giovedì 12 giugno 2025

LA SAPIENZA GIOCA DAVANTI AL PADRE CHE E' ANCHE MADRE

 




SOLENNITA’ DELLA SANTISSIMA TRINITA’


 

Pro 8, 22-31; Sal 8; Rm 5, 1-5; Gv 16, 12-15

 

Paolo Cugini

 

La solennità della Santissima Trinità ci conduce all’interno del Mistero di Dio. Un Mistero grande che, sin dai primi secoli, la Chiesa ha cercato di spiegare, di comprendere, facendo aiutare anche dalla cultura del tempo, la filosofia greca. Quello che ne è venuto fuori è un insieme di definizioni non sempre di facile comprensione e, senza dubbio, l’omelia non è il luogo in cui addentrarsi in questo meandro di reticoli concettuali. Ci affidiamo, dunque, alla Parola del giorno.

quando disponeva le fondamenta della terra,
io ero con lui come artefice
ed ero la sua delizia ogni giorno:
giocavo davanti a lui in ogni istante,
giocavo sul globo terrestre
(Proverbi 8,30).

Affidarsi alla Parola significa credere che, all’interno di discorsi che provengono anche dalla cultura di un popolo e di un’epoca, c’è anche un soffio misterioso, divino, un contenuto che rimanda a qualcosa d’altro, che non può essere racchiuso nel semplice dato umano. C’è un di più che, se ascoltato, rivela contenuti che smontano le nostre costruzioni concettuali o devozionali su Dio che, con il tempo, formano pregiudizi, concetti indistruttibili. Che cosa ci dice, dunque, la Parola sul mistero di Dio? La pagina del libro dei proverbi che abbiamo ascoltato ci rivela che all’inizio di tutto non c’è un peccato, uno sbaglio, come sosteneva Agostino quando parlava di peccato originale, ma un gioco. “giocavo davanti a lui in ogni istante, giocavo sul globo terrestre”. All’inizio di tutto c’è lo sguardo sorridente di Dio Padre e Madre verso la figlia, bambina (la sapienza è al femminile), che gioca. All’origine di tutto c’è un gioco, un sorriso di vertente, che sgorga dalla relazione gioiosa del Padre-Madre con la figlia, che di nome fa Sapienza che, come ci ricorda il versetto iniziale del capitolo 8 del libro dei Proverbi, è stata creata dal Signore come inizio della sua attività. Nel cammino di fede il Mistero si rivela nel gioco: ama guardarci mentre giochiamo. È nel gioco che si sprigiona la Sapienza che viene dal Mistero.

La Sapienza che viene dal Mistero gioca davanti a Lui: che cosa significa questo giocare? Non è un caso che nel Vangelo di Giovanni, la vita pubblica di Gesù si apre con una festa di nozze, realizzando in questo modo la profezia di Isaia 24-27. Il Vangelo è gioia, festa. L’idea di gioco, infatti, espressa dal bellissimo passaggio del capitolo 8 del libro dei proverbi, apre la porta ad una serie di significati che solitamente vengono lasciati fuori dai discorsi religiosi. Il gioco significa allegria, gioia, creatività, passione, piacere, libertà, amicizia. Situazioni esistenziali che segnano profondamente la vita quotidiana della gente, ma che la religione non considera tali, perché troppo abituata a chiudersi in sé stessa e ad identificarsi con una parvenza di serietà posticcia, ipocrita. Diceva il teologo protestante Bonhoeffer nel bellissimo libro Resistenza e resa, che bisogna imparare a riconoscere Dio non solo nelle situazioni di sofferenza, dolore, malattia, come siamo abituati a fare, ma anche e soprattutto, nelle situazioni in cui la vita si manifesta come gioia, nell’arte, ad esempio, in una bella musica o, perché no, in una festa tra amici.

