Paolo
Cugini
Ecco, io stesso cercherò
le mie pecore e le passerò in rassegna. (Ez 34, 11).
Leggo
e rileggo il capitolo 34 di Ezechiele. Capisco il contesto storico e le
problematiche da lui sollevate. Non si può prendere questo testo come critica
generalizzata al ministero pastorale. Ci sono delle responsabilità oggettive
per coloro che assumono il compito di pastore, de leader di una comunità.
Responsabilità religiose, che si traducono nella possibilità di alimentare
spiritualmente i fedeli, con la conoscenza della Parola, la vita sacramentale e
la vita di carità. Il problema evidenziato anche da Ezechiele è che, alla
distanza, il pastore può stancarsi e concentrarsi su di sé. Esercitare,
infatti, il ministero di pastore esige un costante cammino spirituale, perché la
relazione con i fedeli alla distanza svuota l’anima. Si tratta di una relazione
ad una direzione, di richiesta, di necessità che non sempre trova il pastore
disponibile. Occorre, infatti, considerare anche la situazione del pastore,
uomo tra gli uomini, con tutto il suo bagaglio di problemi umani da risolvere
in modo diverso dagli altri. La sua condizione celibataria, lo pone in una
situazione di solitudine e di carenza di relazioni parentali, che non va
trascurato.
C’è,
senza dubbio, la forza della vita spirituale e anche delle relazioni della vita
pastorale che costituiscono uno stimolo positivo. Il problema è che alla
distanza, la situazione di non normalità della vita del pastore si fa sentire e
appesantisce la vita. È vero che ci sono pastori, come ricorda il profeta
Ezechiele, che utilizzano il ministero per curare i propri interessi e
approfittare delle persone a loro affidate. Senza dubbio, questo è un dato che
va tenuto conto. Ciò che invece non emerge quasi mai quando si parla della
realtà del ministro di Dio, è la loro umanità, le problematiche legate al modo
in cui è richiesto lo svolgimento della loro funzione.
C’è
troppa disumanità nelle condizioni attuali di vita del pastore e questa
situazione genera conseguenze negative. Il problema sta anche nel tempo. Tutta
una vita celibataria in queste condizioni nell’attuale situazione culturale è
disumana. Forse sarebbe meglio pensare ad un periodo, che potrebbe essere
rinnovato dopo un attento esame. Non è reale risolvere il dibattito rimandando
la problematica esclusivamente alla dimensione spirituale, come se il pastore
che esercita male il proprio ministero sarebbe carente di spiritualità.
C’è
molto di più in gioco. C’è tutta la dimensione affettiva e sessuale che non è
mai menzionata, ma che esiste e nessuno prende in considerazione. Come rendere
il ministero pastorale più umano: è questo il problema che va affrontato con
coraggio, uscendo dalle pastoie spiritualistiche, che non fanno altro che
allontanare il problema per non doverlo affrontare.