlio di Dio, noi possedete la vita eterna; la possediamo già, fin da ora, se rimaniamo in comunione con la Chiesa, se accettiamo la fede nel Figlio di Dio e viviamo nella carità e nell’amore fraterno.

La 1 Gv ma ci aiuta a sentire lo stupore di Giovanni, il quale ha testimoniato un avvenimento impensabile, ha visto qualcosa di in finitamente grande e consolante, vuole comunicare qualcosa di infinitamente più grande di lui. Allora il primo atteggiamento da ricuperare è lo stupore – lo stupore davanti a quello che è accaduto e che Giovanni ha udito, visto, contemplato, toccato con le sue mani. Uno degli ostacoli più grossi nella vita di fede è l’abitudine; cioè quando le cose che noi crediamo, diventano meccaniche, diventano routine; anche le cose più belle, a forza di essere ripetute, diventano banali. Allora c’è bisogno di recuperare la bellezza e la grandezza delle cose attraverso lo stupore, la meraviglia.

Ormai sono passati, anche se non si sa con precisione, 40 anni da quando Giovanni ha visto Gesù Cristo e tuttavia Giovanni ha ancora lo stupore di averlo potuto vedere. E ce lo vuole comunicare: perché quello che egli ha visto e ha sperimentato, è qualcosa di infinitamente grande. Giovanni lo esprime con quella frase «la vita si è fatta visibile”, e spiegherà che questa vita è la vita eterna. Vita eterna è vita senza limiti, senza diminuzione, la vita piena, completa; quella che l’uomo cerca da sempre. Infatti, l’uomo ha la vita: viviamo, siamo al mondo e tuttavia la vita che viviamo è radicalmente povera; passerà, perché camminiamo tutti verso la morte, perché siamo dei condannati a morte, con la sentenza dilazionata, fra un po’ di tempo, – speriamo molto – ma la sentenza di morte su di noi c’è, c’è il limite delle malattie, il limite dell’ignoranza, il limite del peccato.

Sta proprio qui la grandezza del messaggio di Giovanni: «la vita si è manifestata»: non siamo stati capaci di raggiungerla, ci ha raggiunto lei, la vita. Non siamo stati capaci di salire verso Dio: è sceso lui, Dio, verso di noi; non abbiamo la vita nelle nostre mani: è la vita che è venuta a cercarci, Dio è venuto in cerca dell’uomo, per comunicare all’uomo la sua stessa vita: «io sono venuto perché abbiano la vita, e l’abbiano in abbondanza» (Gv 10,10).

Questo è il primo aspetto del cammino che dobbiamo fare: come atteggiamento di fondo, è importante recuperare il desiderio della vita, della vita eterna, recuperare lo stupore di fronte a un fatto inedito: la vita eterna si è manifestata, si è resa visibile, sperimentabile da parte dell’uomo. Naturalmente Giovanni pensa alla Incarnazione del Figlio di Dio, e tuttavia questa non è che il punto di arrivo di tutta la rivelazione di Dio: il mistero della Incarnazione non è cominciato solo nella nascita di Gesù; ha avuto la sua origine in tutto l’AT, perché Dio è venuto in cerca dell’uomo, sempre. Tutta la storia della salvezza si può leggere e interpretare nella prospettiva della Incarnazione.

C’è un altro elemento importante: «lo annunziamo anche voi, perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo» (v. 3). Che vuole dire: lo scopo di quello che io vi racconto, di quello che voi ascoltate, è che voi siate in comunione con noi, con gli apostoli, e che, attraverso questa comunione con gli apostoli, siate in comunione con Dio. «La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo»: la parola “comunione” riassume lo scopo della vita cristiana; essere cristiani è vivere in comunione con Dio, e vivere in comunione fraterna. «Perché anche voi siate in comunione con noi. La nostra comunione è col Padre e col Figlio suo Gesù Cristo»: non è una comunione politica, – può entrarci anche questo –, ma non è ciò di cui parla san Giovanni; nemmeno una comunione economica – può entrarci anche questo –; la comunione di cui parla Giovanni è la comunione con la vita divina, della vita di Dio nel cuore dell’uomo.

 Finalmente: «queste cose vi scriviamo perché la nostra gioia sia perfetta». Noi, dice Giovanni, crediamo nella vita di Dio che si è manifestata in Gesù Cristo e lo raccontiamo anche a voi, perché siate una cosa sola con noi e insieme siamo una cosa sola con Dio, e in questo modo, la nostra gioia sia perfetta.  Occorre qui tener presente cosa significa «gioia»: non è gioia di cui parla il mondo, non è la pace di cui parla il mondo: «Vi lascio la pace, vi do la mia pace; non ve la do come la dà il mondo» (Gv 14,27). La gioia di cui parla Giovanni è il cuore della vita cristiana, è l’esperienza della salvezza, dell’amore di Dio, dell’essere amati da Dio; è dono di Dio come la pace: anche questo è lo scopo della rivelazione di Gesù. Dice Gv 15,11: «Questo vi ho detto perché la mia gioia sia in voi e la vostra gioia sia piena». È chiaro allora cos’è la gioia. È la gioia di Cristo, che è cuore del Signore. E consiste nella perfezione della comunione con il Padre. Gesù ha la gioia perché è una cosa sola con il Padre,

 

 

domenica 27 dicembre 2020

DOMENICA DELLA SACRA FAMIGLIA

 

Paolo Cugini

 

   


C’è un racconto di Tolstoj che narra la storia di un giovane che un giorno decise di uscire di casa per cercare un tesoro. Quest’uomo passò la vita a percorrere mari e fiumi, a vivere in tanti paesi per cercare un tesoro, ma non lo trovò mai. Quando le forze gli vennero a mancare per via dell’età, decise di ritornare a casa. Una mattina, mentre cercava qualcosa che gli era caduta, spostando la stufa si accorge di una botola. La sposta e proprio sotto alla botola trovò il tesoro che aveva cercato tutta la vita. La morale del racconto di Tolstoj è che le cose più preziose della vita sono vicine a noi, alla nostra portata.