Vengono in mente le scene del Vangelo in cui ci sono i bambini che giocano davanti a Gesù e i discepoli, infastiditi, li vogliono scacciare via. Non solo. Gesù gioca con le nostre dottrine. Abbraccia i lebbrosi pur sapendo della legge sull’impurità, che non permetteva agli impuri, come i lebbrosi, di accostarsi al tempio che, da un punto di vista semplicemente logico, è assurdo. Lo stesso si può dire nel caso in cui Gesù tocca la donna che da 14 anni aveva un’emorragia. Anche in questo caso, chi tocca una donna che perde sangue e che, per questo, diventa impura, lui stesso è impuro. Gesù gioca con le nostre dottrine rigide, che ci rendo persone rigide e, spesso, disumani. Ancora. Gesù gioca spesso e volentieri con il perno delle leggi della Torà, la legge per eccellenza, che regge tutte le altre: il sabato. Sembra farlo apposta, ma spesso e volentieri Gesù compie miracoli nel giorno in cui è proibito fare qualsiasi cosa, al punto che un capo fariseo gli chiede se non poteva far quel miracolo un altro giorno. Gesù, invece, compie i miracoli proprio nel giorno di sabato per giocare con la nostra rigidità, con le nostre tradizioni umane, che abbiamo avuto la sfrontatezza di scambiarle, metterle al posto della Parola di Dio (Mc 7,2s).

La Santissima Trinità ci prende oggi per mano per farci giocare, per fare un girotondo, per scrollarci di dosso l’apparente serietà dottrinaria, che ci fa essere persone cupe, rigide, per entrare nel cammino dell’umanizzazione, che non è fatta solo di ragione, ma anche di passione, sentimenti. Entrando in questo gioco nel quale il Mistero della Trinità ci invita ad entrare, sarà più facile cogliere i segni della sua presenza e, in questo modo, abbandonare le fantasie religiose per lasciarci abbracciare dalla realtà di vita che Lui ci dona.

 

mercoledì 4 giugno 2025

UNA DONNA DI NOME DAMARIS (At 17,36)

 



 

Paolo Cugini

Dàmaris è una donna citata alla fin della narrazione della predicazione di Paolo ad Atene. È una predicazione che rappresenta un’ottima testimonianza della capacità di Paolo di inculturare il Vangelo nei più svariati contesti culturali. In questo caso Paolo si trova ad Atene, la patria della filosofia, culla della cultura occidentale e, per questo nella sua predicazione inizia citando autori della cultura locale. È un ottimo esempio di inculturazione: l’annuncio in un contesto culturale nuovo esige un aggancio per attirare l’attenzione I

n ogni modo, come sappiamo dalla narrazione, Ad Atene Paolo ebbe scarso successo eccetto il caso di alcune persone che abbracciarono la fede e, tra queste, una donna de nome Dàmaris. Un piccolo accenno che, però, apre varchi enormi. Là dove il mondo si chiude dinanzi alla predicazione del Vangelo, lo stesso Vangelo trova spazio nel cuore di coloro che nella società non valevano nulla: le donne. Questo picco accenno, dunque, di un nome di donna, Dàmaris, che aderisce alla fede e diviene credente, è l’indicazione della rivoluzione culturale e sociale che il piccolo seme del Vangelo sta producendo.

Basta solamente lanciarlo, che primo o poi, in modo insperato e in luoghi impossibili per il mondo, viene accolto e produce frutti sconvolgenti. La donna di nome Dàmaris è lo spazio teologico in cui avviene l’impossibile. Sono questi i miracoli del Vangelo, che apre nuovi orizzonti, squarcia i cieli ed entra una nuova luce.

 

martedì 27 maggio 2025

UNA DONNA DI NOME LIDIA

 



Paolo Cugini

 

Ad ascoltare c'era anche una donna di nome Lidia, commerciante di porpora, della città di Tiàtira, una credente in Dio, e il Signore le aprì il cuore per aderire alle parole di Paolo (At 16,13).

