lunedì 15 aprile 2024

SOVVERTIRE LE USANZE

 


Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato (At 6.8). Il problema è il sovvertimento delle tradizioni, che la proposta di Gesù sembra provocare. Non c’è la messa in discussioni delle tradizioni, ma la preoccupazione che rimangano inalterate. Anche perché, ormai, con l’azione e l’attività delle prime comunità cristiane, la parola è uscita nella storia e sta divenendo realtà. È il modo di vivere dei cristiani che preoccupa il potere, perché è così diverso da smascherare l’inganno delle false tradizioni, che il potere politico e religioso ha imposto nel tempo. Il problema, a questo punto, diventa il popolo semplice, che non s’interroga e che non ha la forza di contrastare il peso delle tradizioni. Gesù, invece, ha gli argomenti che dimostrano l’inganno delle tradizioni umane che si sono sostituite addirittura alla Parola di Dio (cfr. Mc 7, 1s).

In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati (Gv 6,26). Versetto molto legato a quello precedente degli Atti. C’è una materialità nella sequela che va tenuta conto. Ci sono delle domande che sorgono nella vita religiosa che non hanno un carattere spirituale, ma materiale. Le tradizioni nascono proprio perché offrono risposte ai problemi materiali. Senso di sicurezza, è questo che offrono le tradizioni, che s’inseriscono perfettamente sull’istinto di sopravvivenza. Il nuovo provoca tensioni, destabilizza e, per questo, è rifiutato. L’annuncio di Gesù è destabilizzante proprio perché mette in crisi le istituzioni, le tradizioni, mostrandone i limiti e, spesso e volentieri, la falsità. Ci sono infatti tradizioni, che ingannano l’uomo, e sono create proprio per servire il potere. È di questo tipo di tradizioni fraudolente che il Vangelo diventa corrosivo, perché mostrandone l’inganno, allo stesso tempo indica il cammino per una trasformazione che deve giungere ad una sostituzione. 

giovedì 11 aprile 2024

DENTRO LA STORIA

 



 

Paolo Cugini

Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5). Che cosa significa, concretamente, questa frase dell’apostolo Pietro? Come si fa ad obbedire a Dio? C’è un cammino di discernimento da compiere che passa attraverso un duplice percorso. Il primo è la relazione con il Signore, la sua Parola assimilata quotidianamente nella meditazione e nella riflessione si personale che comunitaria. Il secondo è la costante attenzione alla realtà, al vissuto quotidiano.

 È infatti nel presente della storia che è possibile scorgere gli indizi della presenza del risorto. Fare la volontà del Signore, dunque, non è l’indicazione dell’osservanza di parole, ma l’attenzione ad una presenza che indica un cammino che è dentro la storia, che porta i tratti dell’umanità del Signore, delle sue attenzioni.

Questo, a mio avviso, è il significato di una spiritualità autentica, che non conduce le persone fuori dalla storia, in un mondo altro ma, al contrario, dentro alla storia, estremamente inserite nelle dinamiche del vissuto quotidiano, per viverle con il nuovo stile proposto da Gesù.

 

sabato 6 aprile 2024

ASCENSIONE DEL SIGNORE/C – SOLENNITA’

 




Atti 1, 1-11; Sale 47; Ef 1,17-23; Lc 24,46-53

Paolo Cugini

 

La solennità dell'Ascensione del Signore, che celebriamo oggi, deve aiutarci a comprendere il senso della missione della Chiesa nel mondo e anche del nostro battesimo, dato che è in questo sacramento che riceviamo lo Spirito Santo. Infatti, è nell'Ascensione del Signore che i discepoli ricevono il mandato di annunciare il Vangelo a tutte le genti. Il compito della Chiesa, quindi, è quello di essere testimone di Cristo. Inoltre, l'Ascensione del Signore ci insegna che il Vangelo non è solo un annuncio terreno, che si conclude sulla terra. Il Vangelo non è un codice di comportamento morale, ma è l'indicazione di un cammino che ha come meta l'incontro con il Padre. Così come Gesù è passato, attraverso la sua passione e morte, da questo mondo al Padre (Gv 13) - questo è il senso della sua Pasqua: anche noi dobbiamo ascoltarlo per poter passare con Lui da questo mondo al Padre. Per questo siamo invitati ad annunciare al mondo il suo Vangelo, sua unica via di salvezza. E qui sorge il problema: come è possibile annunciare questo cammino di salvezza?

