(Is 42,1-4.6-7; Sal 28; At 10,34-38; Mt
3,13-17)
Paolo Cugini
La
festa del battesimo del Signore ci permette di riflettere sul significato di quel
sacramento che ancora oggi viene richiesto da quasi tutti i genitori per i loro
figli, ma la cui comprensione effettiva è molto offuscata. Senza dubbio, è una
richiesta che va accolta e accompagnata, per quello che è possibile, all’interno
di un percorso di fede. A volte, la richiesta del battesimo diviene l’occasione
per i genitori di riavvicinarsi ad un discorso di fede, mentre in altri casi,
si tratta semplicemente di un gesto dai caratteri sociali più che religiosi. Le
letture che abbiamo ascoltato ci permettono di recuperare qualche significato
del battesimo: vediamo.
Non
griderà né alzerà il tono, non farà udire in piazza la sua voce, non spezzerà
una canna incrinata, non spegnerà uno stoppino dalla fiamma smorta
(Is, 42 2-3a). Con queste metafore Isaia vuole far comprendere che il Servo di
JHWH, questo personaggio misterioso, che i padri della Chiesa hanno visto come
un’anticipazione del messia, non farà uso di alcuna forma di violenza, neppure
verbale, ma rispetterà i tempi e i modi di ciascuno. Egli, infatti, è inviato a
persone impreparate, simili a canne incrinate pronte a rompersi o a stoppini
fumiganti che facilmente si spengono. Il suo compito non è dunque quello di
imporre il suo messaggio di liberazione, con il rischio di suscitare il rifiuto
delle persone a cui si rivolge, ma piuttosto quello di proporlo in modo da
ottenere un'adesione libera e convinta. Battezzarsi significa, in questa
prospettiva, immergersi nel mondo della non-violenza vissuta da Gesù, sforzarsi
di mettere in atto delle dinamiche di pace nei contesi di vita in cui ci si
trova a vivere. Immergersi nel Signore significa rinunciare alla logica della
forza, che si tramuta in guerra, generando tensioni e discordie. Il battesimo
ci pone nel cammino della comunità dei fratelli e delle sorelle che si
riconoscono nel Vangelo del Signore e si sforzano di vivere in modo diverso. Ciò
che viene espresso dal profeta Isaia sono i tratti dell’umanità nuova visibile
in Gesù Cristo e che lo Spirito Santo è in grado di formare in tutti coloro che
l’accoglieranno.
Pietro
prese la parola e disse: «In verità sto rendendomi conto che Dio non fa
preferenze di persone, ma accoglie chi lo teme e pratica la giustizia, a
qualunque nazione appartenga (At 10, 34s). Lo Spirito Sano
non solo forma i tratti dell’umanità del Signore nella nostra, ma ci apre la
mente e il cuore, mostrandoci un modo diverso di stare al mondo. Quella di
Pietro è la testimonianza di un cammino compiuto con il Signore e che continua
anche dopo la sua morte e resurrezione. Il cammino di comprensione della nuova
realtà è lento e non sempre progressivo, perché imbatte costantemente nelle
nostre paure e miserie. Arrivare a vivere quello che il Signore viveva non è
facile, perché esige uno spirito libero dalle strutture culturali che
annebbiano la vista sul mondo. Eppure, Pietro ci insegna che è possibile e che
non bisogna demordere mai. Dio non fa preferenza di persone: ecco la grande
intuizione! In un mondo in cui fin da piccoli siamo indirizzati a divenire i
migliori, a considerare chi viene da altri mondi culturali o sessuali come
essere inferiori, non è per nulla facile non solo comprendere quello che ha
compreso Pietro ma, soprattutto, viverlo. Attraverso il battesimo veniamo
immessi in quella comunità di fratelli e sorelle che hanno capito che dinanzi a
Dio siamo tutti uguali, tutti figli e figlie suoi, a sua immagine e somiglianza
e dove le diversità non sono nell’ordine della discriminazione, ma della ricchezza
del mistero di Dio.
Gesù
dalla Galilea venne al Giordano da Giovanni, per farsi battezzare da lui. Giovanni
però voleva impedirglielo, dicendo: «Sono io che ho bisogno di essere
battezzato da te, e tu vieni da me?». Ma Gesù gli rispose: «Lascia fare per
ora, perché conviene che adempiamo ogni giustizia (Mt
3,13s). Il battesimo di Gesù non ci rivela qualcosa sulla sua natura, ma sul
suo progetto di vita. Gesù ha interpretato la sua vita come una missione per
mostrare all’umanità il senso autentico dell’esistenza e cioè che siamo al mondo
non per accumulare beni o per dimostrare di essere migliori degli altri, ma per
amare, por discernere con giustizia e attivare modalità di relazione pacifiche
e non violente. Ebbene, per compiere questo progetto Gesù ha compreso che non
poteva farlo dall’alto al basso, da una cattedra, ma abbassandosi, facendo uno
di noi. La vita adulta di Gesù è stato un cammino di abbassamento, di umiliazione
e, come dice il Vangelo di Giovanni, venne ad abitare in mezzo a noi (Gv
1,14). A me sembra una bella indicazione di metodo, che vale per tutti coloro
chiamati a vivere relazioni educative di paternità, di maternità o altro. I
contenuti esistenziali non si insegnano come farebbe un professore dalla
cattedra, ma si comunicano mettendosi al livello di coloro ai quali si vuole
inviare il messaggio.
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