   Questa considerazione vale per la festa di oggi. Infatti, Gesù, il Figlio di Dio, venendo sulla terra e nascendo da una famiglia, ci ha comunicato che tutto il materiale, tutti gli strumenti di cui abbiamo bisogno per dare un senso nella nostra esistenza, per umanizzarla li abbiamo sotto il naso, vale a dire, nella nostra famiglia. Andiamo in chiesa per diventare persone più umane, più sensibile, più attente agli altri e meno egoiste. Ebbene, il Natale ci dice che Dio ha messo tutto il necessario per questo cammino nella famiglia. Infatti, anche per Gesù è stato così, anche Gesù ha imparato dalla vita di famiglia, dal rapporto con Giuseppe e Maria, con i parenti che cosa significa essere e diventare uomini. La divinità di Gesù si trova nei tratti della sua umanità, che si è venuta modellando con il tempo grazie anche alla relazione con Maria e Giuseppe. E, infatti, vari tratti dell’umanità di Gesù dicono di sua madre Maria e di suo padre Giuseppe.

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci dice anche di elementi essenziali dell’identità di Gesù, che si ritroveranno manifestati nella sua vita adulta.

 Quando furono compiuti i giorni della loro purificazione rituale, secondo la legge di Mosè, [Maria e Giuseppe] portarono il bambino [Gesù] a Gerusalemme per presentarlo al Signore - come è scritto nella legge del Signore: «Ogni maschio primogenito sarà sacro al Signore» - e per offrire in sacrificio una coppia di tortore o due giovani colombi, come prescrive la legge del Signore” (Lc 2,22-23).

Dal punto di vista generale, il brano del Vangelo ci dice della missione di Gesù, nato da una donna, nato sotto la legge per liberare gli uomini e le donne dal peso della legge, non annullandola, ma mostrandone, da una parte le deformazioni prodotte dagli interessi umani e, dall’altra, mostrandone il senso autentico. Gesù viene al mondo per mostrare che l’unica legge che dev’essere seguita è quella dell’amore e, in questo modo, smaschera tutte quelle leggi, anche religiose, che invece legano l’uomo e la donna, li imprigionano dentro un reticolo di precetti con l’unico obiettivo di controllarli.



 I genitori portano Gesù al tempo per adempiere a due prescrizioni della legge. La prima è la purificazione di Maria che, conforme al Libro del Levitico (Lv 12, 1) considera impura una donna che dà alla luce un figlio e, per questo, deve purificarsi e deve rimanere trentatré giorni per purificarsi dal suo sangue, perché in questo stato non poteva accedere al Tempio (in caso di una figlia i giorni di purificazione sono 66! Della serie: la forza spaventosa della cultura patriarcale). La seconda prescrizione è il riscatto del primogenito, con del denaro o, per le famiglie povere, com’è il caso di Maria e Giuseppe, con due tortore o due colombi. Come dice Paolo ai Galati: “Quando venne la pienezza dei tempi, Dio mandò il suo Figlio nato da donna, nato sotto la Legge, per riscattare quelli che erano sotto la Legge” (Gal 4,4-5).

Mentre Maria e Giuseppe salgono al Tempio, proprio dal Tempio viene l’uomo dello Spirito, il profeta Simeone, come se volesse impedire l’inutile rito. Simeone prende il bambino fra le braccia e benedice Dio. Sarà luce per illuminare le nazioni, le etnie, che indica i popoli pagani. L’amore del Signore è universale e arriva pure ai pagani. Messaggio sconvolgente per delle orecchie abituate a sentire una parola unidirezionale, solo riferita alla salvezza del popolo ebraico. Il messia, lungi dall’essere salvatore solo degli ebrei, porta l’amore di Dio a tutte le nazioni. Questo discorso vale anche per noi che riceviamo e accogliamo lo Spirito del Signore: la comunità cristiana deve progressivamente divenire uno spazio aperto a tutti e tutte.

Poi rivolgendosi a Maria Simeone aggiunge: “anche a te una spada trafiggerà l’anima affinché siano svelati i pensieri di molti cuori” (Lc 2, 35). Tutta una tradizione ha travisato questo versetto interpretandolo con immagini di dolore, mentre il significato è ben altro. La spada, infatti, nella Bibbia, è immagine Parola di Dio, come ci ricorda la lettera agli Ebrei dove si dice che: “La Parola di Dio è viva ed efficace e più tagliente di ogni spada a doppio taglio, essa penetra fino al punto di divisione dell’anima e dello Spirito” (Eb 4,12). Simeone dice a Maria che le Parole del Figlio la porteranno a delle scelte dolorose. Come Maria ha accolto le parole dell’angelo ed è divenuta la Madre di Gesù, ebbene ora dovrà accogliere le Parole del Figlio per proseguire il cammino e diventarne una discepola, prototipo di tutti i discepoli e discepole del Signore.



Il Vangelo c’invita a seguire Gesù nel suo cammino di uscita dal tempio e dalla religione dei precetti e delle dottrine che imprigionano l’uomo e la donna e li abbrutiscono, per abbracciare la fede, la fiducia nel Padre che desidera relazione nuove e autentiche per i suoi figli e figlie.

 

 

sabato 26 dicembre 2020

LA SAPIENZA CHE VIENE DALLO SPIRITO

 



Paolo Cugini


    Santo Stefano. Leggendo la sua storia negli atti degli Apostoli è visibile che l’accoglienza dello spirito del Signore ha riprodotto nella sua umanità i tratti caratteristici dell’umanità di Gesù, vale a dire una relazione profonda con il Padre, il contrasto che il suo modo di vivere provoca con le persone religiose del tempo sino a giungere alla condanna a morte e la capacità di perdonare i propri persecutori.