Fu a loro che Gesù si mostrò vivo dopo la sua passione (At 1, 3).

Il primo criterio per testimoniare Gesù nel mondo è conoscerlo, conoscere Lui. Gesù non è un'idea astratta, ma una persona concreta, Gesù non è una creazione letteraria, non è il frutto della fantasia umana. Gesù è Dio che si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi: è Dio che si è avvicinato a noi. Ecco perché è impossibile conoscere Gesù se non attraverso un'esperienza viva, autentica, profonda. Gesù non manda i discepoli ad annunciare un'idea, o qualcosa del genere, ma quell'esperienza specifica che hanno avuto con il Signore. Non è un caso che Gesù, dopo la sua morte e risurrezione, sia apparso solo ai suoi discepoli, a coloro, cioè, che hanno saputo riconoscerlo. Pertanto, alla radice della nostra testimonianza – poiché questo è il senso del nostro battesimo! – deve esserci la nostra esperienza con il Signore Gesù. Non possiamo annunciare Cristo se non lo conosciamo. Nella prima lettera, Giovanni riporta questa stessa riflessione: ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo toccato con le nostre mani, ve lo annunziamo (cfr 1 Gv 1,1-4). La vita cristiana non è fatta solo di parole, ma di autentica esperienza con Cristo. È la conoscenza di Lui che ci permette di conoscerlo e, quindi, di comunicarlo al mondo.

Riceverete potenza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi (At 1,8).

La conoscenza esperienziale e personale del Signore, però, non basta: occorre lo Spirito Santo. Solo lo Spirito di Dio può dare ai discepoli il coraggio di annunciare, di testimoniare il Signore risorto in un mondo che lo odia, che lo massacra, che odia Dio e, di conseguenza, odia tutti coloro che parlano del Figlio. Questo coraggio non è una forza psicologica, di origine umana, ma qualcosa che viene da Dio, dal suo Spirito.

C'è qualcosa di più. Per essere testimone ci vuole la forza che deriva dall'essere credibili. Ciò significa che, se vogliamo essere testimoni del Signore, il nostro incontro con Lui deve aver cambiato significativamente la nostra vita. Come possiamo, infatti, annunciare l'amore di Cristo ai nostri nemici se odiamo qualcuno? Come possiamo essere testimoni della comunione di Cristo se siamo strumenti di lotte e di difficoltà? Come possiamo essere testimoni della morte di Cristo che ha perdonato i nostri peccati, se non siamo capaci di perdonare? Come possiamo annunciare l'amore di Cristo ai poveri se passiamo il nostro tempo ad accumulare ricchezze, diventando così strumenti di ingiustizia? Testimoniare significa raccontare ciò che Gesù ha fatto non solo con le parole, ma anche e, soprattutto, con la nostra stessa vita.  La verità di ciò che annunciamo deve essere ben visibile nella nostra carne, nella nostra storia. Testimoniare non significa dire quello che ha fatto Gesù, ma quello che Gesù ha fatto per me, la salvezza che ha portato nella mia vita. Se siamo chiamati ad annunciare la Salvezza che Cristo ha operato nella storia attraverso la sua passione, morte e risurrezione, allora tutto questo deve essere scritto nella nostra vita, deve essere ben visibile nella nostra carne, nel nostro modo di essere, di vivere, di pensare . Ciò diventa possibile solo se l'incontro con il Signore ha veramente portato salvezza nella nostra esistenza. Solo allora le parole diventano credibili, raggiungendo un peso e una forza impressionanti, che penetrano nel cuore del mondo, sconvolgendolo, preoccupandolo, prendendolo sul serio. Per questo san Luca, poco dopo negli Atti degli Apostoli, nel capitolo quarto, narra come si era strutturata la comunità dei primi cristiani, a seguito della predicazione dei discepoli.

La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede erano di un solo cuore e di una sola anima. Nessuno ha detto che la sua proprietà era ciò che possedeva, ma tra loro tutto era in comune (At 4,32).

Per questo la predicazione dei discepoli attirava le folle: non era un problema di discorsi e di capacità retoriche, ma di testimonianza. Ciò che i discepoli annunciavano, cioè la salvezza mediante il Vangelo di Gesù (cfr 1Cor 15,1-3) era chiaramente visibile nelle loro comunità, fatte di persone che nel nome di Gesù vivevano in modo totalmente nuovo, non più animato dall'egoismo umano che provoca solo divisioni e rivalità, ma dall'amore di Gesù che suscita tra loro la carità e la condivisione.

