martedì 23 maggio 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLI 20-21




[Annotazioni Paolo Cugini]

 

Iniziamo il capitolo 20 dove la protagonista è una donna: Maria di Magdala. In Luca nello stesso episodio ci sono le tre le donne, più un numero imprecisato di altre donne; in Marco ci sono tre donne; in Matteo due donne, ma l’unica cosa in comune di questi racconti è che in tutte le quattro narrazioni è sempre presente la figura di Maria di Magdala. Giovanni esclude le altre donne e ci presenta Maria di Magdala.

Per comprendere la narrazione potremmo individuare tre settori: al centro c’è la resurrezione di Cristo che va letta - così l’evangelista la colloca – sia alla luce del libro Cantico dei cantici (è un inno all’amore tra lo sposo e la sposa) e sia alla luce della resurrezione di Lazzaro, che non è altro che un anticipo della resurrezione di Gesù. Precedentemente l’evangelista aveva presentato tre personaggi femminili, che sono le spose di Dio: I) Maria, la madre di Gesù che rappresenta la sposa fedele dell’Antico Testamento, da cui Gesù proviene;

 II) la samaritana, la sposa adultera che lo sposo riconquista con un’offerta d’amore ancora più grande;

III) Maria di Magdala che rappresenta la sposa della nuova comunità.

 L’evangelista situa tutto questo alla luce del Cantico dei cantici ed è pieno di riferimenti. Andiamo al testo poi piano, piano spiegheremo i vari significati. 1 Nel primo dopo il sabato, Maria di Magdala viene di buon mattino, essendo ancora le tenebre, al sepolcro, e guarda la pietra tolta dal sepolcro. Anzitutto il dato cronologico che è anche teologico, il primo dopo il sabato, l’evangelista ci parla di un giorno primo dopo la settimana, il sabato che concludeva la settimana. Il primo dopo la settimana è il numero otto.

Maria di Magdala nei vangeli è la donna leader della comunità e l’evangelista le attribuisce il ruolo di pastore della comunità. Maria di Magdala che abbiamo trovato presso la croce di Gesù, viene di buon mattino ed ecco la prima contraddizione, essendo ancora buio, essendo ancora le tenebre, Giovanni mettiti d’accordo! di buon mattino o è ancora scuro? Abbiamo già visto che l’evangelista non ci dà indicazioni cronologiche, ma teologiche. Le tenebre nel suo vangelo significano la difficoltà di comprendere la novità portata da Gesù; di Gesù dice: che lui è la luce che splende nelle tenebre, quindi quando parla di buio, di tenebre, l’evangelista non sta indicando un momento atmosferico o un’ora del giorno, ma la difficoltà. Le tenebre significano che la comunità è ancora condizionata dall’idea giudaica della morte.

2 Corre allora e viene da Simon Pietro e dall’altro discepolo, l’evangelista ci dice che i discepoli non stanno più insieme. Gesù l’aveva detto: viene l’ora in cui vi disperderete, ciascuno per conto suo. La morte di Gesù ha portato la dispersione del suo gruppo; anziché stare insieme ognuno sta per conto suo. Maria di Magdala è qui … I vangeli hanno valorizzato la figura della donna e quando finalmente la Chiesa lo comprenderà, ci sarà un cambiamento radicale, perché la donna fin ora è stata tenuta in una condizione di inferiorità, in una condizione di sottomissione. L’evangelista rappresenta Maria di Magdala nel ruolo del pastore, di colui che raduna le pecore disperse. In questa comunità non è Pietro che fa il ruolo del pastore, ma è Maria di Magdala e ci farà capire le tensioni che nasceranno nella comunità primitiva, tra gli uomini e le donne. Gli uomini capitanati da Pietro e le donne capitanate da questa donna straordinaria e tra di loro sono scintille.

Nei vangeli apocrifi, che sono meno condizionati dalla teologia, dall’ortodossia, ci son dei quadretti esilaranti che ci fanno capire meglio la tensione che si avverte nei vangeli tra le donne e gli uomini perché Gesù ha dato alle donne una dignità che non conoscevano. Addirittura ha messo le donne ad un livello superiore a quello dei maschi e questo era intollerabile. Negli apocrifi troviamo Pietro che si lamenta con Gesù e dice: Maria di Magdala parla sempre, fa che stia zitta un attimo!

e dice loro: “Hanno portato via il Signore dal sepolcro e poi all’improvviso parla al plurale, e non sappiamo dove l’hanno posto!” Vedendo la pietra che è stata tolta dal sepolcro, Maria non l’interpreta come doveva essere, un segno di vita più forte della morte, la vita che Gesù ha, non poteva essere chiusa nel regno della morte, ecco perché la pietra è stata tolta. Maria non riesce a vederlo come segno di vita e pensa che qualcuno ha portato via il corpo di Gesù. È interessante che parli al plurale: hanno portato via il Signore dal sepolcro e non sappiamo dove l’hanno posto. È lo sconcerto della comunità che è rimasta sconvolta dalla morte di Gesù e ancora più sconvolta dal fatto della resurrezione. L’evangelista in questo quadro ci presenta Maria di Magdala nel ruolo del pastore che raduna i discepoli e prende come immagine i due discepoli presentati sempre in contrasto tra loro.

Chi ha l’esperienza dell’amore di Gesù - avere l’esperienza dell’amore di Gesù significa essere disposti a farsi pane alimento di vita per gli altri, essere disposti a mettersi al servizio degli altri affrontando anche la croce - chi ha questo, arriva prima degli altri e percepisce la presenza del Signore nella sua vita.

che era giunto primo al sepolcro e vide e credette. Già un’altra differenza, l’evangelista ci presenta i due discepoli sempre in opposizione tra loro: in opposizione alla cena dove uno era intimo di Gesù e l’altro rifiuta di farsi lavare i piedi; in opposizione alla cattura dove uno segue Gesù e l’altro lo tradisce e anche alla resurrezione sono in opposizione, entrambi vedono, ma uno solo, il discepolo anonimo e vide e credette. Se entrambi i discepoli scorgono i teli di lino che sono il segno della vita, solo del discepolo che è giunto per primo si dice che credette. Quel discepolo intimo nella cena, vicino alla croce, comprende per primo i segni della vittoria della vita sulla morte.

10 I discepoli ritornarono dunque di nuovo da loro. Stranamente i discepoli non vanno ad annunziare agli altri quanto hanno sperimentato. L’evangelista ci vuole fare capire e introdurrà la scena seguente, che per testimoniare la resurrezione di Gesù, non basta vedere un sepolcro vuoto e sapere che Gesù è vivo, bisogna sperimentarlo presente, come avverrà per Maria, nella scena che adesso vedremo. L’evangelista la cura in maniera particolare ed è importantissimo perché l’evangelista non è interessato soltanto alla resurrezione di Gesù, ma è interessato alla nostra resurrezione e a quella dei nostri cari.

13 Ed essi le dicono: “Donna - si rivolgono a Maria esattamente come Gesù l’aveva chiamata. Donna significa moglie, sposata, donna perché piangi?” Non è una richiesta volta a sapere perché piange, è una indicazione sull’inutilità del pianto. Dice loro: “Hanno preso il mio Signore e non so dove l’hanno posto.” Maria è talmente condizionata dall’idea della morte che continua ancora a pensare ad una scomparsa da parte di Gesù e il suo pianto non è tanto legato alla morte, ma alla sparizione del cadavere di Gesù.

14 E detto questo, ecco l’indicazione preziosa, catechetica per la comunità. Maria piange e guarda verso il sepolcro. Nonostante veda gli angeli che le dicono l’inutilità del pianto: perché piangi? Maria continua a piangere, ma incomincia la conversione. E detto questo si voltò indietro. Maria comincia a non guardare più verso il luogo della morte, comincia a guardare indietro e vide Gesù che stava in piedi, ma non sapeva che era Gesù. Vede Gesù, ma non sa che è Gesù. Com’è possibile? L’evangelista vuole dirci che questo è importante per noi, per entrare in comunione con un mondo che ci circonda, che però noi non riusciamo a vedere. L’altra volta l’evangelista ci invitava ad avere non soltanto la vista fisica, ma la vista della fede. Maria vede Gesù che è vivo, ma non sapeva che era Gesù. Era talmente forte l’idea della morte come fine di tutto che, pur vedendo Gesù, non lo vede. Questo per noi è molto importante e più volte lo abbiamo detto in questi incontri, la morte non interrompe la vita delle persone, ma permette loro di continuare in una forma nuova, piena, definitiva.

15 Le dice Gesù: “Donna – esattamente come l’avevano chiamata gli angeli perché piangi? Non è una domanda volta a sapere per quale motivo piangi, sottolinea l’inutilità di piangere: ma che stai a piangere,

poi le chiede Chi cerchi?” È importante. Cerchi un cadavere? Non è lì. Cerca il vivo, cerca Gesù, è la stessa domanda che Gesù ha fatto ai primi discepoli che lo hanno seguito: Chi cercate? ed è la domanda che Gesù ha fatto a coloro che volevano arrestarlo. Essa, pensando che fosse il giardiniere (Giovanni, cosa c’entra adesso il giardiniere?) l’evangelista descrive la scena della nuova creazione, un contesto d’amore che abbiamo visto nel Cantico dei cantici, che parla del giardiniere. Dio aveva creato Adamo nel giardino dell’Eden e lo aveva posto come giardiniere. L’evangelista presenta una nuova creazione con una nuova coppia Gesù e Maria di Magdala,

essa pensando che fosse il giardiniere gli disse: “Signore, se l’hai portato via tu, dimmi dove lo hai posto e io andrò a prenderlo”. Gesù le chiede chi sta cercando, se sta cercando un cadavere o un vivente. Se sta cercando un vivente non può certamente trovare nel luogo dei morti ed ecco il clou del racconto. 16 Gesù le disse: “Maria!” la chiama per nome. Tenete presente la cultura dell’epoca in cui gli uomini erano separati dal mondo femminile gli uomini non rivolgono la parola ad una donna. C’è una netta separazione perché la donna è considerata un essere inferiore. Dice il Talmud: È meglio che tutte le parole della bibbia brucino nel fuoco piuttosto che essere salvate da una donna. Nella tradizione ebraica si diceva che Dio non ha mai parlato con nessuna donna; lo ha fatto una volta, poi si è pentito e da quella volta non ha parlato più.... Se andate a vedere la bibbia è così.

