sabato 7 febbraio 2015

CONVERSIONE





III domenica di Avvento/C
(Sof 3,14-18; Is 12; Fil 4, 4-7; Lc 3,10-18)
Paolo Cugini

1. Il cammino di avvento che nella grazia del Signore stiamo realizzando, vuole condurci dinnanzi alla grotta di Gesú bambino nella totale disponibiltá per realizzare nella nostra vita, la sua volontá. Ci ha cosí invitati, nella prima settimana, ad alzare lo sguardo per rimanere attenti e con la mente concentrata sul cammino da svolgere. In seguito, la liturgia della Parola ci ha invitati a gioire per tutto quello che il Signore stava preparando per noi e, per questo, allo stesso tempo, ci invitava a rimanere ben attenti al tempo presente perché: “Oggi la salvezza é entrata in questa casa” (Lc 19,9). Infatti, ogni volta che rimaniamo in ascolto del Signore, apriamo il nostro cuore, la nostra vita alla sua volontá, permettendogli di indicarci il cammino da percorrere. La liturgia della Parola di questa domenica, se da un lato continua ad invitarci alla gioia e ad esultare per l’avvento del Signore nella nostra vita, dall’altro ci conduce nel mistero del nostro rapporto con Lui. La presenza all’Eucaristia domenicale dovrebbe manifestare la nostra fiducia e, allo stesso tempo, la nstra graitudine al Signore per tutto ció che ha fatto e continua a realizzare nella nostra vita e nella storia.La liturgia di oggi ci chiede di fare un passo ulteriore, piú profondo, ci chiede cioé di verificare la nostra disponibilitá effettiva alla proposta del Signore. In fin dei conti ci dovremmo chiedere: quanto siamo disposti a perdere per il Signore? Che spazio stiamo aprendo effettivamente nella nostra vita per Lui, affinché Lui trovi dimora in noi?

2. “’ In quel tempo le folle interrogavano Giovanni, dicendo:’che cosa dobbiamo
fare ? (Lc 3,10).
É la domanda della fede. Se pensiamo di aver fede in Dio, dobbiamo chiederci se siamo disposti a rivolgere questa domanda al Signore, perché é una domanda che presuppone l’azzeramento di tutte le sicurezze umane, di tutte le nostre presunzioni, in una parola, é una domanda che ci conduce a deporre il nostro orgoglio, tutto il nostro orgoglio ai piedi di Gesú. La fede é senza dubbio un dono di Dio, ma richiede la nostra disponibilitá. Dio, che é Padre, non s’impone con la forza, ma si propone con l’amore: ci attira a Lui con lacci di bontá. Ebbene, alla luce dei versetti che stiamo ascoltando, possiamo dire che il nostro rapporto con Lui é vero e profondo se abbiamo l’umiltá e, allo stesso tempo, il coraggio di dirigergli una domanda come questa: “Signore, che cosa debbo fare?” Domanda che possiamo attualizzare in tanti modi, a partire dalla realtá in cui viviamo. La liturgia delle prime due settimane di avvento ha preparato il terreno spirituale affinché noi ascoltatori potessimo giungere al punto cruciale di metterci in discussione davanti al Signore, mettere in discussione le nostre certezze, i nostri progetti, il nostro modo di essere e di pensare, per fare in modo che sia davvero Lui a riprogettarci, a modellare la nostra esistenza. “Signore che cosa debbo fare?”: potrebbe essere questa domanda, la preghiera che ci accompagna durante tutta questa settimana, per giungere preparati e disponibili per realizzare la sua volontá. Ed allora potremmo giá adesso chiederci: in fin dei conti che cosa vuole il Signore da noi?