Quali sono i segni che lo Spirito Santo produce nella nostra umanità che rendono credibile il nostro annuncio?

Innanzitutto, l'umiltà. Infatti, solo Dio dovrebbe essere glorificato attraverso la nostra azione. Solo lo Spirito può produrre in noi questo sentimento fondamentale della vita cristiana, così presente nella vita di Cristo.

In secondo luogo, la gioia. I cristiani sono gioiosi non per il loro conto in banca o altri beni materiali, ma perché vivono con Gesù. Questo intendeva Santa Teresa di Gesù quando scriveva: “Chi ha Dio non manca di nulla. Solo Dio è sufficiente”.

Chiediamo a Dio che in questa Eucaristia che stiamo celebrando, lo Spirito Santo possa produrre nella nostra vita quell'umiltà e quella gioia tanto necessarie per l'autentica testimonianza del suo Vangelo.

 

venerdì 5 aprile 2024

XI DOMENICA TEMPO ORDINARIO /C

 




2 Sam 12,7-10.13; Sale 32; Gal 2,16,19-21; Lc 7,36-8,3

 

 

 

 

Il tema di questa Undicesima Domenica del Tempo Ordinario è il perdono. È un tema estremamente importante, poiché ci mette in guardia su uno degli aspetti specifici della vita cristiana, uno degli elementi che fanno la differenza nell'esperienza cristiana. La sequela di Gesù, che nasce dalla fiducia in Lui, deve produrre un modo diverso di vivere: è questo modo che muove il mondo, provocandolo, interrogandolo. Questo nuovo modo di vivere, ben visibile in Gesù e che lo Spirito Santo vuole formare in noi, si manifesta in alcuni atteggiamenti, uno dei quali è senza dubbio la capacità di perdonare e pentirsi degli errori commessi. Solo lo Spirito è capace di realizzare questo nella vita delle persone, poiché siamo umanamente portati dal nostro orgoglio a chiuderci, ad indurirci. È lo Spirito Santo che scalda il cuore, lo intenerisce, lo addolcisce affinché diventi capace di tornare indietro, di vincere la resistenza naturale dell'orgoglio e di cercare la misericordia di Dio. Se siamo qui attorno a questo tavolo è perché riconosciamo implicitamente la nostra incapacità di controllare il nostro orgoglio e, allo stesso tempo, ci rendiamo conto della bellezza di una vita liberata da ogni forma di risentimento. Ecco perché è importante ascoltare le letture di oggi, per comprendere il cammino che Gesù ci invita a percorrere nella prospettiva di una vita più umana, più dignitosa.

La scena che ascoltiamo nel Vangelo si svolge nella casa di un fariseo. Gesù sceglie di annunciare la Parola di Dio in ogni situazione: per questo lo troviamo nelle piazze, nelle strade, nelle case. Questa libertà di azione dovrebbe insegnarci qualcosa sulle strategie di evangelizzazione, soprattutto nel nuovo contesto culturale che si sta formando, un'evangelizzazione che non aspetta le persone, ma le incontra là dove sono. È nella casa del fariseo che avviene l'evento che diventa vangelo: «Una donna, conosciuta in città come peccatrice, seppe che Gesù era a tavola con il fariseo...».

Questo versetto evidenzia l'incontro di due libertà: la libertà di Gesù che entra in relazione con qualsiasi persona, senza fare distinzioni di classe, genero, razza e, dall'altra, la libertà della donna, che infrange il protocollo e, nonostante la sua condizione di peccatrice, entra nella casa del fariseo e si prostra ai piedi di Gesù, toccandolo. Perché la donna si è comportata in questo modo? Forse perché intravedeva la bontà in Gesù; notò in lui uno sguardo diverso, un atteggiamento misericordioso. Questa è già una grande domanda per noi: cosa vedono le persone in noi? Forse le persone si allontanano dalla Chiesa o dalla comunità a causa della nostra presa di posizione, della nostra durezza di cuore, del nostro modo di giudicare, di escludere i nostri fratelli e sorelle. È il modo di vedere la realtà osservato dal fariseo che ospitò Gesù in casa: «Vedendo ciò, il fariseo che lo aveva invitato pensava: se costui fosse un profeta, saprebbe che specie di donna lo tocca." (Vidi).