Essa voltatasi – si era già voltata, adesso non è più soltanto un voltarsi fisico, finalmente si orienta verso Gesù, gli disse in ebraico: “Rabbuni!” che significa Maestro! Finalmente Maria quando smette di piangere e quando smette di guardare verso il sepolcro, non solo si volta - qui si volta per due volte, non si deve solo voltare le spalle alla tomba - ma deve orientare se stessa, orientare la sua vita verso il mondo dei vivi, si trova di fronte a Gesù. E lo riconosce chiamandolo rabbunì che non significava soltanto maestro, ma era un termine ossequioso con il quale i rabbini si rivolgevano a Dio stesso. Maria capisce finalmente che in Gesù c’è la pienezza della condizione divina. La prima tra tutti i discepoli. La prima in assoluto a fare questa esperienza della resurrezione.

17 Gesù le dice: “Non trattenermi, perché non sono ancora salito dal Padre, ma va dai miei fratelli e dì loro: Io salgo dal Padre mio e Padre vostro, Dio mio, Dio vostro.” Vediamo quello che si può capire. Maria finalmente riconosce Gesù vivo e lo vuole trattenere. Gesù rifiuta perché non è alla fine della missione che deve ancora continuare. Rifiuta questo atteggiamento di intimità con Maria perché dice non sono ancora salito dal Padre, ma va dai miei fratelli, per la prima volta Gesù parla dei discepoli come suoi fratelli e dì loro: Io salgo dal Padre mio e Padre vostro, poi dopo Dio mio e Dio vostro. Vediamo di non complicare ancora le cose. Gesù invita i discepoli a non chiamare Padre quello che conoscono come Dio, ma al contrario di chiamare Dio quello che già hanno sperimentato come Padre. È importante, non sono cronache, ma catechismo. Gesù dice: Io salgo dal Padre mio e Padre vostro, quindi viene prima il Padre e soltanto dopo parla di Dio.

18 Viene Maria di Magdala annunziando ai discepoli: “Ho visto il Signore!” e anche ciò che le aveva fatto. Anche questo va inserito nella cultura ebraica in cui Dio era lontanissimo e stava nell’alto dei cieli, inavvicinabile, era il più lontano dagli uomini. Era circondato da sette angeli che lo lodavano e glorificavano di continuo. Chi erano gli esseri più vicini a Dio? gli angeli, poi c’era tutta una scala: il sommo sacerdote, i sacerdoti, gli uomini e sotto questa scala, escluse, c’erano le donne che erano perciò gli esseri umani più lontani da Dio.

19 La sera di quello stesso giorno, il primo dopo il sabato, il primo dopo il sabato è il giorno ottavo e il numero otto da sempre nella tradizione cristiana, è la cifra che rappresenta la resurrezione di Gesù. Tornando alle beatitudini in Matteo sono otto, e praticandole si ha dentro di sé una vita che è capace di superare la morte. Quindi il numero otto indica la resurrezione. E mentre erano chiuse le porte dove erano i discepoli per paura dei giudei, facciamo un passo indietro, l’ordine di cattura non era solo per Gesù, ma per tutto il gruppo. Quando consegnano Gesù al sommo sacerdote Anania, questo non si cura per niente di Gesù, non gli interessa la sua persona, è stato catturato, adesso vedono di farlo ammazzare in qualche maniera, ma le due domande del sommo sacerdote preoccupato sono sui suoi discepoli e sulla sua dottrina.

venne Gesù, stette in mezzo, siamo alle battute finali del vangelo. Ogni indicazione dell’evangelista è preziosa. Qui l’evangelista costruisce la narrazione sullo schema della liturgia eucaristica. Gesù si presenta, è interessante che in tutta la narrazione l’evangelista eviti il termine “apparizione” o il verbo apparire. Non sono apparizioni, sono “incontri”, non sono situazioni di privilegio che Gesù ha concesso, ma la normale situazione che c’è nella comunità cristiana. Venne Gesù e stette in mezzo, Gesù è al centro della comunità, è importantissimo questo. Gesù quando viene, in tutti i vangeli, si mette al centro perché il rapporto dei componenti con Gesù è identico, non c’è uno al di sopra degli altri.

a loro e disse: “Pace a voi!”. Non è un augurio, Gesù non dice: la pace sia con voi, augurio di pace, ma è un dono. La prima volta che si fa presente ai suoi discepoli, le prime parole che pronuncia, sono parole che vengono accompagnate da un gesto d’amore di un dono: pace a voi! Il termine “pace” nel mondo biblico è molto più ricco del nostro, non significa solo assenza di conflitto, significa tutto quello che concorre alla felicità dell’individuo. Il desiderio di Gesù, le parole che pronuncia alla resurrezione, nell’incontro con i suoi, è un dono di pace e di felicità delle persone, è importante. Anche se dopo tanti anni di pratica del vangelo certe cose le abbiamo imparate, ma abbiamo nel DNA certe tradizioni religiose di una spiritualità listata a lutto, e specialmente in quaresima si sentono parole di tutti i tipi come penitenza, sacrificio, mortificazioni.... Gesù desidera la felicità degli uomini e quando si incontra con i suoi non fa un augurio, ma un dono: siate felici. Non basta la formula verbale!, come si fa ad essere felici? Gesù lo dimostra ed ecco il motivo per cui potete essere felici.

 20 Detto questo, collega quello che aveva detto: pace a voi, è un dono, vi do la piena felicità, la piena pace, detto questo mostrò loro le mani e il costato e i discepoli gioirono nel vedere il Signore. Perché Gesù mostra le mani e il costato e perché i discepoli gioirono nel vedere il Signore? L’amore con il quale Gesù ha dato la sua vita per salvare i suoi discepoli, mentre poteva fare il contrario, (Pietro nell’ultima cena aveva detto: sono pronto a morire per te) non è svanito, ma continua. Gesù resuscitato porta le tracce della sua passione e della sua morte affrontata per amore. Quando Gesù dice ai discepoli pace a voi, non è un augurio, ma è un dono e poi lo dimostra: guardate, vedete l’amore che mi ha spinto a dare la mia vita per voi, rimane, continua.

24 Ma Tommaso, uno dei Dodici chiamato Gemello (Didimo), perché l’evangelista torna ad insistere su questo soprannome di Tommaso? Tommaso di chi è il gemello? Aiutandoci con altri testi non evangelici, ma apocrifi, si deduce che la somiglianza di Tommaso (essere gemello) era con Gesù. In altri testi si parla di Tommaso, il gemello di Gesù. Non gemello in quanto nati da stessa madre, gemello nel senso di assomigliante nel comportamento.

28 Rispose Tommaso e disse: “Mio Signore e mio Dio!”. Non è stato facile per la comunità e per Tommaso. Il crocifisso era considerato un maledetto da Dio. Ebbene Tommaso, nell’uomo che la religione considera maledetto da Dio, vede il suo Dio. Nell’uomo condannato come un malfattore, Tommaso vede il suo Signore. Tommaso non ha bisogno di mettere la mano, il dito, nelle ferite del Signore, ma riconosce in Gesù quel Dio che nessuno aveva mai visto. Qui Giovanni chiude la sua narrazione collegandosi con il versetto finale del Prologo 1,18 quando aveva scritto: Dio nessuno lo ha mai visto, solo il Figlio ce lo ha rivelato.

29 Gesù gli disse: “Perché mi hai veduto, hai creduto; beati quelli che senza aver visto credono!”. È il punto centrale di tutto questo episodio. L’evangelista sta dicendo qualcosa di importante. Non solo la situazione dei credenti di ogni tempo non è inferiore a quella dei discepoli di Gesù che lo hanno visto resuscitato, ma è superiore, perché quanti saranno capaci di credere senza vedere sono proclamati beati, immensamente felici, a differenza di quelli che hanno creduto perché hanno veduto.

CAPITOLO 21

1 Dopo questo, l’evangelista si riferisce all’incontro che Gesù ha fatto prima con i discepoli e poi con Tommaso, Gesù si manifestò di nuovo ai discepoli sul mare di Tiberiade. Lo ripeto: gli evangelisti sono grandi letterati e grandi teologi e non sprecano una virgola nella loro narrazione. Ogni parola che adoperano ha sempre un valore, un richiamo teologico. Qui per la terza volta, - e il numero tre che qui appare, ha sempre il significato di quello che è definitivo, completo - appare il termine Tiberiade.

2 E si manifestò così:, in una maniera particolare, erano insieme Simone Pietro, Tommaso detto Didimo, Natanaele di Cana di Galilea, quelli di Zebedeo e altri due discepoli. C’è qualcosa che ci sembra strano. Nel brano che precede, Gesù si era manifestato ai discepoli e aveva detto: “Come il Padre ha mandato me così io mando voi”. Gesù li aveva incaricati di andare per il mondo a manifestare il volto del Padre. Un volto di amore dal quale nessuno si sente escluso e questi non hanno nessuna intenzione di farlo. Vedete che sono tornati in Galilea e hanno ripreso le loro occupazioni. L’evangelista fa comprendere la resistenza da parte della primitiva comunità cristiana di andare verso i pagani. Loro pensavano, e questa idea è dura a morire, che Gesù fosse venuto per stabilire il regno di Israele, non hanno ancora capito che Gesù non è venuto a restaurare il defunto regno d’Israele, ma ad inaugurare il Regno di Dio e per il Regno di Dio bisogna andare verso i pagani. Questi non ne hanno nessuna intenzione. L’elenco è di sette discepoli, non compaiono più i dodici; mentre i dodici rappresentavano il popolo d’Israele adesso la nuova comunità, quella della resurrezione è raffigurata dal numero sette che sappiamo indicare la pienezza, la completezza, quindi l’universalità.

3 Disse loro Simon/Pietro: io vado a pescare. Quello che distingue Pietro è la caratteristica di voler essere sempre il leader e di prendere sempre lui le decisioni, trascinando con se tutto il gruppo: io vado a pescare. Gli dissero: veniamo anche noi con te. Quindi Pietro ha questa immagine di leader, di colui che è alla guida del gruppo e tutto il gruppo va con lui. Allora uscirono e salirono sulla barca, ma quella notte non presero nulla. Quando l’evangelista da delle indicazioni, ripeto l’evangelista non sta raccontando un fatto di cronaca, ma sta dando indicazioni teologiche alla comunità, e quando in una comunità l’azione non è comunitaria, non è insieme, ma ha il protagonismo di una persona, è destinata al fallimento.

6 Egli disse loro: gettate la rete dalla parte destra della barca e troverete. L’attenzione dell’evangelista non è tanto sul lato, si sapeva che il lato destro era la parte fortunata, ma l’evangelista non vuole accentrare l’attenzione su questo, ma tanto sulla parola di Gesù; una volta che la comunità accoglie la parola di Gesù e la mette in pratica, la pesca è abbondante. Ma qual è la parte destra? E questo è importante per noi oggi, La gettarono e non potevano più tirarla su per la grande, e qui c’è un termine strano che normalmente non si usa per le cose o in questo caso di pesci, ma soltanto per le persone, l’evangelista dice: non potevano più tirarla su per la grande moltitudine di pesci. Allora l’evangelista ci sta dando delle indicazioni preziose, quando la comunità accoglie la parola di Gesù e in base a questa parola orienta il suo lavoro, la pesca è abbondante e c’è una raccolta di una moltitudine di pesci.

