domenica 29 settembre 2019

ZACCHEO





Omelia XXXI del Tempo ordinario Lc 19,1-10


Paolo Cugini

La narrazione del Vangelo di oggi è piuttosto inattuale. Si parla, infatti, di un uomo in ricerca e questo dato è strano nel nostro contesto culturale. È inattuale la ricerca di un senso che possa orientare la vita, che possa offrire un orizzonte nel quale incanalare le proprie forze. È inattuale perché il nuovo contesto postmoderno, come ci ha insegnato Zygmunt Bauman, più che la ricerca, stimola lo schiacciamento sul presente. Se la ricerca di un senso della vita indica un movimento interiore che spinge anche ad una ricerca di luoghi e persone, gli stimoli che troviamo nell’attuale contesto culturale conducono le persone in due direzioni. Da una parte, a sfruttare tutto ciò che è possibile nel presente; dall’altra a cambiare velocemente situazione, quando quella attuale è esaurita. Che cosa può dire, allora, la storia di Zaccheo all’attuale situazione culturale? A mio avviso può dire qualcosa sul tema dell’identità e dell’autenticità della vita.

La storia di Zaccheo fa riferimento, infatti, al tema dell’identità che nell’epoca moderna, a partire da John Locke dal suo Saggio sull’intelletto umano, chiama in causa la memoria. L’identità ha a che vedere con le scelte fatte durante la storia personale, scelte che devono essere in continuità con i punti di riferimenti presi dal soggetto. L’insoddisfazione assieme al senso di colpa dicono di situazioni percepite come incoerenti al quadro generale e che mettono in discussione l’identità personale. L’insoddisfazione manifestata da Zaccheo, che provoca la ricerca di qualcuno che lo possa aiutare, rivela un’identità ferita dal vuoto delle cose materiali. È proprio lui ad affermarlo: «Ecco, Signore, io do la metà di ciò che possiedo ai poveri e, se ho rubato a qualcuno, restituisco quattro volte tanto». Non si dà via qualcosa d’importante. A Zaccheo, le cose che possedeva, non gli bastavano più. Era un uomo ricco, ma infelice. Per questo desidera vedere Gesù. Già questa mi sembra un’indicazione importante. L’insoddisfazione percepita per la delusione di ciò che veniva dalla sua ricchezza, lo conduce verso Gesù. 
Apprendere ad ascoltare l’amarezza che proviene dall’insoddisfazione è un primo passo importante, che può produrre un cammino nuovo nella propria vita. Zaccheo insegna a non fuggire dalle proprie frustrazioni riempiendo il vuoto esistenziale con la materia o, come viene suggerito dall’attuale contesto culturale, a spostarsi velocemente in una nuova situazione, ma a sopportare il dolore, lasciarlo parlare, smettere le maschere dell’ipocrisia, per ascoltare ciò che il malessere esistenziale ha da insegnarci. In questo cammino di ricerca, che è allo stesso tempo interiore ed esteriore, Zaccheo comprende che non è solo: Gesù stesso lo vede e lo chiama. “Gesù alzò lo sguardo e gli disse: «Zaccheo, scendi subito, perché oggi devo fermarmi a casa tua». Scese in fretta e lo accolse pieno di gioia”. È la dimensione trascendente della vita che, nel caso specifico di Zaccheo, viene scoperta nella percezione che l’esistenza non può esaurirsi appena sul piano materiale. Non c’è, allora, solamente l’uomo e la donna alla ricerca di Dio, ma Dio stesso, come direbbe Abraham Joshua Heschel, è in una continua ricerca di noi. È interessante notare come questo incontro tra Dio e l’uomo avviene in uno spazio vuoto dell’anima, reso tale dalla materia. Tutto può contribuire a condurci a Dio, anche le esperienze che in apparenza giudichiamo negative ma che, se ascoltate, possono offrire indizi importanti per fare spazio al mistero. 
Zaccheo per essere visto da Gesù e incontrare il suo volto, ha avuto bisogno di salire su un sicomoro. Forse il testo ci vuole suggerire che, ad un certo punto del cammino, quando abbiamo già preso sul serio la nostra vita ponendoci in ascolto delle frustrazioni incontrate in essa, abbiamo bisogno di qualcuno che ci dia una mano, che ci aiuti a “salire” per incontrare lo sguardo di Colui che può riempire di senso la nostra vita e, renderla così, più autentica.  



mercoledì 25 settembre 2019

La libertà di Gesù








 [Dal diario spirituale del 2003]


Paolo Cugini

Gesù chiama a sé i dodici per mandarli a predicare il Vangelo dandogli l’autorità di espellere i demoni. Che cosa significa? Senza dubbio i due elementi sono legati: annuncio della Parola e espellere i demoni. Affinché la Parola entri e produca i frutti sperati, l’anima dell’uomo deve essere libera dagli spiriti negativi. I demoni, in una lettura spirituale, rappresentano quella realtà che contrasta con la realizzazione del Regno. È l’egoismo, l’orgoglio e tutto ciò che essi generano. Allora è significativo che, colui che annuncia la Parola, deve avere questo potere, se no non riesce nella missione che gli è stata affidata. Ciò significa che l’annunciatore della Parola di salvezza deve entrare in dialogo personale con colui che riceve l’annuncio. Ancora una volta la dimensione dialogica è elemento chiave nell’opera della Chiesa. Questa infatti, chiamata ad annunciare il Vangelo creando relazioni nuove; autentiche con le persone che aderiscono alla Parola. Uno dei demoni maggiori è la discordia. Nelle comunità cristiane questo demonio deve essere debellato. La Parola, allora, entra in un cuore e un animo libero e lo libera sempre di più, rendendolo sempre più atto a creare rapporti umani liberi, autentici. Perché allora quegli attaccamenti morbosi alle persone, quelle dipendenze assurde che rendono gli uomini e le donne dipendenti?