Il fariseo guarda la realtà esterna, non la penetra, guarda e giudica secondo schemi culturali, pregiudizi. Sembra che per il fariseo la conoscenza biblica sia puramente materiale, non plasma la realtà, ma è la realtà materiale a dominare anche i contenuti biblici. Lo sguardo di Gesù è molto diverso. Osserva l'atteggiamento della donna senza lasciarsi filtrare da pregiudizi culturali. Gesù guarda la donna come la guarda il Padre, non con uno sguardo di condanna, ma piuttosto di misericordia e di benevolenza. «Voglio misericordia, non sacrificio» (cfr Mt 12). Questo insegnamento profetico, che troviamo ripetuto più volte da Gesù, soprattutto nel Vangelo di Matteo, detta il modo in cui Gesù guarda la realtà, le persone. Infatti, in questi versetti, come in altri, Gesù non si lascia distrarre dalle apparenze materiali, ma penetra nel cuore delle persone, guarda le intenzioni dietro le loro azioni.

 

 «Io vi dico: i tanti peccati che ha commesso le sono perdonati perché ha mostrato molto amore (Lc 7,47).

Ecco ciò che Gesù guarda: l'amore. E, in questo caso specifico, l’amore si manifesta come pentimento, come umiliazione davanti al Signore della misericordia. Per Gesù l’umiltà di questa donna peccatrice vale molto di più di tutta la saggezza e la potenza del fariseo. Queste parole di Gesù, piene di gentilezza e di misericordia, sono un balsamo nella nostra vita di fede, poiché provocano la ricerca dell'essenziale, di ciò che vale di più, ad abbandonare e lasciare ciò che è in eccesso, ciò che è superfluo nel mondo. cammino alla sequela di Gesù. Se la partecipazione alla vita della Chiesa non produce amore, umiltà, disponibilità al pentimento, non serve a nulla. Se seguire Gesù non ci rende più umani, più sensibili, più attenti alle persone e meno legati all’esterno, alla ricerca delle apparenze, questo cammino è inutile. Questo è ciò che appare molto bene nel paragone che Gesù fa tra l'atteggiamento del fariseo e quello della donna.

  “Vedi questa donna? Quando sono entrato in casa tua, non mi hai offerto l'acqua per lavarmi i piedi, ma lei mi ha bagnato i piedi di lacrime...” (Lc 7,44s).

  Nella vita di fede dobbiamo essere costantemente attenti a ciò che Dio guarda, dobbiamo prestare attenzione alla sua Parola per cercare ciò che vale la pena e lasciare da parte, ciò che non è utile. Inoltre, se i tanti peccati della donna vengono perdonati, ciò significa che Gesù non si scandalizza della grandezza dei nostri peccati, non è infastidito dai peccati, ma dai peccatori. Il problema di Gesù è la salvezza dei peccatori. Questa stupenda verità evangelica, che rappresenta una meravigliosa rivelazione del pensiero di Dio, dovrebbe produrre nei suoi seguaci una certa liberazione dal formalismo farisaico. A volte siamo così devastati dai nostri peccati, così delusi, che ci allontaniamo persino da Dio. Quando questo accade è perché lo spirito farisaico si è impadronito di noi; è l'orgoglio che non vuole accettare la nostra debolezza. Al contrario, il vero spirito cristiano produce in noi la certezza che saremo sempre perdonati, che non esiste peccato che Dio non possa perdonare. Lo Spirito che riceviamo nei sacramenti ci permette di intravedere nella storia la presenza di una fonte inesauribile di vita, che si manifesta come perdono. È questa consapevolezza spirituale che produce in noi quel movimento che ci porta a mettere le ginocchia a terra, per implorare il perdono di Dio. È la peccatrice pentita che Gesù pone come nostra guida e il fariseo orgoglioso è il cattivo esempio che dobbiamo evitare.

Chiediamo a Dio che questa Eucaristia doni in noi quell'intelligenza spirituale, che ci porta a seguire ciò che Gesù ci propone e ad evitare tutto ciò che è inutile.

