lunedì 24 aprile 2023

OMELIA DOMENICA 30 APRILE 2023

 




IV DOMENICA DI PASQUA

At 2,14a.36-41; Sal 22; 1 Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10

 

Paolo Cugini

La quarta Domenica del tempo di Pasqua è chiamata la domenica del buon pastore, perché vengono proclamati alcuni versetti del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni in cui Gesù si proclama il buon pastore. Il riferimento biblico immediato che fa da eco a questo brano è senza dubbio Ezechiele 34, in cui il profeta si scaglia con veemenza contro i falsi pastori, vale a dire i capi religiosi del popolo di Israele indicati come i veri responsabili della distruzione di Gerusalemme e dell’esilio del popolo a Babilonia. Dinanzi a questa situazione drammatica risuonano le parole profetiche in cui attraverso i versetti del profeta Dio dichiara: Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna (Ez 34,9). Nei versetti del Vangelo proclamati oggi Gesù viene presentato come colui che realizza la profezia di Ezechiele 34: vediamo in che modo.

 

 

Nella voce di Gesù risuona la voce del creatore, che chiama ogni persona ad una pienezza di vita. Una garanzia che il messaggio di Gesù sia di origine divina è che ogni qualvolta si annuncia la buona notizia, in ogni latitudine, la gente reagisce dicendo: io queste cose le sentivo già, le avevo già dentro di me. Adesso le sento formulate. Il vangelo non fa altro che formulare il desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro di sé. Le pecore ascoltano la sua voce, perché riconoscono la voce del Creatore, che le invita alla piena realizzazione.

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori (Gv 10,3). Le pecore ascoltano la sua voce e le pecore sono sue, non sono dei falsi pastori che se ne sono impadroniti e che Gesù ha denunciato come ladri e briganti. Sono del Signore, gli altri erano solo inservienti, che si sono trasformati padroni, rubando il gregge. le sue pecore le chiama per nome, Gesù ha un rapporto individuale. L’evangelista si richiama all’uso palestinese dei pastori che, al momento della nascita degli agnellini, davano ad ognuno un nome che li caratterizzava. Se noi vediamo un gregge di oltre 150 pecore, per il pastore ognuna è riconoscibile; una è la Bruna o Bianca o l’orecchia mozzata… la chiama con quel nome e la pecora sa che è il suo nome, tra tutte le voci riconosce quella del pastore. Gesù dice che il rapporto con lui non è generico, è individuale e conosce ogni persona con la sua caratteristica, con la sua particolare natura. e le conduce fuori. Il verbo condurre adoperato dall’evangelista è un verbo tecnico, che nell’Antico Testamento indica la liberazione dalla schiavitù egiziana, compiuta dal Signore, per portare il popolo nella terra promessa. Condurre fuori indica l’esodo. Gesù è venuto ad inaugurare un esodo, non dalla terra promessa, che per gli ebrei era stato cadere dalla padella alla brace. Il rapporto con Gesù non si fa attraverso una legge, ma attraverso una relazione personale; Gesù le chiama per nome, la voce è la parola che non si trasforma in una legge che l’individuo deve osservare, ma in un dinamismo vitale, che è il suo Spirito, che conosce la singolarità di ogni persona.

Un estraneo non lo seguiranno (Gv 10,5). Le pecore, il popolo, conoscono la voce di chi le ama, distinguono la voce di chi le vuole sfruttare, e non lo ascoltano. La voce dell’autorità inculca il timore e il popolo non la segue, potrà obbedire per paura, ma non ne sarà mai convinto e dice: un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno da lui, perché non conoscono la voce dell’estraneo. L’evangelista ci sta indicando un criterio per distinguere quando una voce viene dal Signore e non, perché ci sono tante voci, tante proposte e messaggi. Quando una proposta viene fatta attraverso degli obblighi e imposizioni non viene da Dio, chiunque la faccia: e le autorità devono obbligare perché non riescono a convincere. Gesù proprio perché convince, non obbliga. Si obbliga perché non si convince; se ci invitano a qualcosa di bello, non ci devono obbligare con la minaccia o la paura, basta la proposta e noi accorriamo. Invece c’è l’obbligo o la minaccia, perché non si convince e non è qualcosa di bello. La voce di Gesù proprio perché convince non obbliga, la sua proposta è: se vuoi, se puoi. Gesù invita, non impone; il popolo può stare sottomesso per paura, ma non per propria scelta. Quando finalmente con Gesù può scegliere, volge le spalle all’istituzione religiosa.

Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore (Gv 10.7). Gesù dichiara che è la porta delle pecore (ci saremmo aspettati del recinto). L’epoca dei recinti è finita, coloro che accolgono Gesù non sono inseriti in un altro recinto, ma fanno parte di un gregge che segue il pastore e come diceva il salmo, li porta alla piena libertà. È il passaggio dalla religione alla fede. Religione ciò che l’uomo fa per Dio, la fede è ciò che Dio fa per l’uomo. Nella religione si toglie la libertà degli uomini in cambio della loro sicurezza. Il recinto è il luogo in cui le pecore sono al sicuro, ma non sono libere. È il fascino della religione in cui uno baratta la propria libertà per la sicurezza, e una volta entrati nel meccanismo religioso, si ha la piena sicurezza che basta obbedire per essere nel giusto, non si usa più la propria testa. L’uomo non si deve sforzare di maturare, deve essere un perfetto obbediente di un superiore, non è libero, sicuro, ma resta in una condizione infantile. Il messaggio di Gesù porta alla piena maturità e indipendenza di pensiero e di azione per cui Gesù dice non sono la porta del recinto, ma la porta delle pecore. La vecchia alleanza ha finito la sua funzione, nella nuova c’è lo Spirito pieno di libertà.

Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano vita e in abbondanza (Gv 10, 10). Il Signore non ci dà una vita normale, ma una vita in abbondanza, di una pienezza tale che al momento della morte la supererà e continuerà a vivere.

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