At
2,14a.36-41; Sal 22; 1 Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10
Paolo Cugini
La quarta Domenica del
tempo di Pasqua è chiamata la domenica del buon pastore, perché vengono proclamati
alcuni versetti del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni in cui Gesù si proclama
il buon pastore. Il riferimento biblico immediato che fa da eco a questo brano
è senza dubbio Ezechiele 34, in cui il profeta si scaglia con veemenza contro i
falsi pastori, vale a dire i capi religiosi del popolo di Israele indicati come
i veri responsabili della distruzione di Gerusalemme e dell’esilio del popolo a
Babilonia. Dinanzi a questa situazione drammatica risuonano le parole
profetiche in cui attraverso i versetti del profeta Dio dichiara: Perché
così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò
in rassegna (Ez 34,9). Nei versetti del Vangelo proclamati oggi Gesù viene
presentato come colui che realizza la profezia di Ezechiele 34: vediamo in che
modo.
Nella voce di Gesù
risuona la voce del creatore, che chiama ogni persona ad una pienezza di vita.
Una garanzia che il messaggio di Gesù sia di origine divina è che ogni
qualvolta si annuncia la buona notizia, in ogni latitudine, la gente reagisce
dicendo: io queste cose le sentivo già, le avevo già dentro di me. Adesso le
sento formulate. Il vangelo non fa altro che formulare il desiderio di pienezza
di vita che ogni persona si porta dentro di sé. Le pecore ascoltano la sua
voce, perché riconoscono la voce del Creatore, che le invita alla piena
realizzazione.
Il guardiano gli apre e
le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome,
e le conduce fuori (Gv 10,3). Le
pecore ascoltano la sua voce e le pecore sono sue, non sono dei falsi pastori
che se ne sono impadroniti e che Gesù ha denunciato come ladri e briganti. Sono
del Signore, gli altri erano solo inservienti, che si sono trasformati padroni,
rubando il gregge. le sue pecore le chiama per nome, Gesù ha un rapporto
individuale. L’evangelista si richiama all’uso palestinese dei pastori che, al
momento della nascita degli agnellini, davano ad ognuno un nome che li
caratterizzava. Se noi vediamo un gregge di oltre 150 pecore, per il pastore
ognuna è riconoscibile; una è la Bruna o Bianca o l’orecchia mozzata… la chiama
con quel nome e la pecora sa che è il suo nome, tra tutte le voci riconosce
quella del pastore. Gesù dice che il rapporto con lui non è generico, è
individuale e conosce ogni persona con la sua caratteristica, con la sua
particolare natura. e le conduce fuori. Il verbo condurre adoperato
dall’evangelista è un verbo tecnico, che nell’Antico Testamento indica la
liberazione dalla schiavitù egiziana, compiuta dal Signore, per portare il
popolo nella terra promessa. Condurre fuori indica l’esodo. Gesù è venuto ad inaugurare
un esodo, non dalla terra promessa, che per gli ebrei era stato cadere dalla
padella alla brace. Il rapporto con Gesù non si fa attraverso una legge, ma
attraverso una relazione personale; Gesù le chiama per nome, la voce è la
parola che non si trasforma in una legge che l’individuo deve osservare, ma in
un dinamismo vitale, che è il suo Spirito, che conosce la singolarità di ogni
persona.
Un estraneo non lo
seguiranno (Gv
10,5). Le pecore, il popolo, conoscono la voce di chi le ama, distinguono la
voce di chi le vuole sfruttare, e non lo ascoltano. La voce dell’autorità
inculca il timore e il popolo non la segue, potrà obbedire per paura, ma non ne
sarà mai convinto e dice: un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno da lui,
perché non conoscono la voce dell’estraneo. L’evangelista ci sta indicando un
criterio per distinguere quando una voce viene dal Signore e non, perché ci
sono tante voci, tante proposte e messaggi. Quando una proposta viene fatta
attraverso degli obblighi e imposizioni non viene da Dio, chiunque la faccia: e
le autorità devono obbligare perché non riescono a convincere. Gesù proprio
perché convince, non obbliga. Si obbliga perché non si convince; se ci invitano
a qualcosa di bello, non ci devono obbligare con la minaccia o la paura, basta
la proposta e noi accorriamo. Invece c’è l’obbligo o la minaccia, perché non si
convince e non è qualcosa di bello. La voce di Gesù proprio perché convince non
obbliga, la sua proposta è: se vuoi, se puoi. Gesù invita, non impone; il
popolo può stare sottomesso per paura, ma non per propria scelta. Quando
finalmente con Gesù può scegliere, volge le spalle all’istituzione religiosa.
Allora Gesù disse loro di
nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore (Gv 10.7). Gesù dichiara che è la
porta delle pecore (ci saremmo aspettati del recinto). L’epoca dei recinti è
finita, coloro che accolgono Gesù non sono inseriti in un altro recinto, ma
fanno parte di un gregge che segue il pastore e come diceva il salmo, li porta
alla piena libertà. È il passaggio dalla religione alla fede. Religione ciò che
l’uomo fa per Dio, la fede è ciò che Dio fa per l’uomo. Nella religione si
toglie la libertà degli uomini in cambio della loro sicurezza. Il recinto è il
luogo in cui le pecore sono al sicuro, ma non sono libere. È il fascino della
religione in cui uno baratta la propria libertà per la sicurezza, e una volta
entrati nel meccanismo religioso, si ha la piena sicurezza che basta obbedire
per essere nel giusto, non si usa più la propria testa. L’uomo non si deve
sforzare di maturare, deve essere un perfetto obbediente di un superiore, non è
libero, sicuro, ma resta in una condizione infantile. Il messaggio di Gesù
porta alla piena maturità e indipendenza di pensiero e di azione per cui Gesù
dice non sono la porta del recinto, ma la porta delle pecore. La vecchia
alleanza ha finito la sua funzione, nella nuova c’è lo Spirito pieno di
libertà.
Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano vita e in abbondanza (Gv 10, 10). Il Signore non ci dà una vita normale, ma una vita in abbondanza, di una pienezza tale che al momento della morte la supererà e continuerà a vivere.
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