II DOMENICA DI QUARESIMA/A
Paolo
Cugini
In quei giorni, il Signore disse ad Abram:
«Vattene dalla tua terra,
dalla tua parentela
e dalla casa di tuo padre,
verso la terra che io ti indicherò…
Allora Abram partì, come gli aveva
ordinato il Signore (Gn 12,1-4).
La
quaresima è un cammino di uscita da se stessi, dalle proprie sicurezze, verso
ciò che si percepisce come meglio per noi. È un’intuizione interiore, che ci
permette di percepire il vuoto dl nostro stile di vita, il non senso del nostro
vissuto e ci fa alzare in piedi, e partire. Questo movimento, prima di essere
fisico, è interiore, Non esiste, infatti, un luogo posto in un certo punto del
mondo in cui sia meglio vivere. L’esempio di Abramo, che risuona con forza in
tutta la storia della salvezza, è un’indicazione spirituale più che geografica
e spaziale. Il brano ascoltato è una potente metafora che invita a prendere sul
serio la propria vita, cambiare orientamento, abbandonando il facile e comodo stile
esistenziale fatto di obiettivi materiali a cui, pur di ottenerli, si è
disposti a sacrificare qualsiasi cosa, persino la propria dignità. Abramo parte: non ha più nulla da perdere. Abramo
parte perché ascolta il suo cuore, la verità che la coscienza gli ha rivelato.
Capacità di ascoltarsi, di guardarsi dentro e, per una volta nella vita,
mettere in pratica ciò che la coscienza ha sussurrato. La storia del vecchio
Abramo c’insegna che non è mai troppo tardi per cambiare impostazione della
vita, basta ascoltare la propria coscienza e fidarsi della voce che parla e ci
invita ad uscire, a camminare, per imparare a smettere d’identificare la propria
dignità con le cose esterne, i ruoli, il potere: possiamo fare meglio e subito.
In
quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giacomo e Giovanni suo fratello e li
condusse in disparte, su un alto monte. E fu trasfigurato davanti a loro: il
suo volto brillò come il sole e le sue vesti divennero candide come la luce. Ed
ecco apparvero loro Mosè ed Elia, che conversavano con lui Mt
17,1).
Si
scopre il senso profondo della vita uscendo dal proprio mondo, dalle proprie
comodità, per salire sul monte, cioè, intraprendendo un cammino spirituale che coinvolga
tutta la nostra persona, il nostro essere più profondo. Solo chi ha fatto
questo cammino può insegnarlo agli altri. È quello che nel brano di oggi Gesù
fa con tre dei suoi discepoli: li porta sul monte. Lui lo può fare, perché per
tutta la vita non ha fatto altro che cercare il volto del Padre, il suo amore.
Allo stesso tempo, però, non tutti sono in grado di compiere questo cammino in
ogni momento. Occorre conoscere le persone che abbiamo accanto per arrivare
alla proposta nel momento giusto. Tra i Dodici Gesù scegli Pietro, Giovanni e
Giacomo: anche questa è un’indicazione. L’esperienza del Tabor, del vedere la
gloria del Signore, la sua identità: non è per tutti e non dipende dalle nostre
forze umane. L’esperienza del Tabor è l’incontro profondo con l’amore di Dio che
passa nella vita di una persona e lascia un’impronta indelebile, così reale da
non essere più cancellabile. Nel percorso della quaresima che ci viene proposto
quest’anno, il Tabor è posto subito dopo la domenica in cui viene letto il
Vangelo delle tentazioni di Gesù: come mai? Un motivo è, senza dubbio, nell’ordine
delle cose che stiamo dicendo. C’è l’implicita indicazione che il cammino di
trasformazione della nostra umanità debole sia possibile. Proprio nel brano ascoltato
vengono offerte anche alcune indicazioni per la buona riuscita del percorso. C’è,
rima di tutto, la salita, che è una metafora di colui che è alla ricerca della
verità. Salita sul monte significa distanziamento da ciò che è puramente
materiale, cammino di purificazione da ciò che rende la vita pesante, zavorrata
alle cose materiali. È la ricerca di autenticità, dell’essenziale che dà senso
all’esistenza. L’altro strumento che viene indicato è la Parola di Dio. Mosè ed
Elia indicano proprio questo. Una Parola che per manifestare il suo vero
contenuto deve poter dialogare con Gesù, colui che compie la Legge e ne svela
il significato profondo. C’è anche la voce di Dio che sottolinea la verità di
colui che è venuto per condurre l’umanità nel cammino della verità. Infine, la
veste bianca: indica che dietro alle parole e ai gesti di Gesù c’è qualcosa di
più che i dati umani a nostra disposizione non sono in grado di decifrare.
Egli
ci ha salvati e ci ha chiamati con una vocazione santa, non già in base alle
nostre opere, ma secondo il suo progetto e la sua grazia (2
Tim 1,9). È questo che dobbiamo sempre tenere in considerazione quando pensiamo
a Gesù ai suoi insegnamenti, alla sua proposta. Non ci chiama per essere brave
persone, educate e per bene. Ci ha chiamati con una vocazione santa, che
non dipende dalle nostre opere, ma dall’accoglienza del suo amore. Non è un
percorso che possiamo pianificare con criteri umani, ma posiamo solo
incamminarci dietro a Lui, affascinati dal suo amore che ci coinvolge e ci fa
essere persone diverse, capaci anche noi di amare in modo nuovo e autentico.
Nessun commento:
Posta un commento