martedì 29 ottobre 2019

ENTRARE







[dal diario spirituale del 2003]
Paolo Cugini

Mc. 9,41-50: Il tema del vangelo di oggi è senza dubbio entrare. Dove? Per due volte è detto nella vita e l’ultimo viene detto entrare nel Regno di Dio. Il problema è: come entrare nella vita, nel Regno di Dio. Gesù fa tre esempi che riguardano parte del corpo: mano, piede, occhio. Se uno di questi membri del corpo divengono motivo di scandalo è meglio toglierlo (il piede e la mano viene detto di tagliarlo, mentre l’occhio viene cavato).  Che cosa significa? Certamente il discorso deve essere collocato dentro il clima delle esigenze delle sequele, che è un cammino di perfezione. È un tono molto radicale. Tutto ciò che può essere oggetto di scandalo, che può impedire il cammino deve essere tagliato in modo radicale. Occorre capire allora che cosa sta rendendo scandalosa la nostra vita, la testimonianza.
Per tre volte è ripetuto: scandalizzate. È chiarissimo il riferimento alla dimensione personale della sequela. Che cosa significa? Che la priorità della sequela non è il servizio, ma la risposta personale e la disponibilità a rinnovarla. Mantenere la risposta in un clima di spogliazione e nudità assoluti.

La grande sfida dell’incarnazione è una missione fatta con i mezzi del posto in cui si vive e non impiantarli. Il fascino della missione è annunciare il Vangelo vivendo in mezzo al popolo, come la gente vive, utilizzando i mezzi della gente. È un cammino lento che deve fare i conti con la salute fisica, prima di tutto e con i tempi di adattamento. Costruire una comunità parrocchiale con i mezzi che si trovano sul posto.

Che cosa deve essere tagliato nella mia vita? Quelle mani, quei piedi, quegli occhi che tentano di costruire una autosufficienza, un’autonomia, un’indipendenza dal piano di Dio. Tagliare per essere liberi. Il cammino è duro e difficile, anche perché l’istinto di sopravvivenza è molto forte e rischia di trascinarsi dietro cose che poi impediscono la bellezza del cammino.

Dio è disceso ed è venuto ad abitare in mezzo a noi. Mi sembra esteticamente bellissimo e denso di significati esistenziali e spirituali, per cui è bene non appesantirlo troppo di contenuti e interpretazioni teologiche. Contemplare il mistero con lo sguardo apofatico caro alla tradizione ortodossa. Dunque, Dio è disceso dal cielo per incontrare l’umanità disorientata e persa. Riempie il cuore di gioia la consapevolezza di avere un Dio che osserva la condizione umana e fa di tutto per aiutarla a riprendere il cammino. Lo aveva già compiuto altre volte, come per esempio in Osea 11. In quell’occasione YHWH si trovava dinnanzi ad un popolo ostinato, dal cuore duro. Un popolo sordo al richiamo di YHWH: “Tanto più li chiamava, tanto più loro si allontanavano da me” (Os. 11,2). L’aspetto sorprendente è che è proprio questo popolo ostinato e sordo che YHWH decide si salvare: “Come potrei abbandonarti o Efraim, consegnarti, o Israele? Il mio cuore si contorce dentro di me, le mie interiora si commuovono” (Os. 118).

È questa compassione di Dio per l’umanità che troviamo presente nel mistero dell’incarnazione. In questa prospettiva la discesa di Dio dal cielo per soccorrere l’uomo e la donna ha tutte le sembianze di un abbassamento. Dio si è chinato sull’umanità perduta e ha deciso di intervenire. Questo intervento non avviene però dall’alto verso il basso, ma al contrario. Dio decide di intervenire – se così si può dire – non con un intervento autoritario, ma debole e nascosto. È disceso dal cielo di fatto nascondendosi, per così dire in mezzo a quell’umanità che voleva salvare. Di fatto si è talmente nascosto che nessuno lo ha notato. È nato da una donna (Gal. 4,4), da una stirpe, la stirpe di Davide (Rom. 1,3). È diventato simile agli uomini (Fil. 2,7), con una carne e un sangue simile alla loro (cfr. Eb. 2,14). Dio si è nascosto nella somiglianza umana a tal punto da risultare irriconoscibile. Infatti i suoi contemporanei assistendo ai suoi miracoli rimangono increduli perché dicono: “Non è lui il falegname, il figlio di Maria e fratello di Giacomo, di Giuseppe, di Giuda e di Simone?” (Mc. 6,3).

La discesa di Dio in cerca dell’umanità perduta non è solo un cammino di somiglianza ma anche di umiliazione. Dio nell’incarnazione non si è aggrappato alla sua condizione divina, ma si è fatto simile all’uomo. Umiliazione significa che il Figlio dell’uomo ha accettato di passare per quelle situazioni tipiche della condizione debolezza umana come la sofferenza e la morte che, senza dubbio non appartengono alla sua condizione divina. Per vivere questa obbedienza, sottomessa alla legge degli uomini ha trascorso molto tempo in ascolto. Dall’adolescenza e dalla giovinezza di Gesù di fatto non si sa nulla, ma è significativo. Di fatto prima di cominciare a parlare e a mostrare con parabole tratte dalla realtà culturale in cui viveva, del Regno di Dio, Gesù è rimasto in silenzio per molto tempo. In silenzio è nascosto: così ha preparato la sua missione. Gesù ha trascorso molto tempo in ascolto della realtà cui avrebbe annunciato il Regno di Dio. Lo si capisce dalle parabole, dalle polemiche con i farisei. Nel cammino di discesa c’è anche questo tempo di silenzio e ascolto come tempo necessario per la sua incarnazione nella sua fase di inculturazione.