Il mistero delle donne nella Bibbia. In questo caso Lidia, che rimane toccata dalle parole di Paolo, dalla sua testimonianza. La Parola che fa brecci in un cuore attento, desideroso di verità. La Parola che non s’importa della cultura patriarcale, che vorrebbe le donne chiuse in casa, ma entra dove trova spazio. La Parola entra dove vuole e come vuole, entra dove incontra spazio, entra dove viene accolta con libertà. La Parola esige libertà, docilità. Non sono criteri culturali che decidono, ma solo la disponibilità dell’anima. Lidia, in questo brano, è il simbolo della libertà che fa spazio alla Parola, sena pregiudizi culturali, o preconcetti. C’è tutta una critica al paradigma patriarcale in vari testi del Nuovo Testamento che non è tematizzata, ma è implicita e, per questo, colpisce di più. Basta un nome, Lidia, per aprire varchi culturali nuovi, che si spingono oltre ogni tipo d’immaginazione. Lidia, che con semplicità accoglie la Parola di Gesù, distrugge ogni tipo di preconcetto maschilista e misogino. La Parola di Dio è libera es esige libertà, entra nei cuori aperti, apre orizzonti nuovi. Lidia è la gande testimone della libertà del Mistero che si è manifestato in Gesù. È di Lidia che abbiamo bisogno per ricostruire i percorsi spirituali infangati dalla cultura patriarcale ed entrare in sentieri nuovi, i sentieri della libertà. 

lunedì 14 aprile 2025

La canna Incrinata (lunedì santo)

 



Paolo Cugini

Non griderà né alzerà il tono,

non farà udire in piazza la sua voce,

non spezzerà una canna incrinata,

non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta (Is 42,2).

Lo stile del Servo de Jahvé annunciato da Isaia è lo stesso che s’intravede nella vita di Gesù. Ha portato, infatti il diritto e la giustizia alle nazioni non scegliendo i punti importanti dal punto di vista del mondo, come palazzi, castelli, ma quelli che contano dal punto di vista del Mistero. E così, lo troviamo annunciare il Regno di Dio per le strade della Galilea, sulle rive del Lago, nei piccoli paesini come Cafarnao. Lo troviamo nelle case dei pubblicani e peccatori, ma anche dei farisei come Simone. Gesù propone il Regno di Dio non con argomenti astratti, ma con parabole, con parole alla portata di tutti e tutte. E poi si ferma per spiegare, affinché il messaggio possa essere compreso. 

Gesù ha annunciato il diritto alle Nazioni con la sua stessa vita, condividendo la situazione d’indigenza del popolo, schierandosi sempre dalla parte di color che erano perseguitati, allontanati dalla comunità, come i lebbrosi, considerati impuri come la donna che perdeva sangue. Gesù ci ha mostrato che il diritto, la giustizia non son concetti che vanno insegnati dalla cattedra, ma modi di essere al mondo che vanno condivisi. Gesù è entrato a contatto con un’umanità molto fragile e stanca dei soprusi dei potenti, un’umanità incrinata e Lui con delicatezza l’ha raddrizzata. È venuto a porre una mano per proteggere dal vento quella parte di umanità che era come uno stoppino dalla fiamma smorta. Dove c’era sofferenza e dolore, Gesù ha portato il balsamo del suo amore. 

È proprio su questo metodo che vale la pena riflettere, per tentare di cambiare le dinamiche di aggressività che dominano le nostre relazioni, in uno stile di vita segnato dalla mansuetudine e dall’attenzione all’altro per andare incontro all’umanità stanca e sofferente, con delicatezza. 


giovedì 10 aprile 2025

DOMENICA X/C DEL TEMPO COMUNE

 