10 Disse loro Gesù: portate un po’ del pesce che avete preso ora Gesù ha già preparato pane e pesce, ma desidera che anche i suoi discepoli portino ancora del pesce. Il pesce che i discepoli portano è il frutto e del loro lavoro e dell’amore di Gesù. L’evangelista sta qui indicando la dinamica dell’Eucarestia. L’Eucarestia è il momento prezioso, importante vissuto dalla comunità, quindi l’amore ricevuto da Dio viene accolto e si trasforma in amore comunicato agli altri.

11 Allora Simon/Pietro salì e trasse a terra la rete piena di 153 grossi pesci e benché fossero tanti la rete non si lacerò. Il verbo ”lacerare” anche questo l’evangelista lo ha adoperato al momento della crocefissione di Gesù quando i soldati si sono spartiti le sua vesti; il mantello indumento esterno era stato diviso in quattro parti, e indicava che il messaggio di Gesù doveva arrivare ai quattro punti cardinali, ma la tunica, scriveva l’evangelista, era tessuta tutta d’un pezzo e i soldati hanno detto: non laceriamola, ma tiriamola a sorte.

12 Disse loro Gesù: venite a mangiare quindi Gesù non dice portatemi da mangiare, ma venite a mangiare. E nessuno dei discepoli osava domandargli: chi sei? perché sapevano che era il Signore. Ormai nell’amore che si fa dono si percepisce la presenza del Signore. Fin dall’inizio l’evangelista ci sta dando delle indicazioni come riconoscere la presenza del Signore. Dove l’amore si fa dono e comunica vita lì c’è la presenza del Signore.

14 Questa era la terza volta che Gesù si manifestava ai discepoli, risuscitato dai morti. I conti non tornano: la prima volta a Maria di Magdala; la seconda volta ai discepoli che stavano a porte chiuse; la terza volta di nuovo ai discepoli che stavano a porte chiuse con Tommaso, allora i conti non tornano non è la terza, ma in realtà è la quarta volta, perché? abbiamo detto tante volte: nei vangeli i numeri non hanno mai valore matematico, ma sempre figurato, il numero “3” significa quello che è completo, quello che è definitivo, allora l’evangelista vuol dire: questa è la volta definitiva della presentazione di Gesù.

Gesù dice a Simon Pietro: Simone di Giovanni, e lo chiama esattamente come lo aveva definito all’inizio: tu sei il figlio di Giovanni. Gesù lo chiama Simone di Giovanni. perché questo? Perché Simone era il discepolo di Giovanni Battista, ma non era presente quando Giovanni ha indicato Gesù come l’agnello di Dio che toglie il peccato del mondo. Allora lui è rimasto ancora con l’immagine tradizionale del messia vincitore, trionfatore, non quello che dava la sua vita e il suo spirito per il male estirpare, la tenebra che c’è tra gli uomini e Dio.

E gli chiede Simone di Giovanni, mi ami? Il verbo amare adoperato dall’evangelista è il verbo greco agapao da cui deriva la parola che conosciamo “agape”. Agapao è un amore che si dà senza attendere nulla in cambio, è l’amore generoso, è l’amore altruista. Ma Gesù non solo gli chiede se lo ama, ma gli dice: mi ami tu più di tutti questi? Gesù all’unico che lo ha tradito, rinnegato, e che lo vuol seguire, vuol essere un buon leader del gruppo, gli chiede se ha un amore più grande di tutti gli altri. Può rispondere Simone? Lo ha rinnegato, ma non lo ha rinnegato di fronte al sommo sacerdote, lo ha rinnegato di fronte a una servetta nella sera. Nella sera della passione, ricordate, Gesù che è legato come un salame è libero, Pietro che è libero è legato dalla sua paura. Allora Gesù gli chiede: Simone di Giovanni, mi ami tu più di tutti questi? Cosa può rispondere Simone? Gli rispose, Sì, Signore (attenti a quelli che vi rispondono sì signore perché poi vi fregano….) Dice Sì Signore, quindi Gesù gli ha chiesto: mi ami tu più di tutti questi? E lui dice: Sì Signore, quindi significa che lo ama più di tutti questi, ma non può dirlo! Allora dice: tu lo sai che ti voglio bene e l’evangelista adopera il verbo greco “voler bene” che in greco è “fileo” da cui la parola filosofia, filantropia, che significa un bene reciproco: io ti voglio bene perché tu mi vuoi bene. Quindi Pietro non può rispondere né che lo ama, e tantomeno che lo ama più di tutti gli altri, però .. Sì Signore, ti voglio bene, tu lo sai che ti voglio bene! Ebbene Gesù, accetta la risposta di Simone.

Allora gli dice Gesù: nutri i miei agnelli. Qui l’evangelista adopera il verbo che viene tradotto normalmente pascere, ma nutrire si adopera normalmente sia per gli animali che anche per le persone. Nutri i miei agnelli… gli agnelli sono gli elementi più deboli gli elementi più fragili della comunità. Gesù accetta la risposta di Pietro. Mi vuoi bene? Ebbene, il bene che mi vuoi non lo devi dimostrare a me, trasformalo in nutrimento, cioè comunicazione di vita agli elementi più fragili della comunità.

18 In verità, in verità (quando c’è questa affermazione solenne significa qualcosa di molto importante sulla quale Gesù richiama l’attenzione) io ti dico: quando eri più giovane ti mettevi una cintura e andavi dove volevi, ma quando sarai vecchio tenderai le tue mani, un altro ti metterà la cintura e ti porterà dove tu non vuoi. Le indicazioni che ci dà l’evangelista con questa frase di Gesù possono alludere al supplizio della croce, proprio quello che Pietro aveva cercato di evitare per il suo maestro. Perché? Perché non era semplicemente una condanna a morte, ma era una tortura terribile riservata secondo la bibbia ai maledetti da Dio.

19 Questo gli disse per indicare con quale morte egli avrebbe glorificato Dio. L’evangelista contrappone due cose che ci possono sembrare contrastanti: la morte e glorificare Dio. A Simone che si era dichiarato disposto a morire per Gesù (ricordate: sono pronto a sacrificare la mia vita per te) il Cristo risuscitato non lo invita a dare la vita per lui, ma a morire come lui. E perché l’evangelista.

22 Gesù gli dice: se voglio che egli rimanga finché io venga, che importa a te? E di nuovo con forte incisività: Tu segui me. Non è stato facile per Gesù. Pur avendo finalmente invitato a seguirlo, questo si volta ancora indietro e addirittura adesso che Gesù lo invita a seguirlo cerca di sgomitare, di farsi spazio, vuole un rapporto particolare. Ma con Gesù, e lo abbiamo visto nei racconti precedenti degli incontri di Gesù con la sua comunità, la particolarità di Gesù nella comunità è che Gesù ogni volta che si manifesta ai suoi viene definito che sta in mezzo oppure al centro. E’ importante questo, se Gesù si colloca in una determinata posizione questo crea una gerarchia. Se Gesù si colloca in alto crea una gerarchia che nella misura che sono in rapporto con lui sono diversificate, è chiaro che il numero uno è quello più vicino a Gesù.

lunedì 22 maggio 2023

OMELIA DOMENICA 28 MAGGIO 2023

 



PENTECOSTE 2023

At 2,1-11; Sal 103; 1 Cor 12,3b-7.12-13; Gv 20,19-23

 

Paolo Cugini

 

Il mistero dell’Ascensione ci ha condotto a riflettere sulla nuova forma della presenza del Signore. Gesù non sparisce, non abbandona i suoi, ma li invita a seguirlo in un modo diverso, a riconoscerlo, quindi, negli indizi che ha lasciato nella storia. Incontrare il Signore durante la vita è fondamentale per dare una direzione significativa alla nostra esistenza. Senza questo incontro la vita rimane priva del suo significato più profondo. Le letture del giorno di Pentecoste ci aiutano a riflettere sui benefici che lo Spirito Santo, che è lo Spirito del Signore, provoca nella vita di tutti coloro che l’accolgono. Vediamo.

E come mai ciascuno di noi sente parlare nella propria lingua nativa? (At 2,8). Quello che avviene nel giorno di Pentecoste nella narrazione di Luca negli Atti degli Apostoli è un dato strano, che può essere interpretato in tanti modi: ne abbozzo uno. Chi accoglie lo Spirito Santo, impara ad entrare in dialogo con gli altri preoccupato non d’imporre la propria idea, ma di ascoltare in modo empatico. È il linguaggio dell’amore che diviene comprensibile a tutte le persone di ogni lingua e nazione. Un linguaggio che non viene spontaneo, ma che esige uno sforzo quotidiano di traduzione di ciò che accogliamo dallo Spirito Santo. Occorre aggiungere un aspetto che, a mio avviso, è molto importante. Quello che ci presenta il testo ascoltato, prima di essere una prassi, è un obiettivo che, per raggiungere il quale, dobbiamo lottare ogni giorno. Parlare il linguaggio dell’amore esige un lavoro costante di relazione con il Signore e di impegno quotidiano da mettere in atto nelle relazioni. Possiamo farcela, con l’aiuto dello Spirito Santo.

Vi sono diversi carismi, ma uno solo è lo Spirito; vi sono diversi ministeri, ma uno solo è il Signore; vi sono diverse attività, ma uno solo è Dio, che opera tutto in tutti (1 Cor 12,4). Lo Spirito Santo produce nella storia il dinamismo opposto di ciò che produce lo spirito del mondo. Se, infatti, quest’ultimo, spinge l’umanità in cammini di uniformità, per cui qualsiasi forma differente diventa un problema che può condurre alla violenza e alla costrizione, ben differente è lazione dello Spirito che, invece di stimolare l’uniformità produce la differenza. L’azione dello Spirito Santo permette ad ogni persona di realizzarsi come figlia e figlio di Dio, in cui il proprio specifico non viene vissuto in competizione con le diversità degli altri, ma elemento fondamentale per esprimere l’unità. Si coglie molto bene, ascoltando Paolo, la logica differente sottesa ai modelli di umanità che lo spirito del mondo e lo Spirito Santo producono. Mentre il primo non riesce a tollerare la diversità, perché la interpreta come minaccia al proprio potere di comando, che esige una sottomissione uniformata e silenziosa, al contrario lo Spirito Santo che lavora per l’Uno e l’unità, la diversità non solo non è un problema, ma una ricchezza e, per questo, la stimola. Lo Spirito Santo lavora dentro di noi per farci scoprire il senso della nostra esistenza, ne stimola le potenzialità che vengono attività non per andare in conflitto con gli altri, ma per contribuire in modo significativo alla comunione. La comunità, allora, in questa prospettiva è il luogo in cui si manifesta l’azione dello Spirito Santo.

“Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco (Gv 20,20). Lo Spirito Santo mentre produce nel mondo il cammino dell’unità nella diversità, crea la pace. È la prima parola che i Signore risorto pronuncia La pace è il dono che Gesù risorta porta all’umanità. Dove c’è lo Spirito del Signore regna la pace, perché stimola cammini di amore, di comprensione, di accoglienza e condivisione. Quando accogliamo il suo Spirito non dobbiamo più temere nulla, perché gli altri non sono più una minaccia, ma diventano fratelli e sorelle. Le comunità cristiane che nascono dalla presenza del Signore sono spazi in cui ci esercitiamo alla pace. Non a caso Gesù subito dopo l’annuncio di pace mostra le mani e il fianco: perché? Sono il segno del prezzo pagato per portare la pace in un mondo pieno di tensioni e di odio. Essere operatore di pace significa essere disponibile ad affrontare l’arroganza e la violenza del mondo, che non accetta la diversità e fa di tutto per sopprimerla. Le mani e il fianco sono il segno tangibile dell’impegno di Gesù per realizzare il progetto di amore e di giustizia di Dio. La comunità cristiana mentre accoglie lo Spirito del Signore, invoca allo stesso tempo la forza per riuscire a stare in mezzo al mondo con lo stile di Gesù, senza lasciarsi travolgere dall’odio del mondo che provoca violenza. La pace del Signore Gesù sia sempre con noi. 

venerdì 19 maggio 2023

OMELIA DOMENICA 21 MAGGIO 2023

 



ASCENSIONE DEL SIGNORE

At 1,1-11; Sal 46; Ef 1,17-23; Mt 28,16-20

Paolo Cugini

 

Come fare in modo che questo testo parli a noi e possa dirci qualcosa sul nostro cammino? Come spogliarlo dei rivestimenti mitici tipici del linguaggio del tempo di Gesù? In questa prospettiva hanno ragione (in parte) i teologi che affermano la necessità di superare il modello teista utilizzato per secoli e passare ad un paradigma così detto post-teista, capace d’integrare nelle sue narrazioni i dati della scienza e, quindi, di renderle più comprensibili per le donne e gli uomini di oggi. Proviamo, allora questo percorso.

“Detto questo, mentre lo guardavano, fu elevato in alto e una nube lo sottrasse ai loro occhi. Essi stavano fissando il cielo mentre egli se ne andava, quand’ecco due uomini in bianche vesti si presentarono a loro e dissero” (At 1,). Come si fa a leggere queste cose alla domenica, brani che hanno il sapore della mitologia, della narrazione che risente pesantemente dell’apparato culturale del tempo di Gesù, con concezione astronomiche e antropologiche ormai superate e, poi, al lunedì presentarsi al lavoro come se niente fosse? Avere il coraggio di smantellare le costruzioni mitologiche senza pensare che decostruire significhi negare una verità. Anzi, proprio perché cerchiamo quella verità manifestata dalla persona di Gesù, che procediamo nell’operazione di decostruzione delle categorie culturali del tempo per salvare, per così dire, il messaggio autentico. Uscire da ogni finzione che ci porta a parlare e a conversare di contenuti di una cultura che non ci appartiene più, per fare in modo che i nostri discorsi parlino di quei significati esistenziali che s’inseriscono nel nostro vissuto quotidiano, è il senso di un cammino che riesce ad integrare i contenuti religiosi nel linguaggio comune. Il testo ascoltato risente di una visione duale della realtà – cielo e terra, carne e spirito – che non c’entra nulla con la percezione di un mondo interconnesso, come ci stanno consegnando le varie discipline scientifiche, un mondo in cui tutto è in relazione. In questo nuovo con testo cosmologico dove andrebbe a finire il Gesù dell’ascensione?

Prendiamo, allora, dall’ascensione del Signore quei contenuti che possono dirci qualcosa per il nostro vissuto.

Il primo è di tipo educativo. Ogni relazione educativa che intenda essere generativa deve prevedere un momento in cui ci sia un’uscita di scena. Il figlio potrà diventare padre e madre se i genitori, ad un certo punto della vita, sanno uscire dalla loro scena. I discepoli e le discepole hanno potuto divenire maestri perché il Maestro è uscito di scena. Abbiamo la possibilità di crescere e sperimentare le nostre potenzialità, scoprire finalmente chi siamo, solo se le persone di riferimento che abbiamo intorno sanno sparire dalla scena. Chiaramente, ciò sarà possibile se durante la fase della crescita l’educatore – padre, madre, ecc. – ha saputo stimolare gli aspetti generativi della persona. Questo aspetto è ben visibile nella relazione che Gesù ha istituito con i suoi discepoli. A metà del suo cammino verso Gerusalemme li ha inviati a due a due ad annunciare il Regno (Lc 10). Uno avrebbe potuto obiettare che non erano ancora pronti, che la loro preparazione era difettosa. Gesù, senza dubbio, sapeva di tutto questo. Nonostante ciò, li ha inviati, gli ha permesso di fare esperienza, di mettersi in gioco, di sperimentare anche solo per qualche istante, il fascino dell’essere da soli dinanzi al mondo. Nel contesto dell’ultima cena narrata nella redazione di Giovanni, Gesù ad un certo punto afferma: “ho ancora molto cose da dirvi, ma per ora non siete capaci di portarne il peso” (Gv 16,12). Nonostante questa presa di coscienza, di una preparazione ancora molto approssimativa dei suoi discepoli, Gesù se ne va. Che cosa ci dice questo dato? Credo che la cosa più importante che emerge dalla relazione di Gesù con i suoi discepoli è l’aver stimolato in loro la dimensione generativa, la consapevolezza che il discepolo, la discepola devono divenire loro stessi maestri.

“Ed ecco, io sono con voi tutti i giorni, fino alla fine del mondo” (Mt 28,20). C’è anche u aspetto spirituale che ci viene comunicato dalla festa dell’Ascensione. Gesù rimane sempre con noi. Ci possiamo chiedere: in che modo sarà sempre con noi se non c’è più? C’è un modo nuovo che manifesta la presenza di Gesù non più nella carne, ma nello Spirito. Ce lo ha ricordato anche Papa Francesco, quando nella Laudato Sii arriva ad affermare: “lo spirito di Dio ha riempito l'universo con le potenzialità che permettono che dal grembo spesso delle cose possa sempre germogliare qualcosa di nuovo” (LS, 80). la presenza di Dio nel creato non è qualcosa di distinto da Dio “bensì comunicando la sua propria realtà divina ne fa il costitutivo del compimento della creatura”. Dio comunica se stesso al creato, cosicché lo spirito di Dio è immanente e intimo nelle creature. Gesù continua ad essere presente dentro la storia per permettere ad ogni persona di collaborare al progetto creazionale di Dio. Il processo di creazione, infatti, non si è mai arrestato, ma continua con noi e lo Spirito del Signore che agisce anche in noi permette tutto questo. Il mistero dell’Ascensione, dunque, non afferma la scomparsa del Signore, ma di una presenza nuova.

Durante la sua vita pubblica Gesù ci ha offerto alcune situazioni in cui si manifesta la sua presenza. Percepire la presenza del Mistero di Dio è fondamentale per coloro che desiderano vivere della Parola di Dio. E allora, dov’è Gesù? In primo luogo, lo troviamo nei poveri. Lo ha detto nel Lui: “avevo fame, mi avete dato da mangiare; avevo sete e mi avete dato da bere; ero straniero e mi avete accolto” (Mt 25,32s). La nostra relazione con i poveri, prima che essere un dato sociologico è teologico, spirituale. Nei poveri incontriamo il Signore, la sua presenza misteriosa che ci riempi con il suo amore. Mentre doniamo gratuitamente, riceviamo più di ciò che abbiamo donato. Poi incontriamo Gesù nella comunità: “dove due o tre sono uniti nel mio nome io sono in mezzo a loro” (Mt 18,20). Comunità che non s’identificano con le forme istituzionali, ma anche e soprattutto con l’incontro di persone che hanno conosciuto il Signore, amano la sua Parola e si trovano in famiglia. Riscoprire modalità nuove di essere comunità che sentono la presenza del Signore è una delle grandi sfide dell’epoca post-cristiana che stiamo accompagnando. “Vi do un comandamento nuovo: che vi amiate gli uni gli altri. Come io ho amato voi, così amatevi anche voi gli uni gli altri. Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri" (Gv 13, 34-35). Piccole comunità di persone che si vogliono bene, che si prendono cura gli uni degli altri rendono visibile la presenza del Signore nella storia.

Ascensione significa che il Maestro non è più in mezzo ai suoi discepoli e discepole in una forma materiale, ma in una forma nuova che ha tanti aspetti. Troviamolo e viviamolo.

mercoledì 17 maggio 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLI 18-19

 



 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

 

