Ritiro
Spirituale di quaresima 2023
Galeazza
domenica 26 febbraio
.[Annotazioni di Paolo
Cugini]
La resurrezione è il passaggio definitivo da
una vita fisica a una vita spirituale definitiva e Paolo dice che l’unico che è
resuscitato è Gesù Cristo. Le altre, che vengono rappresentate nei vangeli, non
possono essere considerate resurrezioni, ma rianimazioni: Gesù ha rianimato una
persona che poi deve morire di nuovo, a meno che non la pensiamo in giro da
qualche parte.
Solo tre resurrezioni,
avvenimenti straordinari, perché nessuno è più uscito dalla tomba, ma che sono
ignorati da alcuni evangelisti. Il brano della resurrezione della figlia di
Giairo, capo della sinagoga è assente in Giovanni, quello del figlio della
vedova di Nain è soltanto in Luca. È abbastanza strano che un episodio così
straordinario come la resurrezione non sia proclamato da tutti gli evangelisti!
Gli evangelisti quando
presentano tre persone usano una tecnica letteraria, che indica una comunità di
credenti in Gesù, ma che è ancora ancorata alla tradizione del vecchio. Il
fatto che l’individuo abbia un nome si richiama a quanto Gesù aveva detto nel
capitolo precedente, che le sue pecore le chiama per nome. C’è una indicazione
importante: il villaggio ed è sufficiente per chiarire quello che verrà. Il
villaggio nei vangeli è sempre negativo; è il luogo dove le tradizioni
attecchiscono, ma le novità sono viste con sospetto. Mentre in città le mode
possono andare e venire, nel villaggio le mode arrivano sempre in ritardo e
quando hanno attecchito è impossibile modificarle e vige l’imperativo: si è
fatto sempre così. Pertanto il termine villaggio viene a significare
resistenza, incomprensione od ostilità alla novità portata da Gesù. Con questo
termine Giovanni indica che nel brano vi sarà incomprensione su quanto Gesù è
venuto a portare. È una comunità che non ha ancora rotto con l’istituzione, è
nel recinto del giudaismo, non ha ascoltato la voce del pastore che è venuto a
liberare.
Maria era quella che aveva unto (12,3) con
unguento profumato il Signore e gli aveva asciugato i piedi con i suoi capelli,
il cui fratello Lazzaro era malato. L’evangelista anticipa la celebrazione
della vita nella casa di Lazzaro. Quando Gesù sta per resuscitare Lazzaro,
Marta dice: Signore, puzza già! Mentre alla morte corrisponde la puzza, alla
vita corrisponde il profumo.
L’evangelista corregge la
visione delle sorelle, che non hanno ancora percepito la qualità d’amore di
Gesù verso tutti coloro che lo seguono e sono collocate alla stregua dei
giudei, i nemici di Gesù che verranno per porgere il cordoglio e che diranno
11,36: guarda come gli voleva bene. Non hanno capito la qualità d’amore di
Gesù, la sua relazione verso coloro che lo seguono non è una relazione di
amicizia, ma è un amore che non dipende dalla condotta o dalla risposta
dell’altro, è un amore gratuito, è un amore generoso.
6 Quand’ebbe dunque
sentito che era malato, ci aspetteremmo che decise di andare
a Betania, ma rimase due giorni nel luogo in cui era. Ma perché due giorni,
quando l’evangelista aveva detto che Gesù amava la comunità? L’evangelista dà
questo insegnamento: Gesù non è venuto ad alterare il normale ciclo della vita
fisica eliminando la morte biologica della ciccia, ma a dare alla morte un
nuovo significato. I due giorni sono un riferimento al profeta Osea che
riguardo all’azione del Signore 6,2 dice: Dopo due giorni ci ridarà la vita e
il terzo giorno ci farà risorgere e noi vivremo alla sua presenza. È un
riferimento alla profezia di una resurrezione e l’evangelista ci mette sullo
sbocco finale del brano. È la terza volta che compare l’indicazione due giorni;
la prima volta in bocca ai samaritani quando lo pregarono di trattenersi di là
due giorni. La missione di Gesù è dare vita e la comunica a tutti coloro che
rispondono al suo annuncio.