1 Re 17,17-24; Ps 29; Gal 1,11-19; Lc 7,11-17


Paolo Cugini

1. Dopo le tante domeniche solenni che abbiamo celebrato in questi ultimi mesi del periodo di Pasqua e Pentecoste, la liturgia ritorna al Tempo Comune e ci rimarrà per alcuni mesi, sino al Tempo d’ Avvento che avverrà alla fine di novembre. In questo Tempo Comune avremo l’opportunità di riflettere sui temi significativi del nostro camminare quotidiano, scoprendo i significati che la Parola di Dio dà ai contenuti sui quali lavoriamo giorno dopo giorno. In questa domenica, che é la decima del tempo comune, tempo che era iniziato subito dopo il tempo di Natale, il tema che ci viene proposto é quello della vita. Sia la prima lettura che il Vangelo ci parlano della resurrezione di una persona giovane. Nella prima lettura si parla della resurrezione di un bambino, mentre nel Vangelo é narrata la risurrezione di un ragazzo. In tutti i due i casi un giovane morto viene restituito vivo alla propria madre. La domanda che potremmo rivolgerci é questa: che insegnamento riceviamo da queste narrazioni di risurrezione?

2. Un morto dal punto di vista spirituale potremmo indicarlo come colui che ha rotto il proprio legame con la vita e, siccome la vita viene da Dio, é morto colui che non vive in Dio, che ha tagliato il proprio legame con Dio. In entrambe le narrazioni sono le madri le protagoniste dell’intervento divino. Nel primo caso la madre si arrabbia con il profeta per la morte del proprio bambino, quasi colpevolizzando Elia per l’accaduto. Elia entra in azione con una preghiera con la quale chiede l’intervento di Dio. É la preghiera del profeta, dell’uomo di Dio che é ascoltato dal Padre. Affinché la preghiera sia ascoltata e la morte si trasformi in vita bisogna essere profeti, uomini e donne di Dio, persone che hanno fatto della propria vita un dono al Signore, qualsiasi sia la vocazione. Per fare ció dovremmo prendere sempre più seriamente il nostro battesimo, viverlo come un dono, trasformando la nostra vita in dono. La preghiera di Elia é la preghiera di un uomo che ha fatto della propria vita un totale servizio al Signore. 

 3. Nel Vangelo é Gesù che sente compassione per la madre vedova che perde l’unico figlio ed entra decisamente in azione. É la situazione che provoca l’entrata di Dio nella storia. Il Dio che si é rivelato nella persona di Gesù Cristo non sopporta la sofferenza dei piccoli, dei poveri, degli oppressi. E infatti che cosa  c’é di più piccolo, povero e disperato di una madre vedova che ha perso il suo unico figlio? É in questo Dio che crediamo, nel Dio che ascolta il grido dei sui piccoli ed entra nella storia degli uomini e delle donne per dare vita, per trasformare situazioni di morte in vita. 

4. “Ragazzo, dico a te, alzati!”. Mi ha fatto impressione questa espressione di Gesù. Oggi incontriamo molti giovani morti nel significato sopra accennato e cioè senza Dio. Quanti giovani vivono oggi senza nessun riferimento al Vangelo, alla proposta di Gesù, nell’illusione di poter vivere senza di Lui! Eppure da sempre la maggior parte dei giovani che incontriamo sono passati dalle nostre sale di catechismo. E allora perché se ne sono andati? Perché oggi vivono come se Dio non esistesse, pur avendolo conosciuto, por avendo ascoltato per molto tempo la sua Parola? Come potrebbe la Chiesa oggi dirigere le parole di Gesù ai giovani che incontra “morti” sul proprio cammino?

5. “Tutti furono presi da timore e glorificavano Do”. Il mondo riconosce la presenza di Dio nella storia quando avviene una trasformazione, un passaggio dalla morte alla vita. Glorificare Dio significa credere in Lui. Il prodigio provoca la fede del mondo. La Chiesa é chiamata a compiere questo prodigio per aiutare il mondo a credere in Dio, ma come può fare ciò?