X DOMENICA TEMPO ORDINARIO/C

 




1Re 17, 17-24; Sale 130; Gal 1,11-19; Luca 7, 11-17

 

Paolo Cugini

 

Ascoltando le letture di oggi ci si rende conto che il tema centrale è la vita. Infatti, sia nella prima lettura che nel Vangelo, assistiamo al miracolo della risurrezione di qualcuno che era morto. Evidentemente, come sempre, la liturgia ci chiede di andare oltre il dato materiale che i testi offrono, per ricercare il senso nascosto, il senso profondo che solo lo Spirito può rivelarci. Possiamo allora chiederci: cosa possono rivelarci queste letture sul senso della vita? Siamo disponibili a mettere in discussione i nostri stili e le nostre vite? Il cammino di conversione, che è l'obiettivo dell'annuncio della Parola di Dio, ha bisogno di essere attivato da un'anima disposta all'ascolto, a mettersi in discussione, a dubitare delle proprie verità presunte. Solo così lo Spirito del Signore trova uno spiraglio per entrare e immettere il suo respiro, la sua forza vitale.

Quando giunse alla porta della città, videro qualcuno che trasportava un morto (Lc 7,12).

È un versetto dall’incredibile potere paradossale. Gesù è venuto nel mondo e cosa aveva da offrirgli il mondo? Un defunto. È un quadro estremamente drammatico e rivelatore, rivela cioè molto sul senso della venuta di Gesù nella storia. Gesù, durante tutta la sua vita, ha incontrato costantemente un’umanità morta, perché ciò che ha trovato era proprio quella, un’umanità immersa nell’oblio di Dio. Questa pagina, allora, ci arriva con una domanda devastante: come si manifesta la morte nella nostra vita? Che volto presenta la morte nella nostra esistenza? Se tutti hanno il peccato, come sostiene Paolo (cfr Rm 3), la morte è entrata nel mondo a causa del peccato, allora, in ogni caso, la morte agisce nella nostra esistenza. Quello che proponiamo non è pessimismo apocalittico, che guarda solo al lato negativo delle cose, ma è il modo della Bibbia di vedere la realtà. Se Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, questa identità rimane autentica anche quando la vita dell'uomo è orientata verso Dio; altrimenti, quando l’uomo si allontana da Dio, la sua vita non è più un riflesso dell’immagine di Dio, ma del suo egoismo, del suo orgoglio. Dio attraverso il suo Figlio Gesù entrando nel mondo si imbatte in un cadavere: chi è questo cadavere? Solo chi avrà l'umiltà di identificarsi con il cadavere potrà accogliere il soffio di vita che Cristo ha portato. Al contrario, saremo per sempre immersi nella nostra piccola meschina vita, che non sfugge alla chiusura narcisistica, che cerca solo di apparire e cerca questo perché dentro è vuota, morta.

Giovane, ti comando: alzati (Lc 7,14).

È abbastanza sintomatico che le due persone morte e resuscitate nelle due letture di oggi siano un bambino e un giovane: che cosa vuol dire? Forse la Parola di Dio vuole sottolineare il fatto spirituale, che sono le giovani generazioni a rischiare più degli adulti di abbandonare la strada di Dio. Un bambino è molto fragile, ha bisogno di molte cure affinché impari a camminare con sicurezza. La stessa riflessione si può fare per un adolescente e un giovane: quanto è difficile in questa delicata età seguire la strada che Dio indica! Quanto è difficile per un adolescente resistere ai tentacoli della morte che il mondo offre! Quanto è difficile in gioventù discernere il senso profondo della vita dalle illusioni che rovinano l'esistenza! Il problema a questo punto è: cosa fare? Cosa può fare una famiglia, una parrocchia, un cristiano per aiutare il mondo a trovare la vita vera e a rimanervi? Cosa possiamo fare noi che crediamo in Dio affinché i giovani possano incontrare il Signore della vita?

Quando Gesù la vide, ne sentì compassione e le disse: non piangere. Si avvicinò, toccò la bara e quelli che la trasportavano si fermarono. Allora Gesù disse… (Lc 7,14).