11 Così parlò e poi
soggiunse a loro: Lazzaro, il nostro amico è importante, lo
chiama amico della comunità di cui si sente un componente. Nella comunità
cristiana non c’è nessuno che possa mettersi al di sopra degli altri. Gesù
stesso si ritiene un componente della comunità e al capitolo 13, si mette al
servizio. s’è addormentato, ma io vado a svegliarlo. Gesù dichiara che Lazzaro
si è addormentato e nelle prime comunità cristiane la morte era definita un
sonno, adoperavano l’immagine del dormire.
Il termine cimitero
deriva da un termine greco che significa dormitorio e indica una sola tomba. Con
il messaggio di Gesù è cambiato l’atteggiamento nei confronti della morte; la
morte come il dormire non interrompe il ciclo vitale, ma è una componente che
permette all’individuo di riprendere ancora più forza. Normalmente quando si
parla della morte la si contrappone alla vita, ma in base a questo insegnamento
e alla esperienza della comunità cristiana è sbagliato; non va contrapposta la
vita alla morte, ma la nascita alla morte, e fanno parte del ciclo vitale
dell’individuo. Come il dormire non interrompe la vita dell’individuo così la
morte. Nella nascita il bambino sta bene nella pancia della madre, non gli manca
nulla e non ha nessuna intenzione di uscire, ma arriva ad un punto della sua
esistenza che se vuole continuare a vivere deve uscire fuori. E solo allora
vede in pienezza quell’amore dei genitori che aveva potuto soltanto percepire. La
prima comunità cristiana si riferiva alla morte come al dormire e al morire
come alla nascita e lo chiamava il giorno natalizio della persona. Gesù
parlando del dormire vuole indicare che la morte non interrompe il ciclo
vitale. La vita non ha interruzione, è trasformata. I discepoli non hanno
alcuna intenzione di seguire Gesù in Giudea.
15 e io mi rallegro,
c’è qualcosa che non va tra l’annuncio di morte e l’allegria di Gesù, ma il
paradosso tra morte e allegria anticipa la vittoria della vita sulla morte. E
Gesù vuole portare i discepoli a questa fede, e io mi rallegro per voi perché
crediate di non essere stato là. Questo per sperimentare la vittoria della vita
sulla morte, e poi Ma andiamo da lui!. Non invita i discepoli ad andare con lui
dalle sorelle per confortarle per la morte del loro fratello, ma andiamo da
lui, non va ad incontrare un morto, ma un vivo.
16 Disse allora Tommaso,
compare per la prima volta il discepolo più importante del vangelo di Giovanni.
Per letture erronee ed errate del vangelo, certi personaggi sono presentati
male, basta pensare a Maria di Magdala, una donna straordinaria che più avanti,
in questo vangelo, vedremo come leader della comunità. Per un errore commesso
in passato da un papa, è stata identificata con una prostituta che, con i
capelli, asciuga i piedi a Gesù, è poi diventata la peccatrice redenta.
Ugualmente è per Tommaso, definito l’incredulo e a proposito, ci sono
espressioni proverbiali. In Giovanni è il discepolo più importante in assoluto,
è nominato sette volte, cioè la totalità, la completezza ed in bocca a lui c’è
l’espressione più alta di fede in Gesù, contenuta in tutto il vangelo. Pietro
nel vangelo di Matteo e di Marco arriva a riconoscere Gesù, il Figlio di Dio,
ma solo Tommaso in questo vangelo, si rivolge a Gesù chiamandolo mio Signore e
mio Dio. Filippo non aveva compreso e dice mostraci il Padre e ci basta,
Tommaso ha capito una grande verità, che non Gesù è uguale a Dio, ma Dio è
uguale a Gesù; non c’è da cercare altro Dio all’infuori di quello che si vede
in Gesù. Disse allora Tommaso chiamato Didimo, che significa gemello, era
conosciuto come il gemello di Gesù, come colui che gli assomigliava di più tra
i discepoli e questo è confermato in numerosi testi apocrifi.