Sono due le indicazioni che ci sono state consegnate dalle letture. La prima é che solamente una Chiesa profetica, e cioè una Chiesa che vive e si alimenta del Signore é in grado di rivolgere al Padre una preghiera di supplica. La Bibbia c’insegna che Dio Padre ascolta sempre la preghiera dei suoi servi e serve. Se ci premono i giovani e la loro vita dovremmo convertirci una volta per tutte al Signore, uscire dai nostri egoismi e metterci al Servizio del Signore. La morte spirituale dei giovani deve provocare la nostra conversione. 

La seconda indicazione la troviamo nel Vangelo. Gesù tocca la bara. Fino a quando la nostra disperazione si ferma alle parole dette e scritte non succederà nulla nell’ottica della fede. Bisogna toccare la bara! Fino a quando il padre di famiglia va al bar o non smette di lavorare e non trova mai il tempo  per parlare con il proprio figlio/a, continua a costruire lentamente la sua bara. Sino a quando la madre si preoccupa solamente dei vestiti e dell’esterno e non prova mai ad abbozzare un minimo dialogo sui problemi dei propri figli, sta semplicemente martellando i chiodi delle loro bare. Bisogna avere l’umiltà di sentire la puzza di morte che esce dalla bara. Bisogna che un giorno arriviamo ad avere il coraggio di prendere il martello per togliere i chiodi alla bara, di fermare il corteo di gente che sta portando tanti giovani al cimitero della vita. E poi c’é la Chiesa, la comunità di cristiani che deve poter toccare le bare dei giovani che incontra, non facendo la corsa con il mondo e cioè, non offrendo in un modo più masticato e ripulito quello che il mondo già offre, ma avendo il coraggio di proporre quello che é chiamata a proporre: Gesù Cristo. Una Chiesa creativa che pensa al modo per poter parlare de Gesù ai giovani, senza provocare sensazioni di disagio, ma di fame di Dio. Per fare questo la Chiesa dovrebbe avere il coraggio di abbandonare una volta per tutte la logica mondana di offrire la proposta del Vangelo come se fosse obbligatoria, come una proposta scolastica che deve essere fatta. Quando la Chiesa avrà il coraggio di presentare ai giovani il Vangelo di Gesù per quello che é e cioè, una proposta di vita che esige un’adesione personale libera e non un obbligo o un’imposizione,  forse in questo modo potrà trovare la forza per dire ai giovani che incontra: ragazzo/a, dico a te: alzati!


venerdì 28 marzo 2025

PREPARATE LE PAROLE

 



Preparate le parole da dire e tornate al Signore (Os 14,3). 

Preparare le parole significa un invito ad una riflessione che viene dopo una presa di coscienza di un cammino intrapreso che non è andato nella direzione giusta. Trovare le parole che possano esprimere sentimenti, stati d’animo di una situazione che ha complicato la vita, ma che, allo stesso tempo, si è trasformata in nuova possibilità. Preparare la Parole per raccontare non solo un cammino sbagliato, ma anche il proposito di cose nuove. 

Questo è uno dei significati profondi della richiesta di perdono: mentre ci rendiamo conto dell’errore commesso, allo stesso tempo abbiamo capito per dove avremmo dovuto andare. Nella richiesta di perdono, nella ricerca di parole di riconciliazione c’è la presa di coscienza di sapere finalmente dove andare, che strada percorrere, per quale cammino immettersi. È questo uno degli aspetti più affascinanti del cammino cristiano: non si è mai persi definitivamente, ma c’è sempre una possibilità. Per questo Gesù nel Vangelo ripeteva di perdonare sempre, che tradotto significa: non chiudiamo la strada a nessuno; non permettiamo che qualcuno si avvilisca a causa della durezza del nostro cuore. 

Nessuno è così marcio da non avere nel fondo del proprio intimo un barlume di luce per ripartire. Non chiudiamo con la durezza del nostro cuore la strada del ritorno a chi ci chiede scuda. E allora, prepariamo le parole da dire per tornare al Signore. 

giovedì 20 marzo 2025

PUO' DIO SCRUTARE LA MENTE E I CUORI?

