DOMENICA XXX/B
(Mc
10, 46-52)
Paolo
Cugini
Nel
Vangelo della scorsa settimana l’Evangelista Marco poneva come protagonisti della
narrazione due discepoli, Giacomi e Giovanni, chiamati i figli del tuono per il
loro impeto ed esuberanza, che manifestano la loro sordità nei confronti della
Parola di Gesù. Infatti, la richiesta che loro avanzano di sedere alla sua
destra e alla sua sinistra, rivela l’incomprensione del contenuto della
proposta di Gesù. Per loro vale il detto: hanno orecchi, ma non odono. Nel
Vangelo proposto in questa domenica continua la presentazione delle difficoltà
che i discepoli hanno di comprendere appieno il messaggio del Maestro, difficoltà
che si manifesta nell’incapacità di prendere le distanze dal proprio modo di
pensare e di proiettare su Gesù delle aspettative che non gli appartengono. Ma
veniamo al racconto.
Gesù
partiva da Gerico insieme ai suoi discepoli e a molta folla. È
indicativa l’espressione di Gesù che parte da Gerico, perché proprio a Gerico
era iniziata per mano di Giosuè la conquista della terra promessa. È come se
Marco volesse sottolineare che quella terra che rappresentava il sogno di
libertà nei confronti del dominio egiziano, sia ora divenuta una terra di
schiavitù dalla quale è meglio partire, schiavitù da quelle leggi che invece di
liberare l’uomo, lo hanno imprigionato.
il figlio di Timeo, Bartimèo, che
era cieco, sedeva lungo la strada a mendicare. Sentendo che era Gesù Nazareno,
cominciò a gridare e a dire: «Figlio di Davide, Gesù, abbi pietà di me!».
Bartimeo
è un nome composto da una parola aramaica – bar – che significa: figlio, e timaios,
una parola di origine greca che significa: onorabile. Sembra, dunque, che si
tratti di una ripetizione dello stesso nome, forse per indicare i due discepoli
protagonisti della precedente narrazione, vale a dire Giacomo e Giovanni. Nome
simbolico, dunque, che indica il discepolo che è acciecato dalle sue idee al
punto da non riuscire a “vedere” la novità della proposta di Gesù. Infatti, il
cieco chiama Gesù di: figlio di Davide, quell’appellativo che proviene da
quella tradizione profetica che identifica il messia successore di Davide, come
colui che libererà Israele dall’oppressore con forza e violenza. Eppure Gesù,
sin dall’inizio nelle sue parole e nelle sue scelte si è manifestato tutto fuorché
un violento. Gesù è venuto ad annunciare il Regno di Dio, una possibilità di
vita fuori dagli schemi del sopruso e della violenza, ma dominato dall’uguaglianza
e dall’amore. Chiamare Gesù con l’appellativo figlio di Davide, significa non
aver compreso il suo messaggio, non aver colto la novità della sua proposta. È questa
la grande cecità di Bartimeo, che simbolizza la cecità dei discepoli, di coloro
che travisano e non comprendono il discorso di Gesù, perché accecati dalle
proprie ideologie.
Gesù
si fermò e disse: «Chiamatelo!». Chiamarono il cieco, dicendogli: «Coraggio! Alzati,
ti chiama!». Egli, gettato via il suo mantello, balzò in piedi e venne da Gesù.
Allora Gesù gli disse: «Che cosa vuoi che io faccia per te?». E il cieco gli
rispose: «Rabbunì, che io veda di nuovo!».
È il cieco che si muove
verso Gesù, un movimento che indica il cammino di conversione, di cambiamento
di mentalità. C’è, in primo luogo la voce di Gesù che lo chiama. È l’ascolto
della parola del Signore la sola che ci può scuotere dalle nostre sicurezze,
che non ci permettono di vivere in pienezza, in modo autentico. Poi è la
comunità che invita il cieco ad alzarsi. C’è la sottolineatura del ruolo della
comunità, chiamata ad aiutare le persone nel cammino di comprensione del suo
messaggio. In ogni modo, né la Parola del Signore, né la comunità possono produrre
alcun tipo di cambiamento se non c’è il coinvolgimento personale della persona interessata.
Prima di Balzare in piedi il cieco getta via il suo mantello, chiaro simbolo di
quelle ideologie che sino ad ora non gli hanno permesso di “vedere” il Signore,
di percepire la bontà della sua proposta. La domanda di Gesù dice della libertà
necessaria nel cammino di fede, che è una proposta e non un’imposizione.
Gesù gli disse: «Va', la tua fede ti ha salvato».
Ha ragione san Paolo quando
afferma nella lettera ai Romani, che è la fede che salva l’uomo e la donna da
una vita inautentica. Che cos’è la fede? Nel caso in questione è il cammino
compiuto dal cieco, cammino che va dall’ascolto della Parola, all’aiuto della
comunità e, soprattutto, dal suo gesto di gettare il mantello per poi alzarsi e
andare verso Gesù. La fede è il coraggio di gettare via ciò che c’impedisce di
metterci in piedi, di vedere. Il mantello è il simbolo di quella cappa fatta di
tradizioni umane che non permettono di cogliere la bellezza del Vangelo,
Gettare via il mantello: è questo che ci chiede oggi il Vangelo.
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