Paolo Cugini
Gli
apparve in sogno un angelo del Signore e gli disse: «Giuseppe, figlio di
Davide, non temere di prendere con te Maria, tua sposa
(Mt 1,19).
Il
passo evangelico in cui Giuseppe riceve, nel sogno, la visita dell’angelo del
Signore (Mt 1,19) rappresenta uno dei momenti più suggestivi e profondi del
racconto cristiano. In esso si intravede non soltanto il turbamento e la
delicatezza di un uomo chiamato a custodire il Mistero, ma anche la qualità
rara della sua coscienza, definita giusta. Questo episodio, pur privo di una
base storica verificabile, rivela una sensibilità spirituale che ha segnato
profondamente la prima comunità cristiana.
La
figura di Giuseppe emerge come icona della giustizia intesa non solo come
rispetto della legge, ma, soprattutto, come purezza di cuore. La giustizia di
Giuseppe è una limpidezza interiore che gli permette di cogliere la volontà di
Dio persino nel sonno, senza bisogno di segni esteriori o di parole esplicite.
Questo aspetto richiama direttamente le Beatitudini (Mt 5,8): “Beati i puri di
cuore perché vedranno Dio”. La purezza di Giuseppe, la sua trasparenza, fa sì
che il Mistero non gli sia estraneo, ma, al contrario, palpiti dentro di lui,
si riveli nelle pieghe sottili della sua esistenza quotidiana.
In
tutta la narrazione evangelica si respira una profonda semplicità: Giuseppe non
è un uomo potente o autorevole, ma un artigiano, un uomo della quotidianità,
che vive la sua fede con la naturalezza di chi sa riconoscere il divino nel
piccolo e nel fragile. Il sogno, nella tradizione biblica, è spesso il luogo
della rivelazione. Ciò che colpisce è che Giuseppe non mette in discussione la
veridicità di quanto gli è stato comunicato: accoglie con semplicità, si fida,
fonda tutta la sua esistenza su quel messaggio ricevuto nella debolezza di un
sogno notturno. È il paradosso del Mistero cristiano: ciò che è grande si
manifesta nel piccolo, ciò che è potente si rivela nella fragilità.
L’immagine
di Giuseppe che coglie le vibrazioni del Mistero nel sogno rimanda a quella coscienza
da bambino capace di stupore, di apertura, di fiducia. La trasparenza del suo
cuore lo rende capace di scorgere Dio anche dove altri vedrebbero solo ombra o
incertezza. È questa disposizione interiore che permette a Giuseppe di essere
protagonista silenzioso e determinante dell’incarnazione: l’umiltà, la
semplicità, la capacità di ascolto diventano le sue vere forze.
La
storia di Giuseppe è, in fondo, una meditazione sui paradossi del Mistero
cristiano. Dio non si impone con la forza ma si lascia intravedere nella
debolezza, nel sogno, nel silenzio. Questa modalità di comunicazione è distante
dalla mentalità meritocratica e materialista contemporanea, dove tutto deve
essere dimostrato, misurato, guadagnato. Nel racconto evangelico, invece,
contano la giustizia, la coscienza limpida, la semplicità del pensiero e
l’umiltà dei gesti. È uno spazio in cui l’uomo non si afferma per merito, ma si
dispone ad accogliere il Mistero.
Pur
priva di riscontri storici, la vicenda di Giuseppe offre numerosi spunti
spirituali. Innanzitutto, ci invita a rivalutare il valore della coscienza,
della trasparenza interiore, della capacità di ascolto. In un mondo spesso
confuso e rumoroso, la storia di Giuseppe ci ricorda che la voce di Dio può
giungere nel silenzio, nella semplicità, persino nel sogno. Ci provoca a
riscoprire la giustizia come purezza di cuore, a credere che il Mistero si
riveli a chi custodisce una coscienza limpida e aperta.
Il
sogno di Giuseppe è un invito a entrare nel Mistero con occhi semplici e cuore
puro. È la testimonianza di una fede che non ha bisogno di grandi segni per
riconoscere la presenza di Dio: basta la trasparenza di una coscienza che, come
uno specchio, riflette la luce del divino. In questa storia, la debolezza del
sogno diventa la forza dell’esistenza e la giustizia si trasforma in quella
purezza che permette di vedere Dio, anche nel buio della notte.

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