Il primo movimento che la Chiesa è chiamata a compiere, di fronte all’umanità immersa nella morte, è provare compassione. È un sentimento profondo, che nasce dalla partecipazione alla visione di Dio sull'umanità, partecipazione che possiamo solo ricevere. Non si tratta di organizzare, progettare, pianificare, ma di sentire, di compassione. È di un cuore compassionevole quello di cui la Chiesa ha bisogno per incontrare l’umanità sofferente. È questo sentimento profondo che produce i due movimenti successivi: avvicinarsi e toccare. L’inerzia di tante comunità e di tanti cristiani è un chiaro sintomo di mancanza di compassione. Chi prova compassione condivide il cuore di Gesù e si sente spinto ad agire, ad avvicinarsi. Questi due verbi menzionati nel testo evangelico, cioè, avvicinarsi e toccare, indicano il cammino che ogni cristiano deve percorrere ogni volta che incontra persone lontane da Dio. È necessario sospendere ogni giudizio negativo e fare di tutto per avvicinarsi e toccare, cioè per formare legami personali. Solo così è possibile pronunciare la Parola di vita. È importante, infatti, sottolineare che Gesù, prima di parlare, si avvicina e tocca il morto. Ciò significa molte cose. Innanzitutto, l'annuncio della Parola ha bisogno delle relazioni umane, infatti la stessa relazione spesso precede e spiega in anticipo il significato della Parola. In secondo luogo, non possiamo fare della Parola un talismano, come se bastasse pronunciarla per avere effetto. Gesù è la Parola di Dio incarnata e questo significa che la Parola di Dio è entrata nella storia, ha assunto la nostra condizione umana e necessita di un tuffo nell'umanità per essere annunciata. La vita cristiana dovrebbe, quindi, aiutarci a diventare più umani, più sensibili alle sofferenze di questo mondo e ad annunciare la Parola come annuncio misericordioso di amore.

Tutto questo è chiaramente visibile nella vita di Paolo. Nella seconda lettura di oggi ascoltiamo il grande cambiamento di vita avvenuto a Paolo dopo l'incontro con il Signore. Una vita che ha prodotto altra vita, avvicinandosi e toccando l'umanità per annunciare a tutti la Buona Novella. Così anche noi, che siamo qui attorno a questa tavola perché il Signore ci tocchi con il suo Corpo, possiamo diventare annunciatori della vita in questo mondo. Sta a noi trasformare questa Eucaristia in un nuovo stile di vita che coinvolga tutti e tutti quelli che incontriamo durante la settimana.

VI DOMENICA TEMPO ORDINARIO C

 





Ger 17,5-8; Sale 1; 1Cor 15, 12.16-20;Lc 6,17.20-26

 

 Paolo Cugini

 

 Riuscire a non turbare una liturgia della Parola come questa non è facile. Per commentare questa Parola in modo che penetri nel cuore delle persone con tutta la forza di cui Essa è costituita, è necessario camminare in modo molto coerente con il contenuto del testo. Perché il pericolo costante del predicatore è quello di diluire il contenuto della Parola secondo i propri limiti, cioè di non lasciare che la Parola dica quello che voleva dire, ma trascinarla dalla propria parte, giustificando così la propria mancanza di fede, l’incapacità di seguire Gesù con quella coerenza di vita che il Vangelo esige. In questo modo, non solo il predicatore non si converte, ma anche il popolo di Dio, soprattutto quello più debole nella fede, che non si sforza di informarsi leggendo e sfogliando il testo della Scrittura, ma si lascia trascinare dal discorso del predicatore. Infatti, di fronte alle Parole appena ascoltate, possiamo riflettere entrando in noi stessi e pensando: “Come mai gli uomini, le donne di fronte ad una Parola come questa, continuano a mantenere lo stesso sistema corrotto che si nutre di ignoranza e pigrizia? ".

 «Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che ora avete fame... Beati voi che ora piangete... Beati voi quando gli uomini vi odieranno... a causa del Figlio dell'uomo (Lc 6,20s).

Parole impressionanti che richiedono una pausa di riflessione. In realtà, queste sono parole che contraddicono ciò che viviamo quotidianamente, dove i poveri vengono sminuiti, umiliati e massacrati. I poveri soffrono, soprattutto, perché sono umiliati nella loro dignità: sono degradati, considerati come persone di seconda fascia. Ecco perché i poveri non si piacciono e spesso cercano di mascherare la propria condizione sociale, per sentirsi accolti come persone e non rifiutati come qualsiasi altro animale. È questa persona umiliata, calpestata nella sua dignità che Dio pone al suo fianco, come suo primo erede. Il padrone del Regno di Dio non sarà uno dei potenti di questo mondo, ma, al contrario, uno tra gli esclusi, gli affamati, gli assetati, cioè tutti coloro che, in questo mondo, hanno sperimentato disaccordi a causa dell'ingiustizia umana. Questo è l'altro lato della storia. Dal punto di vista di Dio, nessuno è povero perché lo ha voluto, né perché Dio lo ha voluto. Se ci sono tanti poveri, non è a causa del disegno di Dio, ma a causa della malvagità dell'uomo, che non si accontenta di ciò che ha, ma vuole sempre di più. La povertà non è solo un problema sociale che gli uomini non possono risolvere: è soprattutto un problema spirituale. È lo stesso profeta Geremia che, nella prima lettura, ci fornisce il materiale per comprendere il punto di vista di Dio:

Maledetto l'uomo che confida nell'uomo e fa consistere nella carne umana la sua forza (Ger 17,5).

