Paolo Cugini
«Ma
voi, chi dite che io sia?». Pietro rispose: «Il Cristo di Dio». Egli ordinò
loro severamente di non riferirlo ad alcuno. «Il Figlio dell’uomo - disse -
deve soffrire molto, essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e
dagli scribi, venire ucciso e risorgere il terzo giorno»
(Lc 9, 21-22).
Nella
vita, le domande hanno un potere spesso sottovalutato: alcune aprono strade
nuove, altre le chiudono con decisione. Altre ancora, invece, ci aiutano a
capire a che punto siamo del nostro percorso, quale tipo di ricerca stiamo
compiendo e come procede la nostra crescita personale e spirituale. Le domande
rivelano infatti qualcosa di chi le formula e la profondità del rapporto che
cerca di instaurare con il proprio interlocutore. Ma, come in ogni dialogo,
dopo la domanda arriva la risposta, ed è qui che le cose si complicano. A volte
la risposta sorprende, altre volte delude. Può capitare di ricevere risposte
che paiono dimostrare una comprensione profonda, ma che in realtà sono completamente
fuori contesto. In queste situazioni, è fondamentale prestare attenzione alle
risposte che diamo: non bisogna precipitarsi, né credere troppo in fretta di
aver capito tutto. Spesso le domande più semplici nascondono insidie, sono veri
e propri trabocchetti volti a sondare chi siamo e dove siamo arrivati nel
nostro cammino.
Questa
dinamica è evidente nel celebre brano evangelico di Luca 9, 21-22, dove Gesù
interroga i discepoli sulla sua identità. Pietro risponde senza esitazioni,
chiamando Gesù “il Cristo di Dio”. Apparentemente sembra aver colto nel segno,
sembra aver compreso la vera natura di Gesù. Ma la risposta di Gesù sorprende:
si autodefinisce “Figlio dell’uomo”. Ecco il trabocchetto, la trappola che
rivela la distanza tra la percezione di Pietro e la realtà profonda del mistero
di Cristo. Tra i due titoli messianici — “Cristo di Dio” e “Figlio dell’uomo” —
esiste un abisso. Pietro, pur seguendo Gesù da tempo, pur avendo ascoltato le
sue parole e assistito ai suoi prodigi, non ha ancora modificato la sua
comprensione di Gesù. Rimane ancorato alle sue sicurezze, alla visione che
aveva all’inizio del cammino. Gesù, con la sua risposta, invita i discepoli ad
entrare in questo abisso, ad abbandonare le proprie certezze, per lasciarsi
plasmare dalla novità profonda che egli porta. È in questo salto, che può
generare paura e smarrimento, che si diventa davvero suoi discepoli. Solo chi
accetta di lasciare le proprie sicurezze e di immergersi nell’ignoto che Gesù
propone può avvicinarsi alla risposta della grande domanda: “E voi, chi dite
che io sia?”
Non
si tratta di trovare una definizione corretta, né di rispondere con le parole
giuste. Si tratta di intraprendere un cammino di trasformazione, di lasciarsi
interrogare e sorprendere, di andare oltre le formule per entrare nel mistero. Le
domande, quando sono vere, ci costringono a metterci in gioco, a uscire dalla
zona di comfort e a esplorare territori sconosciuti. La risposta, per quanto
possa sembrare adeguata, non sempre svela la verità: spesso è solo il primo
passo verso una comprensione più profonda. Il dialogo tra Gesù e Pietro ci
insegna che, per scoprire la nostra vera identità e quella di chi ci sta
accanto, occorre il coraggio di abbandonare le certezze e di entrare
nell’abisso delle domande che cambiano la vita.
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