Disse: Andiamo anche noi
a morire con lui!. È la crescita di fede della comunità e
l’importanza di Tommaso. Gesù è venuto a traghettare i suoi dalla religione
alla fede: nella religione l’uomo è orientato a Dio, tutto quello che fa lo fa
per Dio e quando si dice che si fa una cosa per Dio, si appartiene al mondo
della religione. Tutto questo cambia, con Gesù, Dio non è più il traguardo
dell’esistenza dell’individuo, ma ne è il principio; è Dio che inonda l’uomo
con il suo amore, lo trasforma, lo rende simile a sé e le cose si fanno con e
come Dio. È un grande balzo di qualità; un conto è agire per Dio, un conto
agire con, in piena comunione e come lui e Tommaso lo capisce. 8 L’evangelista,
polemicamente, anticipa l’ostinatezza di Pietro, l’altro discepolo conosciuto
come testa dura come selce, che durante l’ultima cena dirà Signore io sono
pronto a dare la mia vita per te. È ancora nel mondo della religione, non ha
capito. Gesù dice: chi te l’ha chiesto di dare la tua vita per me, guarda che
con questa idea tra poco sarai il primo che mi tradirà definitivamente! Gesù non
chiede di dare la vita per lui; Dio non assorbe le energie degli uomini, ma
comunica la sua energia per potenziare gli uomini. Il Dio della religione
assorbe in sé gli uomini che devono fare tutto per Dio; il Dio di Gesù potenzia
gli uomini, ne dilata l‘esistenza e le cose si fanno con Dio e come Dio.
Maria invece stava seduta
in casa. L’incontro di Gesù con i suoi è sempre una confluenza
di due movimenti. Maria non va incontro a Gesù, perché non lo sa, mentre Marta
dunque come seppe che veniva Gesù. Però se anche lei lo vorrà incontrare, dovrà
uscire dalla casa del lutto e dal villaggio, luogo del pianto e della
tradizione. Giovanni ci anticipa la teologia comune degli evangelisti: non si
può incontrare il vivo in un mondo di morti.
Io sono la risurrezione perché
sono la vita; Marta diceva: risusciterà nell’ultimo
giorno, Gesù dice: è presente. La resurrezione non è alla fine dei tempi, è
presente perché Io sono qua. La presenza di Gesù comporta quella della
resurrezione. Chi dà adesione a Gesù ha una vita, di una qualità tale, che è
capace di superare la morte. La vita eterna per Gesù non sarà, ma è. Abbiamo
visto che nel mondo ebraico si cominciava a credere nella vita eterna, nella
resurrezione, ma sarebbe stata un premio per i giusti. Con Gesù la vita eterna
non è il premio o una speranza nel futuro, ma una possibilità e una esperienza
nel presente. Gesù non si presenta come uno che promette la vita eterna nel
futuro, ma è lui la vita eterna e cerca di cambiare a Marta, il significato
della morte e della resurrezione. Ecco due espressioni che modificano
radicalmente il concetto della morte, della vita e della resurrezione: “Io sono
la risurrezione perché sono la vita; chi crede in me, anche se muore, vivrà;
alla comunità che piange la morte di uno dei suoi componenti Gesù assicura: chi
crede in me anche se muore, Lazzaro è morto, continua a vivere. Il discepolo
vive perché ha dato adesione a Gesù, e quelli che gli danno adesione hanno il
dono dello Spirito (credere significa avere lo Spirito di Dio) e non passano
attraverso l’esperienza della morte, continuano a vivere. Quando Gesù dice: Io
sono la resurrezione e la vita, non intende la vita biologica, bios, ma zoe, la
vita divina, una vita che ha un inizio con l’incontro con Gesù e quando bios
muore, zoe continua ad esistere.
