Amico, io non ti faccio
torto. Non hai forse concordato con me per un denaro? Prendi il tuo e vattene.
Ma io voglio dare anche a quest’ultimo quanto a te: non posso fare delle mie
cose quello che voglio? Oppure tu sei invidioso perché io sono buono?”. Così
gli ultimi saranno primi e i primi, ultimi (Mt 20, 15-16).
La
parabola ascoltata aiuta a riflettere sulla logica del merito che rischiamo di
trasferire nella relazione con Dio, il cui amore non si merita, ma si accoglie
gratuitamente. Questa idea semplice e profonda, distrugge dall’interno la
religione dei precetti, dei fioretti, degli sforzi personali, la religione del
sacrificio, che pone l’accento non tanto sul dono, ma sullo sforzo personale
per ottenere la grazia. In questa logica la religione diventa la palestra per
diventare i migliori e coltivare dei privilegi personali nei confronti di Dio.
Inoltre, questa religione del merito, si poggia su una visione antropologica di
tipo individualista, che non lascia spazio alla dimensione comunitaria della
fede.
La
religione del merito è il perno della religione del precetto che nei secoli si
è infiltrata nel cristianesimo quando ha interrotto il legame con il Vangelo,
facendo entrare altri tipi di logiche. Per ultimo, la religione del merito
stimola la logica del migliore, il fatto che davanti a Dio non partiamo allo
stesso modo e che Lui privilegia solo alcuni a scapito dei più deboli. È tutto
il contrario della visione cristiana. L’amore del Padre come dono da accogliere,
al contrario, pone tutte le persone sullo stesso piano, perché l’essere un
figlio, figlia di Dio non dipende da meriti personali, ma dall’accoglienza
gratuita del dono. In questo modo, si esce dallo sforzo individualista di voler
essere il migliore o il primo, perché nella prospettiva del Vangelo: gli ultimi
saranno i primi e i primi ultimi.
Il
Vangelo ci aiuta ad uscire dalla logica della prestazione per entrare nella
dimensione del dono gratuito.
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