Es 19,2-6a; Sal 99; Rm
5,6-11; Mt 9,36-10,8
Paolo
Cugini
Nelle domeniche del tempo
comune riflettiamo sulle caratteristiche che dovrebbero avere coloro che
seguono Gesù. Per compiere tale cammino è necessario la disponibilità al
cambiamento, l’umiltà per lasciarsi mettere in discussione dalla Parola del
Maestro. È un percorso che non è semplice perché incontriamo dentro di noi le
resistenze al cambiamento, la difficoltà di un cammino che richiede un
atteggiamento di fiducia nei confronti della Parola di Dio.
In quel tempo, Gesù,
vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come
pecore che non hanno pastore (Mt
9,36). Il primo atteggiamento interiore necessario per seguire le orme del
Maestro consiste nell’imparare a sentire compassione nei confronti di coloro
che incontriamo nel nostro cammino. L’annuncio del Vangelo, dello stile nuovo
di vita inaugurato da Gesù, non è un insegnamento che si trasmette dalla
cattedra ma è, prima di tutto, la comunicazione di vita nuova che sgorga da un
atteggiamento di empatia nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vengono
al nostro incontro. Sentire le sofferenze degli altri con il desiderio di
aiutarli a mettersi in cammino verso una vita di pienezza è il pinto di
partenza dei discepoli del Maestro che, vedendo le folle, ne sente compassione.
Diventiamo cristiani e comunità generative, che sanno stimolare processi di
cambiamento, solamente se apriamo il nostro cuore all’amore del Signore,
all’azione del suo Spirito, che ci aiuta a vedere gli altri con uno sguardo
nuovo, attento a loro, desideroso di comunicare vita.
Chiamati a sé i suoi
dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e
guarire ogni malattia e ogni infermità (Mt 9,37). È impossibile comunicare
vita se l’anima è intasata da realtà contrarie e antagoniste all’amore di Dio.
È impossibile essere portatori di pace in un contesto malato e contaminato dall’odio.
Per annunciare il Vangelo occorre prima di tutto liberare il terreno, creare le
condizioni. Lo spirito impuro indica una malattia spirituale tipicamente
religiosa. Impuro è l’invenzione della religione per controllare le persone e
farle sentire indegne di accostarsi a Dio. I sacrifici, le abluzioni, sono
tutti precetti messi in atto dagli uomini del tempio, per sottomettere gli
uomini e per ricavarne un profitto. Non a caso, nel tempio c’era il tesoro che
raccoglieva i soldi di tutto ciò che gli uomini versavano per poter fare i loro
riti e accedere al tempio. Gesù dichiara fallito questo sistema e, di
conseguenza, dà potere ai discepoli di liberare gli uomini e le donne da questa
schiavitù. Per poter aiutare le persone a liberarsi dei lacci degli uomini del
tempio, occorre che prima di tutto il discepolo si sia liberato da questa
schiavitù religiosa. E’ questo il potere che Gesù dona a coloro che lo seguono:
mostra loro il grande inganno e la grande farsa della religione del tempio, che
invece di avvicinare gli uomini e le donne a Dio, li allontana. Gesù mostra con
il suo stile di vita, con il suo essere venuto in mezzo a noi spogliandosi di
tutto, che Dio è accessibile a tutti e a tutte e non ha bisogno di alcun filtro
religioso. Inoltre, di che malattia e di che cure Gesù sta parlando? A questo
livello è possibile indicare varie interpretazioni a partire dal contesto in
cui ci si trova ad annunciare il Vangelo. Dalle nostre parti, vale a dire in
Occidente, le malattie che non permettono al Vangelo di entrare e portare
frutto sono l’attaccamento al denaro, lo spirito di antagonismo, la dinamica
meritocratica, che stimola l’individualismo e il desiderio di primeggiare sugli
altri a qualsiasi costo. Queste malattie vanno curate, perché non permettono al
Vangelo di entrare. Anche qui vale quello che dicevamo poco sopra. È impossibile
applicare questa cura se prima i discepoli e la discepole non si sono lasciati
guarire dal Signore, liberandosi dalle vanità e dalla ricerca ostentata della
gloria degli uomini.
Questi sono i Dodici che
Gesù inviò (Mt
10,5). Passiamo da una vita anonima ad avere un nome proprio quando rispondiamo
all’appello del Signore. La nostra vita viene modellata gradualmente conforme
all’immagine del Signore che scopriamo nel nostro cammino e che contempliamo
ogni giorno della nostra vita. È questo il grande dono che Lui ci fa: la vita!
Vivere significa realizzare noi stessi come persone capaci di amare. Gesù invia
delle persone che, durante il cammino di sequela, diventano nomi propri la cui
identità giorno dopo giorno diventa sempre di più conforme al Vangelo. Chi si
lascia trasformare dall’amore del Signore non rimane più vittima del proprio
egoismo, che stimola la ricerca della realizzazione di se stessi, ma diviene
disponibile alla vita nuova, alla realtà del Regno di Dio. Questo è il compito
della Chiesa, che è tale quando fa di tutto per condividere gratuitamente ciò
che ha ricevuto. Gesù ci chiama per inviarci. La comunità ha senso quando
diventa strumento generativo di vita, possibilità che il Signore pone nel mondo
affinché tutti possano abbeverarsi dell’acqua nuova che sgorga dalla vita nuova
della comunità.
Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino (Mt 10,7). Il regno si è avvicinato al mondo prima di tutto nella vita di Gesù e poi nella comunità. L’annuncio che la comunità fa di una vita piena, dev’essere visibile nello stile evangelico della comunità, che è chiamata a dimostrare che esiste un pezzetto di umanità nel mondo che non è più dominato dai meccanismi di potere, di egoismo e di antagonismo, ma unicamente dall’amore gratuito ricevuto dallo Spirito del Signore. Quando questo avviene, l’annuncio del Regno di Dio diviene possibilità concreta, perché già visibile in coloro che l’annunciano.
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