Paolo Cugini
Dopo le feste del tempo di Natale la liturgia riprende
con il tempo ordinario e, questa seconda domenica, ci presenta la dinamica
della chiamata. La settimana scorsa il Vangelo che narrava il battesimo di Gesù
ci diceva che durante il battesimo il cielo si era squarciato, permettendo l’entrata
di Dio nella storia degli uomini e delle donne nel loro vissuto quotidiano. Oggi
ci viene detto che il primo gesto che Gesù compie nella sua attività pubblica è
consiste nel chiamare per nome, nel proporre un cammino nuovo di vita autentica,
non più condizionato dalla contingenza umana, ma liberato dall’amore sovrabbondante
di Dio. Seguiamo, allora, la narrazione che ci propone il Vangelo, per
coglierne sia la profondità che la grande attualità.
“Giovanni
stava con due dei suoi discepoli”: La fede si realizza come cammino
comunitario e che si trasmette lentamente, attraverso una relazione personale.
Il ragazzo, il giovane, capisce che qualcosa è importante quando lo vede fare
da un adulto in cui crede, in cui ha fiducia. Se questo vale in generale, vale
anche e soprattutto, per quanto riguarda i contenuti della fede, che si
trasmettono attraverso un rapporto quotidiano di fiducia, attraverso uno stare
con qualcuno che vive ciò in cui crede. Questo aspetto offre delle grandi
indicazioni educative, perché richiama ogni adulto a vigilare sulle proprie
scelte, sul proprio vissuto, sulla propria coerenza e autenticità.
“E
fissando lo sguardo su Gesù che passava, disse: ecco l’Agnello di Dio”: può
guidare gli altri verso l’incontro e la conoscenza del Signore colui che lo
conosce, colui che dedica tempo alla sua Parola. Giovanni è colui che fissa lo
sguardo su Gesù, è attento a Lui, lo conosce e riconosce: per questo può
indicarlo ai suoi discepoli. Fissare lo sguardo su Gesù indica la relazione
personale con Lui, l’interesse alla sua Parola, alla sua proposta e a tutto ciò
che gli riguarda.
“E
i suoi due discepoli, sentendolo parlare così, seguirono Gesù”. C’è in
questo versetto la verità e la libertà di un rapporto educativo. La relazione
educativa nella prospettiva del Vangelo è liberante, nel senso che non lega le
persone al maestro, al padre, alla figura educativa. La verità di una relazione
educativa matura è quando offre gli strumenti alla persona di trovare il
proprio cammino e questo può avvenire solo se avviene uno sganciamento dalla
relazione iniziale.
“Che cosa cercate?”: la
domanda di Gesù manifesta interesse nei confronti dell’interlocutore. È una
domanda che rivela un’attenzione, una disponibilità. È una domanda che apre
degli spazi di possibilità per coloro che hanno esposto una richiesta. È una
domanda che dice anche di un cammino. Trova il Signore, il senso della vita che
dà spessore alle scelte fondamentali dell’esistenza chi si pone in ricerca, chi
esce allo scoperto e si pone in cammino.
“Venite
e vedrete”: la risposta di Gesù manifesta che il cammino di
fede non ha una progettualità definita, ma esige che il discepolo, il giovane,
faccia dei passi concreti, esige che veda con i propri occhi, che faccia
esperienza diretta, che valuti con i propri criteri. Gesù non mostra ai
discepoli di Giovanni un programma dettagliato: è necessario un affidarsi. La
fede si apprende facendo l’esperienza dell’affidamento reale a qualcuno che ci
è stato indicato. I discepoli di Giovanni, accettando la proposta di Gesù,
senza averlo mai visto prima, lo seguono perché hanno fiducia in Giovanni, il
loro primo maestro. Il cammino di fede passa, così, di fiducia in fiducia, ed è
quindi, segnato da una storia di relazioni adulte, significative. Per questo
motivo, il tradimento, è l’esperienza più drammatica della fede, perché viene
meno il tramite, ciò che faceva da collante, che dava spessore al cammino.
“Rimasero
con lui”: una parrocchia non può pensare di trasmettere la fede ai giovani
semplicemente trasmettendo dei contenuti. Un giovane ha bisogno di vedere, di
fare esperienza, di toccare con mano e, soprattutto, di verificare di persona
se quello che gli viene detto ha una corrispondenza nella vita reale di colui
che trasmette il messaggio. Fare esperienza del Signore e della novità della
sua proposta significa rimanere con qualcuno che vive ciò che dice e, in questo
modo, mostra che ciò che il Vangelo insegna può avere significato nella vita
reale.
“Erano
circa le quattro del pomeriggio”: Giovanni,
l’evangelista, scrive questo dato a circa cinquant’anni dal suo primo incontro
con il Signore. È stato un incontro così significativo che Giovanni ormai
vecchio, si ricorda ancora l’ora precisa. Credo che quello che possiamo fare è
offrire dei momenti, degli spazi espliciti di preghiera; spazi prolungati nel
tempo in cui un giovane ha la possibilità di percepire la presenza di Dio.
“Andrea
trovò per primo suo fratello Simone e gli disse: abbiamo trovato il Signore!”. Il
Vangelo si propaga da solo, da persona a persona. Coloro che hanno incontrato
il Signore e hanno fatto esperienza di Lui, non riescono a trattenerlo per loro
stessi, non possono, non de la fanno e lo annunciano agli amici, ai parenti,
alle persone care, come si fa con qualcosa di prezioso che volgiamo
condividere.
“Fissando
lo sguardo su di lui, Gesù disse: tu sei Simone, il figlio di Giovanni; sarai
chiamato Cefa”. L’incontro con Gesù cambia la vita offrendoci una nuova
identità. Il cambiamento del nome vuole significare proprio questo. D’ora
innanzi Simone non sarà più lo stesso, ma una nuova persona.
Il
messaggio che ci arriva in questa seconda domenica del tempo ordinario è molto chiaro.
Se desideriamo essere persone nuove che non si lasciano più schiavizzare dagli
elementi del mondo, ma vogliamo vivere nella libertà dei figli e delle figlie
di Dio, dobbiamo alzarci, metterci in cammino alla ricerca del Signore che
viene al nostro incontro per offrirci uno stile di vita nuovo e così potremo
dire con il salmo di oggi: “Ecco io vengo, Signore, per fare la tua volontà”
(Sal 39).
Alziamoci e mettiamoci in cammino
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