 

Non riuscivano a resistere alla Sapienza e allo Spirito con cui egli parlava” (At 6,10). Di che sapienza si tratta e perché è così forte? Si tratta della sapienza che deriva dalla conoscenza del Signore, dall’aver fatto posto nella propria vita alla sua Parola, ascoltata, meditata, vissuta. Questo vissuto provoca una conoscenza della realtà che è nuova, perché conduce a sperimentare la volontà del Signore, il suo modo di vedere il mondo, la sua giustizia, la sua misericordia. Per questo motivo quelli della Sinagoga non riescono a resistere alla sapienza di Stefano, perché la loro è ancora una conoscenza materiale, religiosa, fatta di prescrizione, di obbedienza a dei precetti che al massimo producono una coscienza tranquilla. La Sapienza che viene dallo Spirito del Signore conduce ad uno stile di vita nuovo, perché introduce nel vissuto quotidiano contenuti nuovi. Soprattutto però, è un modo di vivere che non si limita più solamente nello spazio della sinagoga, cioè, traducendo, nello spazio del sacro, ma entra per modificare il profano, la vita pubblica e privata. È questa la superiorità della conoscenza di Stefano che vive accogliendo lo Spirito del Signore e quelli della sinagoga.

 

Sarete odiati da tutti a causa del mio nome. Ma chi persevererà sino alla fine sarà salvato” (Mt 10,22). Versetto che dice della verità della fede, do coloro che vivono accogliendo lo Spirito del Signore e che vivono ogni giorno di Lui. La realtà dei cristiani è una vita di disprezzo, di odio, ma la percezione mentre si cammina, dell’autenticità di questa vita proposta dal Signore. Non c’è solo la promessa futura, ma anche e soprattutto la bellezza di una vita in cui si cerca la giustizia, la pace, il bene. La perseveranza su questo cammino ci salva dalla tristezza del vuoto di u a vita senza il Signore.

 


martedì 22 dicembre 2020

HA GUARDATO ALL'UMILTA'





 Paolo Cugini

Per questo fanciullo ho pregato e il Signore mi ha concesso la grazia che gli ho richiesto. Anch’io lo lascio al Signore” (1 Sam 1, 27-28a). Efficacia della preghiera, anche perché è una preghiera che proviene da un cuore ricco di fede nel Signore. Lo si capisce, infatti, dal finale. Anna, donna sterile, chiede la grazia di un figlio e, una volta ottenuto, lo restituisce al Signore. C’è allo stesso tempo, la dimensione della gratuità e della libertà, tipica di un rapporto autentico con il Signore. “Il Signore è un Dio che sa tutto […] La sterile ha partorito sette volte e la ricca di figli è sfiorita” (1 Sam 2,3.5b). La conoscenza che Anna ha di Dio è personale, è passata attraverso la sua personalissima storia. Nella disperazione per la sua umiliazione di essere una donna sterile, si è rivolta unicamente al Signore che l’ha esaudita. È a partire da questa esperienza che Anna comprende qualcosa d’importante del mistero di Dio. “Il Signore rende povero e arricchisce, abbassa ed esalta. Solleva dalla polvere il debole dall’immondizia rialza il povero” (1 Sal 2, 7-8). Da dove ha preso Anna questa sapienza? Senza dubbio dalla propria esperienza: da umile e povera di figli è divenuta, grazie all’intervento di Dio, ricca di un figlio e, quindi, grande dinanzi al popolo.

 


Ha guardato l’umiltà della sua serva” (Lc 1,47). Ritroviamo nelle parole di Maria le stesse considerazioni di Anna. C’è la consapevolezza che Dio guarda gli umili, li ascolta, consapevolezza che può avvenire solamente da uno stile di vita umile com’era appunto quello di Anna e di Maria. Il Dio che si è manifestato in Gesù, ascolta il grido dei poveri, di coloro che si dirigono a Lui con il cuore docile e non arrogante. È l’esperienza persona di Dio che permette a Maria di comprendere il senso della storia che, non è dominata dai presunti grandi, ma è nelle mani del Signore: “ha rovesciato i potenti dai troni, ha innalzato gli umili; ha ricolmato di beni gli affamati, ha rimandato i ricchi a mani vuote” (Lc 1,52). Non ha senso perdere la vita per le ricchezze del mondo, quando è Dio che riempie con i suoi doni la vita di coloro che si affidano a Lui.

 

domenica 20 dicembre 2020

NATALE CAMMINO DI UMANIZZAZIONE

 



 

Paolo Cugini

 

Diceva il filosofo Mircea Eliade che, uno dei riti comuni incontrati nei popoli antichi, consisteva nel narrare l’origine delle cose prima di una semina. Questa narrazione, costituiva una specie di benedizione per il raccolto, perché era un modo per riporre ordine nella realtà, per ritornare simbolicamente all’epoca degli inizi. Riascoltare la narrazione del Natale del Signore può avere, dunque, il significato profondo di ripercorrere il cammino che nella storia ha compiuto il messaggio di Gesù. È una sorta di “ritorno alle origini”, che permette di ripartire daccapo, di tentare di colmare quella distanza che sembra incolmabile tra Vangelo e cristianesimo, tra Gesù e la dottrina, tra l’inizio della storia e l’oggi della comunità.

“Maria diede alla luce il suo figlio primogenito, lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia, perché per loro non c’era posto nell’alloggio” (Lc 2, 7). È sempre affascinante ascoltare la pagina del Vangelo di Luca, in cui viene narrata la nascita di Gesù. Una narrazione strana per il profondo realismo che contiene. Chi avrebbe potuto inventare, infatti, una storia simile, in cui la nascita del Salvatore del mondo è descritta in un modo così diverso da come ci si aspetterebbe? Chi mai avrebbe potuto narrare la nascita di un re in un contesto di povertà e di rifiuto? Si tratta, dunque, di un dato importante, che va tenuto in considerazione per tutti coloro che s’identificano con il massaggio del Vangelo. Il primo modo per essere fedele al Vangelo consiste nell’aderenza alla realtà così come Dio l’ha voluta manifestare, senza volerla abbellire o edulcorare, perché è nella realtà che si manifesta la verità. Forse, mai come in questo contesto culturale postmoderno, l’occidente ha avuto la possibilità di aderire alla realtà, per ascoltarla così com’è, senza precederla con sistemi concettuali. Un primo insegnamento del presepio, mi sembra proprio questo: rimetterci in silenzio, in ascolto della realtà, per essere disponibili a cogliere il mistero della vita per come di manifesta, per lasciarci stupire, così come fanno i bambini quando scoprono le cose. Non diceva, infatti Gesù: “se non ritornerete come bambini non entrerete nel regno dei cieli” (Mt 18,3)? Natale significa, allora, disponibilità a mettere da parte le nostre presunzioni, le nostre precomprensioni, per ascoltare la realtà come fanno i bambini, vale a dire, come se fosse la prima volta.



