martedì 16 giugno 2015

LA DOMANDA IMBARAZZANTE



XXIV DOMENICA/B
(Is 50,5-9a; Sal 114;Gc 2,14-18;Mc 8,27-35)

1.                       Il Signore Dio mi ha aperto l’orecchio e io non ho opposto resistenza” (Is 50,5)
E’ questo il primo versetto della liturgia della Parola di oggi, versetto che facciamo nostro, chiedendo al Padre di aprire le nostre orecchie, affinché sappiamo comprendere quella Parola che alimenta la nostra fede e, allo stesso tempo, ci indica il cammino da seguire. Cammino che desideriamo percorrere per non cadere nell’errore che l’apostolo Giacomo, nella seconda lettura di oggi, stigmatizza:

Che giova, fratelli miei, se uno dice di avere la fede ma non ha le opere? Forse che quella fede può salvarlo?” (Gc 2,14).

Desideriamo, allora capire la Parola del Signore, per amarlo sempre di più e vivere ciò che ci suggerisce.


2.      Chi dice la gente che io sia?… E voi chi dite che io sia?” (Mc 8,27.29).

Il senso della nostra vita di fede si racchiude nella risposta a queste due domande che il Signore oggi dirige ai suoi discepoli e oggi, in questa liturgia, a noi. Dalle risposte della gente, possiamo osservare che c’è una conoscenza di Dio che non serve a nulla, cioè non conduce alla salvezza. E questo è un primo ed importante insegnamento. Ciò significa che, se le nostre nozioni su Dio che abbiamo appreso a catechismo o in letture personali,  non si traducono in una risposta libera e personale, in un’adesione alla Parola del Signore, queste nozioni non servono a nulla. Compito della Chiesa è dunque condurre i fedeli ad una scelta libera e responsabile della proposta del Signore, proposta che coinvolge tutta la vita. Se questo è vero, una parrocchia non può sentirsi soddisfatta per il semplice fatto che organizza il catechismo per i bambini, ma perché offre una possibilità alle persone che partecipano della comunità di conoscere il Signore.
Dall’altra parte è interessante anche osservare il metodo educativo di Gesù. Infatti, non solamente parla alla folla e vive intensamente la propria relazione con il Padre, ma stimola una riflessione personale nei suoi discepoli. Le due domande che Gesù dirige ai discepoli, sono il modo semplice per aiutarli ad entrare in loro stessi, e cercare i motivi profondi del loro discepolato. Abbiamo ricevuto i sacramenti e tutte le domeniche partecipiamo all’Eucarestia: bene. Oggi il Signore ci chiede: perché? La nostra risposta esige una rielaborazione dei dati in nostro possesso, una rilettura del nostro passato alla luce del Vangelo e, soprattutto, una verifica del nostro presente. Se Gesù è per noi il Cristo, come lo è per Pietro, allora tutta la nostra esistenza è nelle mani del Signore. Chiediamoci, allora, se per noi oggi è davvero così, o se ci sono ancora delle parti nella nostra vita che  teniamo per noi, che non vogliamo che nessuno ci metta il naso?
Dire a Gesù: “Tu sei il Cristo”, ha delle conseguenze nella nostra vita di fede che dobbiamo prendere seriamente in considerazione, se non vogliamo correre il rischio del fariseismo e cioè di una vita di fede ipocrita, falsa.


3.                                     “Lungi da me satana! Perché tu non pensi secondo Dio,  ma secondo gli uomini” (Mc 8,33)

Dire a Gesù: “Tu sei il Cristo”, significa aver appreso a pensare secondo Dio. Certamente questo non è frutto dell’intelligenza umana e di uno sforzo personale, ma è un dono di Dio. Pensare secondo Dio significa accettare la vita così come Dio la pensa e non come noi la vogliamo.

 “E cominciò insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva molto soffrire” (Mc8,31).

E’ proprio questo che ci spaventa e non vogliamo accettare né sentire. Non vogliamo saperne di soffrire e il mondo fa di tutto per offrirci una vita senza sofferenze, una vita tranquilla, rilassata, calma. Gesù soffre non perché  è un masochista, ma perché è il prezzo che la vita nell’amore deve pagare nel mondo dell’egoismo. La vita dell’uomo nel mondo è la vita di colui che pensa solo a sé stresso, ai propri interessi. Gesù venendo al mondo ha voluto mostrare l’inutilità di questa vita, inutile perché distrugge alla radice il senso stesso della vita che è amare, e amare, nella prospettiva del Signore, è donarsi gratuitamente. E’ questo il pensiero di Dio che non entra nella testa dell’uomo, della donna immersi nel mondo. La conversione alla quale il Vangelo ci chiama è esattamente questa: uscire dal mondo dell’odio, per entrare nel mondo dell’amore. Da soli è impossibile percorrere questo cammino. Per questo Gesù è venuto al mondo, per aprire un solco nella storia e chiamare tutti a seguirlo senza preoccuparsi troppo delle conseguenze, della propria vita. E’ Lui, infatti, il Signore della Vita e della storia, ed è seguendo Lui che  potremo vivere per sempre.

“Chi vorrà salvare la propria vita la perderà, ma chi perderà la propria vita per causa mia e del Vangelo, la salverà” (Mc 8, 35)

Se la logica del mondo ci spinge a primeggiare, a fare di tutto per vincere, per dimostrare di essere i migliori passando sopra ad affetti e ad amicizie, Gesù ci insegna che il pensiero del Padre è esattamente il contrario: perdere. Seguire Gesù nel cammino dell’amore, che è il cammino della vita autentica, significa perdere il desiderio di primeggiare nel mondo, di voler essere il primo, di contare qualcosa, di essere considerato qualcuno,  ma desiderare di essere l’ultimo e il servo di tutti. E’ proprio questo che il Signore ci ha insegnato non solo con le parole, ma anche con l’esempio. Quando infatti, nell’ultima cena si è messo in ginocchio ed ha cominciato a lavare i piedi ai discepoli, ha voluto insegnarci proprio questo stile di vita nuovo, evangelico (cfr. Gv 13). Amare è perdere il mondo, è accettare di vivere ad un altro livello, per salvare la propria vita dall’egoismo e dall’orgoglio. Chiaramente questa trasformazione, questo uscire dal mondo per immettersi nella vita del Signore, provoca tensioni in noi e fuori di noi, tensioni che generano incomprensioni e, a volte, persecuzioni.


4. Ogni volta che ci avviciniamo all’altare per cibarci del corpo di Cristo, manifestiamo la disponibilità a perdere (il mondo) per guadagnare l’amore. Che cos’è, infatti, l’ostia, il corpo di Cristo, se non quell’unico frammento di umanità che ha resistito alle lusinghe del mondo per donarsi totalmente al Padre e ai fratelli e sorelle? Mangiando il Tuo Corpo, Signore, manifestiamo il desiderio di essere strumenti docili nelle Tue mani, per divenire noi stessi corpo di Cristo, alimento per il mondo, “affinché il mondo creda” (Gv 17).




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