26 Chiunque vive e crede
in me non morirà, è la novità portata da Gesù, che ha
liberato la comunità non dalla paura della morte, ma dalla morte stessa e
rassicura: chi vive e crede in me non morirà mai. Alla comunità che piange un morto
dice: se questa persona ha creduto in me, anche se adesso è morta, sappiate che
continua a vivere e voi che siete vivi e mi date adesione, non farete
l’esperienza della morte. È il cambio di mentalità che Gesù vuole portare alla
comunità cristiana.
I primi cristiani lo
avevano capito; non credevano che sarebbero resuscitati dopo la morte, ma che
erano già resuscitati; avevano capito che Gesù non resuscita i morti, ma dona
ai vivi una vita, di una qualità tale che continua per sempre. Con Gesù la vita
eterna non è un premio per il futuro, ma una condizione del presente e allora
si capiscono certe affermazioni strane nelle lettere di San Paolo: colui ci ha
anche resuscitati e ci ha fatto sedere nei cieli. Come, ci ha resuscitati? Ma
non c’è la vita, la morte e la resurrezione? San Paolo dice: noi che siamo già
resuscitati. Questa è la fede della comunità cristiana. Non c’è resurrezione
dopo la morte, c’è una resurrezione in vita. Gesù ha detto: chi crede ha la
vita eterna, non avrà la vita eterna. Nel momento stesso che l’individuo ha
dato adesione a Gesù, in lui si innesta una vita di una qualità tale che è
eterna, per cui non farà l’esperienza della morte. Nel momento della nostra ora
gli altri vedranno in noi una persona che muore, noi non ne faremo esperienza,
continueremo la nostra esistenza. Come dice Paolo nelle lettere degli Efesini e
dei Colossesi: siete insieme resuscitati; se dunque siete risorti.
Fintanto che piangiamo i
nostri cari come morti, non riusciamo a sperimentarli come vivi. Fintanto che
Maria di Magdala piange davanti alla tomba di Gesù, non si accorge che è dietro
di lei e aspettava che smettesse di piangere. Nel vangelo di Luca, quando le
donne vanno al sepolcro, trovano gli angeli che sbarrano loro la strada: perché
andate tra i morti a cercare chi è vivo? Questo dovrebbe stare all’ingresso dei
cimiteri. Dovete decidervi: o la vostra persona cara è morta, allora
accomodatevi; o è viva. Il cimitero è il posto dei morti, non dei vivi. Bisogna
fare una scelta esistenziale: o piangiamo i nostri cari come morti o li
sperimentiamo come vivi. Non è possibile piangerli come morti e sperimentarli
come vivi! Matteo dice: non abbiate paura di quelli che possono uccidere il
corpo, ma non hanno il potere di uccidere la vita. Di fronte alla persecuzione
il massimo che possono togliervi è la vita biologica, non l’esistenza, a meno
che non ci sia la seconda morte, come dice l’Apocalisse: beati quelli che non
sperimenteranno la seconda morte. La prima è la morte biologica, a cui tutti
andiamo incontro, ma c’è il rischio che non ci sia zoe, che ci sia niente; è la
seconda morte di cui parla l’Apocalisse. Una persona che ha vissuto unicamente
per sé, centrata soltanto sui suoi bisogni e sulle sue necessità, che non si è
proiettata verso gli altri, non è cresciuta. La scintilla di vita che aveva in
sé, si è atrofizzata fino a spegnersi. Chi vive per gli altri potenzia la vita
(zoe), chi vive per sé la distrugge.