 Che verità incontriamo quando ci poniamo in ascolto della manifestazione della realtà così com’è? Senza dubbio non coglieremo la verità nella forma della dottrina, ma dell’evento che si realizza nella storia e, di conseguenza, cambia nel tempo perché è caratterizzata dalla contingenza. In occidente identifichiamo la verità con l’astrazione, per metterci al riparo dall’inquietudine che la manifestazione della realtà nel tempo presente provoca. Per questo, abbiamo elaborato le dottrine, per stare tranquilli, per ripararci dalla realtà, per non permetterle di scombinare i nostri piani. In questa prospettiva, il Natale rappresenta il più grande sovvertimento delle dottrine umane, dei progetti precostituiti, delle teologie fatte su misura. Dio è entrato nella storia in modo sorprendente, prendendoci alla sprovvista, obbligandoci a smantellare i nostri sistemi presuntuosi. Davanti al presepio, non abbiamo possibilità di scelta: o lo ascoltiamo e accogliamo i contenuti che quell’evento ci vuole rivelare, o lo rifiutiamo edulcorandolo, che è la forma pervertita di ogni teologia che non accetta di essere smascherata e, di conseguenza, modificata. Non a caso a fare festa dinnanzi al presepio non c’erano i dottori della legge, ma i pastori; non c’erano i ricchi mercanti, ma i poveri.

“Mentre si trovavano in quel luogo si compirono per lei i giorni del parto” (Lc 2, 6). Alla faccia delle progettazioni e degli schemi pastorali! Il compimento del tempo annunciato dai profeti avviene in modo inaspettato e in un luogo non pianificato. Che cosa significa questo dato così strano, ma portatore di significati? Forse che l’accoglienza del Vangelo esige la capacità di accompagnare gli eventi così come si manifestano, anche perché il mistero di Dio è annunciato nell’evento. Educarsi all’attenzione è uno dei compiti più importanti che abbiamo dinnanzi a noi perché, come diceva Simone Weil: “L’attenzione consiste nel sospendere il proprio pensiero, nel lasciarlo disponibile, vuoto e permeabile all’oggetto […] ogni volta che si presta veramente attenzione si distrugge un po’ di male in sé stessi” (Simone Weil, Attesa di Dio).  Natale, allora, significa rieducarsi alla sorpresa dell’evento, significa l’umiltà di lasciarsi spogliare dalle proprie teologie, dai propri modi di pensare Dio, per deporre le nostre armature di difesa ed essere, in questo modo, disponibili ad accogliere il mistero di Dio, così come si manifesta nel tempo presente della comunità e della nostra personalissima storia.



Lo avvolse in fasce e lo pose in una mangiatoia” (Lc 2,7). Che liturgia spettacolare! Dinanzi a questa meraviglia di semplicità, che comunica il modo autentico di Dio di venire in contatto con l’umanità, colpisce per contrasto, il residuo visibile nelle nostre liturgie dei culti pagani che, per dire Dio, hanno bisogno di rivestirlo con la pesantezza del sacro. La liturgia del presepio narrato da Luca, smaschera le strutture pagane del sacro, rompe gli incantesimi della religione, comunicando che, d’ora innanzi, chi intende incontrare Dio, non ha più bisogno di aggrapparsi alle forme sacrali della religione inventata dagli uomini, ma può incontrarlo nella semplicità ed essenzialità della vita famigliare. Che meraviglia di messaggio! L’umanità come spazio dell’incontro con Dio. Natale, in questa prospettiva, significa una proposta di umanizzazione per tutti gli uomini e le donne che desiderano vivere in modo autentico. Significa, anche, l’umiltà di trovare il tesoro della propria esistenza nello spazio della vita quotidiana della famiglia. Il Natale è la stella luminosa che indica il cammino che l’umanità può percorrere: dalla religione patriarcale degli uomini alla comunità di discepoli e discepole uguali creata da Gesù; dal sacro che dice distanza da Dio, alla riscoperta della sua approssimazione a noi attraverso il Figlio, che vuole dire la possibilità d’investire in modo significativo nelle relazioni umane; dalla dottrina dei sapienti, alla semplicità del Vangelo, che parla ai piccoli ed esige umiltà.

Avviciniamoci, allora, anche noi al presepio, contempliamolo come se fosse la prima volta, lasciamoci inebriare dalla sorpresa del Natale del Signore, per fare in modo che le nostre vite, le nostre comunità corrispondano all’evento contemplato ed accolto. Proviamo a vivere ciò che con semplicità contempliamo.

 

 

mercoledì 16 dicembre 2020

TRA PROFEZIA E COMPIMENTO

 



IV DOMENICA DI AVVENTO/B

 

Paolo Cugini

 

La quarta domenica di avvento, avvicinandoci alla festa del Natale del Signore, ci conduce verso una riflessione che dovrebbe aiutarci a prepararci al mistero che stiamo per celebrare. La prima lettura e il Vangelo offrono un materiale biblico significativo per tentare di comprendere il delicato rapporto tra profezia e compimento. Del resto, se c’è una caratteristica che accompagna tutto il tempo liturgico dell’avvento, è proprio quello della profezia e, in modo specifico, della profezia messianica. Ciò significa che l’evento della nascita di Gesù, lungi dall'essere isolato nel tempo e nella storia, è stato a lungo atteso ed annunciato. Quando pensiamo a Dio, un aspetto dev’essere sempre ben presente alla nostra mente e cioè che Dio non s’identifica con il caso e che l’amore non s’identifica solamente con la spontaneità. Amore è volere la vita dell’altro, è pensare all’altro, all’altra, un pensiero che pianifica le condizioni di possibilità dell’esistenza dell’altro. Questo aspetto dell’amore che si fa pensiero, preoccupazione e che stimola l’attesa, è ben visibile nella storia di Gesù, il Figlio amato, il primogenito. Dio è amore e l’amore si fa pensiero e il pensiero guarda al futuro, cerca le condizioni affinché la vita venga alla luce, diventi visibile, possibilità concreta.