1 Detto questo, (ho fatto conoscere il tuo nome e lo farò conoscere), Gesù uscì, teniamo presente questa prima particolarità, con i suoi discepoli. Gesù e i suoi discepoli sono un tutt’uno e da dove esce? Non è soltanto un uscire dalla sala della cena, è un abbandonare definitivamente l’istituzione religiosa che ha già deciso di ammazzarlo. Gesù e i suoi discepoli escono insieme dal mondo, lo abbandonano. Mentre Giuda, il discepolo traditore che adesso apparirà, era uscito dal luogo della cena ed era stato inghiottito dalla notte, l’evangelista aveva scritto: prese il boccone e uscì subito ed ecco era notte, Gesù adesso esce, ma non sarà inghiottito dalla notte. Vi sarà un crescendo di luce che ad un certo momento diventerà insostenibile, questa è la linea dell’evangelista. Detto questo Gesù uscì con i suoi discepoli al di là del torrente Cèdron, è l’unica volta che nel Nuovo Testamento si parla del Cèdron. Il Cèdron in ebraico significa oscuro, era un torrentello che scorreva tra il tempio di Gerusalemme e il monte degli Ulivi. Perché l’evangelista cita il torrente Cèdron ed è l’unica volta in tutto il Nuovo Testamento? Noi sappiamo che nei vangeli non ci sono particolari messi a caso, ogni particolare ha un significato teologico. Il primo richiamo è che il torrente Cèdron venne attraversato dal re Davide dopo che venne tradito dal figlio Assalonne; scappò e attraversò il torrente: c’è l’immagine del tradimento. Ma la tradizione ebraica, identificava il Cèdron con la valle di Josafat. Josafat è un nome ebraico, composto, che significa Yahvè giudica. La tradizione identificava questo luogo con la valle di Josafat, e nel libro di Gioele 4,2 si legge: riunirò tutte le nazioni e le farò scendere nella valle di Josafat e la verrò a giudizio con loro. In questa valle per Giovanni avviene il giudizio di Israele a cui è stata fatta una proposta, il popolo e non solo le istituzioni, l’ha rifiutata. Questo è il giudizio a cui va incontro tutto Israele. Anziché accogliere il Messia liberatore lo rifiutano e lo uccidono. Già nel prologo sapevamo come sarebbe andata a finire, l’evangelista aveva detto: venne tra i suoi, ma i suoi non l’hanno accolto. Escono dalla cena sia Giuda ingoiato dalle tenebre, sia Gesù che splende più che mai perché in lui risiede la pienezza della vita. L’evangelista mette un altro particolare di grande importanza, c’era un giardino, possibile che l’evangelista che sta per narrare la cattura di Gesù, va pensare che c’era un giardino? I giardini sono pochi a Gerusalemme, sono nel palazzo del re o nel palazzo del sommo sacerdote. In una città dove da aprile fino tutto ottobre non piove, l’acqua va razionata, figuratevi se si possono tenere i giardini che erano un lusso che si potevano permettere soltanto i re e il sommo sacerdote. Il giardino ha un valore simbolico, ideologico, infatti l’evangelista lo presenta nel momento della cattura di Gesù, nel momento della crocifissione, figuriamoci se nel luogo dell’esecuzione e della sepoltura ci poteva essere un giardino, era una pietraia e il giardino è l’immagine della vita! Gesù parlando di sé aveva detto che era come il chicco di grano che cadeva, ma cadendo non si perdeva, liberava tutte le energie, potenze, che aveva dentro. Gesù ha un’immagine diversa dai suoi contemporanei riguardo la morte, che era la fine di tutto, era la distruzione. La morte non solo non distrugge l’individuo, ma è il momento importante che permette a tutte le energie, potenzialità d’amore che uno ha dentro di sé, di esplodere, di rivelarsi. Il giardino è l’immagine dove la vita è più forte della morte e richiama il giardino dell’Eden, il paradiso dove il Creatore aveva collocato l’uomo che aveva plasmato. Ed è in questo giardino che il chicco di grano va a cadere non per una distruzione, ma per una fioritura abbondante di vita. L’immagine del giardino la ritroviamo di nuovo alla resurrezione quando Maria di Magdala è andata al sepolcro, vede Gesù e pensa che fosse il giardiniere. È un richiamo al libro della Genesi, dove si dice che il Signore piantò un giardino in Eden e vi mise l’uomo che aveva modellato. Nella figura di Gesù, quale giardiniere, l’evangelista presenta Gesù come il nuovo Adamo che sta definitivamente nel giardino, il luogo della vita, capace di superare la morte. nel quale entrò lui, ed ecco la differenza, e i suoi discepoli. Abbiamo visto che Gesù uscì con i suoi discepoli, grammaticalmente ci saremmo aspettati dove entrò lui con i suoi discepoli. L’evangelista dice che entrò lui e i suoi discepoli. Non sono minuzie da persona pignola, ma sono ricchezze che il testo ci dà ed è importante comprenderle. Gesù abbandona la città, simbolo dell’istituzione religiosa con i suoi discepoli (Gesù e i discepoli sono un tutt’uno), e rappresenta la rottura con l’istituzione; nel giardino entra lui e i suoi discepoli. Gesù può entrare pienamente nel luogo della vita, i discepoli vi entreranno mano mano che saranno capaci di fare dono di sé. Sono pronti a morire per Gesù, ma non a morire come Gesù. Abbandonano l’istituzione, Gesù con i discepoli, ma nel giardino entra Gesù e i suoi discepoli. Gesù ci sta in pienezza nel luogo della vita, i discepoli vi entreranno man mano che comprenderanno che la vita si realizza quando si dona. Donare la propria vita non è perderla, ma è realizzarla.

2 Anche Giuda, in questo vangelo compare per l’ultima volta la figura di Giuda, il traditore, l’evangelista non adopera ancora il termine traditore, ma il consegnante, colui che lo consegna; conosceva il luogo perché Gesù vi si riuniva spesso con i suoi discepoli. È l’ultima volta, nella cattura di Gesù, che appare Giuda, che l’evangelista presenta come l’opposto di Gesù. Gesù è l’amore che si dona agli altri, quando l’amore si dona agli altri si comunica vita agli altri, quando si comunica vita si arricchisce la propria esistenza. Gesù quello che è e quello che ha, lo mette a disposizione degli altri; quando si arricchisce la vita degli altri, si arricchisce la propria che diventa indistruttibile. Giuda, fa il contrario, Giuda è stato definito come ladro, quello che è degli altri lo sottrae per sé e chi vive per sé, chi vive sottraendo vita agli altri, succhiando la linfa degli altri, provoca morte degli altri e la provoca anche a sé. La prima volta che Giuda è stato qualificato come diavolo dallo stesso Gesù, è stato nella sinagoga di Cafarnao, quando Gesù ha parlato della necessità di farsi pane per gli altri (il pane è l’alimento che mantiene in vita) e aveva concluso dicendo: sono forse io che ho scelto voi dodici? Eppure uno di voi è un diavolo. Il diavolo nei vangeli non è un essere spirituale, è un individuo in carne ed ossa. È Pietro, è Giuda, persone che si oppongono in qualche maniera al disegno di Dio sull’umanità. Gesù lo chiama diavolo perché secondo la Scrittura, la morte degli uomini era stata causata dal diavolo. Nel libro della Sapienza 2,24 si legge: la morte è entrata nel mondo per invidia del diavolo. Gesù indicando Giuda come diavolo, lo segnala già come un agente di morte e durante l’ultima cena tenterà inutilmente di conquistare questo discepolo offrendogli la sua vita, mettendola nelle sue mani, ma Giuda rifiuterà. Gesù ha lavato i 4 piedi anche a questo discepolo, ma come scrive Giovanni, citando il salmo 40,10: colui che mangia il pane con me ha alzato contro di me il suo calcagno. Giuda ormai si è immedesimato con il diavolo, con il potere, con il proprio interesse e dopo quel boccone il satana entrò in lui e si fa strumento delle tenebre per eliminare Gesù che è stato rappresentato come la luce del mondo.

3 Giuda dunque, preso una coorte, L’evangelista adopera il termine coorte che significa un manipolo di sei centurie per un totale di 600 uomini. Ci sono dei dati riscontrati perché questa coorte poteva andare fino a 800-1000 uomini, preso un distaccamento, una coorte e delle guardie fornite dai sommi sacerdoti e dai farisei con lanterne, torce e armi. A Gerusalemme l’amministrazione della polizia era così divisa: c’era la coorte di 600 poliziotti romani, che controllava l’ordine nella città di Gerusalemme e risiedeva nella torre Antonia posta sopra il tempio. All’interno del tempio, i romani in quanto pagani non potevano entrare, c’erano le guardie dei sommi sacerdoti e dei farisei e che sappiamo essere circa 200 unità. Tra i due gruppi c’era una grande rivalità e i guardiani del tempio dovevano soprattutto stare attenti che nessun pagano superasse la soglia riservata soltanto agli ebrei. Nelle grandi feste c’era poi sempre grande confusione e potevano esserci delle sommosse.

4 Gesù dunque conoscendo tutto quello che doveva accadere uscì e disse loro: “Chi cercate?”. C’è un dunque che unisce le due espressioni, 18,3 Giuda dunque prese un distaccamento di soldati; adesso l’evangelista scrive: Gesù dunque conoscendo tutto quello che gli doveva accadere. Sia Giuda che Gesù portano a compimento i desideri del Padre loro, Giuda porta a compimento i desideri del diavolo, del satana, colui che ha deciso fin dal principio e porta segni e strumenti di morte; Gesù porta a compimento i desideri del Padre suo e nel prologo era stato scritto che lui era la vita, quindi porta un crescendo di vita.

5 Gli risposero: “Gesù il Nazoreo”. nazoreo è un termine strano, inventato dall’evangelista. Lo abbiamo nel vangelo di Giovanni e nel vangelo di Matteo. Nazoreo di per sé non significa nulla, perché racchiude ben tre significati diversi: il primo è quello di Nazaret, però se avesse voluto dire che era di Nazaret avrebbe dovuto dire nazaretano. Nazaret era il luogo della Galilea abitato da rivoluzionari, da persone bellicose.

Disse loro Gesù: “Io sono”. Quando nell’ episodio del roveto ardente Mosè chiese a quel fenomeno che si trova davanti: chi sei, la misteriosa identità risponde: Io sono, che non è la rivelazione dell’identità di Dio, Dio non ha il nome, perché un nome definisce una realtà, Dio è senza nome, ma ne indica l’attività.

Stava con loro anche Giuda il suo traditore. È la terza volta che compare il termine Giuda e qui non c’era bisogno. Quando nei vangeli c’è qualcosa di superfluo...é logico che Giuda guidava il gruppo! Giuda arriva lì per catturare Gesù e l’evangelista dice: con loro stava anche Giuda lo sapevamo! L’evangelista ci dà questa indicazione di cui non c’era bisogno perché vuole raggiungere il numero tre, che indica quello che è completo, definitivo. L’evangelista con questo vuole denunciare il pieno coinvolgimento di Giuda nella cattura e nella morte di Gesù. Poi Giuda scompare dal vangelo. Questa è l’ultima volta che compare Giuda in questo vangelo, Giuda ha scelto definitivamente con chi stare, l’evangelista scrive: stava con loro anche Giuda, o stare con la vita, con Gesù, o stare con la morte. Ha scelto di stare con la morte.

6 Come disse: “io sono”, cercavano il Nazoreo, un bandito e invece trovano Dio. Gesù si presenta come la manifestazione piena della divinità Io sono. Come disse io sono, indietreggiarono e caddero a terra. Il racconto di Giovanni non è una ricostruzione storica degli avvenimenti, ma teologica. Non è possibile che quando Gesù ha detto il nome divino io sono, tutti sono indietreggiati e caduti a terra, può darsi gli ebrei! Ma per i romani che Gesù si proclamasse Dio degli ebrei non poteva essere considerato di meno. Indietreggiare, cadere a terra per meraviglia, è immagine di sconfitta. Alla fine del capitolo 16 Gesù dice: coraggio io ho vinto il mondo, non aveva annunciato che vincerà il mondo, ma il mondo è già stato sconfitto, perché la luce avrà sempre la meglio sulle tenebre, la vita sarà più forte della morte. Anche quando sembra che prevale la menzogna al posto della verità, le tenebre al posto della luce, e la morte al posto della vita, questo non è Risposero: “Gesù, il Nazoreo”. Il fatto che venga ripetuto Nazoreo indica la pericolosità di Gesù, ecco perché ci sono le guardie inviate dai sommi sacerdoti. Se Gesù pretende di essere in Messia è pericoloso per l’intero sistema, ecco perché ci sono le guardie mandate dal procuratore romano. Gesù come Nazoreo è un ribelle, uno di quei rivoluzionari che continuamente lotta contro l’oppressione romana.

