[annotazioni
di Paolo Cugini]
l’idea
di misericordia ha conosciuto, per tutta l’epoca moderna, un imbarazzante
oblio, che l’ha portata a prendere progressivamente congedo dalla modernità. In
quest’epoca si addensò, attorno alla misericordia, il sospetto di essere nemica
della giustizia, rappresentando così il principale ostacolo alla creazione di
un ordine etico valido per tutti. La misericordia – così si iniziò a pensare –
avrebbe come esito inevitabile il disimpegno dell’uomo: essa non porterebbe
alla trasformazione del mondo, ma a discolpare i carnefici, infiggendo alle
vittime una nuova ingiustizia.
D’altro
canto, la svalutazione della misericordia trovò validi alleati anche in quei
sistemi economici che, esaltando il profitto individuale, videro nella
competizione l’imperativo fondamentale dello sviluppo economico. È nota, per
questo periodo, l’ostinazione con la quale Nietzsche si scagliò contro la virtù
della misericordia. Per l’autore de L’Anticristo, la misericordia sarebbe
espressione di debolezza, una pericolosa disposizione nemica della vita,
indegna dell’uomo forte. Così si legge, ad esempio, nelle pagine iniziali de
L’Anticristo: «Il cristianesimo è chiamato la religione della compassione. La
compassione […] agisce in senso depressivo. Si perde forza quando si ha
compassione […]. Nulla è più malsano, in mezzo alla nostra malsana umanità,
della compassione cristiana».
L’ATTESTAZIONE DELLA SCRITTURA
Tutte
le Scritture – tanto dell’Antico che del Nuovo Testamento – parlano dell’amore
di predilezione che Dio nutre per il suo popolo e, più in generale, per tutti
gli uomini.
a.
L’Antico Testamento.
Benché nelle prime pagine della Bibbia non si
trovi ancora il termine «misericordia», la realtà che esso sottende è però già
ampiamente presente. L’orientamento più profondo, tipico e originale della
Bibbia, è indubbiamente il fatto che Dio incontra l’uomo nella storia e –
attraverso il suo agire – entra in dialogo con lui come un Dio personale.
L’idea
della misericordia diventa invece esplicita nella seconda rivelazione del nome.
A Mosè, che vorrebbe conoscere il volto di Dio, Jahvé risponde con queste
parole: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome
[…]. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò
misericordia» (Es 33,19). Si arriverà a una terza rivelazione del nome: Jahvé è
un «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà»
(Es 34,6).
È
significativo osservare che – sul piano stesso del linguaggio – la
compassione e la misericordia di Dio siano dette facendo riferimento a una
terminologia articolata e complessa che non chiude Dio all’interno di una definizione,
ma ne ripropone sempre e di nuovo l’inafferrabilità. Tra gli altri, spiccano
soprattutto due termini, che l’esegesi ci ha ormai abituato a riconoscere e
individuare.
Il
primo, rahamîm, è un plurale che indica anzitutto le
viscere e, in senso derivato, la sede dei sentimenti. Fa riferimento prevalente
al grembo materno e al sentimento viscerale che una madre prova per il proprio figlio.
Il soggetto di tale misericordia è sempre Dio (cf Is 55,7; 63,15; Ger 31,20; Os
14,4; Sal 69,17), mentre per la relazione inversa – quella dell’uomo nei confronti
di Dio – tale lessico non ricorre mai.
C’è
però anche un secondo termine, hesed – utilizzato sia in
ambito profano che in relazione a Dio –, che indica, fra le altre cose, la
benevolenza dell’uomo verso il proprio simile o il proprio sottoposto e la
fedeltà a questo atteggiamento, fino al limite dell’indulgenza e della
misericordia. È insito in questo termine l’elemento di una disposizione
favorevole della volontà. Per Jahvé mostrare hesed nei confronti di Israele significa
stringere gratuitamente con lui un rapporto di alleanza e restarvi fedele fino
al punto estremo di far violenza contro se stesso per perdonare il peccato.
Esso indica dunque, in ultima analisi, un dono che va al di là di qualsiasi
reciproco rapporto di fedeltà.
In
breve: la santità di Dio, il suo essere totalmente diverso dall’uomo, non si
manifesta nell’ira o nel dominio, ma nella misericordia. La sua trascendenza
non si afferma nella presa di distanza dall’uomo, ma in una familiarità che
sorprende e commuove. Per questo la Bibbia parla diffusamente del cuore di Dio
che ascolta il grido dell’uomo, si commuove per lui e si rivolta addirittura
contro se stesso (cf Os 11,8).
b.
Il Nuovo Testamento.
È però soprattutto il Nuovo Testamento a
rivelare la misericordia come la maggiore perfezione di Dio. Qui la novità
consiste nel trasferire all’umanità di Gesù – perfino alla carne sfigurata del crocifisso
– i tratti della misericordia divina.
Spetta
soprattutto alle parabole mettere a tema, se così si può dire, i tratti
inequivocabili della misericordia divina. Quella del Padre misericordioso (cf
Lc 15,11-32), ad esempio, insiste sul fatto che la misericordia oltrepassa ogni
diritto e ogni attesa.
Tale
misericordia è illustrata ancor meglio dalla parabola del buon samaritano (cf
Lc 10,30-37), un semipagano che, pur non avendo obbligo alcuno, vede un uomo
incappato nei briganti, ne prova compassione, interrompe i suoi affari e si
prende cura di lui, pagando in anticipo (cf Lc 10,30-35). È nota
l’interpretazione che ne hanno dato i padri della Chiesa. Essi hanno visto, nel
samaritano, l’immagine di Cristo che, attraverso il giumento della sua umanità,
si è messo in viaggio per raggiungere l’uomo depredato, in seguito al peccato,
dell’abito della grazia soprannaturale.
La
tradizione cristiana – a partire da quella sedimentata nella Scrittura – non ha
dunque mai mancato di indicare la misericordia di Dio come la sua perfezione
originaria e, per derivazione, come il motore di tutta l’opera della
redenzione. Anzi, a voler essere rigorosi, fu proprio dalla contemplazione
dell’opera della redenzione che si giunse a individuare, nella misericordia
divina, il cuore stesso di Dio.
Altrettanto
singolare suona il detto neotestamentario secondo cui l’amore di Dio «è stato
riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5) attraverso l’opera dello Spirito. In
sintesi: un’attenta lettura del Nuovo Testamento induce ad attribuire la
misericordia, non solo al Padre, ma al Dio uno. Dunque, in ultima analisi, alla
Trinità. È la misericordia – perfezione ultima di Dio – il motore di tutta
l’opera della redenzione, che trova il suo culmine nella Pasqua del Figlio.
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