Io susciterò un tuo discendente dopo di te, uscito dalle tue viscere, e renderò stabile il suo regno” (2 Sam 7, 12). Tra il pensiero di Dio, che manifesta il suo amore e la realizzazione del piano pensato, c’è di mezzo l’uomo e la donna che realizzano il piano. Ciò significa che il compimento della Parola profetica non è una questione di trascrizione, di riprodurre sul piano della storia ciò che è stato detto, ma di interpretazione, di mediazione umana. È questo, a mio avviso, uno degli aspetti più affascinanti del mistero di Dio. Lungi dall’essere un despota autoritario, il Dio biblico accetta il rischio che la sua Parola sia trasgredita, tradita, che le sue profezie e proposte siano disdette. Questo aspetto del rischio di Dio è visibile nella storia di Mosè che, all’inizio del mandato trova tutta una serie di scuse per rifiutare l’incarico che Dio gli voleva affidare (cfr. Es 3, 1s). È visibile anche nella storia del profeta Giona che fugge da Dio e non ne vuole sapere di dire al popolo quello che Dio gli aveva chiesto di pronunciare . Il Dio che si rivela nella storia del popolo d’Israele si fida dell’uomo, della donna, pone la realizzazione dei suoi piani nelle loro mani, rischiando, in questo modo, di far naufragare tutto quanto. La potenza di Dio passa attraverso la fragilità dell’uomo e della donna per entrare nella storia e, questo dato, significa che Dio vuole fare in modo che il suo messaggio ci arrivi con un linguaggio a noi comprensibile, umano. Il comando di Dio ha bisogno di una volontà umana che l’accolga per realizzarla.



A quelle parole Maria fu molto turbata e si domandava che senso avesse un tale saluto” (Lc 1, 29). Ed eccoci qua nell’esempio più eclatante e, allo stesso tempo, più deturpato dall’ottusità umana, del compimento delle promesse. Guardando da vicino l’evento, sembra davvero uno scherzo, ma uno scherzo di cattivo gusto. Come fa Dio a porre nelle mani di un’adolescente la realizzazione del più grande disegno della storia dell’umanità? Che Dio è quello che pone nella volontà di una ragazzina il compimento di tutte le profezie messianiche? Questi pochi versetti di Luca rappresentano la più grande sovversione culturale della storia, la decostruzione del sistema patriarcale. Saranno le scelte di una giovane ragazza a decidere le sorti dell’umanità. Alla faccia di tutto l’apparato sacerdotale che, su questo punto cruciale, non è stato nemmeno preso in considerazione.

Come avverrà questo perché non conosco uomo?” (Lc 1, 34).  Maria dimostra che il compimento delle promesse lungi dall’essere un calcolo matematico, un’esecuzione passiva, esige il coinvolgimento totale di sé, delle proprie forze spirituali e mentali. Dianzi alle parole dell’interlocutore percepite con turbamento , Maria non pronuncia passivamente un si, ma procede con una domanda, perché vuole capire, comprendere il significato di quelle parole che la vogliono coinvolgere tutta la vita. È il tempo dell’assimilazione del contenuto della Parola, contenuto che è come un seme gettato nella terra, perché contiene vita, una progettualità che esige il coinvolgimento, la presa di coscienza, l’attenzione, l’intelligenza viva. E allora, in brani come questi si vede molto bene il modo di procedere di Dio verso la donna, l’uomo. Da noi Dio non vuole degli esseri passivi, come stupidi esecutori di una proposta che non capiamo, ma che dobbiamo a tutti i costi eseguire se volgiamo vivere. Quanti libri di spiritualità cristiana hanno interpretato la proposta di Dio in questo modo, distruggendo vite, sogni di giovani pieni di forze e speranze, generando vite piene zeppe di frustrazioni, di modelli spacciati per evangelici, ma che non erano altro che il retaggio della cultura patriarcale arrogante e violenta, che vuole la moglie sottomessa all’uomo, la religiosa sottomessa all'istituzione, in specifici ruoli di sottomissione, con dei compiti specifici spacciati per volontà di Dio, quando invece non si trattava altro che meschina volontà umana.



 Maria è lontana anni luce da questo modello culturale ben poco biblico ed evangelico, ed è lontana anni luce perché da come si muove, da come parla si capisce molto bene che lei il Padre lo conosceva, che lei, questa ragazzina d’Israele, stava percependo che, per Dio, l’intelligenza non è un optional, la libertà di espressione e di pensiero non è un aspetto di poco conto, ma una qualità necessaria affinché il suo progetto diventi anche nostro. Maria ci insegna a prenderci il nostro tempo per capire, per valutare se quello che ci viene chiesto esprime qualcosa di autentico e di significativo. Solo chi è libero potrà avere la forza di prendere le distanze dalla cultura della morte. Solo chi è libero potrà percorrere il cammino della conoscenza senza scendere a compromessi con le meschinità umane. È questa libertà, questa intelligenza che il Padre cerca per compiere la sua Parola e, in Maria, l’ha trovata.

IL VANGELO, UN ANNUNCIO DI PACE




 Paolo Cugini


Stillate cieli dall’alto e le nubi facciano piovere la giustizia; si apra la terra e produca la salvezza e germogli insieme la giustizia. Io, il Signore, ho creato tutto questo” (Is 45,8). La giustizia come dono di Dio che, una volta arrivata sulla terra, produce la salvezza. Dio è giusto è la sua giustizia, quando è accolta, produce la salvezza. Domanda: salvezza da chi e da cosa? Nel testo specifico la salvezza è riferita al popolo che opprime Israele, e quindi è salvezza dal nemico (Babilonia). Dio è giusto perché salva. In questa prospettiva la salvezza non è puro dono, ma esige anche lo sforzo dell’uomo: la salvezza germoglia dalla terra che ha ricevuto la pioggia della giustizia.