Gesù tante volte dice,
nel vangelo, che dare la vita non è perdere, ma è guadagnare; trattenere la
vita è perdere. Si possiede – come diciamo in questi incontri – soltanto quello
che si dona; quello che si trattiene per noi non si possiede, ma ci possiede e
si distrugge. Quanto più noi rendiamo la vita agli altri, tanto più sarà
potente la vita divina (zoe) e non faremo esperienza della morte. Se viviamo
solo per noi c’è il rischio che quando arriva la morte fisica, ci sia anche la
morte definitiva della persona. Gesù propone alla comunità di cambiare il
concetto di morte, la resurrezione non è al futuro e dice a Marta: chi vive e
crede in me non morirà mai. Credi questo?. Per Gesù la morte non esiste. Marta,
la comunità, ha questa fede? Gesù non offre un cammino diverso per giungere poi
alla vita eterna, ma una vita diversa che è già resurrezione. Non si segue Gesù
per avere la vita eterna, ma seguendo Gesù scopro dentro di me una potenza di
vita, che sento indistruttibile. Finalmente c’è la crescita di fede in Marta,
nella comunità. Prima Marta si rifaceva alla tradizione: so che qualunque cosa
tu chiederai – tu chiederai a Dio, non sei Dio.
27 Gli rispose: Sì, o
Signore, chiama Gesù Signore, titolo che non significa signore
perché comanda, ma perché non obbedisce a nessuno, è una persona pienamente
libera. La comunità cresce e arriva a comprendere che Gesù è il Signore, io ora
credo, io credo fermamente (credere in greco è credere con forza) che tu sei il
Messia, il Figlio di Dio, colui che deve venire nel mondo. Finalmente la
comunità cresce, riconosce che Gesù è il Messia, il Figlio di Dio, che ha la
stessa vita di Dio, la natura stessa di Dio, che Gesù è Dio.
29 Quella allora come
udito, si alzò in fretta e andò da lui. Gesù non entra nella
casa del lutto. Per sperimentare Gesù occorre abbandonare la casa del lutto.
Gesù non entra neanche nel villaggio. L’arrivo di Gesù toglie Maria
dall’immobilità per la morte del fratello; è la comunità in cui è morto l’uomo,
il maschio di casa e le donne si sentono a terra, disarmate, paralizzate.
Appena udito ciò, si alzò in fretta, l’annuncio di Gesù aiuta ad uscire dalla
prostrazione in cui il lutto, il dolore getta, e andò da lui. Sa che per
incontrare Gesù occorre lasciare la casa del lutto. Fintanto che si resta nella
casa del lutto, del dolore, è impossibile fare esperienza di Gesù.
31 Allora i Giudei,
ricordo che in Giovanni il termine indica i capi, le autorità religiose, ed è
strano che una comunità di seguaci di Gesù, abbia ricevuto le condoglianze da
quelli che avevano già deciso di ammazzarlo. È una comunità che non si
distingue per la novità portata da Gesù, che erano con lei in casa a
confortarla, quando videro Maria alzarsi in fretta e uscire, la seguirono, sono
indicazioni preziose, la proposta di Gesù è per tutti, seguendo la discepola
Maria anche i capi possono andare da Gesù. Non è possibile per il popolo
sperimentare la vita seguendo i capi, in questo caso sono i capi che seguendo
le tracce della comunità cristiana possono arrivare a Gesù. È la dinamica dei
vangeli: l’incontro con il Signore non avviene mai seguendo i capi, ma seguendo
la comunità, la base. È questa che porta al Signore.
35 Gesù pianse.
È incomprensibile se prendiamo l’episodio come cronaca, perché piange se sta
per resuscitare Lazzaro? Perché perde tempo a piangere? L’evangelista, mentre
per i Giudei e per la sua comunità adopera il verbo singhiozzare usato per la
veglia funebre, per Gesù usa il verbo che, letteralmente, vuol dire lacrimare,
ed esprime dolore. Da parte dell’evangelista è una indicazione sul giusto
atteggiamento nei confronti della morte da parte della comunità cristiana. La
morte non getta nella disperazione come in chi non crede, non è la fine di
tutto, ma è una espressione di dolore. È vero che la persona vive, però
fisicamente manca! Gesù esprime il dolore per la morte dell’amico Lazzaro. Lo
dico perché ci sono gruppi fanatici per i quali - fraintendendo il messaggio -
la morte è espressione di allegria. E Gesù stesso, di fronte alla morte di
Lazzaro, esprime il dolore per l’amico caro. Ma perché, se lo stava per
resuscitare piange? L’evangelista ci fa comprendere che c’è qualcosa di
diverso.
