venerdì 28 aprile 2023

REALISMO

 



 Se non mangiate la carne del Figlio dell'uomo e non bevete il suo sangue, non avete in voi la vita. Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue ha la vita eterna e io lo risusciterò nell'ultimo giorno (Gv 6, 53-54).

C’è in queste parole di Gesù quello che potremmo chiamare un realismo simbolico. Si tratta infatti, veramente di mangiare e bere, ma va interpretato. Mangiare e bere nel senso di assimilare e assumere, di masticare, ruminare. È un realismo che colpisce, ma che rivela la verità del cammino di fede. Senza alimentarci quotidianamente del Signore, moriamo, l’anima si rattrappisce e le nostre scelte si conformano alla logica del mondo: questo è il problema.

Mangiare e bene rimandano alla dimensione biologica dell’esistenza, che è sorretta da ritmi quotidiani. Solo la relazione costante con Lui, l’ascolto attento e quotidiano del Vangelo può permettere il formarsi in noi della mentalità del Regno di Dio, regno di pace, di amore e di giustizia.

È il realismo della vita che è, allo stesso tempo, il realismo dell’amore: non si sviluppa se non è coltivato quotidianamente. 

lunedì 24 aprile 2023

OMELIA DOMENICA 30 APRILE 2023

 




IV DOMENICA DI PASQUA

At 2,14a.36-41; Sal 22; 1 Pt 2,20b-25; Gv 10,1-10

 

Paolo Cugini

La quarta Domenica del tempo di Pasqua è chiamata la domenica del buon pastore, perché vengono proclamati alcuni versetti del capitolo 10 del Vangelo di Giovanni in cui Gesù si proclama il buon pastore. Il riferimento biblico immediato che fa da eco a questo brano è senza dubbio Ezechiele 34, in cui il profeta si scaglia con veemenza contro i falsi pastori, vale a dire i capi religiosi del popolo di Israele indicati come i veri responsabili della distruzione di Gerusalemme e dell’esilio del popolo a Babilonia. Dinanzi a questa situazione drammatica risuonano le parole profetiche in cui attraverso i versetti del profeta Dio dichiara: Perché così dice il Signore Dio: Ecco, io stesso cercherò le mie pecore e le passerò in rassegna (Ez 34,9). Nei versetti del Vangelo proclamati oggi Gesù viene presentato come colui che realizza la profezia di Ezechiele 34: vediamo in che modo.

 

 

Nella voce di Gesù risuona la voce del creatore, che chiama ogni persona ad una pienezza di vita. Una garanzia che il messaggio di Gesù sia di origine divina è che ogni qualvolta si annuncia la buona notizia, in ogni latitudine, la gente reagisce dicendo: io queste cose le sentivo già, le avevo già dentro di me. Adesso le sento formulate. Il vangelo non fa altro che formulare il desiderio di pienezza di vita che ogni persona si porta dentro di sé. Le pecore ascoltano la sua voce, perché riconoscono la voce del Creatore, che le invita alla piena realizzazione.

Il guardiano gli apre e le pecore ascoltano la sua voce: egli chiama le sue pecore, ciascuna per nome, e le conduce fuori (Gv 10,3). Le pecore ascoltano la sua voce e le pecore sono sue, non sono dei falsi pastori che se ne sono impadroniti e che Gesù ha denunciato come ladri e briganti. Sono del Signore, gli altri erano solo inservienti, che si sono trasformati padroni, rubando il gregge. le sue pecore le chiama per nome, Gesù ha un rapporto individuale. L’evangelista si richiama all’uso palestinese dei pastori che, al momento della nascita degli agnellini, davano ad ognuno un nome che li caratterizzava. Se noi vediamo un gregge di oltre 150 pecore, per il pastore ognuna è riconoscibile; una è la Bruna o Bianca o l’orecchia mozzata… la chiama con quel nome e la pecora sa che è il suo nome, tra tutte le voci riconosce quella del pastore. Gesù dice che il rapporto con lui non è generico, è individuale e conosce ogni persona con la sua caratteristica, con la sua particolare natura. e le conduce fuori. Il verbo condurre adoperato dall’evangelista è un verbo tecnico, che nell’Antico Testamento indica la liberazione dalla schiavitù egiziana, compiuta dal Signore, per portare il popolo nella terra promessa. Condurre fuori indica l’esodo. Gesù è venuto ad inaugurare un esodo, non dalla terra promessa, che per gli ebrei era stato cadere dalla padella alla brace. Il rapporto con Gesù non si fa attraverso una legge, ma attraverso una relazione personale; Gesù le chiama per nome, la voce è la parola che non si trasforma in una legge che l’individuo deve osservare, ma in un dinamismo vitale, che è il suo Spirito, che conosce la singolarità di ogni persona.