 


Paolo Cugini


Io, il Signore, scruto la mente e saggio i cuori, per dare a ciascuno secondo la sua condotta, secondo il frutto delle sue azioni (Ger 17,10). 

Questo versetto è strano. Indica un dio che controlla le coscienze delle persone e, questo, non è in linea con il Dio presentato da Gesù, che stimola la libertà e la coscienza personale. Oltre a ciò, è un versetto che rafforza la dottrina del merito di sapore veterotestamentario, dottrina agli antipodi della proposta di Gesù, che rivela la gratuità del Padre. Che cosa fare con versetti di questo tipo? È importante non perdere di vista la chiave di lettura evangelica: tutto della Bibbia deve essere riportato a Cristo e verificato alla luce del suo Vangelo. 

Un Dio che scruti i cuori è un dio che fa paura, che provoca cammini di ribellione per sfuggire dal suo sguardo punitivo. Non è un caso che queste parole siano pronunciate dal profeta Geremia, che spesso invoca Dio affinché distrugga i nemici, annienti coloro che sparlano contro di lui. Ben diverse le parole di Gesù che invita ad amare i nemici e a pregare per coloro che ci insultano. Ancora una volta: è il Vangelo il criterio per verificare la bontà di una Parola e capire se viene davvero da Dio o se proviene dal cuore umano. 

Del resto, è proprio questo tipo di lavoro ermeneutico che ci viene chiesto dal Concilio Vaticano II, nel documento Dei verbum al numero 12: Perciò, dovendo la sacra Scrittura esser letta e interpretata alla luce dello stesso Spirito mediante il quale è stata scritta, per ricavare con esattezza il senso dei sacri testi, si deve badare con non minore diligenza al contenuto e all'unità di tutta la Scrittura, tenuto debito conto della viva tradizione di tutta la Chiesa e dell'analogia della fede.

martedì 18 marzo 2025

CERCATE LA GIUSTIZIA

 




Paolo Cugini


«Lavatevi, purificatevi,

allontanate dai miei occhi il male delle vostre azioni.

Cessate di fare il male,

imparate a fare il bene,

cercate la giustizia,

soccorrete l'oppresso,

rendete giustizia all'orfano,

difendete la causa della vedova» (Is 1,16).

Quando penso ai profeti e alle loro parole di condanna, mi viene in mente questo passaggio durissimo di Isaia. C’è una presa di coscienza sottesa di un male che sta devastando il popolo e che sembra implacabile. Il male che si manifesta come ingiustizia verso i poveri, gli oppressi, gli orfani, le vedove. Quando si arriva a questo punto, vale a dire, a trattare male le fasce più bisognose della società, significa che il livello di malvagità è giunto al colmo: è ora di cambiare rotta. C’è qualcosa che ogni persona può fare contro il male. Isaia sollecita il popolo a cambiare rotta, a smettere di fare il male, di seguire il sentiero della giustizia, per porre azioni giuste. C’è la presa di coscienza di una volontà positiva che può essere realizzata. C’è qualcosa che tutti possiamo fare per interrompere il fiume di ingiustizia: è questo il senso del grido del profeta Isaia. C’è un tempo in cui l’ingiustizia è così pesante da rendere la vita dei poveri e degli oppressi insopportabile. Ingiustizia che si tocca con mano nelle situazioni di vita quotidiane. Ebbene, ci vuole qualcuno che sappia gridare lo scandalo di un’ingiustizia divenuta pane amaro quotidiano, che tolga il velo dell’ipocrisia e dell’impostura, che svegli i l popolo dal torpore e che indichi il cammino di una presa di posizione netta. Questa volontà di cambiare, di togliere il peso dell’ingiustizia sui poveri è alla portata di tutti. Per questo, nella seconda parte dell’invettiva, Isaia invita al dialogo, 

Su, venite e discutiamo

- dice il Signore.

Anche se i vostri peccati fossero come scarlatto,

diventeranno bianchi come neve.

