QUINTA
DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO B
Paolo Cugini
La
Parola di Dio non offre solo indicazioni utili per la vita, ma presenta anche
delle chiavi di lettura per capire la condizione umana. È questo che leggiamo
oggi nella prima lettura presa da un testo del libro di Giobbe: “ricordati
che un soffio è la mia vita” (Gb 7,7). Sono parole che riprendono un tema
che ricorre spesso nella Bibbia, dalla letteratura profetica a quella
sapienziale. Lo stesso Isaia, infatti, afferma che: “Come un tessitore hai
arrotolato la mia vita… Dal giorno alla notte mi riduci all’estremo” (Is
38,12). Anche la letteratura deuteronomista, elaborata all’epoca dell’esilio in
Babilonia, elabora una riflessione in sintonia con quello riportato sinora: “Alla
mattina dirai: se fosse sera! E alla sera dirai: se fosse mattina! A causa
dello spavento che agiterà il cuore e delle cose che i tuoi occhi vedranno”
(Dt 28,67). Forse, però, la riflessione più profonda in questa direzione la
troviamo nel libro di Qoelet, animato da una visione pessimista sull’esistenza
che, a tratti, sfiora il nichilismo più radicale nei passaggi ripetuti in cui
afferma che: “tutto è vanità” (Qo 2, 23), che non c’è un senso nella
vita. “Tutti i giorni dell’uomo non sono che dolori e fastidi penosi;
neppure di notte il suo cuore riposa” (Qo 2,23). Tutto ciò, per dire che la
condizione esistenziale della vita quotidiana deve fare i conti con tutta una
serie di problematiche, che limitano l’azione dell’uomo e della donna, ne
tarpano i sogni, le proiezioni future.
“Venuta
la sera, dopo il tramonto del sole, gli portavano tutti i malati e gli
indemoniati” (Mc 1,32). È Gesù colui che può curare le ferite dell’umanità!
Dora innanzi c’è qualcosa nella storia, un principio di vita piena che riempie
ogni richiesta di senso, che è capace di sanare ogni ferita dell’anima, che è
in grado di orientare chiunque in questo mondo abbia perso la direzione. Gesù è
venuto a realizzare le attese annunciate dai profeti, che in certo modo, rispondevano
al grido disperato della letteratura sapienziale: “O voi tutti assettati,
venite all’acqua, voi che non avete denaro, venite, mangiate: venite, comprate
senza pagare, senza pagare vino e latte… Porgete l’orecchio e venite a me,
ascoltate e vivrete” (Is 55,1.2). È Gesù l’acqua che disseta, il pane che
sfama, la Parola che orienta e dà senso alla vita.
In
queste parole c’è, a mio avviso una grande indicazione spirituale che la
liturgia lascia intravedere. È la ferita il punto di partenza della scoperta di
Dio. Del resto, ce lo ricorda anche il salmo 31 : “Ti
ho fatto conoscere il mio peccato, non ho coperto la mia colpa” (Sal 31). È
ciò che non accettiamo di noi stessi, ciò che ci fa soffrire e che, in ogni
modo cerchiamo di nascondere a noi stessi e agli altri e che provoca anni di
fuga alla ricerca di un sollievo altrove, un sollievo provocato dalla
dimenticanza, dal voler dimenticare a tutti i costi quello che invece, ci
plasma, ci forma. Ebbene, la Parola di oggi ci dice che Gesù è venuto a curare
proprio quella ferita che con tanta cura nascondiamo a noi stessi, quella che
non ci lascia dormire di notte, che ci fa stare male, che ci provoca continui
interrogativi. È fermandoci un giorno ad ascoltarci, a guardare ciò che in
tanti modi cerchiamo di nascondere a noi stessi e agli altri, uno sguardo
sincero, aperto ad un intervento salvifico che viene dall’alto, che possiamo
sperimentare la presenza di Colui che è venuto a salvarci con il suo amore.
Come
farsi guarire dal Signore? Lasciandosi toccare da Lui. “Egli si avvicinò e
la fece alzare prendendola per mano” (Mc 1,31). Permettere a Gesù che ci
unga con il balsamo del suo amore, con il suono della sua voce. È guardando con
sincerità la nostra ferita che possiamo sperimentare il tocco del Signore, che
viene verso di noi con la sua Parola, con la comunità in cui Lui si fa vivo e
presente. È aprendo la ferita dinanzi al Signore che possiamo sperimentare il
dono della sua umanità che incontriamo nei sacramenti, segni visibili del Suo
amore invisibile. Ed è compiendo questo cammino di liberazione e di salvezza,
che potremo anche noi dire con il salmista: “Rallegratevi nel Signore ed
esultate, o giusti! Voi tutti retti di cuore, gridate di gioia!” (Sal 31).
Grazie
RispondiElimina