At
1,1-11; Sal 46; Ef 4,1-13; Mc 16,15-20
Paolo
Cugini
Stiamo terminando il percorso del tempo di Pasqua,
un percorso ricco di spunti per il nostro cammino di fede, che non può mai
essere scontato, ma che è chiamato a rinnovarsi ogni giorno, perché il Signore
risorto è vivo e, di conseguenza, cammina con noi. Apprendere a pensare a Dio
come un dono presente, vale a dire, non come ad un cimelio della storia,
significa la disponibilità al cambiamento, per lasciarsi guidare da Lui, dove
Lui vuole. Significa, anche, l’attenzione al presente, a non fossilizzarsi
sulle abitudini costruite nel tempo, che possono trasformarsi in ostacolo alla
sequela del Signore. È con questo spirito che possiamo interrogarci: che cosa significa
l’evento dell’Ascensione del Signore al cielo? Che cosa ha da dire al nostro
cammino di fede?
“Ma cosa significa che ascese, se non
che prima era disceso quaggiù sulla terra? Colui che discese è lo stesso che
anche ascese al di sopra di tutti i cieli, per essere pienezza di tutte le cose”
(Ef 4,11).
San Paolo, nella seconda lettura del giorno, ci
ricorda un dato importante, vale a dire che il cammino di Gesù non si è fermato
sulla terra, anzi. La sua vita d’amore, la sua ricerca della giustizia, il suo
annuncio di pace e di uguaglianza attraverso la sua resurrezione e ascensione,
è entrato per sempre nel mondo di Dio. Gesù, con il suo stile di vita
inconfondibile, ha aperto un cammino che tutti possono percorrere. Gesù ha
riempito d’amore tutte le cose, tutta la realtà al punto tale che ogni
situazione, ogni evento che viviamo, può divenire un indizio della sua
presenza. San Paolo, a questo punto, ci offre uno spunto importante nel cammino
intrapreso inaugurato dalla resurrezione di Gesù, vale a dire, la ricerca d’indizi
che dicono di Lui, della sua presenza. Ebbene, secondo san Paolo, Gesù ha
riempito con il suo amore, con la sua vita così tanto e in modo così pieno il
tempo, la storia, la realtà presente, che tutto parla di Lui, tutto indica Lui.
In un certo senso è come se paolo ci dicesse che è impossibile non incontrare
Gesù nella nostra vita: bisogna proprio mettercela tutta per no vederlo, per
non percepire la sua presenza.
«Uomini di Galilea,
perché state a guardare il cielo? Questo Gesù, che di mezzo a voi è stato
assunto in cielo, verrà allo stesso modo in cui l'avete visto andare in cielo»
(At 1,11).
È la tentazione dell’uomo, della donna religiosa: guardare
in alto, pensare a Dio come ad una fuga. Soprattutto, la tentazione è pensare
ad un Dio distante dall’uomo e dalla donna, un Dio che bisogna implorare affinché
sial lui a risolvere i nostri problemi. Il Dio, invece, che Gesù è venuto a manifestare,
è un Dio presente nella stori, che non incontriamo più in cielo, perché è
disceso ed è venuto ad abitare in mezzo a noi, cammino con noi, ci conosce e ci
ama. Non dobbiamo più, allora cercare tra le nuvole colui che è disceso sulla
terra e ci dona il suo Spirito ogni volta che lo invochiamo. È questa la stessa
idea di quella espressa nei vangeli della resurrezione, quando gli angeli
dicono alle donne: “perché cercate tra i morti colui che è vivo?” (Mt
28,6). Credere in Gesù e nella sua Parola, significa disponibilità a
lasciarsi sconvolgere, a lasciarsi condurre verso l’incontro con il Dio che è
Padre e Madre, misericordia infinita, che cammina con noi.
Allora essi partirono e
predicarono dappertutto, mentre il Signore agiva insieme con loro e confermava
la Parola con i segni che la accompagnavano (Mc 16,20).
In questo versetto del Vangelo di oggi c’è la verità
del nostro incontro con il risorto, dell’aver colto la centralità del suo
messaggio, che è l’amore ai fratelli e alle sorelle. Un amore che non può rimanere
rinchiuso tra le mura, ma deve uscire, essere annunciato. È la comunità che si
fa annunciatrice del messaggio nuovo sconvolgente, del Dio che cammina con noi,
che ci ama e c’invita ad amarci reciprocamente, invitandoci a mettere in atto
gesti concreti che dicono della verità del suo incontro, della possibilità
reale di una vita nuova, autentica. Gesù, entrando definitivamente nell’amore
del Padre, c’invita ad essere responsabili della nostra storia di vita piena,
che esige al suo interno e come verifica della validità di ciò che abbiamo
sperimentato, la capacità di coinvolgere chi ci sta intorno.
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