Vedendo il pianto 36
Dissero allora i Giudei: Guarda come gli voleva bene!.
L’evangelista fin dall’inizio usa due verbi differenti, per indicare il
rapporto di Gesù con i suoi discepoli. Sia le sorelle che i Giudei dicono che Gesù
gli voleva bene, il verbo è phileo, ma l’evangelista corregge questa visione e
dice che Gesù lo amava e usa il verbo agapao, che indica un amore
incondizionato.
39 Disse Gesù. Togliete
la pietra! Poteva anche dire di dare una mano, dato che le pietre
erano grosse, ma l’ordine è imperativo, non dice: togliamo la pietra, perché
non è stata messa da lui. Sono loro che l’hanno messa! L’importanza della
pietra è ribadita dall’evangelista, ripetendo per tre volte il termine pietra.
Signore, puzza, perché è
di quattro giorni. Nella cultura ebraica - quando una persona
moriva, veniva posta nel sepolcro - si credeva che lo spirito del morto posto
nel sepolcro rimanesse a guardarsi per tre giorni; al quarto giorno il processo
di decomposizione era già avanzato e lo spirito, non riuscendo a riconoscersi
nel volto del cadavere, scendeva nel regno dei morti, era la morte definitiva.
Per questo Marta dice puzza, effetto della morte. L’evangelista, all’inizio,
presentando Maria, aveva anticipato quanto sarebbe accaduto nel prossimo
capitolo: Maria era quella che cosparse di profumo il Signore. Quando la
comunità fra una settimana, si riunirà per fare festa alla vita più forte della
morte, Maria prende un vaso di profumo, che inonda la casa. La morte puzza, la
vita comunicata da Gesù è un profumo che inonda la casa. Qui la fede di Marta
vacilla.
e disse: Padre, ti
ringrazio che mi hai ascoltato. In Giovanni non appare
mai il verbo pregare, ma per tre volte il verbo ringraziare, eucaristeo, da cui
deriva eucaristia: c’è due volte nell’episodio della condivisione dei pani e
poi nella resurrezione di Lazzaro. Nella condivisione dei pani Gesù aveva
invitato i discepoli a farsi loro, pane per gli altri. Chi con Gesù e come Gesù
fa della propria vita pane per gli altri, ha una vita di una qualità tale che è
capace di superare la morte. Per questo il verbo ringraziare appare due volte
nella condivisione dei pani e una volta nella resurrezione di Lazzaro. Lazzaro
ha una vita capace di superare la morte perché ha fatto della sua vita un dono
per gli altri, è il significato dell’eucaristia, l’impegno di orientare la
propria vita per il bene degli altri. Nel momento che lo facciamo, Dio ci
comunica un flusso ancora più forte della vita capace di superare la morte. Noi
non ci accorgeremo di morire. Gesù non deve chiedere, deve ringraziare.
