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mercoledì 21 agosto 2024

CERCHERO’ LE MIE PECORE

 



 

Paolo Cugini

 

Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna. (Ez 34, 11).

Leggo e rileggo il capitolo 34 di Ezechiele. Capisco il contesto storico e le problematiche da lui sollevate. Non si può prendere questo testo come critica generalizzata al ministero pastorale. Ci sono delle responsabilità oggettive per coloro che assumono il compito di pastore, de leader di una comunità. Responsabilità religiose, che si traducono nella possibilità di alimentare spiritualmente i fedeli, con la conoscenza della Parola, la vita sacramentale e la vita di carità. Il problema evidenziato anche da Ezechiele è che, alla distanza, il pastore può stancarsi e concentrarsi su di sé. Esercitare, infatti, il ministero di pastore esige un costante cammino spirituale, perché la relazione con i fedeli alla distanza svuota l’anima. Si tratta di una relazione ad una direzione, di richiesta, di necessità che non sempre trova il pastore disponibile. Occorre, infatti, considerare anche la situazione del pastore, uomo tra gli uomini, con tutto il suo bagaglio di problemi umani da risolvere in modo diverso dagli altri. La sua condizione celibataria, lo pone in una situazione di solitudine e di carenza di relazioni parentali, che non va trascurato.

C’è, senza dubbio, la forza della vita spirituale e anche delle relazioni della vita pastorale che costituiscono uno stimolo positivo. Il problema è che alla distanza, la situazione di non normalità della vita del pastore si fa sentire e appesantisce la vita. È vero che ci sono pastori, come ricorda il profeta Ezechiele, che utilizzano il ministero per curare i propri interessi e approfittare delle persone a loro affidate. Senza dubbio, questo è un dato che va tenuto conto. Ciò che invece non emerge quasi mai quando si parla della realtà del ministro di Dio, è la loro umanità, le problematiche legate al modo in cui è richiesto lo svolgimento della loro funzione.

C’è troppa disumanità nelle condizioni attuali di vita del pastore e questa situazione genera conseguenze negative. Il problema sta anche nel tempo. Tutta una vita celibataria in queste condizioni nell’attuale situazione culturale è disumana. Forse sarebbe meglio pensare ad un periodo, che potrebbe essere rinnovato dopo un attento esame. Non è reale risolvere il dibattito rimandando la problematica esclusivamente alla dimensione spirituale, come se il pastore che esercita male il proprio ministero sarebbe carente di spiritualità.

C’è molto di più in gioco. C’è tutta la dimensione affettiva e sessuale che non è mai menzionata, ma che esiste e nessuno prende in considerazione. Come rendere il ministero pastorale più umano: è questo il problema che va affrontato con coraggio, uscendo dalle pastoie spiritualistiche, che non fanno altro che allontanare il problema per non doverlo affrontare.

 


sabato 17 luglio 2021

IL SIGNORE E' IL MIO PASTORE

 



XVI DOMENICA/B

(Ger 23,1-6; Sal 23; Ef 2,13-18; Mc 6, 30-34)

Paolo Cugini

 

Cresciamo all’interno di relazioni di paternità e maternità per divenire noi stessi padri e madri. La paternità è, dunque, uno dei temi fondamentali della vita, con il quale dobbiamo fare i conti. Impariamo a conoscerci quando abbiamo qualcuno che ci ricorda chi siamo, ci aiuta a prendere in mano la nostra vita. Non solo, ma impariamo a vivere quando c’è qualcuno che ci pone dinanzi le leggi della vita, ci aiuta a scoprire che ci sono dei doveri oltre che dei piaceri, ci sono delle responsabilità da assumere, che esigono scelte, decisioni, presenza.

Guai ai pastori che fanno perire e disperdono il gregge del mio pascolo. Oracolo del Signore (Ger 23, 1).

