XXIV DOMENICA DEL
TEMPO COMUNE
Sir 27,30-28,9; Sal 102; Rm
14,7-9; Mt 18,21-35
Paolo Cugini
Continua
la lettura del capitolo 18 del Vangelo di Matteo che stiamo ascoltando in
questo anno liturgico. Si tratta del capitolo che ha come tema la Chiesa. Dal
punto di vista generale il dato interessante è che, quando Gesù parla di Chiesa,
non ha in mente la gerarchia, l’istituzione, ma la relazione dei fratelli e
delle sorelle all’interno della comunità. Del resto, sappiamo bene quanta
attenzione metteva Gesù nel dialogo quotidiano con i discepoli e le discepole
al punto che, dopo ogni parabola, dedicava loro tempo per spiegarne i passaggi affinché
potessero comprenderla. È in questa prospettiva, dunque, che va letta la pagina
del Vangelo di oggi, perché il contenuto rivela un aspetto che per Gesù è
fondamentale che sia presente nella comunità, vale a dire il perdono. Approfondiamo
il discorso.
Il
regno dei cieli è simile a un re che volle regolare i conti con i suoi servi. La parabola che Gesù racconta serve per
spiegare il mistero della misericordia. Sono due episodi che si sovrappongono e
provocano un contrato stridente. Due episodi con un contenuto e con una
dinamica simile, ma con la conclusione opposta. Mentre nel primo caso l’uomo
che supplica il padrone ottiene il perdono, nel secondo caso no. Conclusioni
diverse ma legate tra loro. Infatti, nella parabola è contenuta la spiegazione
della domanda di Pietro che si trova all’inizio del brano: Pietro si
avvicinò a Gesù̀ e gli disse: «Signore, se mio fratello commette colpe contro
di me, quante volte dovrò̀ perdonargli? Fino a sette volte?». E Gesù̀ gli
rispose: «Non ti dico fino a sette volte, ma fino a settanta volte sette. In
gioco non c’è solo il problema del perdono, che di per sé non è semplice, ma
anche la ripetitività del gesto: settanta volte sette, cioè sempre.
“Non
dovevi anche tu aver pietà del tuo compagno, così come io ho avuto pietà di
te?”. È questo versetto il centro di tutta la parabola:
dobbiamo perdonare i fratelli e le sorelle perché noi stessi siamo stati
perdonati. La nostra vita di fede nasce da una scelta di misericordia di Dio
per l’umanità. La stessa creazione è un atto di amore che manifesta il senso
della vita come uscita da se stessi verso gli altri. Perdonare significa, in
questa prospettiva, collaborare al progetto di creazione di Dio che desidera la
vita per tutti e tutte. Tutte le volte che non perdoniamo il fratello e la sorella
non permettiamo la possibilità di un nuovo inizio provocando cammini di disperazione.
Al contrario, il perdono permette alla persona coinvolta di rialzarsi per
riprendere il cammino. Misericordia è vita: è questo il grande messaggio della
liturgia di oggi.
Se
è vero, inoltre, che siamo chiamati a perdonare perché per primi siamo stati
perdonati, la mancanza di perdono nei confronti dei fratelli e delle sorelle
mette in discussione l’autenticità del nostro cammino di fede. Chi non perdona è
lontano dal Vangelo perché non sta permettendo allo Spirito Santo di entrare e
di operare. Infatti, uno degli aspetti più significativi dello Spirito Santo è
che, in tutto coloro che l’accolgono con fede, riproduce in noi gli stessi
tratti dell’umanità di Gesù. In altre parole, lo Spirito Santo ci cristifica,
come dice san Paolo quando, nella lettera ai Galati afferma: “figli miei, che io di nuovo
partorisco nel dolore finché Cristo non sia formato in voi! (Gal 4,19). Ebbene, tra i tratti dell’umanità
di Gesù che lo Spirito forma in noi c’è senza dubbio il perdono, la
misericordia. Ecco perché possiamo tranquillamente affermare che chi non
perdona il fratello e la sorella della comunità è molto lontano da Cristo.
Rancore
e ira sono cose orribili, e il peccatore le porta dentro. Chi si vendica subirà̀
la vendetta del Signore, il quale tiene sempre presenti i suoi peccati. (Sir 27,33s).
Il tema del perdono lo troviamo in una forma avanzata, vale a dire molto simile
alle argomentazioni del Vangelo, anche in alcuni brani dell’Antico Testamento. Sappiamo
con il tema della vendetta e della logica dell’occhio per occhio e dente per
dente, sia stato uno dei perni della legge mosaica, Lentamente, comunque, anche
attraverso la predicazione profetica, la riflessione biblica giunge a percepire
l’importanza del perdono come manifestazione della misericordia di Dio. I versetti
del libro del Siracide, che tra l’altro è molto recente e quasi contemporaneo a
Gesù, dimostrano questo cammino spirituale. Perdona l’offesa al tuo prossimo
e per la tua preghiera ti saranno rimessi i peccati. C’è la percezione che
il perdono dei peccati incida nella vita spirituale: come mai? Per le ragioni
che dicevamo sopra e cioè che ogni volta che perdoniamo collaboriamo al progetto
creativo di Dio e non interrompiamo il desiderio di vita che esce da Dio,
desiderio che rimane interdetto quando la persona s’indurisce nelle proprie
posizioni e non perdona. La vera spiritualità, dunque, quella che nasce dall’incontro
con Gesù, conduce al perdono e alla misericordia e, quando questa è messa in
circolo, rigenera la comunità.
Egli perdona tutte le tue colpe, guarisce tutte le tue infermità̀, salva dalla fossa la tua vita, ti circonda di bontà̀ e misericordia (Sal 102). Facciamo nostre le parole del Salmo che ci ricorda l’azione del Signore nella nostra vita, che ci perdona e ci salva dalla fossa affinché abbiamo vita in abbondanza.
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