Un estraneo non lo seguiranno (Gv 10,5). Le pecore, il popolo, conoscono la voce di chi le ama, distinguono la voce di chi le vuole sfruttare, e non lo ascoltano. La voce dell’autorità inculca il timore e il popolo non la segue, potrà obbedire per paura, ma non ne sarà mai convinto e dice: un estraneo non lo seguiranno, ma fuggiranno da lui, perché non conoscono la voce dell’estraneo. L’evangelista ci sta indicando un criterio per distinguere quando una voce viene dal Signore e non, perché ci sono tante voci, tante proposte e messaggi. Quando una proposta viene fatta attraverso degli obblighi e imposizioni non viene da Dio, chiunque la faccia: e le autorità devono obbligare perché non riescono a convincere. Gesù proprio perché convince, non obbliga. Si obbliga perché non si convince; se ci invitano a qualcosa di bello, non ci devono obbligare con la minaccia o la paura, basta la proposta e noi accorriamo. Invece c’è l’obbligo o la minaccia, perché non si convince e non è qualcosa di bello. La voce di Gesù proprio perché convince non obbliga, la sua proposta è: se vuoi, se puoi. Gesù invita, non impone; il popolo può stare sottomesso per paura, ma non per propria scelta. Quando finalmente con Gesù può scegliere, volge le spalle all’istituzione religiosa.

Allora Gesù disse loro di nuovo: "In verità, in verità io vi dico: io sono la porta delle pecore (Gv 10.7). Gesù dichiara che è la porta delle pecore (ci saremmo aspettati del recinto). L’epoca dei recinti è finita, coloro che accolgono Gesù non sono inseriti in un altro recinto, ma fanno parte di un gregge che segue il pastore e come diceva il salmo, li porta alla piena libertà. È il passaggio dalla religione alla fede. Religione ciò che l’uomo fa per Dio, la fede è ciò che Dio fa per l’uomo. Nella religione si toglie la libertà degli uomini in cambio della loro sicurezza. Il recinto è il luogo in cui le pecore sono al sicuro, ma non sono libere. È il fascino della religione in cui uno baratta la propria libertà per la sicurezza, e una volta entrati nel meccanismo religioso, si ha la piena sicurezza che basta obbedire per essere nel giusto, non si usa più la propria testa. L’uomo non si deve sforzare di maturare, deve essere un perfetto obbediente di un superiore, non è libero, sicuro, ma resta in una condizione infantile. Il messaggio di Gesù porta alla piena maturità e indipendenza di pensiero e di azione per cui Gesù dice non sono la porta del recinto, ma la porta delle pecore. La vecchia alleanza ha finito la sua funzione, nella nuova c’è lo Spirito pieno di libertà.

Il ladro non viene se non per rubare, uccidere e distruggere; io sono venuto perché abbiano vita e in abbondanza (Gv 10, 10). Il Signore non ci dà una vita normale, ma una vita in abbondanza, di una pienezza tale che al momento della morte la supererà e continuerà a vivere.

lunedì 17 aprile 2023

OMELIA DOMENICA 23 APRILE 2023

 




III DOMENICA DI PASQUA

At 2,14a.22-33; Sal 15; 1 Pt 1,17-21; Lc 24,13-35

 

 

