XV
DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO – ANNO C
Paolo
Cugini
Che
cosa significa essere religiosi? Quand’è che una persona è religiosa nel senso
proposto dal Vangelo? Il brano di oggi ci aiuta a trovare la risposta.
In quel tempo, un dottore
della Legge si alzò per mettere alla prova Gesù e chiese: «Maestro, che cosa
devo fare per ereditare la vita eterna?».
C’è
prima di tutto una domanda di senso che provoca il cammino di sequela al
Signore: senza questa non si muove nulla. Forse è questo il principale problema
spirituale oggi: manca la domanda di senso, perché le risposte ai grandi
problemi della vita vengono offerte dal mondo della materia, dal consumismo. Il
problema pastorale più urgente può essere formulato con questa domanda: come
suscitare una domanda di senso nell’attuale congiuntura socio-esistenziale?
Gesù
gli disse: «Che cosa sta scritto nella Legge? Come leggi?».
La
Parola di Dio offre, senza dubbio, delle risposte ma, come afferma Gesù, non
basta leggere, dipende da come leggiamo. È la questione dell’interpretazione che
manifesta una maturità nel cammino. Può capire che la Parola va interpretata
chi è uscito dalla fase infantile della vita spirituale, chi si è accorto che
la Parola di Dio è stata affidata a uomini e donne vissuti in un particolare
contesto culturale e sociale e che, di conseguenza, per farla parlare, dev’essere
interpretata. Allo stesso tempo, l’interpretazione chiama in causa dei criteri,
per non correre il rischio di cadere nelle strade scivolose dell’individualismo
o del relativismo. Esiste, allora, un criterio d’interpretazione della Parola
che fornisce la chiave di lettura al testo biblico?
Gli disse: «Hai risposto
bene; fa’ questo e vivrai» … Va e anche tu fa così.
Dal brano di Vangelo che è stato proposto
sembra che il criterio ermeneutico per eccellenza sia l’amore vissuto nella
relazione con il prossimo. Non ci sono delle dottrine da obbedire, ma un
precetto da vivere personalmente. È questo il principio ermeneutico che apre il
significato della Parola che, prima di essere uno sforzo di elaborazioni di
concetti, lo si trova nel vissuto della vita quotidiana.
Ma quello, volendo
giustificarsi, disse a Gesù: «E chi è mio prossimo?». Gesù riprese: «Un uomo
scendeva da Gerusalemme a Gerico e cadde nelle mani dei briganti… Per
caso, un sacerdote scendeva per quella medesima strada e, quando lo vide, passò
oltre. Anche un levita, giunto in quel luogo, vide e passò oltre. Invece un
Samaritano, che era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe
compassione.
È
Gesù stesso ad offrire la spiegazione del problema posto dal dottore della
Legge con una narrazione che è uno spaccato della vota quotidiana. C’è un uomo
che incappa nei briganti e viene derubato e malmenato: necessita di un
soccorso. Gesù fa scorrere accanto a questo sfortunato tre personaggi: due
appartenenti al mondo religioso e uno considerato con ostilità dal popolo
ebraico. Il sacerdote ed il levita dimostrano una totale mancanza di
compassione nei confronti della persona bisognosa. Come mai Gesù utilizza
questi personaggi? Che cosa ci vuole dire? È una critica durissima alla
religione del tempio, fatta di precetti e di prescrizioni che rendono l’uomo
religioso autoreferenziale e insensibile ai problemi egli altri. Gesù sferra un
durissimo attacco a quella religione che, invece di umanizzare l’uomo, di toccare
e trasformare il cuore rendendolo sensibile lo indurisce e lo chiude nel suo
orgoglio. La verità dell’autenticità di una religione la si misura nel rapporto
con i poveri, i bisognosi, gli esclusi, i discriminati. Dinnanzi all’umanità
messa ai margini dalla società, l’uomo religioso sente compassione, di prende a
cuore le persone in difficoltà, le aiuta a liberarsi dall’indigenza. Del resto,
è lo stesso Gesù che s’identifica con i bisognosi quando dirà: ho avuto fame
e mi avete dato da mangiare; ho avuto sete e mi avete dato da bere; ero nudo e
mi avete vestito; ero straniero e mi avete accolto (cfr. Mt 25,31s). Ogni
parola o atteggiamento di disprezzo verso i poveri e gli indigenti manifesta il
disprezzo verso Dio e a suo Figlio che si è manifestato Lui stesso come povero.
Invece un Samaritano, che
era in viaggio, passandogli accanto, vide e ne ebbe compassione. Gli si fece
vicino, gli fasciò le ferite, versandovi olio e vino; poi lo caricò sulla sua
cavalcatura, lo portò in un albergo e si prese cura di lui. Il giorno seguente,
tirò fuori due denari e li diede all’albergatore, dicendo: “Abbi cura di lui;
ciò che spenderai in più, te lo pagherò al mio ritorno”.
Non
c’è un sentimento di pena che muove il Samaritano, ma di compassione. La pena è
un sentimento dell’anima che al massimo si muove a fare l’elemosina, lasciando
il povero al suo posto. La compassione, che sorge da un cuore ripieno dell’amore
di Dio, si prende cura del povero, mette in atto un cammino che metta in grado
la persona povera a recuperare la dignità. Altro aspetto della compassione è
che sa coinvolgere la comunità a prendersi cura del povero affinché possa
riacquistare dignità.
La
vera religione, dunque, è quella che produce un movimento di compassione nel
cuore del fedele, che lo porta a prendersi cura dei poveri che incontra sul
proprio cammino.
Nel
Vangelo che abbiamo ascoltato oggi, Gesù opera un processo di smascheramento
nei confronti dei rappresentanti della religione del tempio, mostrandone le
ipocrisie e i secondi fini di quel falso cammino che provoca l’arroganza dell’uomo,
la durezza di cuore. Nei capitoli precedenti Gesù aveva già messo in atto una
sorta di decostruzione della religione del tempio toccando e smascherando la fallacia
dei suoi cardini principali, vale a dire, il digiuno, la logica del puro e dell’impuro
e il comandamento principale su cui si regge tutta la Torah: il sabato. Oggi
Gesù dà il colpo di grazia, perché, senza mezzi termini e giri di parole accusa
i leviti e i sacerdoti, che sono i maggiori rappresentanti della religione del
tempio, di essere degli ipocriti dal cuore duro, incapaci di sentire
compassione per un moribondo. A che cosa serve la religione, sembra dire Gesù,
se ci rende insensibili? A che cosa serve l’obbedienza ai precetti religiosi se
poi abbiamo un atteggiamento sprezzante nei confronti dei poveri, o parole
ricolme di razzismo? Come si fa a non capire che c’è qualcosa di marcio in
questa religione? I poveri, infatti, gli esclusi, gli emarginati, i
perseguitati sono i protetti del Signore, perché è venuto per dare dignità a
tutti. La vera religione non può essere identificata nel modo in cui ci
inginocchiamo, o nelle formule che diciamo, ma nella compassione che proviamo
per i poveri, gli afflitti, i bisognosi.
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