[dal diario spirituale del 2003]
Paolo
Cugini
Mc. 9,41-50:
Il tema del vangelo di oggi è senza dubbio entrare. Dove? Per due volte è detto
nella vita e l’ultimo viene detto entrare nel Regno di Dio. Il problema è: come
entrare nella vita, nel Regno di Dio. Gesù fa tre esempi che riguardano parte
del corpo: mano, piede, occhio. Se uno di questi membri del corpo divengono
motivo di scandalo è meglio toglierlo (il piede e la mano viene detto di
tagliarlo, mentre l’occhio viene cavato).
Che cosa significa? Certamente il discorso deve essere collocato dentro
il clima delle esigenze delle sequele, che è un cammino di perfezione. È un
tono molto radicale. Tutto ciò che può essere oggetto di scandalo, che può
impedire il cammino deve essere tagliato in modo radicale. Occorre capire
allora che cosa sta rendendo scandalosa la nostra vita, la testimonianza.
Per
tre volte è ripetuto: scandalizzate. È chiarissimo il riferimento alla
dimensione personale della sequela. Che cosa significa? Che la priorità della
sequela non è il servizio, ma la risposta personale e la disponibilità a
rinnovarla. Mantenere la risposta in un clima di spogliazione e nudità
assoluti.
La
grande sfida dell’incarnazione è una missione fatta con i mezzi del posto in
cui si vive e non impiantarli. Il fascino della missione è annunciare il
Vangelo vivendo in mezzo al popolo, come la gente vive, utilizzando i mezzi
della gente. È un cammino lento che deve fare i conti con la salute fisica,
prima di tutto e con i tempi di adattamento. Costruire una comunità
parrocchiale con i mezzi che si trovano sul posto.
Che
cosa deve essere tagliato nella mia vita? Quelle mani, quei piedi, quegli occhi
che tentano di costruire una autosufficienza, un’autonomia, un’indipendenza dal
piano di Dio. Tagliare per essere liberi. Il cammino è duro e difficile, anche
perché l’istinto di sopravvivenza è molto forte e rischia di trascinarsi dietro
cose che poi impediscono la bellezza del cammino.
Dio
è disceso ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Mi sembra esteticamente
bellissimo e denso di significati esistenziali e spirituali, per cui è bene non
appesantirlo troppo di contenuti e interpretazioni teologiche. Contemplare il
mistero con lo sguardo apofatico caro alla tradizione ortodossa. Dunque, Dio è
disceso dal cielo per incontrare l’umanità disorientata e persa. Riempie il
cuore di gioia la consapevolezza di avere un Dio che osserva la condizione umana
e fa di tutto per aiutarla a riprendere il cammino. Lo aveva già compiuto altre
volte, come per esempio in Osea 11. In quell’occasione YHWH si trovava dinnanzi
ad un popolo ostinato, dal cuore duro. Un popolo sordo al richiamo di YHWH: “Tanto più li chiamava, tanto più loro si
allontanavano da me” (Os. 11,2). L’aspetto sorprendente è che è
proprio questo popolo ostinato e sordo che YHWH decide si salvare: “Come potrei abbandonarti o Efraim,
consegnarti, o Israele? Il mio cuore si contorce dentro di me, le mie interiora
si commuovono” (Os. 118).
È
questa compassione di Dio per l’umanità che troviamo presente nel mistero
dell’incarnazione. In questa prospettiva la discesa di Dio dal cielo per
soccorrere l’uomo e la donna ha tutte le sembianze di un abbassamento. Dio si è
chinato sull’umanità perduta e ha deciso di intervenire. Questo intervento non
avviene però dall’alto verso il basso, ma al contrario. Dio decide di
intervenire – se così si può dire – non con un intervento autoritario, ma
debole e nascosto. È disceso dal cielo di fatto nascondendosi, per così dire in
mezzo a quell’umanità che voleva salvare. Di fatto si è talmente nascosto che
nessuno lo ha notato. È nato da una donna (Gal.
4,4), da una stirpe, la stirpe di Davide (Rom. 1,3). È diventato simile agli uomini (Fil. 2,7), con una carne e
un sangue simile alla loro (cfr. Eb. 2,14).
Dio si è nascosto nella somiglianza umana a tal punto da risultare
irriconoscibile. Infatti i suoi contemporanei assistendo ai suoi miracoli
rimangono increduli perché dicono: “Non
è lui il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo, di Giuseppe, di
Giuda e di Simone?” (Mc. 6,3).
La
discesa di Dio in cerca dell’umanità perduta non è solo un cammino di
somiglianza ma anche di umiliazione. Dio nell’incarnazione
non si è aggrappato alla sua condizione divina, ma si è fatto simile all’uomo.
Umiliazione significa che il Figlio dell’uomo ha accettato di passare per
quelle situazioni tipiche della condizione debolezza umana come la sofferenza e
la morte che, senza dubbio non appartengono alla sua condizione divina. Per
vivere questa obbedienza, sottomessa alla legge degli uomini ha trascorso molto
tempo in ascolto. Dall’adolescenza e dalla giovinezza di Gesù di fatto non si
sa nulla, ma è significativo. Di fatto prima di cominciare a parlare e a
mostrare con parabole tratte dalla realtà culturale in cui viveva, del Regno di
Dio, Gesù è rimasto in silenzio per molto tempo. In silenzio è nascosto: così
ha preparato la sua missione. Gesù ha trascorso molto tempo in ascolto della
realtà cui avrebbe annunciato il Regno di Dio. Lo si capisce dalle
parabole, dalle polemiche con i farisei. Nel cammino di discesa c’è anche
questo tempo di silenzio e ascolto come tempo necessario per la sua
incarnazione nella sua fase di inculturazione.