Paolo Cugini

L’evento della resurrezione di Gesù che celebriamo nel tempo di Pasqua, ha provocato nella prima comunità cristiana una serie di riflessioni che coinvolgono anche il nostro cammino ecclesiale.  C’è stato, prima di tutto, una rilettura della vita di Gesù, della sua nascita, i suoi gesti e le sue parole. In pochi decenni la comunità che si riunisce nel suo Nome, si rende conto che la resurrezione di Gesù è un evento talmente straordinario da condurre a identificarlo con Dio. Del resto, è proprio quello che abbiamo ascoltato domenica scorsa quando Tommaso arriva a dire: “ Signore mio, Dio mio”. Ciò significa che alla fine del primo secolo la comunità cristiana aveva già tirato le somme, aveva cioè ben chiaro che quell’uomo che avevano conosciuto di nome Gesù di Nazareth era Dio. Anche le letture di oggi ci forniscono alcune chiavi di lettura importanti per comprendere il tipo di lavoro interpretativo messo in atto nella prima comunità cristiana alla ricerca dell’identità di Gesù che possono servire anche a noi nel nostro cammino di fede.

Dice, infatti, Davide a suo riguardo” (At 2, 25). Il primo lavoro interpretativo che la prima comunità cristiana ha compiuto è stato quello di ricercare nell’Antico Testamento i riferimenti a Gesù. Per meglio precisare il percorso compiuto bisogna dire che la prima comunità ha preso Gesù e lo ha posto come chiave interpretativa di tutto l’Antico Testamento, facendolo diventare chiave interpretativa della storia della salvezza. Del resto è lo stesso tipo di analisi che Gesù propone nel Vangelo di oggi: “E, cominciando da Mosè e da tutti i profeti, spiegò loro in tutte le Scritture ciò che si riferiva a lui” (Lc 24, 27). La lettura tipologica inizia, dunque, proprio a partire dalla percezione della straordinarietà dell’evento della resurrezione, che provoca un primo movimento di ricerca nel passato. In questo modo vengono individuati personaggi, eventi, situazioni che, nella lettura che viene fatta che, in realtà, si tratta di una rilettura, anticipavano già nel passato la presenza futura del messia, Gesù Cristo. Questo cammino di ricerca storica è in sintonia con le intuizioni che incontriamo in alcuni brani dell’AT, come, ad esempio, il salmo 85: “La verità germoglierà dalla terra” (Sal 85, 10s). Se è vero che “La giustizia si affaccerà dal cielo” (Sal 85,10) e che, di conseguenza, il Figlio è un dono gratuito del Padre, è altrettanto vero che c’è una storia dietro a Gesù, non solo nella linea genealogica, ma anche nel percorso che il popolo d’Israele ha compiuto che in tanti momenti dice in anticipo qualcosa di Gesù. La resurrezione getta una luce nuova sul passato del popolo, ma anche sul nostro. La fede nel risorto ci aiuta a guardare in modo nuovo il nostro passato e scoprire i momenti in cui Lui si è fatto vicino a noi. L’incontro del risorto, allora, in questa prospettiva, diviene un momento fondamentale per la nostra vita perché ci permette di coglierla e capirla in modo nuovo, sotto una luce nuova.

Voi sapete che non a prezzo di cose effimere, come argento e oro, foste liberati dalla vostra vuota condotta, ereditata dai padri, ma con il sangue prezioso di Cristo, agnello senza difetti e senza macchia (1 Pt 1, 18-19). La prima comunità a partire dall’evento della resurrezione, non solo fa un’opera di rilettura della storia della salvezza, ma cerca di comprendere anche il senso della vita di Gesù in relazione all’umanità. Questa operazione di risignificazione viene svolta con gli strumenti culturali del tempo, per lo più cultuali. Ecco, allora, che la morte di Gesù inizia ad essere interpretata come un sacrificio cultuale, identificando Gesù con l’agnello che viene immolato per i nostri peccati. Questa rilettura cultuale, che a noi non dice nulla perché non viviamo più in quel tipo di contesto cultuale, riesce invece ad offrire significati e motivazioni alla prima comunità cultuale, soprattutto ai fedeli, che erano la maggioranza, di provenienza ebraica. Personalmente credo che questa rilettura sacrificale non vada assolutizzata, ma ricondotta all’ambiente cultuale specifico. La comunità attuale è invece chiamata a pensare nuovi significati della resurrezione di Gesù nel nuovo contesto culturale post-cristiano e decisamente poco cultuale. Più che la linea sacrificale, allora, occorrerebbe percorrere quella esistenziale e comprendere la passione e morte di Gesù e la sua resurrezione come un cammino d’amore. La resurrezione di Gesù dice della grandezza del suo amore per i suoi discepoli, per le sue discepole e per il Padre. È questo amore che danno senso alle sue parole, ai suoi gesti che diventano traccia di una cammino che anche noi siamo chiamati a percorrere.