Il profeta Geremia pone il dito su uno dei problemi fondamentali che hanno caratterizzato il cammino del popolo d’Israele. Ci sono state delle epoche in cui il popolo ha vissuto senza pastori, senza guide, perché color che avevano il dovere di pascere il gregge, non pensavano altro che agli affari propri. Quando ciò avviene, a soffrire è il popolo perché senza guida corre un duplice pericolo. Da una parte, infatti, può divenire preda di persone senza scrupoli, che usano, o fanno male al popolo. Nella storia d’Israele questa situazione è avvenuta diverse volte. Pensiamo a quando era schiava in Egitto, oppure in esilio a Babilonia. La mancanza di guide lascia il popolo in preda dei nemici. Dall’altra, senza pastore il popolo rischia di divenire ribelle, intollerante alle leggi, autoreferenziale. È quello che può capitare ad un giovane che cresce senza nessuno che lo aiuti a comprendere il senso della vita, che è fatta di diritti, ma anche di doveri; che ci sono delle cose che ci spettano, ma altre che richiedono una docilità, il rispetto, l’educazione, perché non siamo soli al mondo e i nostri gesti e le nostre scelte hanno delle ripercussioni sulla vita di tutti. Non veniamo al mondo da soli, ma anche non viviamo in un’isola. Per questo, ancora una volta, diventano fondamentali le figure che aiutano un individuo a crescere, a divenire persona adulta capace di stare al mondo in convivialità con gli altri.

Gesù nel Vangelo assume la paternità spirituale di un gruppo di uomini e donne, nei confronti dei quali cerca di trasmettere degli insegnamenti sul senso della vita, sul modo di vivere e assumere la propria dignità umana, soprattutto, sul modo di realizzare l’essere ad immagine di Dio. Il primo passo di questo cammino alla sequela del Signore consiste nello spogliarsi dei falsi insegnamenti, le ideologie le dottrine apprese con l’imposizione, più che con la docilità e l’amore. Ecco perché, la prima volta che vengono invitati a predicare, vale a dire, ad aiutare altre persone ad entrare in una logica di relazione d’amore, valorizzando la persona più che le ideologie, non ci riescono.

In quel tempo, gli apostoli si riunirono attorno a Gesù e gli riferirono tutto quello che avevano fatto e quello che avevano insegnato. Ed egli disse loro: «Venite in disparte, voi soli, in un luogo deserto, e riposatevi un po' (Mc 6,30s).

Gesù non aveva detto ai discepoli d’insegnare, ma di proclamare la parola (Mc 6,12s): sono due cose molto diverse. Predicare la Parola esige, conforme all’indicazione di Gesù ai discepoli, la condivisione con la vita delle persone, una sobrietà evangelica, la possibilità di aiutare le persone a liberarsi delle false dottrine che impediscono l’accoglienza della Parola. Ed è quello che fa Gesù, che annuncia il Regno di Dio, la venuta attraverso di Lui di un nuovo modo di stare al mondo con gli altri, non dominato dall’egoismo e dall’istinto di sopraffazione sugli altri, ma dall’amore gratuito e dalla condivisione, vivendo con i suoi discepoli e discepole. Il Vangelo non è una dottrina, un insieme di concetti da apprendere a memoria, ma uno stile di vita da interiorizzare e vivere. In questo senso Gesù per i discepoli e le discepole è stato un pastore buono, che non ha insegnato con autorità e durezza una dottrina, ma si è messo in mezzo a loro, vivendo con loro, mostrando con l’esempio ciò che voleva dire. Si è pastori, padri e madri, conformi all’insegnamento di Gesù, quando ci si mette in gioco, quando si condivide il vissuto quotidiano. Per questo, con il salmo che abbiamo ascoltato e con cui abbiamo pregato possiamo dire: Il Signore è il mio pastore: non manco di nulla. Su pascoli erbosi mi fa riposare, ad acque tranquille mi conduce. Rinfranca l'anima mia (Sal 22).