Paolo Cugini
Giona
cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora
quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a
Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta
la notizia fino al re di Nìnive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si
coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere (Gn
3). C’è una predicazione che ha effetto su tutto il popolo, dai più poveri sino
al re. Una predicazione che arriva al cuore del popolo e provoca la penitenza,
come risposta alla presa di coscienza del proprio errore. La Parola, quando
trova spazio nel cuore, mostra il problema, ciò che sta provocando la morte
dell’anima e rovinando l’esistenza. Allo stesso tempo, mentre mostra che cosa
non sta funzionando, offre delle indicazioni per riprendere la strada con
forza. Ci sono dei gesti che rivelano il pentimento, che non può essere solo
mentale, non può fermarsi, cioè, al livello cella presa di coscienza, ma deve
poter coinvolgere tutta la persona e, di conseguenza, il corpo. Vestirsi di
sacco, sedersi sulla cenere hanno il valore di rendere visibile a se stessi la
presa di coscienza che la Parola ha provocato, dei propri errori. Come si può
declinare questi atteggiamenti nella situazione di vita attuale?
Nel
giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa
generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si
convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona (Lc
11,32). Interessante: ha avuto più successo la predicazione di Giona che quella
di Gesù. Ciò significa che la bontà di una predicazione non sta nel
predicatore: dipende molto dal terreno in cui cade la predicazione. L’importante
è seminare, certamente, ma il predicatore non può pensare di avere il controllo
dei cuori a cui rivolge la predicazione. Al tempo di Gesù a predicare c’era uno
che valeva ben più di Giona, che tra l’altro è presentato come il peggiore dei
profeti, visto che si rifiuta in un primo momento, di annunciare la Parola. Eppure,
nonostante questo, è la predicazione di Giona che ha effetto sugli ascoltatori,
e non quella di Gesù. Tra le tante considerazioni che si possono fare a questo punto,
una mi sembra necessaria. L’abitudine al male, l’abituarsi all’errore può rendere
l’anima così dura e insensibile da resistere persino alla predicazione di Gesù.
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