8 Gesù replicò: “Vi ho detto che io sono”. Come il nome di Giuda è stato ripetuto tre volte e poi scompare, qui viene ripetuto tre volte io sono che è il nome di Dio. Gesù manifesta pienamente la sua condizione divina: Vi ho detto che io sono. Gesù in questo momento è in una situazione di vantaggio perché l’evangelista dice che tutti sono caduti, arretrati per terra. Ebbene Gesù dice: vi ho detto che io sono. Se dunque cercate me, lasciate che questi se ne vadano. L’ordine di cattura (vedremo successivamente quando Gesù sarà portato di fronte al sommo sacerdote), non era soltanto per Gesù, ma era per tutto il suo gruppo. Non è pericolosa soltanto la figura di Gesù, è pericolosa la dottrina.

10 Allora Simone Pietro, è un espediente letterario degli evangelisti, che quando vogliono indicare che il discepolo è in sintonia con Gesù lo presentano come Simone, praticamente mai; quando oscilla tra fedeltà a Gesù e contrasto lo presentano con il nome e sopranome Simon Pietro; quando è completamente all’opposizione lo presentano soltanto il sopranome negativo Pietro. Allora, Simon Pietro, 9 che aveva una spada, sorprende, sono usciti dall’ultima cena e come ricordino della prima comunione si è portato una spada. Che ci fa Pietro con una spada? Dal capitolo 13 è iniziata la narrazione dell’ultima cena con Gesù e anche là c’è stato un incidente. Mentre Gesù lavava i piedi, Pietro è l’unico che si è rifiutato perché aveva capito il significato profondo di questo gesto: se Gesù che è il capo, lava i piedi agli altri, io che voglio essere il capo dovrò lavarli agli altri e aveva cercato di trasformare la lavanda in un rito. Quando Gesù lo ha messo con le spalle al muro e gli ha detto: se non ti fai lavare, non hai nulla a che fare con me, Pietro sempre furbo risponde: si, ma allora non solo i piedi ma anche la testa e le mani, cioè le purificazioni rituali che si facevano in vista della Pasqua.

11 Gesù allora disse a Pietro: c’è soltanto il soprannome negativo, l’azione di Pietro è completamente contraria a quella che Gesù poteva desiderare, Metti la tua spada nel fodero, per la prima volta nella narrazione della cattura, Simone appare soltanto con il soprannome negativo Pietro, che indica la sua cocciutaggine. Gesù, lo ricordo, durante la cena aveva detto: per ora tu non puoi seguirmi. Pietro ancora una volta non ascolta le parole di Gesù, prova a seguirlo e c’è il disastro. Simone è incapace di seguire Gesù, perché non è riconoscibile dal l’unico distintivo che hanno i discepoli di Gesù. Nell’ultima cena Gesù aveva detto: Da questo vi riconosceranno, se avrete amore gli uni per gli altri, Pietro porta la spada, non è certo riconoscibile per l’amore, è l’unico ad agire con violenza. non berrò forse il calice che il Padre mi ha dato?. Il calice è l’immagine della morte, ma in questo vangelo Gesù non è la vittima che va verso il supplizio, è la persona che liberamente e volontariamente accetta di fare questa fine pur di dimostrare la potenza di un Dio Amore. Il Dio Amore si dimostra che in ogni sequenza della passione, di fronte alla violenza Gesù risponde soltanto con l’amore. Se Gesù adesso affronta e accetta la morte, è perché lui è espressione di quest’amore. Non risponde all’odio con la violenza, combattendo come vorrebbe Pietro.

13 e lo condussero prima da Anania: egli infatti era suocero di Caifa, che era sommo sacerdote quell’anno. Entra in scena un personaggio importantissimo nel vangelo di 12 Giovanni e in tutto il Nuovo Testamento perché è il vero detentore del potere. Nelle vostre traduzione avete Anna, ma siccome in italiano è un nome femminile e crea confusione, io uso il termine ebraico Anania. Anania era filo-romano, era dalla parte dei dominatori, era stato sommo sacerdote, ma era completamente dalla parte dei dominatori, sapeva che appoggiando i dominatori, poteva conservare il suo potere. L’evangelista mette in scena il primo e l’ultimo sacerdote della vita di Gesù per indicare che tutta l’istituzione è contro Gesù. Infatti Anania era sommo sacerdote nel 6 d.C. quando Gesù nacque, poi c’è Caifa quando Gesù morì. Gli intrighi, gli imbrogli, le sopraffazioni con cui Anania aveva conquistato il potere erano diventati leggendari, era un uomo indubbiamente abile e astuto. Basta pensare che per ben cinquant’anni ha tenuto le fila del potere in Israele. Non tanto quando era in carica, c’è rimasto appena nove anni come sommo sacerdote, ma riuscì a fare eleggere come sommi sacerdoti ben cinque figli.

15 Seguirono Gesù Simon Pietro, e l’altro discepolo. C’è un discepolo nel vangelo di Giovanni che non ha nome e che non è lecito battezzare. Purtroppo la curiosità dei primi cristiani e le tradizioni hanno svuotato di contenuto certe affermazioni dell’evangelista. Quando nei vangeli i personaggi sono presentati come anonimi, senza il loro nome, significa che al di là della realtà storica che c’è, l’evangelista non vuole presentare un personaggio storico ben definito al quale potersi rapportare. È un personaggio che si chiama rappresentativo, perché in lui si possono identificare tutti. La curiosità dei cristiani ha fatto sì che certi personaggi, che vengono presentati anonimi, fossero battezzati (attribuito un nome) svuotando il contenuto del messaggio dell’evangelista.

gli rispose: “Io ho parlato al mondo apertamente, sottolinea io ho parlato al mondo apertamente, perché chi sta nell’ambito del potere, non parla mai apertamente. Quando l’agire è determinato dalla convenienza, anche il linguaggio è condizionato dalla convenienza, le verità saranno mezze verità, la menzogna sarà spacciata per verità perché tutto è determinato dalla convenienza. Gesù che non bada al proprio interesse, ma al bene dell’uomo dice io ho parlato al mondo apertamente; ho sempre insegnato nella sinagoga e nel Tempio dove tutti i Giudei si riuniscono, più che una affermazione è un atto di accusa. È vero che ha parlato nella sinagoga, ma nella sinagoga di Cafarnao, al capitolo 6 di questo vangelo è stato contestato proprio dai Giudei quando hanno capito che Gesù inaugurava una nuova maniera di rapportarsi con Dio. Quando hanno capito che Gesù era venuto per dare vita all’umanità, sono stati proprio i Giudei, i capi religiosi che l’hanno contestato. L’evangelista scrive 6,41: mormoravano di lui perché aveva detto: “io sono il pane disceso dal cielo” cioè la vita che Dio comunica. nel Tempio, proprio nel Tempio il luogo più santo della terra, il luogo più sacro di Gerusalemme, là dove si venera Dio, è il luogo più pericoloso per Dio. Nel Tempio di Gerusalemme, secondo questo vangelo, per ben due volte tenteranno di lapidare Gesù. Gesù che non corre nessun pericolo con i peccatori e nessun rischio con i miscredenti, corre pericoli mortali quando si trova tra gente religiosa e nei luoghi sacri. Per ben due volte cercheranno di ammazzare Gesù nel Tempio. e non ho mai detto nulla di segreto. È il potere che parla in segreto. Gesù non ha bisogno di parlare in segreto e qui l’evangelista vede nell’affermazione di Gesù, un richiamo (sono molti) all’Antico Testamento, al profeta Isaia, capitolo 45, dove il Signore dice: Io non ho parlato in segreto.

23 Replicò Gesù: “Se ho parlato male dimostrami dov’è il male. Ma se ho parlato bene, perché mi percuoti?”. Intanto Gesù - questo va chiarito perché è un brano di Matteo che ha portato molta confusione in passato e tanti danni alla spiritualità cristiana - perché non presenta l’altra guancia? Nel vangelo di Matteo Gesù non ha detto: a chi ti dà uno schiaffo sulla guancia porgi anche l’altra? L’unica volta che Gesù riceve uno schiaffo non presenta l’altra guancia! e questo spiega il detto di Gesù quando ti danno uno schiaffo su una guancia, tu presenta anche l’altra. Gesù non ci chiede di essere tonti, ma di essere buoni. Molti confondono l’essere buoni con l’essere tonti, questo non è positivo. Gesù chiede di non rispondere con la violenza a chi ci usa violenza. Se tu mi dai uno schiaffo e io te ne do un altro, tu mi dai un pugno e io te ne do un altro, la violenza cresce. Si innesca l’aggressività dell’altro che si disinnesca cercando – estremo pericolo delle autorità religiose – di fare ragionare un sottomesso (tanto più qui è una guardia) con la propria testa. Questo è un crimine intollerabile. Le autorità religiose sopportano chi le contesta, perché non fa altro che rafforzarle nelle loro posizioni.

30 Gli replicarono e dissero: “Se questo, è una caratteristica del vangelo che mai i capi religiosi pronunciano il nome Gesù. È tale l’odio delle autorità religiose nei confronti di Gesù che in questo vangelo viene come presentato il Figlio di Dio e Dio lui stesso, che neanche una volta ne pronunciano il nome, ma sempre con un termine dispregiativo questo, mai con una forma per lo meno di cortesia. Se questo non fosse un malfattore non te lo avremmo consegnato”. I capi si dimostrano offesi della domanda e dicono che è chiaro che è un malfattore. Per le autorità religiose Gesù è un malfattore, uno che fa il male. L’attività di Gesù, comunicare vita alle persone, è per loro un crimine che va punito con la pena di morte. Loro vedono come un male il bene compiuto da Gesù (Gesù ha compiuto solo il bene). Sono quelli che chiamano malfattore un uomo che ha fatto del bene. Nel capitolo 8,44 Gesù parlando d

32 Così si adempivano le parole che Gesù aveva detto, indicando di quale morte doveva morire. Perché i capi portano Gesù dai Romani? Perché non lo hanno ammazzato? Potevano ammazzarlo benissimo senza bisogno di portarlo dai Romani, avevano una certa libertà di giurisdizione e di movimento, ma la pena di morte che era in vigore presso il popolo ebraico era la lapidazione. Nella lapidazione il condannato era gettato in una scarpata, si gettava una grossa pietra e poi altre pietre. L’uomo sarebbe stato precipitato in basso. Loro, per Gesù, non vogliono soltanto una morte, perché ammazzare una persona come Gesù c’era il rischio che la gente potesse farne un martire più pericoloso di una persona viva che può essere controllata. Quando una persona diventa un martire la sua fama, le sue opere e le sue parole dilagano.