Andate a dire a Giovanni ciò che avete visto e udito” (Lc 7, 22). Nel cammino di evangelizzazione i gesti devono precedere le parole, affinché la Parola trovi sostegno nei gesti compiuti da colui che evangelizza.



Giovanni mandò a dire al Signore: sei tu colui che deve venire o dobbiamo aspettare un altro?” (Lc 7, 19). Come mai questa domanda di Giovanni Battista? Probabilmente perché l’azione di Gesù non corrispondeva alle aspettative di colui che avrebbe dovuto incarnare il messia atteso. Persino Giovanni dubita di lui. Gesù si è presentato in un modo diverso dalle aspettative del popolo e, questa diversità, ha provocato il dubbio. La risposta di Gesù è significativa perché intende mostrare che il suo modo di essere presente nella storia degli uomini e delle donne è in linea con le profezie (cita Isaia 61). Eppure, anche Giovanni e il popolo conoscevano i profeti e le profezie messianiche: come mai questo dubbio sull’identità di Gesù? Probabilmente perché, con il tempo, il nuovo contesto storico caratterizzato dalla dominazione dei romani, aveva trasformato le aspettative sul messia, trasformandolo in un liberatore dal nemico. Gesù non si adegua alle pressioni, ma continua la sua missione fedele alla Parola. Gesù incarna la profezia messianica che vedeva il messia come un messaggero di pace, che trasformava le armi in strumenti per coltivare i campi. Gesù non rinuncerà mai a questo compito di portatore di pace, al messaggio che la violenza non risolve nulla, ma peggiora sempre la situazione. Il Vangelo è l’annuncio di pace di Dio per gli uomini e le donne.

 

martedì 15 dicembre 2020

CERCATE IL SIGNORE VOI TUTTI POVERI DELLA TERRA!

 



Paolo Cugini

 

 Lascerò in mezzo a te un popolo umile e povero” (Sof 3, 12). Che cosa dignifica questo popolo umile e povero? Lo stesso Sofonia qualche versetto prima ci offre una risposta: “Cercate il Signore voi tutti poveri della terra, che eseguite i suoi ordini, cercate la giustizia, cercate l’umiltà” (Sof 2,3). I profeti sanno che i poveri sono innanzi tutto gli oppressi, perciò essi reclamano giustizia per i deboli e i piccoli e gli indigenti. Con Sofonia c’è qualcosa di nuovo perché gli anawim sono “gli israeliti sottomessi alla volontà divina” (nota Bibbia di Gerusalemme). Ai poveri sarà inviato il messia (Is 61,1; Sal 72, 12s) ed egli stesso sarà umile e dolce (Zc 9,9) e anche oppresso (Is 53,4; Sal 22, 25). C’è quindi una povertà biblica, evangelica che diventa spazio dell’incontro con Dio e anche conseguenza per coloro che vogliono seguire il Signore da vicino. Povertà come rinuncia alle altre parole per fare spazio alla Parola. Il cristiano come povero in quanto spogliato dalla Parola e rivestito dei doni del Signore. Povertà evangelica come essenzialità, cammino alla ricerca di una ricchezza di significato, di senso della vita, che si libera dalla ricerca spasmodica di quello che il mondo può offrire. Povertà evangelica come cammino di libertà, di fiducia nella presenza del Signore che riveste i suoi piccoli di luce, pace, amore, gioia. “Cercate il Signore voi tutti poveri della terra”: è la più bella scoperta del tempo di avvento.



I pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel Regno di Dio” (Mt 21,31). Passano davanti a chi? Lo dice al versetto 23 del capitolo 21 di Matteo: i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo. L’affermazione di Gesù sembra un paradosso, ma che contiene una verità profonda. Coloro che avrebbero dovuto riconoscerlo e comprendere la sua Parola, sono stati invece coloro che lo hanno criticato e trattato come un farabutto, mentre i pubblicani e le prostitute hanno visto nell’azione e nella Parola di Gesù una possibilità di salvezza. In Gesù i pubblicani e le prostitute hanno incontrato quella giustizia e misericordia che non trovavano nel tempio e nei suoi rappresentanti. 



Con questa affermazione forte Gesù offre una grande indicazione che vale la pena ascoltare e approfondire. C’è una religione che invece di avvicinare a Dio allontana. C’è tutta una struttura religiosa che ha imparato a utilizzare Dio per raggiungere i propri fini. Gesù smaschera la religione del tempio che è divenuta la religione degli uomini e, per questo, provoca l’ira dei suoi costruttori al punto che lo metteranno a morte. Nell’affermazione paradossale di Gesù c’è un’indicazione chiarissima su un aspetto, vale a dire, la critica alla supponenza degli uomini, all’autosufficienza, al credere di bastare a sé stessi. E poi si vede molto bene la differenza tra la verità che viene da Dio e quella costruita dagli uomini, Infatti, mentre la prima è sempre a servizio degli altri e, di conseguenza, si manifesta nell’umiltà, nella pace e nella carità, quella degli uomini è arrogante, a servizio esclusivo dei propri interessi e, di conseguenza, si manifesta nella violenza, prepotenza e nell’egoismo.  

 

sabato 12 dicembre 2020

SIATE SEMPRE LIETI- TERZA DOMENICA DI AVVENTO/B

 



Paolo Cugini

 

 

 Lo spirito del Signore Dio è su di me perché il Signore mi ha consacrato con l'unzione; mi ha mandato a portare il lieto annunzio ai miseri, a fasciare le piaghe dei cuori spezzati, a proclamare la libertà degli schiavi, la scarcerazione dei prigionieri, a promulgare l'anno di misericordia del Signore, un giorno di vendetta per il nostro Dio, per consolare tutti gli afflitti, per allietare gli afflitti di Sion, per dare loro una corona invece della cenere, olio di letizia invece dell'abito da lutto, canto di lode invece di un cuore mesto (Is 61, 1-3).