Essere persona libera in Cristo e che crea legami di libertà non è facile. Occorre un continuo lavoro interiore su di sé, quel lavoro interiore che Gesù faceva ritirandosi da solo, allontanandosi dalle moltitudini per entrare in sé stesso, ascoltare il Padre, affinché la sua vita diventasse una risposta all’amore del Padre e non all’egoismo degli uomini. La libertà interiore come dono dello Spirito deve pagare il prezzo della solitudine. Gli uomini e le donne che incontro non sono, infatti, abituati a concepire sé stessi e a vivere la libertà in questo modo. Ci deve essere una continua attenzione a Te e agli altri: tutto deve costantemente essere rimesso nelle Tue mani per una trasformazione, per una divinizzazione. Niente posso mantenere chiuso nel mio egoismo perché va distrutto. Libertà è così docilità alla Tua Parola, ricerca quotidiana della Tua volontà, perché è la Tua volontà la fonte della libertà nuova e personale.
L’uomo cerca la realizzazione della propria libertà fuori di sé, soprattutto nel possedere (cose, persone, beni). L’uomo che non Ti conosce, si sente spinto da un bisogno interiore a cercare fuori di sé la propria realizzazione. Solo che non si accorge che facendo così diventa schiavo delle cose che possiede. Questo è il grande inganno. L’uomo capisce ciò, ma non ha il coraggio di fermarsi, perché il fermarsi, il mettersi in silenzio ad ascoltarsi, ad ascoltare la Parola di Dio gli sembra una perdita di tempo. In realtà la grande perdita di tempo è continuare nel cammino fuori di sé alla ricerca che spesso diventa disperata, della realizzazione della propria libertà. Che cos’è che ci ferma in questa pazza corsa verso la propria distruzione? Da una parte, può essere una crescente sensazione di vita che non mi lascia in pace e mi costringe a fermarmi, a pensare. Dall’altra è il bisogno di dare un senso totale alla mia vita. Questa esigenza di totalità, di radicalità è molto forte nelle persone più sensibili. È un’esigenza che spinge l’uomo ad accumulare: esperienze, situazioni, beni, ecc. Se è ben guidata, questa esigenza di radicalità, di totalità può condurre ad incontro radicale con il Signore.

GESÙ SI NASCONDE



[Dal diario spirituale del 2003]


Paolo Cugini

Perché Signore Ti nascondi? Perché non vuoi che i demoni rivelino la Tua identità? Perché scappi quando tutti Ti cercano? Che cosa vuoi dire con questo? Non vuoi lasciarti prendere dalle seduzioni del mondo, della superficialità del mondo. C’è il rifiuto di quello che il mondo offre. Non vuoi rimanere avvolto nel mondo e allora fuggi alla ricerca del Padre. Fuggi perché non vuoi cedere nulla al mondo, ma solamente il Padre. Ti nascondi anche perché non vuoi che coloro che vivono nel mondo pensino che Tu sia semplicemente colui che ha fatto quel miracolo. E allora diventi il buffone di corte, il pagliaccio. E allora diventi la soddisfazione, la tranquillità di coloro che vogliono rimanere tranquilli. Tu, invece sei venuto per inquietare, per scomodare, sei venuto per scandalizzare. E allora fuggi, perché non vuoi che qualcuno pensi che Tu sei semplicemente colui che ha fatto quel miracolo, che ha curato la suocera di Pietro. 

Tu sei molto di più di un miracolo. Per capire chi sei ci vuole tempo, ci vuole desiderio di uscire da una vita triste e senza senso, da una vita pigra, negativa, da una vita che si alimenta delle meschinità del prossimo. E allora Tu ti nascondi e, nascondendoti, costringi coloro che ti vogliono conoscere davvero, a cercarti. Solo chi è interessato a Te, chi vuole conoscerti Ti cerca e ti può trovare solamente fuori, fuori dalla propria condizione di schiavitù. Nascondendoti Tu ci inviti a cercarti, continuamente per trovarti un giorno appeso a una croce. Di lì non ti muovi. Lì sei nascosto: per sempre. Lì, appeso alla croce, tutti coloro che Ti cercano dovranno fermarsi e pensare, riflettere, tentare di capire. Nascondendoti, Tu non accetti che qualcuno possa identificarti come un semplice giocoliere, mago, furfante. Tu sei molto di più dei miracoli che fai. Tu ci costringi a pensare, a cercarti, ad andare oltre il miracolo e soprattutto a non cercarti per ricevere una soddisfazione personale. Tu vuoi il nostro amore e non il nostro egoismo. 

E allora è necessario camminare e camminando spogliarsi, per presentarsi nudi davanti a Te, spogliati di tutto l’orgoglio e l’egoismo che è dentro di noi. Tu non sei venuto per soddisfare la nostra curiosità, il nostro egoismo: e allora ti nascondi per invitarci a cercarti e per cercarti occorre muoversi, organizzarsi. Nascondendoti ci costringi ad alzare lo sguardo, a pensare a Te distogliendo i nostri pensieri dalla nostra meschinità.