36 Rispose Gesù: “Il mio regno quello mio, prende le distanze dall’idea di regalità, non è di questo mondo, non significa come si fa delle volte in maniera superficiale che sta contrapponendo il regno della terra con il regno celeste dell’aldilà. Gesù dice che questo regno non è di questo mondo, ma non che non sia in questo mondo, solo che il suo regno è una maniera completamente diversa di intendere la regalità, che non c’è mai stata. Il regno quello mio non è di questo mondo; e fa il paragone, se fosse di questo mondo, i miei servitori avrebbero combattuto perché non fossi consegnato ai Giudei; ogni re ha dei servi e delle guardie. Gesù dice che il suo regno non è di questo mondo perché il suo regno, la sua regalità è completamente diversa. Non ha servitori, perché è lui stesso che si fa servo dei suoi (nell’ultima cena Gesù quando lava i piedi ai discepoli). Gesù è lui stesso immagine di un Dio che si mette a servizio degli altri per cui non ha servitori, comunque la violenza è esclusa dal suo comportamento, la violenza non è ammessa in nessun modo e non è nel suo programma.

Io per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità. Chiunque è dalla verità ascolta la mia voce. Il versetto è importante e si rifà a quello che abbiamo detto all’inizio, è la chiave di lettura interpretativa per conoscere la Sacra Scrittura e per conoscere il vangelo. È tutto in questo versetto. Gesù dice: Io per questo sono nato e per questo sono venuto al mondo per rendere testimonianza alla verità. La verità nel vangelo di Giovanni è la verità su Dio e sull’uomo. La verità su Dio è che Dio è amore che si fa servizio. Questo per noi sembrava abbastanza normale anche se ancora non ci è entrato profondamente, ma per quell’epoca era inaudito che Dio è amore che si fa servizio; ma gli uomini non sono i servi di Dio che devono offrirgli? No. È Dio che non chiede offerte ed è lui che si offre agli uomini.

 

CAPITOLO 19

1 Allora, si riferisce a quanto è accaduto, dunque l’inizio è molto solenne Pilato prese Gesù e lo flagellò. Il verbo “prendere” è stato adoperato dall’evangelista, nel prologo nel senso di accogliere Gesù, chi non lo accoglie come fonte di vita inevitabilmente lo accoglie per dargli la morte. Ma Pilato aveva proposto ai giudei, i giudei sono i capi del popolo, aveva detto: prendetelo voi e giudicatelo secondo la vostra Legge. Visto che questi rifiutano tocca a Pilato prendere Gesù; e lo flagellò. L’evangelista, ecco che qui incomincia a trasformare la realtà storica in teologica dice che Pilato prende Gesù e lo flagellò. Impossibile che il procuratore romano, rappresentante dell’impero si metteva a flagellare un condannato a morte. Questa è un’azione che facevano i soldati; ma l’evangelista attribuendo la flagellazione a Pilato ne vuole sottolineare la responsabilità. Quindi Giovanni non diminuisce la responsabilità di Pilato, ma la accresce.

E disse loro: ecco ve lo conduco fuori perché sappiate e lo ripete per la seconda volta, che non trovo in Lui nessuna colpa. Ridotto ad un grumo di sangue Gesù viene condotto davanti alle autorità; quelli, ricordate che hanno portato Gesù a Pilato definendolo un malfattore, uno che pretendeva di essere niente di meno che il re dei giudei, ed erano riusciti a far credere tutto questo, convincendo che era meglio eliminare Gesù perché altrimenti se lo lasciavano in vita attaccavano i romani e li avrebbero distrutti. Invece per Roma, per bocca del suo procuratore Gesù non rappresenta nessun pericolo. Per la seconda volta Pilato dice: io in Lui non trovo nessuna colpa.

Ecco l’Uomo! questa espressione è famosa perché la conosciamo nella versione latina “ecce homo” quindi c’è questa espressione: ecco l’uomo, chi è che la pronuncia? Storicamente e indubbiamente chi pronuncia questa espressione è Pilato, è Pilato che conduce fuori Gesù e dice: ecco l’uomo, ma l’evangelista omette il nome. Nel testo greco, anche se poi purtroppo i traduttori per far comprendere meglio, ma in realtà fanno confusione inseriscono il nome Pilato, ma Pilato non c’è nel testo greco, quindi è Gesù, allora: ecco, spero di non aver fatto confusione ecco i due piani quello storico e quello teologico; storicamente chi è che ha detto: ecco l’uomo, senz’altro Pilato, ma l’evangelista non ci vuol trasmettere un episodio storico, ma un insegnamento teologico. Omette Pilato, in modo che è Gesù che si presenta: ecco l’Uomo. Quindi non è Gesù vittima, ma un Gesù consapevole di se stesso che si presenta come l’uomo realizzato.

6 Al vederlo chi è che vedono? Vedono l’uomo, vedono l’uomo realizzato, e quello che adesso l’evangelista ci descrive è importantissimo, al vederlo, i sommi sacerdoti e le guardie, ricordate prima quelli che detengono il potere e quelli che sono sottomessi al potere, gridarono: quindi qualcosa di odio che esplode, crocefiggi, crocefiggi. I sommi sacerdoti e le guardie vedono l’Uomo, il progetto di Dio sull’umanità e questo scatena il loro odio mortale. Non era vero il motivo della pericolosità di Gesù, se lo lasciavano stare i romani ci distruggeranno, il pericolo per l’istituzione religiosa è il Dio che si fa uomo, e che quindi mette fine ai propri privilegi. L’istituzione religiosa ha il terrore che le persone che le sono sottomesse crescano e si maturino, allora hanno bisogno di tenerle soggiogate quindi quando vedono l’uomo realizzato, l’uomo pienamente libero non sanno frenate tutto il loro odio. Per loro, il popolo ogni persona deve essere sempre sottomesso alla loro dottrina, hanno il terrore della persona adulta e libera, quindi cercano di tenere gli uomini sempre in una condizione infantile, gli uomini a loro sottomessi devono obbedire, non importa se capiscono o meno.

7 Gli risposero i giudei: noi abbiamo la Legge e secondo questa Legge deve morire perché si è fatto Figlio di Dio. Ricordo ancora una volta che quello che l’evangelista ci trasmette, ed è molto duro, non è per una polemica contro un mondo quello giudaico dal quale la comunità cristiana ormai si è distaccata, ma un monito perché all’interno della comunità cristiana non si ripetano le stesse situazioni. I giudei ricordo sono i capi del popolo ed ecco finalmente che l’evangelista smaschera l’istituzione religiosa giudaica, la loro Legge è una Legge che è nemica del piano di Dio ed è capace di dare solo la morte; quindi questa Legge non esprime il consenso della volontà di Dio.

Non sai che ho il potere di liberarti o il potere di crocefiggerti? Quello che sta dicendo Pilato è grave, la assoluzione o la condanna non dipende dalla innocenza o dalla colpevolezza dell’individuo, indipendentemente dalla innocenza ho il potere di liberarti o di crocefiggerti. La frase che l’evangelista mette in bocca a Pilato è parallela a quella di Gesù che aveva detto della propria vita, Gesù aveva detto che La sua vita aveva il potere di offrirla e il potere di riprenderla di nuovo (Gv.10,18). Mentre il potere è capace di darti la morte, l’amore di Gesù è capace di dare la propria vita. La scelta che Pilato farà tra la vita e la morte sarà anche la sentenza che lui darà non su Gesù, ma su se stesso. Quindi per Pilato la sentenza di morte o di vita è indipendente dalla colpevolezza o meno dell’imputato, perché quello che determina l’agire del potere, in questo caso civile, abbiamo visto in precedenza quello religioso, non è mai il bene dell’uomo, l’interesse per l’uomo, ma sempre la propria convenienza; è in base alla propria convenienza che vengono fatte queste scelte che possono portare alla vita o possono portare alla morte, quindi il potere sceglie sempre quello che gli conviene ed è capace di manipolare questa scelta con argomentazioni razionali, importanti.

Per questo chi mi ha consegnato a te ha un peccato più grande. Torna di nuovo e adesso lo vedremo sviluppato il tema del peccato chi mi ha consegnato a te; chi ha consegnato Gesù a Pilato? È stato il sommo sacerdote; allora Gesù qui contrappone la persona ritenuta più vicino a Dio addirittura si riteneva che il sommo sacerdote fosse il rappresentante di Dio, e un pagano, dominatore, ritenuta la persona più lontana da Dio; quindi è più responsabile la persona che si ritiene più vicina a Dio. Gesù era stato annunciato come colui che avrebbe tolto il peccato del mondo, e il peccato era il rifiuto della vita, che Dio proponeva; adesso sia Pilato che Caifa che sono agenti di morte, agenti del potere sono sotto la cappa di questo peccato; le tenebre che impediscono all’amore di Dio di arrivare agli uomini. Qui l’evangelista sottolinea come la responsabilità del sommo sacerdote di Israele uomo considerato vicino a Dio sia molto più grave di quella di un pagano ritenuto il più lontano, tanto più grave se per ammazzare Gesù ci si fa scudo di Dio e della sua Legge. 12 Da quel momento Pilato cercava di liberarlo. Quindi Pilato è il giudice che ha paura di Lui e non vede in Gesù nessun pericolo e quindi cerca di liberarlo; Ma i giudei cioè i capi del popolo hanno in mano la carta vincente; hanno provato con le accuse religiose, Gesù che si fa Figlio di Dio, ma queste non hanno trovato credito, avevano provato con le accuse politiche, Gesù che si fa re di Israele, ma anche questo vedendo Gesù non era credibile; adesso, sono astuti, tirano fuori l’asso nella manica, tirano fuori la carta vincente che avevano lasciato per ultima.

