mercoledì 27 marzo 2024

IL GIUDA CHE C'E' IN NOI

 




Paolo Cugini

 

Uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnare Gesù (Mt 26,14).

Il problema di Giuda non è tanto il fatto che ha tradito Gesù - anche -, ma di come lo ha seguito, di come è stato accanto a lui per tre anni. È il modo di essere discepolo che caratterizza la personalità di Giuda, che è rivelativa di un modo di stare nella chiesa, nella comunità. Giuda è il prototipo del discepolo, potremmo dire del cristiano che segue Gesù, che entra nella comunità non perché attratto da una proposta e cerca di porre la propria vita nella direzione proposta dal Signore, ma perché ha degli interessi, ha dei propri obiettivi. Il proposito di Giuda era molto chiaro: pensava che Gesù incarnasse il tipo di messia, così com’era stato annunciato da un filone profetico, che avrebbe sconfitto i romani. Giuda, nei tre anni che ha accompagnato Gesù assieme agli altri, ha visto dei miracoli, ha ascoltato delle parole, ma non le ha assimilate cercando di comprenderne il significato, ma le ha interpretate alla luce delle sue proprie aspettative di Gesù.

Giuda ha tradito Gesù consegnandolo nelle mani dei suoi nemici, e cioè i capi religiosi del popolo, perché Giuda stesso si era sentito tradito da Gesù, nel senso che non avevo corrisposto alle sue proprie aspettative. Giuda, con l’andar del tempo, scopre che Gesù non è il messia che lui sperava che fosse: è tutta un’altra cosa, tutta un’altra proposta e, per questo, lo tradisce. A questo punto è lecita una domanda: ma quanto Giuda c’è in noi? In che modo stiamo nella comunità? Che interesse abbiamo? Che cosa cerchiamo? Aiutaci, Signore, a seguirti per essere come te e non per manipolarti e piegarti ai nostri bisogni. Amen.

 

martedì 26 marzo 2024

DAL SENO MATERNO MI HA CHIAMATO

 



Paolo Cugini

 

Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1).

Fanno sempre molta impressione questo tipo di versetti che ci ricordano da dove veniamo e cioè dal pensiero di Dio. Siamo pensati e, quindi, mati, frutti di un pensiero d’amore. È questa comprensione che permette al discepolo, alla discepola di affrontare le conseguenze del discepolato. È interessante che la liturgia ponga all’inizio della Settimana Santa, in cui siamo coinvolti a riflettere sul mistero della morte del giusto, un brano come questo. È, senza dubbio, una chiave di lettura. La forza di Gesù, la sua coerenza simo alla fine, la sua capacità di portare il pesos della solitudine e del disprezzo di coloro che lo hanno torturato e ucciso, deriva dalla sua consapevolezza di non essere solo, ma di essere amato sin dall’inizio dei tempi.

Questo dato Lui lo conosce molto bene, è la fonte della sua forza, fonte alla quale durante la vita ha continuamente attinto nelle ore interminabili di preghiera. Sa di essere da sempre amato. Sa che la sua vita terrena è immersa nell’amore ed è proprio questo amore la fonte, l’origine della motivazione di Gesù. Non si resite al male come Gesù ha resistito senza una motivazione di ferro, senza sentire dentro di sé il fuoco dell’amore. Quest’esperienza d’amore Gesù l’ha vissuta prima di tutto nella sua famiglia. Ha sentito forte l’amore di sua madre Maria, di suo padre Giuseppe. Lo si coglie da come Gesù si è mosso nella sua vita pubblica. Tanta sicurezza, tanta fermezza nelle posizioni spesso controcorrente non si vivono se non c’è la consapevolezza di essere amati.

Una persona senza motivazioni non resiste alla pressione: ci molla prima. Chi non ha motivazioni non riesce a portare avanti delle decisioni. La più grande motivazione che ci dà la forza di seguire nel cammino della vita è l’amore accumulato nel cuore: senza questo ci perdiamo. La Settimana Santa inizia con questa riflessione fondamentale. È una chiave di lettura. Per capire come ha fatto Gesù a sopportare una sofferenza così grande, dobbiamo guardare a sua madre e a suo padre, a quanto amore gli hanno dato, a quanto Gesù si è sentito voluto bene.

Se volgiamo capire che cos’aveva dentro di sé nelle ore terribile della sua passione, dobbiamo rileggerci le parole di Isaia e forse potremo comprendere qualcosa: Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1).

 

lunedì 25 marzo 2024

TRECENTO GRAMMI DI PROFUMO DI PURO NARDO

 



Paolo Cugini


Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo (Gv 12,2-3).

Che cos’è questo brano se una grande narrazione d’amore? Che libertà in questo incontro! Libertà di Maria (di Magdala?) che si lascia guidare solamente dal suo amore disinteressato per Gesù e non bada a nulla, non si preoccupa degli eventuali giudizi dei commensali, di quello che la gente potrà pensare. Libertà di Gesù che guarda al cuore delle persone e vede in Maria e nel suo Gesto qualcuno che ha colto il senso della sua presenza. Nel gesto di Maria, Gesù vede come un senso di riconoscenza infinito per ciò che è, per ciò che rappresenta nella sua vita. La lascia fare, permette di lavargli i piedi con del profumo di nardo, preziosissimo, com’è preziosa la persona di Gesù. Chi ama non bada a spese, e Maria non ha calcolato il costo del profumo che stava spalmando sui piedi di Gesù. Chi ama non calcola, non bada al prezzo, ma segue il cuore, il pensiero dell’amato.

Per questo è uno dei più bei gesti presenti nel Vangelo, perché dice che cosa dovremmo essere noi, che cosa dovrebbero diventare i discepoli e le discepole del Signore: uomini e donne ripieni dell’amore di Gesù, che camminano nel mondo spargendo profumo di nardo in coloro che portano i segni della presenza del Signore. Solo una donna poteva fare un gesto del genere! Qui c’è tutto il mistero della donna o, perlomeno, uno dei misteri. Seguire il proprio cuore, infatti, significa seguire il proprio intuito, arricchito dall’esperienza. Un intuito che non erra, che va a colpo sicuro, perché sa che il proprio cuore non sbaglia mai.

Dopo quei trecento grammi di profumo di puro nardo Gesù poteva davvero morire in pace, perché sapeva che perlomeno c’era stata sulla terra una persona che aveva compreso il suo messaggio.