43 E detto questo, gridò
a gran voce: Lazzaro vieni fuori! Hanno messo Lazzaro nel
posto sbagliato e Gesù lo chiama a gran voce, si rifà al capitolo 5,25 in cui
aveva detto: è venuto il momento, ed è questo, in cui i morti udranno la voce
di Dio, e quelli che l’avranno ascoltata vivranno. Verrà l’ora in cui tutti
coloro che sono nei sepolcri udranno la sua voce e ne usciranno. La voce
potente di Gesù è quella che arriva a quanti stanno nel mondo dei morti. Gesù
non compie nessuna azione su Lazzaro, non così nelle altre due resurrezioni,
dove ha compiuto delle azioni: prende per mano la figlia del capo della
sinagoga e la rialza; tocca la bara del figlio della vedova di Nain. Gesù non
aveva bisogno né di prendere per mano della figlia del capo della sinagoga, né
di toccare la bara del figlio della vedova di Nain, qui dice: Lazzaro vieni
fuori. Non poteva dire lo stesso nei due episodi precedenti, perché era in un
ambiente giudaico dove la legge divina proibisce di toccare un morto, perché
rendere impuri. Gesù ne dimostra la falsità: è la legge che mantiene in una
condizione di morte, trasgredendo la legge c’è la vita. Nel contesto della
comunità cristiana, Gesù non ha bisogno di toccare Lazzaro; ha chiamato
Lazzaro, il vivo, che è stato collocato in un luogo sbagliato per un discepolo
di Cristo, perché anche se muore continua a vivere. Lazzaro, discepolo di Gesù,
ha ascoltato la voce di Dio ed è già vivo.
Gesù disse loro:
Scioglietelo, siete voi che lo avete legato e che
pensate che la morte sia la fine di tutto. La comunità, sciogliendo il morto,
si scioglie completamente dalla paura della morte. Una volta sciolto dai
legacci, c’è l’ultimo ordine. Proviamo a immedesimarci nella realtà che ci
resuscita una persona cara, che ci è morta. Scioglietelo, se è stato legato va
bene, ma come ultimo ordine ci aspetteremmo di andargli incontro, di
festeggiarlo, di farlo venire, invece: e lasciatelo andare. Dove deve andare
Lazzaro? Perché non ha detto: scioglietelo e fatelo venire; scioglietelo e
abbracciamolo, o festeggiamolo perché era morto ed è tornato in vita. Invece:
scioglietelo e lasciatelo andare. E il resuscitato non ringrazia, non parla
alle sorelle, Lazzaro è assente. Il finale è incongruente. Il morto dove deve
andare? Dove già è Lazzaro, nella sfera della vita divina. Non è che deve
andare, c’è già, ma è la mentalità della comunità e per questo Giovanni adopera
il verbo andare, che ha sempre adoperato per indicare l’itinerario di Gesù: ora
io vado da colui che mi ha mandato; dove io vado voi per ora non potete andare.
E Gesù dice lasciatelo andare, liberatelo dalle funi della morte. È evidente
l’importanza del brano. È un cambiamento di mentalità, la morte non interrompe
la vita. Il prefazio della liturgia dei defunti, uno dei più antichi della
liturgia dice: la vita non è tolta, ma è trasformata. Con il momento della
morte la nostra vita è trasformata, non andiamo lontano, i nostri cari sono qui
con noi. Siamo noi che siamo legati dalle funi della morte e non li
sperimentiamo come vivi.
47 e dicevano: Che
facciamo? la situazione è fuori controllo, poiché quest’uomo, le
autorità religiose nel rivolgersi a Gesù evitano sempre di pronunciare il suo
nome ed adoperano un’espressione che vuol essere di disprezzo, ma da parte
dell’evangelista è di esaltazione. In greco è l’uomo, Gesù è la pienezza
d’uomo, compie molti segni. Con il termine segni si indicano azioni che uno può
compiere o con la potenza divina o per autorità o per mandato divino. Le
autorità riconoscono che in Gesù c’è un’azione divina perché compie molti
segni, ma non lo possono tollerare. Se lo riconoscono devono smettere di
comandare e dominare la gente. È il tradimento delle autorità religiose, pur
riconoscendo che in Gesù c’è una condizione divina e un’attività divina, non lo
possono ammettere perché ne va del loro prestigio. Negli altri vangeli questo è
chiamato il peccato contro lo Spirito santo, un peccato che noi non potremmo
mai commettere! È il peccato esclusivo delle autorità religiose. Affermare che
una cosa è bene quando si sa che fa male o che una cosa fa male quando invece
si sa che fa bene, per mantenere il proprio prestigio, è il peccato contro lo
Spirito santo.
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