15 I capi gridarono: toglilo, toglilo! Crocifiggilo. È importante quello che l’evangelista ci sta indicando, Gesù da Giovanni Battista è stato presentato come l’agnello che toglie il peccato del mondo; non i peccati, sapete che nella trasposizione liturgica si dice: agnello di Dio che togli i peccati del mondo e ci fa pensare che siano i nostri peccati, non è questo, è un peccato al singolare. Questo peccato nel vangelo di Giovanni è la spessa coltre di tenebre che impedisce all’amore di Dio di arrivare agli uomini. E chi è responsabile di queste tenebre, l’evangelista ce lo fa capire. Quindi quelli gridarono: toglilo, toglilo, crocifiggilo, allora Gesù è presentato come l’agnello che toglie il peccato del mondo, adesso i responsabili del peccato del mondo cosa gridano? Toglilo, il verbo greco è lo stesso, quindi Gesù è colui che è venuto a togliere il peccato del mondo, ma i responsabili del peccato del mondo gridano toglilo, toglilo, non sopportano neanche loro la vista di Gesù. Perché sono tenebre e le tenebre non sopportano la luce. Gesù lo aveva detto: chiunque fa il male odia la luce.

 Uscì verso il luogo del Cranio, detto in ebraico Gòlgota. Il luogo dell’esecuzione di Gesù era un’antica cava di pietra; il sottosuolo di Gerusalemme è ricco di pietra, le pietre che sono poi state adoperate per la costruzione del tempio e delle varie costruzioni. C’era questa cava di pietra che venne lesionata da un forte terremoto, quindi non poteva più essere adoperata per estrarre le pietre ed era adibita al luogo di esecuzione pubblica e a fossa comune per le persone che lì venivano giustiziate. Questo luogo, un’altura di circa 8 metri, per la forma che aveva veniva chiamata Cranio, e da Cranio viene il latino Calvario, poi tutta la tradizione lo ha fatto diventare il monte Calvario, quindi la salita di Gesù al monte Calvario.

19 Pilato scrisse anche l’iscrizione e la fece porre sulla croce; vi era scritto: Gesù il Nazoreo, il re dei giudei; Dunque, la responsabilità di Pilato è ancora una volta sottolineata dall’evangelista per il quale è Pilato colui che scrisse l’iscrizione da porre sulla croce. Quando abbiamo parlato che il condannato prendeva su di se il patibolo, al collo gli veniva messa una tavoletta con scritto il motivo di questa condanna. Ebbene per Gesù c’è scritto: “Gesù il Nazoreo”, un termine inventato dall’evangelista perché è un termine che non esiste, in questo “Nazoreo”, che ha soltanto Giovanni, l’evangelista racchiude vari significati, anzi tutto Nazareth il luogo di provenienza di Gesù, ma soprattutto Nazareth era un covo di rivoluzionari, all’epoca di Gesù, Nazareth era in una parte montagnosa della Galilea, era uno dei luoghi dove gli Zeloti che erano i partigiani dell’epoca o terroristi visti dall’altra parte, si rifugiavano dopo aver concluso le loro scorrerie contro i romani, quindi dare a Gesù del Nazzareno significava già di essere una testa calda.

25 Stavano presso la croce di Gesù, il verbo stare adoperato dall’evangelista è stare in piedi; piccolo passo indietro, ricordate l’ordine di cattura era per tutto il gruppo di Gesù. Non è pericoloso soltanto Gesù, è pericolosa la sua comunità perché fintanto che c’è un solo discepolo libero che annuncia il suo messaggio, l’istituzione religiosa non sta tranquilla, quando portano Gesù dal sommo sacerdote, da Anania, lui non si interessa a Gesù, è legato e tra poco lo ammazza, gli chiede due cose dei discepoli e della dottrina, è questo che lo preoccupa, quindi l’ordine di cattura era per tutto il gruppo di Gesù ed è stato Gesù che in un’azione di forza ha detto: se cercate me lasciate che questi se ne vadano via. Quindi Gesù è stato il pastore che ha dato la sua vita per le sue pecore, hanno arrestato Gesù e gli altri se la sono squagliata li ritroveremo poi più avanti che stanno chiusi in casa per paura dei giudei, ma non tutti: ci sono alcuni discepoli di Gesù che non si sono nascosti, ma hanno deciso di seguire il loro Maestro fin sulla croce per cui questi personaggi, che adesso troviamo presso la croce di Gesù, non è il quadretto dogmatico di persone che stanno lì a compatire e consolare Gesù, sono quelli che sono andati sul luogo dell’esecuzione e si sono dichiarati pronti a fare la stessa fine di Gesù.

26 Gesù allora vedendo la madre, perché non dice sua madre? L’evangelista doveva scrivere Gesù vedendo sua madre, invece dice: vedendo la madre, non è soltanto la madre di Gesù, ma è la madre della nuova comunità; l’evangelista ci sta preparando qualcosa…, non presenta una scena di morte, ma una scena di vita, addirittura vedremo la sepoltura di Gesù l’evangelista anziché adoperare il linguaggio del funerale, usa il linguaggio nuziale, quindi le bende etc. vedremo allora vedendo la madre e accanto a lei il discepolo che Egli amava, da dove scappa fuori questo qui? Stavano presso la croce di Gesù da due a quattro donne; vedendo la madre e vede il discepolo che amava, da dove è scappato fuori questo? perché l’evangelista non ce l’ha descritto, vedete ancora una volta stiamo vedendo che l’evangelista non sta facendo una cronaca, ma una teologia; chi è questo personaggio: il discepolo che Egli amava.

29 Vi era là un vaso pieno di aceto; è importante il simbolo dell’aceto che verrà ripetuto tre volte, mentre il vino è simbolo d’amore, l’aceto è simbolo d’odio, quindi c’era la un vaso pieno di aceto posero perciò una spugna piena di aceto, da come è costruita la frase prendono questa spugna, si imbeve completamente dell’aceto contenuto nel vaso posero perciò una spugna piena di aceto su, e qui c’è un problema che poi i copisti dei vangeli cercarono di modificare perché sembrava incoerente l’evangelista scrive: su un issopo e gliela accostarono alla bocca. Cos’è l’issopo? È la nostra maggiorana, è impossibile prendere un rametto di maggiorana metterci sopra una spugna, per di più imbevuta di aceto, siccome questo issopo si scrive in greco “hyssopoi”; alcuni copisti pensarono ad un errore perché è impossibile mettere questa spugna in un rametto allora alcuni pensarono “hyssoi” per cui tradussero canna, che è l’immagine tradizionale che conosciamo.

Gesù disse: è compiuto!. Cos’è compiuto? È compiuta la creazione dell’uomo, l’evangelista ha posto tutto il racconto della creazione nella chiave di sei giorni come nel libro della Genesi e Gesù quando fino all’ultimo è stato capace di avere una proposta d’offerta d’amore a quanti lo circondano, dice: è compiuto, ecco l’uomo creato a immagine e somiglianza di Dio ed è l’uomo che sempre e comunque ha una capacità d’amore.

E, chinato il capo, consegnò lo spirito. Nessun evangelista scrive che Gesù morì, Gesù è morto sulla croce, ma gli evangelisti non fanno una cronaca, ma una teologia, nessun evangelista parla di Gesù come morto. Qui Giovanni dice: chinato il capo, chinare il capo non è un’azione di un morente, ma di un vivo quello dell’addormentarsi, Gesù reclina il capo nella posizione tipica del dormiente, ricordate nell’episodio di Lazzaro Gesù aveva detto: Lazzaro si è addormentato, perché? perché il sonno della morte non solo non interrompe la vita di Gesù, ma è l’occasione perché si manifesti in pienezza poi alla consegna dello spirito. E, chinato il capo, consegnò lo spirito l’evangelista ha usato questo verbo “consegnare” sempre in maniera negativa.

33 Venuti però da Gesù; allora: “vennero dunque i soldati spezzarono le gambe al primo”, abbiamo visto che l’evangelista dice che Gesù è stato crocefisso in mezzo, allora : ci sono le tre croci, spezzarono le gambe al primo, e poi dovevano spezzarle a Gesù, invece guardate che giro che fanno, spezzano le gambe al primo poi vanno dall’altro e poi solo alla fine vanno da Gesù. Naturalmente è un’immagine teologica che l’evangelista ci da per far vedere la centralità della figura di Gesù, per presentare la sorpresa e vedendo che era già morto, non gli spezzarono le gambe. L’azione quindi descritta da Gv. non è coerente dal punto di vista storico, se Gesù è stato crocefisso in mezzo non si vede perché i soldati devono fare tutta strana cerimonia passando da Gesù per ultimo. L’artifizio letterario serve all’evangelista per concentrare l’attenzione su Gesù e sul significato dell’azione dei soldati. Gesù è già morto, non c’è bisogno quindi di spezzargli le gambe.

35 Chi ha visto ne da testimonianza e la sua testimonianza è vera; egli sa che dice il vero, perché anche voi crediate. L’evangelista interrompe questa narrazione molto drammatica dal punto di vista narrativo, per una solenne affermazione di fede che riguarda la comunità e riguarda anche noi. L’evangelista è cosciente di non aver trascritto la cronaca dei fatti della crocefissione di Gesù, ma è una lettura teologica che è importante, dice l’evangelista: “chi ha visto” il verbo “vedere” in greco si scrive in due maniere: uno che riguarda la vista fisica e in greco è “Blephèo”; l’altro invece che riguarda il capire, il percepire e in greco è il verbo ”Horào” ed è lo stesso che noi adoperiamo quando io posso dire, vedi quel quadro? ed è la vista fisica; ma se spiego e dico: ma non vedi che ti prendono in giro; non implica la vista fisica ma implica la comprensione.

36 Questo infatti avvenne perché si adempisse la Scrittura: non gli sarà spezzato nessun osso. Ecco notiamo l’insistenza che ha Giovanni per associare Gesù all’agnello di Dio, Gesù muore nel giorno e nel momento, in cui si immolavano gli agnelli nel tempio, l’ora terza e nel libro dell’Esodo c’è proprio questa indicazione: non gli romperete nessun osso. Gesù per l’evangelista è il vero agnello pasquale il cui sangue libera dalla morte e la cui carne da la forza per iniziare l’esodo verso la pienezza.

40 Essi presero allora il corpo di Gesù e lo legarono con teli di lino e qui la sorpresa, l’evangelista dovrebbe usare il termine “bende” e invece adopera teli di lino che sono le lenzuola per il letto nuziale; l’evangelista pur descrivendo quello che storicamente è un funerale lo riveste di significati e fa vedere non solo la morte, l’assenza di vita, ma il trionfo della vita, è il trionfo della vita quale al momento delle nozze. insieme con oli aromatici, come usanza seppellire dei giudei. Cosa significa come usanza dei giudei? Perché i cadaveri non venivano legati, i cadaveri venivano lavati con acqua e aceto e poi sopra veniva posto un lenzuolo per coprirlo, non veniva legato, perché qui, in questo caso, legano Gesù ? Bisogna riandare alla resurrezione di Lazzaro, che l’evangelista ha scritto anticipando quello che sarà la morte e gli effetti della resurrezione di Gesù.