Quando fu a tavola con loro, prese il pane, recitò la benedizione, lo spezzò e lo diede loro. Allora si aprirono loro gli occhi e lo riconobbero (Lc 24, 31). Riuscire a riconoscere Gesù presente nell’eucarestia: è questo il senso del cammino pasquale. Abituati ai riti spesso ci dimentichiamo il centro del banchetto: l’incontro personale e comunitario con il Signore. I discepoli di Emmaus lo riconoscono perché c’è già una previa conoscenza di Lui, come emerge dalla narrazione, Mancava loro una comprensione più profonda che lo stesso Gesù offre. Anche oggi è così per noi. È possibile riconoscere Gesù presente nell’Eucarestia se c’è un desiderio di conoscere la sua Parola e se c’è qualcuno che lo conosce e ci spiega il senso di quello che leggiamo. Dovrebbe essere proprio questo il senso della chiesa, di una comunità cristiana: aiutare le persone, alla luce della Parola di dio, a riconoscere il Signore Gesù presente nella storia.

sabato 15 aprile 2023

VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 16

 

 


[Annotazioni di Paolo Cugini]

 

Iniziamo il capitolo 16, il capitolo più difficile di tutto il vangelo di Giovanni, dove al versetto 18 i discepoli dicono di Gesù: non capiamo cosa vuol dire.

1 Questo vi ho detto perché non siate scandalizzati. Che cosa Gesù ha detto che rischia di scandalizzare? Scandalizzare significa inciampare, cadere. Cosa ha detto Gesù ai suoi discepoli, nel capitolo 15, che può portare in loro sconcerto? Per la prima volta ha parlato dell’odio del mondo. Finora aveva parlato dell’odio del mondo nei suoi confronti. In Giovanni, nel mondo, non si intende il creato, ma il sistema sul quale si basa la società che vede in Gesù un pericolo alla sua sussistenza. Gesù è venuto ad inaugurare il regno di Dio, che si propone non una realtà ultraterrena, non un aldilà, ma una società diversa. Questa società, secondo Gesù, è basata sui tre verbi maledetti dell’avere del salire e del comandare, lui si propone di creare una società diversa, il regno di Dio dove al posto dell’avere ci sia il condividere; al posto della brama di salire sopra gli altri ci sia lo scendere, il mettersi accanto agli ultimi e anziché il comandare ci sia il servire.

2 Espulsi dalle sinagoghe vi faranno; anzi verrà l’ora in cui chiunque vi ucciderà, crederà di rendere culto a Dio. Espulsi dalle sinagoghe vi faranno, l’evangelista per le attività di Gesù adopera, in maniera per noi un po’ pedante, sempre il verbo fare (e i traduttori cercano di cambiare i verbi), perché il verbo fare è quello adoperato nel libro del Genesi per indicare l’azione creatrice di Dio. Dio fece il sole e la luna, Dio fece il mare… e l’evangelista vede in Gesù il proseguimento dell’azione creatrice del Padre. Tutto quello che Gesù fa, tutto quello che dice è in funzione di questo. Il Padre è il creatore che ha creato l’uomo, ama le sue creature e le difende a oltranza e tutto quello che Gesù fa è in funzione della comunicazione nella vita. Quello che l’istituzione religiosa fa (ecco perché il verbo fare) è in funzione della morte, di togliere la vita. La prima cosa che Gesù dice è che saranno espulsi dalle sinagoghe che non significa essere cacciati da un luogo di culto (e non sarebbe neanche un danno), ma è la morte civile.