Questo è il problema: una vita confidando nelle proprie forze, nella ricerca dell'autosufficienza, dell'autonomia, che porta lontano dalle vie di Dio. Un uomo così, una donna così, che confida solo in se stesso e guarda solo il proprio ombelico, è maledetto da Dio, perché i frutti che produce sono frutti di morte. Chi bada solo al proprio interesse non si preoccupa dei problemi dei fratelli e delle sorelle che Dio mette sul suo cammino.

È una vita egocentrica, alla continua ricerca del proprio interesse, del soddisfacimento del proprio egoismo che, di conseguenza, provoca situazioni di tremenda ingiustizia e disuguaglianza.. I problemi che affrontiamo ogni giorno sono problemi sociali che hanno un'origine spirituale, cioè, sono stati tutti generati da persone egoiste, che hanno fatto e continuano a fare di tutto per trarre il massimo dalle situazioni in cui si sono trovate. Di fronte a questa situazione travolgente, Gesù esprime l'opinione di Dio, che non resta né silenzioso né neutrale di fronte al massacro dei suoi figli e figlie, ma assume una posizione molto chiara che deve condurre i cristiani sulla stessa strada. Pertanto, di fronte a questa pagina chiarissima, che non ha nemmeno bisogno di spiegazioni, potremmo chiederci: chi stiamo adulando? Su chi contiamo nel nostro presente e nel nostro futuro? Cosa e chi stiamo cercando? Non ha senso parlare continuamente di Dio, entrare in chiesa ogni domenica, mangiare il Corpo di Cristo se poi, nella vita concreta di tutti i giorni, il Corpo di Cristo viene lasciato indietro, perché cerchiamo i favori dei politici corrotti del mondo ogni giorno.

Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione! (Lc 6,24).

Con una Parola forte e chiara come questa, non c’è bisogno di chiarire da che parte sta Dio. Sì, perché la verità è questa: Dio, in Gesù, ha preso posizione, ha chiarito una volta per tutte che la ricchezza è sinonimo di ingiustizia, che, se c'è povertà è perché qualcuno è troppo egoista e a Dio non piacciono gli egoisti. Inoltre, queste parole forti e chiare ci spingono a cercare la nostra consolazione non in ciò che perisce, come la ricchezza, il denaro, l'accumulo di terre, ma in ciò che è imperituro, che dura per sempre. Per questo siamo qui e vogliamo nutrire le nostre anime con queste Parole e con il Corpo di Cristo, per rifornire la nostra vita dell'amore di Dio che si è manifestato in Cristo, che si è spogliato di tutto per donarci la propria vita. La vita di Gesù è l'opposto dell'egoismo, la sua strada è dalla parte opposta dei ricchi di questo mondo, il suo atteggiamento dischiude il significato autentico della vita umana e indica la strada che deve essere seguita da tutta l'umanità: l'amore. Cristo, infatti, non è morto solo per se stesso, per un semplice destino, ma per darci un esempio (1Pt 1,4s), affinché, interiorizzando la sua vita e le sue Parole, sappiamo guardare il mondo come Dio lo guarda e come Dio lo vuole e, ricolmi del suo amore, riuscire ad affrontare gli arroganti di questo mondo, che in ogni momento non perdono l'occasione di ingannare gli uomini e le donne con le loro vuote promesse.

Rallegratevi in ​​questo giorno ed esultate, perché la vostra ricompensa sarà grande nei ciel (Lc 6,23).

Il Vangelo è un balsamo per le nostre orecchie, una delizia per i nostri occhi: è un invito continuo a non perdersi mai d'animo, perché Cristo stesso ha già percorso questa strada. Sta a noi riempire il nostro tempo non con parole vuote, ma con quella Parola che dà senso alla nostra esistenza. Il Vangelo, da un lato, si presenta come una Parola dura, dall'altro indica la via verso la salvezza, che comporta un cambiamento radicale di vita. Chiediamo a Dio che questa Santa Eucaristia possa essere un passo avanti nella ricerca di uno stile di vita diverso, più umano ed evangelico.