Quando penso al Vangelo e alla proposta specifica di Gesù, mi vengono alla mente le parole del profeta Isaia proclamate nella prima lettura di oggi. Il Vangelo per me è questa ventata di libertà, questo cammino di liberazione per tutti coloro che vivono situazioni di schiavitù e di oppressione. Il Vangelo è una proposta per i poveri del mondo, per gli esclusi, gli emarginati, gli indeboliti, per tutti coloro che dalle logiche del mondo vengono ogni giorno massacrati, umiliati, messi ai margini. Il Vangelo è la certezza che c’è qualcuno da qualche parte, che pensa a tuta questa umanità afflitta, che poi è la stragrande maggioranza, ma che viene messa ai margini da una minoranza di persone che pensano solo a loro stessi. Ecco perché il Vangelo è come un balsamo, un aroma profumato, una ventata di aria pura, un soffio di speranza. Il Vangelo ridà dignità a coloro che ogni giorno vengono calpestati nei loro diritti, che vengono umiliati con la prepotenza dei violenti senza scrupoli. Non a caso Gesù, nel Vangelo di Luca, legge proprio questo brano di Isaia e lo fa suo, identificandosi con questa proposta. In questo tempo di avvento, che stiamo vivendo in preparazione del Natale, è importante recuperare l’origine della proposta di Gesù, assaporarne la bellezza e, allo stesso tempo, la forza e la determinazione. Gesù è l’amore del Padre che è venuto sulla terra, prendendo dimora in mezzo a noi e dicendoci chiaramente senza mezzi termini e lisciate diplomatiche da che parte sta, vale a dire, dalla parte degli ultimi, degli impoveriti, di tutti coloro che sono umiliati. Gesù è venuto per dire a coloro che vivono il peso insopportabile dell’umiliazione quotidiana che Lui sta dalla loro parte, è con loro, li rialza e li fa sedere alla sua mensa. Questo è il senso autentico dell’eucarestia che, prima di essere un rito, indica uno stile di vita, un modo nuovo di stare al mondo. La Chiesa, allora, dovrebbe incarnare questo respiro grande, questa presa di posizione chiara. Dovrebbe essere evidente al mondo che la Chiesa è sulla terra per continuare il cammino di liberazione degli schiavi inaugurato da Gesù. Chi entra in una comunità cristiana alla domenica mentre celebra l’eucarestia, dovrebbe percepire lo stile da tenda da campo, per dirla alla Papa Francesco, che si china a curare le ferite dei cuori spezzati e a ridare dignità agli afflitti, più che curare gli orpelli o i turiboli.



 E questa è la testimonianza di Giovanni, quando i Giudei gli inviarono da Gerusalemme sacerdoti e leviti a interrogarlo: «Chi sei tu?».  Egli confessò e non negò, e confessò: «Io non sono il Cristo». Allora gli chiesero: «Che cosa dunque? Sei Elia?». Rispose: «Non lo sono». «Sei tu il profeta?». Rispose: «No».  Gli dissero dunque: «Chi sei? Perché possiamo dare una risposta a coloro che ci hanno mandato. Che cosa dici di te stesso?».  Rispose: «Io sono voce di uno che grida nel deserto: Preparate la via del Signore, come disse il profeta Isaia» (Is 1, 19-23).

Con che sicurezza e prontezza Giovanni Battista risponde ai sacerdoti e ai leviti che lo interrogavano sulla sua identità! È un aspetto che merita di essere considerato. Giovanni Batista, che viveva nel deserto, con quello stile di vita sobrio e essenziale che faceva ricordare il profeta Elia, sa molto bene chi è, ha chiara la propria identità e, per questo, è un punto di riferimento così chiaro e cristallino, che dalla città di Gerusalemme la gente esce per dirigersi a lui. Giovanni Battista è, in primo luogo, colui che sa chi è, che conosce il proprio cammino, che non può essere confuso con altri. Da un punto di vista spirituale, potremmo dire che, il primo effetto significativo del tempo di avvento, dovrebbe consistere nella possibilità di recuperare la chiarezza con noi stessi, la nostra identità, il nostro cammino. Giovanni Battista c’insegna che il silenzio e una vita sobria e essenziale sono strumenti importanti per questo percorso di recupero della propria identità che, prima di essere un concetto rigido, è una conquista di una vita docile alla Parola del Signore e, soprattutto, espressione di quell’amore a sé stessi, così importante per essere poi capaci ad amare gli altri. Tempo di avvento come tempo propizio per darsi tempo, per prendersi dei tempi e dei momenti per curare la propria anima, sull’esempio di Giovanni Battista e, poi, del Signore Gesù.



 State sempre lieti, pregate incessantemente, in ogni cosa rendete grazie… Il Dio della pace vi santifichi interamente (1 Ts 5, 16.23).

Se Dio è tutto per noi, se il Vangelo ci riempi la vita con la sua proposta di speranza, perché essere nell’angustia? Le parole di Paolo sono il più bell’augurio per tutte le comunità cristiane che, ogni giorno, assimilano il Vangelo e cercano di viverlo creando relazioni non fondate sullo spirito di sopraffazione sull’altro, ma sulla gratuità e il dono di sé. Siate sempre lieti: è l’augurio che oggi Paolo ci fa nella seconda lettura. Togliamo, allora, ogni tristezza dal nostro volto; riempiamoci dell’amore che lo Spirito del Signore ci dona gratuitamente per donarlo alle persone che abbiamo vicino e che incontriamo nel nostro cammino. Siate lieti!

sabato 5 dicembre 2020

CONSOLATE CONSOLATE IL POPOLO MIO! SECONDA DOMENICA DI AVVENTO B

 



Paolo Cugini

 