3 E faranno ciò perché non hanno conosciuto (non hanno mai conosciuto) il Padre né me. All’inizio del prologo Giovanni aveva escluso che qualcuno avesse conosciuto Dio: 5 Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio ne è stata la rivelazione. Rifiutando il Figlio, non arrivano a conoscere chi è Dio. Mentre Dio è il nome specifico per tutte le religioni, Padre è il nome caratteristico della comunità cristiana; mentre in nome di Dio si può togliere la vita, in nome del Padre si può soltanto donare la propria. Quello che Gesù sta denunciando è terribile. Sta parlando delle autorità, dei capi religiosi e dice: non hanno conosciuto mai il Padre. Le autorità religiose che impongono al popolo la volontà di Dio, non lo conoscono e allora quale Dio impongono? Gesù sta affermando che quanti usano la violenza in nome di Dio, lo fanno perché non lo conoscono o meglio, non l’hanno mai conosciuto, anche se si presentano come strenui difensori. Saulo, che poi diventa Paolo, perseguita tanto i cristiani e quando si trova di fronte il Signore gli chiede: chi sei o Signore? Non lo conosceva. Gesù gli risponde: io sono Gesù che tu perseguiti. Gli zelanti difensori della legge, i custodi della tradizione in realtà, non conoscono Dio. Per Gesù l’istituzione religiosa che pretende di rappresentare Dio, di fatto non lo conosce. Se non lo conosce, il Dio che adora, il Dio che presenta o che impone, non è altro che la proiezione delle ambizioni, ingordigie della classe sacerdotale al potere, il cui vero Dio è soltanto il potere. Per questo l’istituzione religiosa è insensibile ai bisogni e alle sofferenze delle persone ed è solo capace di causare ulteriori sofferenze agli uomini. Quello che Gesù sta dicendo è materiale esplosivo da maneggiare con cura perché ha delle tremende conseguenze. Gesù sta insinuando che quanti obbediscono alle direttive dell’autorità religiosa diventano assassini come queste e complici di ogni loro malfatto.

4 Ma vi ho detto questo perché quando giungerà la loro ora, ricordiate che io ve l’ho detto. Non ve l’ho detto dal principio, perché ero con voi. Gesù non ha detto questo da subito perché stava con i suoi discepoli e calamitava tutto l’odio dell’autorità su di sé. In questo vangelo non c’è mai stata nessuna avversione nei confronti dei discepoli. Già dal capitolo quinto l’odio dell’autorità religiosa era rivolto verso Gesù. L’odio nei suoi confronti si è scatenato quando ha guarito l’infermo della piscina di Betsaida comandando: io ti dico alzati, prendi il tuo lettuccio e cammina. Gesù poteva semplicemente dire: alzati e cammina. No, l’incontro con Gesù rialza la persona, restituisce la dignità; il camminare non dipende da Gesù, ma dall’individuo, sottraendosi dal dominio della legge.

5 Ora però vado da colui che mi ha mandato e nessuno di voi mi chiede: Dove vai? In questo vangelo ritorna il verbo andare che indica il cammino dell’uomo verso il Padre. Nella finale sorprendente del vangelo di Giovanni dove si narra la resurrezione di Lazzaro, l’ultimo comando di Gesù è: scioglietelo e lasciatelo andare. Dove doveva andare Lazzaro? Doveva andare verso il Padre. L’orientamento dell’uomo è verso il Padre che è pienezza di vita e di amore. La direzione di ogni uomo non è tornare al Padre, perché il Padre prende dimora in noi e con noi, ma andare al Padre, in questa direzione in cui all’amore ricevuto dal Padre corrisponde un amore comunicato agli altri, che permetterà una nuova più grande risposta d’amore da parte di Dio in un crescendo senza fine. L’orizzonte che ci aspetta non è di una fine, ma di un inizio di un crescendo che non vedrà restrizioni, che non vedrà fine. Nessuno chiede a Gesù dove va perché per i discepoli è difficile capire che la morte di Gesù è un andare verso il Padre. Eppure Gesù lo aveva annunziato chiaramente: e del luogo dove io vado, voi conoscete la via. C’era stata la replica di Tommaso: Signore, non sappiamo dove vai; come possiamo conoscere la via? Gesù continua 6 Ma perché vi ho detto questo, la tristezza ha colmato il vostro cuore. Per i discepoli la morte è la fine di tutto; non è un cammino, una tappa dell’esistenza dell’uomo verso una pienezza di vita, è la fine di tutto e per questo si riempiono di tristezza. Alla pienezza di tristezza dei discepoli, Gesù risponderà tra poco con una pienezza di gioia.

