mercoledì 15 febbraio 2023

MISERICORDIA

 




[annotazioni di Paolo Cugini]

l’idea di misericordia ha conosciuto, per tutta l’epoca moderna, un imbarazzante oblio, che l’ha portata a prendere progressivamente congedo dalla modernità. In quest’epoca si addensò, attorno alla misericordia, il sospetto di essere nemica della giustizia, rappresentando così il principale ostacolo alla creazione di un ordine etico valido per tutti. La misericordia – così si iniziò a pensare – avrebbe come esito inevitabile il disimpegno dell’uomo: essa non porterebbe alla trasformazione del mondo, ma a discolpare i carnefici, infiggendo alle vittime una nuova ingiustizia.

D’altro canto, la svalutazione della misericordia trovò validi alleati anche in quei sistemi economici che, esaltando il profitto individuale, videro nella competizione l’imperativo fondamentale dello sviluppo economico. È nota, per questo periodo, l’ostinazione con la quale Nietzsche si scagliò contro la virtù della misericordia. Per l’autore de L’Anticristo, la misericordia sarebbe espressione di debolezza, una pericolosa disposizione nemica della vita, indegna dell’uomo forte. Così si legge, ad esempio, nelle pagine iniziali de L’Anticristo: «Il cristianesimo è chiamato la religione della compassione. La compassione […] agisce in senso depressivo. Si perde forza quando si ha compassione […]. Nulla è più malsano, in mezzo alla nostra malsana umanità, della compassione cristiana».

L’ATTESTAZIONE DELLA SCRITTURA

Tutte le Scritture – tanto dell’Antico che del Nuovo Testamento – parlano dell’amore di predilezione che Dio nutre per il suo popolo e, più in generale, per tutti gli uomini.

a.                      L’Antico Testamento.

 Benché nelle prime pagine della Bibbia non si trovi ancora il termine «misericordia», la realtà che esso sottende è però già ampiamente presente. L’orientamento più profondo, tipico e originale della Bibbia, è indubbiamente il fatto che Dio incontra l’uomo nella storia e – attraverso il suo agire – entra in dialogo con lui come un Dio personale.

L’idea della misericordia diventa invece esplicita nella seconda rivelazione del nome. A Mosè, che vorrebbe conoscere il volto di Dio, Jahvé risponde con queste parole: «Farò passare davanti a te tutta la mia bontà e proclamerò il mio nome […]. A chi vorrò far grazia farò grazia e di chi vorrò aver misericordia avrò misericordia» (Es 33,19). Si arriverà a una terza rivelazione del nome: Jahvé è un «Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà» (Es 34,6).

È significativo osservare che – sul piano stesso del linguaggio – la compassione e la misericordia di Dio siano dette facendo riferimento a una terminologia articolata e complessa che non chiude Dio all’interno di una definizione, ma ne ripropone sempre e di nuovo l’inafferrabilità. Tra gli altri, spiccano soprattutto due termini, che l’esegesi ci ha ormai abituato a riconoscere e individuare.

Il primo, rahamîm, è un plurale che indica anzitutto le viscere e, in senso derivato, la sede dei sentimenti. Fa riferimento prevalente al grembo materno e al sentimento viscerale che una madre prova per il proprio figlio. Il soggetto di tale misericordia è sempre Dio (cf Is 55,7; 63,15; Ger 31,20; Os 14,4; Sal 69,17), mentre per la relazione inversa – quella dell’uomo nei confronti di Dio – tale lessico non ricorre mai.

C’è però anche un secondo termine, hesed – utilizzato sia in ambito profano che in relazione a Dio –, che indica, fra le altre cose, la benevolenza dell’uomo verso il proprio simile o il proprio sottoposto e la fedeltà a questo atteggiamento, fino al limite dell’indulgenza e della misericordia. È insito in questo termine l’elemento di una disposizione favorevole della volontà. Per Jahvé mostrare hesed nei confronti di Israele significa stringere gratuitamente con lui un rapporto di alleanza e restarvi fedele fino al punto estremo di far violenza contro se stesso per perdonare il peccato. Esso indica dunque, in ultima analisi, un dono che va al di là di qualsiasi reciproco rapporto di fedeltà.

In breve: la santità di Dio, il suo essere totalmente diverso dall’uomo, non si manifesta nell’ira o nel dominio, ma nella misericordia. La sua trascendenza non si afferma nella presa di distanza dall’uomo, ma in una familiarità che sorprende e commuove. Per questo la Bibbia parla diffusamente del cuore di Dio che ascolta il grido dell’uomo, si commuove per lui e si rivolta addirittura contro se stesso (cf Os 11,8).

b.                      Il Nuovo Testamento.

 È però soprattutto il Nuovo Testamento a rivelare la misericordia come la maggiore perfezione di Dio. Qui la novità consiste nel trasferire all’umanità di Gesù – perfino alla carne sfigurata del crocifisso – i tratti della misericordia divina.

Spetta soprattutto alle parabole mettere a tema, se così si può dire, i tratti inequivocabili della misericordia divina. Quella del Padre misericordioso (cf Lc 15,11-32), ad esempio, insiste sul fatto che la misericordia oltrepassa ogni diritto e ogni attesa.

Tale misericordia è illustrata ancor meglio dalla parabola del buon samaritano (cf Lc 10,30-37), un semipagano che, pur non avendo obbligo alcuno, vede un uomo incappato nei briganti, ne prova compassione, interrompe i suoi affari e si prende cura di lui, pagando in anticipo (cf Lc 10,30-35). È nota l’interpretazione che ne hanno dato i padri della Chiesa. Essi hanno visto, nel samaritano, l’immagine di Cristo che, attraverso il giumento della sua umanità, si è messo in viaggio per raggiungere l’uomo depredato, in seguito al peccato, dell’abito della grazia soprannaturale.

La tradizione cristiana – a partire da quella sedimentata nella Scrittura – non ha dunque mai mancato di indicare la misericordia di Dio come la sua perfezione originaria e, per derivazione, come il motore di tutta l’opera della redenzione. Anzi, a voler essere rigorosi, fu proprio dalla contemplazione dell’opera della redenzione che si giunse a individuare, nella misericordia divina, il cuore stesso di Dio.

Altrettanto singolare suona il detto neotestamentario secondo cui l’amore di Dio «è stato riversato nei nostri cuori» (Rm 5,5) attraverso l’opera dello Spirito. In sintesi: un’attenta lettura del Nuovo Testamento induce ad attribuire la misericordia, non solo al Padre, ma al Dio uno. Dunque, in ultima analisi, alla Trinità. È la misericordia – perfezione ultima di Dio – il motore di tutta l’opera della redenzione, che trova il suo culmine nella Pasqua del Figlio.

 

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