Egli preparerà la tua via” (Is 40, 3). C’è una proposta di grande speranza nelle letture di oggi. Da una parte c’è un’umanità che non riesce a strutturarsi nel bene, dall’altra ci sono i profeti che vedono cose nuove, strane, tutte all’opposto di ciò che si penserebbe e che ci si aspetterebbe. I profeti sono persone che vivono una particolare esperienza esistenziale, che vedono cose che gli altri non vedono, che cercano qualcosa che l’umanità non considera, che hanno gli occhi spalancati su ciò che l’umanità li ha chiusi. E allora vedono l’invisibile, l’impercettibile, percepiscono un cammino nascosto dentro la storia, un cammino di vita nuova in mezzo a situazioni vecchie, un cammino non condizionato dall’egoismo umano, ma da una qualità di vita diversa e per questo viene chiamata: via del Signore. C’è questo cammino nuovo che siamo invitati a percorrere all’inizio di questo nuovo anno liturgico, cammino che forse a tratti abbiamo già percorso, ma che probabilmente non siamo riusciti a gustare fino in fondo, perché distratti da altri cammini ritenuti superficialmente più allettanti perché più immediati. E allora, il grido che oggi esce dal deserto è quello di riscoprire la bellezza di una relazione nuova, che esige attenzione, riscoprire il gusto di una vita piena che viene non dai calcoli dei propri sforzi, ma dall’accoglienza umile del dono di un sorriso, di un abbraccio, di uno sguardo del fratello e della sorella accanto a noi. Piccole cose, ma che dicono che la grandezza di quello che noi chiamiamo Dio è passata attraverso le parole, gli sguardi e le attenzioni del suo figlio amato per coloro che gli erano vicini. Accogliendo il suo Spirito c’impegniamo a fare altrettanto. È questo quel cammino nuovo che, non a caso, veniva identificato con la Chiesa che, prima di essere un edificio o una gerarchia, è uno stile di vita.




Consolate, consolate il popolo mio” (Is 40,1). Come fa l’anima rimanere insensibile dinanzi a questo annuncio? C’è un desiderio percepito dal profeta di curare la vita ferita del popolo d’Israele, umiliato nella terra d’esilio. Da dove viene questo desiderio? Il profeta lo coglie come un volere di Dio. C’è una volontà di vita autentica che è dentro la storia e che è più forte delle debolezze umane, dell’incapacità dell’uomo e della donna di vivere bene la propria vita. C’è qualcosa di più forte del male dell’uomo e della donna e questa forza positiva è colta dal profeta come realtà sovrasensibile, come qualità spirituale indistruttibile. Non solo, ma questa consolazione che viene dal cuore della storia e che ha il sapore della misericordia del Dio che è Madre e Padre, s’inserisce nel desiderio di pace dell’uomo e della donna e per questo viene percepito con una gioia immensa. “Tutti gli uomini insieme la vedranno” (Is 40, 5). Per chi nella vita è già passato da esperienze di esodo, di esilio, di fuga da situazioni di violenza, sa come da queste terre altre, la mente e il cuore umano rimangano avvinghiate al proprio passato, nella speranza continua di tornare alla terra natale. Il grido di consolazione lanciato da Isaia è diretto al popolo d’Israele in esilio a Babilonia, risuona nel cuore dell’umanità di tutti i tempi, quell’umanità che non accetta le situazioni violente e aggressive come un destino inoppugnabile, ma che cerca con tutte le forze esistenziali e spirituali un futuro che assomigli il più possibile al passato di gloria infisso nella memoria. C’è un desiderio di vita autentica dentro al cuore dell’umanità, che coincide con il desiderio del Dio della rivelazione manifestato nel Suo Figlio Gesù, un desiderio di amore infinito che non può che donarsi continuamente perché è donandosi che genera vita. La Parola che ascoltiamo nelle liturgie è un continuo richiamo a quella vita autentica manifestatasi nel Figlio e che sentiamo profondamento nostra, nonostante tutto. E’ questa, allora, la nostra consolazione, vale a dire, che quel desiderio di vita che abbiamo nel cuore e che spesso non riusciamo ad esprimere, verrà manifestato definitamente dal Figlio ad un livello così alto che ci sarà donato gratuitamente dal Suo Spirito.




Preparate la via del Signore” (Is 40,3). E’ così grande il dono che arriva annunciato dal profeta, la consolazione insperata, che all’uomo e alla donna non tocca altro che prepararsi a questo dono. Il dono precede lo sforzo e, in un certo senso, lo sostiene e lo orienta. Cogliere questo dettaglio è di fondamentale importanza per non far scivolare il discorso sul piano morale che provoca i sensi di colpa, tipici di una prospettiva religiosa. Anzi, se c’è una prospettiva che queste pagine della seconda domenica di avvento vogliono sottolineare, è proprio questa uscita dalla prospettiva religiosa per entrare nella dimensione della fede che, invece di sacrifici, sforzi, esige amore, accoglienza, gratitudine. Uscire dalla logica religiosa, significa quindi abbandonare la logica del merito per entrare nella relazione materna e fraterna della vita in Cristo. E infatti, non è un caso se il popolo d’Israele per trovare una nuova relazione con Dio esce da Gerusalemme dove c’è il tempio, che simbolizza la religione per antonomasia, ma che non è stata in grado di riempire di senso la vita del popolo, e va verso il deserto per ascoltare la voce di un profeta: Giovanni battista, che incarna il nuovo Elia (a questo punto si potrebbero fare delle attualizzazioni stupende: le lascio alla fantasia dei lettori). “Accorrevano a lui tutta la regione della giudea e tutti gli abitanti di Gerusalemme” (Mc 1, 5). D’ora innanzi, il senso di una vita piena, che consiste in relazioni umane fondate non sul merito, ma sul dono di sé, proprio come ci mostrerà Gesù, che non a caso Marco definisce figlio di Dio e non di Davide, per indicare una netta presa di distanza dal dio violento e guerriero del re di Gerusalemme, mostrando in questo modo il volto nuovo di Dio che verrà presentato dal suo Figlio, l’amato, il volto della misericordia, della pace, che si diffonde nell’umanità attraverso il dono del suo spirito. “Egli vi battezzerà in Spirito Santo” (Mc 1,8).