7 Per cui io vi dico la verità: quando c’è il termine verità dobbiamo aguzzare le orecchie perché Gesù sta dicendo qualcosa di importante non solo per i discepoli di allora, ma per i credenti di tutti i tempi, conviene a voi che io me ne vada perché, se non me ne vado, non verrà a voi il Soccorritore; ma quando me ne sarò andato ve lo manderò. Per la terza volta il verbo convenire viene adoperato dall’evangelista e gli evangelisti sono abili con l’uso delle cifre e secondo gli stili letterari e grammaticali dell’epoca il numero tre significa completo. Le altre due volte del verbo convenire sono per bocca del sommo sacerdote Caifa, indicato come il capo di questo mondo, il rappresentante di una potenza ostile verso Gesù, che in 11,50 dice: conviene che muoia un solo uomo per il popolo e non perisca la nazione intera e poi in 18,14: Caifa poi era quello che aveva consigliato ai Giudei: Conviene che un uomo solo muoia per il popolo. Già altre volte abbiamo visto che Gesù non muore perché questa era la volontà del Padre, muore perché era la convenienza del sommo sacerdote, ci conviene.

8 E quando quello sarà venuto, egli smaschererà il mondo riguardo, il verbo adoperato dall’evangelista significa convincere, accusare e smascherare è il vocabolo più adatto, e poi ci sono tre termini, smaschererà il mondo al peccato alla giustizia e al giudizio. L’azione dello Spirito soccorritore è quella di un avvocato difensore che riesce a dimostrare che gli accusatori di Gesù, sono in realtà i colpevoli. L’evangelista fa un’importante definizione teologica:

9 Quanto al peccato poi perché non credono in me; all’inizio del vangelo di Giovanni è apparso il peccato del mondo, peccato preesistente a Gesù, che Gesù non lo viene ad espiare, ma ad estirpare. Purtroppo l’espressione con cui Giovanni Battista indica Gesù ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo, nella trasposizione liturgica è stata trasformata diventando ecco colui che toglie i peccati del mondo, facendo intendere con i peccati i nostri peccati. Gesù è morto, si è sacrificato, ha espiato, per i nostri peccati. L’evangelista mette in bocca a Giovanni Battista questa identificazione di Gesù: ecco l’agnello di Dio, ecco colui che toglie il peccato del mondo. Questo peccato c’era prima di Gesù, che non lo viene a espiare, ma a togliere. Come? L’evangelista dice: colui che toglie il peccato del mondo, toglie il peccato, e lo mette subito dopo in relazione con colui che battezza in Spirito santo, c’è di nuovo l’azione dello Spirito. Gesù non espia il peccato del mondo, lo elimina comunicando agli uomini la stessa potenza di amore di Dio.

10 Quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più, qui appare il termine giustizia che fa tanta confusione! Sapete che i farisei non sono finiti e gli scribi non si sono eclissati, si clonano e per scoprirlo all’interno di una comunità o di un gruppo cristiano, basta provare a parlare dell’amore di Dio, che Dio perdona tutti, che ama tutti, che non gli interessa come uno si comporta, ma ama tutti. Vedrete che ad un certo momento una persona diventa livida, poi esplode perché non gliela farà più e dirà: Sì, ma Dio è anche giustizia e non sfuggirà alla giustizia divina! È una espressione che molti usano quando qualcuno scappa alla giustizia umana e si immagina un calderone di fuoco dove precipitare queste persone. Forse per qualcuno non sarebbe male, ma non c’è! Questo termine che traduciamo con giustizia applicata a Dio, non significa altro che fedeltà. Nel mondo ebraico il giusto è la persona fedele. Quando Giuseppe nel vangelo di Matteo viene dichiarato giusto, non ha il nostro senso morale di giusto, ma di persona fedele. Quando nell’Antico e nel Nuovo Testamento si parla di giustizia, non si intende quella del tribunale, si intende la fedeltà di Dio. Quando si dice che Dio è giusto, vuol dire che Dio è fedele. Quale è la fedeltà di Dio? Dio ha fatto un patto con il suo popolo, il popolo lo potrà tradire, abbandonare, rifiutare, ma Dio rimarrà sempre fedele; è l’amore fedele di Dio che si è manifestato in Gesù, espressione visibile dell’amore fedele del Padre. Fino all’ultimo ha cercato di conquistare Giuda con questo amore. Giuda lo ha tradito, rinnegato, ma Gesù fino all’ultimo gli propone il suo amore. Gesù dice: quanto alla giustizia, perché vado dal Padre e non mi vedrete più perché c’è un conflitto con le autorità che sono fedeli alla legge, mentre Gesù è fedele al Padre. In nome della legge Gesù è un bestemmiatore che va eliminato, in nome del Padre, Gesù è il vero fedele perché denuncia che la legge è stata falsificata dagli scribi. La giustizia è la fedeltà dell’uomo a Dio e il mondo, il sistema ingiusto di cui l’istituzione religiosa è l’emblema, ha accusato Gesù di essere un bestemmiatore, di essere un usurpatore che ha agito contro la volontà di Dio.