Se fossero rossi come porpora,

diventeranno come lana (Is 1,19).

Ci deve essere un tempo per dialogare, soprattutto in quei momenti in cui il clima sociale è divenuto troppo pesante, insostenibile. È interessante notare che, per Isaia, il peccato di cui si è macchiato il popolo, coincide con l’ingiustizia e, questa, è determinata dalla relazione con i poveri. Peccato è trattare male i poveri e può essere perdonato nel momento in cui si inverte la rotta, se si cominciano a porre dei cammini di giustizia nella vita della comunità. Cercare la giustizia, ci dice Isaia, significa soccorrere i poveri, difendere la causa della vedova, rendere giustizia all’orfano. È questo il cammino da compiere. 


lunedì 3 marzo 2025

UNA SOLA COSA TI MANCA




 Paolo Cugini


«Una cosa sola ti manca: va’, vendi quello che hai e dallo ai poveri, e avrai un tesoro in cielo; e vieni! Seguimi!» (Mc10).

 Nella logica del Regno inaugurata da Gesù ciò che importa non è l’osservanza della pratica, del precetto, o la partecipazione ai riti, ma la condivisione con i fratelli e le sorelle. La verità della relazione con Dio la si vede nel modo in cui viviamo la relazione con coloro che incontriamo sul nostro cammino, ma soprattutto con i più poveri, gli esclusi. La domanda del Vangelo di oggi è: fino a che punto siamo disposti a condividere ciò che abbiamo con coloro che non hanno nulla? La logica del vangelo è contrari alla teoria dell’accumulo individuale, perché distrugge la logica del Regno che è la condivisione, la possibilità che è data ad ogni persona di poter usufruire dei beni. 

Tutto dev’essere fatto per vivere la logica dell’uguaglianza. Vieni e seguimi: è possibile seguire il Signore sulle strade del Vangelo solamente se si è disposti a condividere e ad uscire dalla logica egoistica del pensare solo a se stessi. 

mercoledì 19 febbraio 2025

LO CONDUSSE FUORI DAL VILLAGGIO

 




Allora prese il cieco per mano, lo condusse fuori dal villaggio e, dopo avergli messo della saliva sugli occhi, gli impose le mani (Mc 8,23). 

Bello questo gesto di Gesù che conduce fuori dal villaggio il cieco pe curarlo. Perché lo porta fuori: che cosa significa? Nel Vangelo si Marco il villaggio è il luogo della tradizione, che non accetta la novità e, di conseguenza, resiste alla novità del Vangelo. Dentro al villaggio, a contatto con una mentalità tradizionale è molto difficile passare dall’oscurità alla luce, compiere, cioè, un cammino di conversione, di cambiamento. È necessario uscire. È Gesù che conduce fuori il cieco. È il contatto con la luce di Gesù che veniamo condotti fuori dai villaggi esistenziali, per poter compiere un cammino di trasformazione, che ci permette di cogliere la cecità che la cultura della tradizione mette dentro di noi. È fuori dai contesti quotidiani, che possiamo cogliere la verità di cui viviamo e, allo stesso tempo, l’urgenza di compiere un cammino, che è graduale, nel senso che non si guarisce dalla cecità causata dalla tradizione da un giorno all’altro: ci vuole tempo. 

E lo rimandò a casa sua dicendo: Non entrare nemmeno nel villaggio

È bellissima questa indicazione di Gesù. Chi ha intrapreso un cammino fuori dal villaggio, fatto di persone con la mente chiusa, di coloro che non riescono ad uscire dalla comodità letale di una vita in cui “si è sempre fatto così”, non può ritornare tra le persone dalla mente fasciata: non lo accetterebbero. E allora, bisogna avere il coraggio di prendere le distanze con il passato, per guardare avanti, per fare spazio allo Spirito del Signore, disponibili a camminare su nuovi sentieri: è il fascino della vita secondo lo Spirito.