Niente di speciale, ma semplicemtne di riqualificare il nostro vissuto quotidiano. É, infatti, la vita concreta nella quale viviamo che deve essere evangelizzata e ció puó avvenire solamente se siamo disponibili al cambiamento. Le risposte che Giovanni Battista offre ai suoi interlocutori sono esattamente nella linea appena indicata. Alle folle dice di condividere la tunica e il cibo con chi non ne ha; ai pubblicani di non esigere di piú di quello richiesto, mentre ai soldati di non maltrattare e non estorcere nulla a nessuno. Consigli semplici, che non hanno nulla di spettacolare e misterioso, ma che s’inseriscono nella vita concreta di ogni interlocutore. Ció dovrebbe aiutarci a riflettere sul fatto che la santitá, che é la realizzazione del nostro battesimo, non é identificata con un luogo o uno spazio particolare. Non é che andando in missione uno ha piú possibilitá di diventare santo di una persona che rimane in Italia. Queste sono fantasie spirituali che nascono dalle frustazioni religiose di coloro che desiderano apparire ottimi cristiani, senza mollare assolutamente nulla del mondo e senza mai mettersi in discussione. La Parola del Vangelo, nella sua semplicitá, tocca nel profondo del cuore dell’uomo per verificarne la disponibilitá al cambiamento. E che cosa effettivamente ci chiede il Signore in questa terza settimana di Avvento? Lo abbiamo appena ascoltato, ci chiede di passare da una vita egoista, centrata su noi stessi, sulle nostre ragioni, sulle nostre idee, ad una vita donata, condivisa, cosí com’é stata la vita di Gesú. La liturgia della Parola di oggi offre, allora, molti spunti di riflessione e di verifica per coloro che stanno prendendo a serio il Vangelo. Se il nostro rapporto con il Signore non modifica gli stili di vita egoisti nei quali viviamo, vuole dire che le Eucaristie domenicali alle quali partecipiamo, piú che essere un incontro d’amore con il Figlio di Dio, che ha donato tutta la sua vita per noi senza risparmiare assolutamente nulla, sono delle abitudini, anche belle, ma che in fin dei conti non incidono nulla sul nostro vissuto. E non incidono nulla non perché il Signore non sa fare nulla, ma perché davanti all’egoismo umano l’amore, che esige la libertá, non conosce altro cammino che il dono di sé e, se siamo chiusi nei nostri gusci, di questo amore e di questa libertá che vengono da Dio, non sapremo che farcene. Forse é anche per questo che arriviamo tardi alla messa o “prendiamo” l’ultima che c’é, facendo di tutto per rimanere ben nascosti per non laasciarci coinvolgere. Problema: a chi serve una roba cosí?

 3. “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha” (Lc 3,10).
Per tutti coloro che sono abituati ad aggrapparsi sugli specchi dell’esegesi o della teologia per fare di tutto per non cambiare di una virgola la propria vita, questo versetto puó suonare come una bastonata spaventosa. Anche perché possiamo tranquillamente dire che il Vangelo é tutto qui. A Natale celebreremo l’anniversario della nascita del Figlio di Dio che é nato non in un palazzo ma in una mangiatoia. San Paolo ci ricorda che Gesú, da ricco che era si é fastto povero per noi. Ancora san Paolo in un altro testo ci rivela che Gesú, il Figlio di Dio, per salvarci dai nostri peccati, dalla nostra morte, si é abbassato, umiliato, si é fatto servo. Gesú per amore, é morto per noi! La sua vita é stata tutta nell’ordine della condivisione, del dono di sé. Che cosa vuole dire, allora, questo versetto: “Chi ha due tuniche ne dia una a chi non ne ha”? Puó voler dire tante cose, ma senza dubbio ci invita a mantenere la nostra attenzione sui fratelli e sorelle che il Signore pone sul nostro cammino, soprattutto i piú bisognosi. Inoltre, Se di due tuniche una la dobbiamo dare a chi non ne ha, vuole dire che non si tratta del superfluo, di quello che ci avanza, ma di qualcosa di sostanziale del quale, forse, avremmo avuto bisogno in futuro. L’amore non fa calcoli, ma si dona e basta. Forse é in questo che dovremmo trovare l’allegria di vivere: una vita non piú finalizzata al soddisfacimento dei nostri desideri, ma donata totalmente ai fratelli e alle sorelle che incontriamo nel nostro cammino.

Nessun commento:

Posta un commento