11 quanto al giudizio perché il capo di questo mondo è già condannato. É la terza volta, ed è nello stile dell’evangelista, che appare il capo di questo mondo. É una potenza ostile a Dio ed in questo vangelo è proprio l’istituzione religiosa che pretendeva rappresentarlo e quando verrà lo Spirito sarà smascherata. Quell’istituzione che pretendeva essere la rappresentanza fedele e zelante di Dio, dimostrerà di esserne la rivale. Con l’eliminazione di Gesù, in realtà l’istituzione religiosa ha emesso la sentenza su se stessa, rivelandosi nemica e rivale di Dio. Quando arriveremo al momento del processo di Gesù, le autorità giocano tre carte: la prima carta per accusare Gesù era quella di essere un rivoluzionario. Pilato quando lo vede dice: Questo è un rivoluzionario? Ma figurati! Poi vendono la carta religiosa: Figlio di Dio, ma non interessa. Hanno in serbo l’asso nella manica, le autorità conoscono Pilato, sanno che è un uomo frustrato, il suo unico titolo è cavaliere, ma è nella desolata regione della Palestina e la sua unica speranza è il titolo, avuto attraverso uno dei suoi amici, di amico del Cesare, che permetteva di entrare nella cerchia degli amici dell’imperatore e ritornare ai Fasti della Roma Imperiale.

12 Molto ho ancora da dirvi, ma per il momento non è ancora alla vostra portata. È un versetto molto bello, c’è ancora molto da dire, ma ancora non siamo capaci di capire. Gesù vuol dire che può comprendere a pieno il suo messaggio solo chi, come lui, ha orientato la propria vita per il bene dell’altro ed è disposto al dono della propria vita. I discepoli non lo sono ancora. Dopo la morte e resurrezione di Gesù, vedendo come è morto e vedendo che la morte non l’ha sconfitto, arriveranno pian piano a quel livello. Gesù dice: Molto ho ancora da dirvi, ma per il momento non è ancora alla vostra portata, e questo sarà la funzione continua dello Spirito nella comunità. C’è ancora molto da scoprire di Gesù, c’è ancora molto da conoscere. Man mano che l’uomo acquisterà nella storia, dignità, e verranno sempre più sottolineati la libertà e il rispetto dell’uomo, si comprenderà ancora meglio la dignità di un Dio che si è fatto uomo, che si è fatto pienamente uomo. Non basta leggere la bibbia per capirla; si può leggere la bibbia e usarla per nuocere, per far male, per far soffrire le persone. Quando si legge la bibbia, essa si capisce soltanto se il bene dell’uomo è messo come valore supremo della propria esistenza.

13 Quando però verrà lui, lo Spirito di verità, è la terza volta che lo Spirito di Dio viene chiamato Spirito di verità, vi avvierà nella verità tutta, infatti non parlerà da sé, ma dirà tutto ciò che avrà udito e ci annunzierà le cose che verranno. La comunità deve compiere, attraverso Gesù, un cammino nella verità. Lo abbiamo già visto, ma lo riprendiamo perché è un concetto molto importante. Gesù non dice: io ho la verità e non ci chiede di avere la verità; Gesù dice: io sono la verità e ci chiede di essere nella verità. Gesù dirà che la carità si fa, non si ha. Qual è la differenza tra chi ha la verità e chi è nella verità? Quando uno pensa di avere la verità, in base alla verità che ha, si sente in diritto di giudicare e condannare tutti quelli che non la pensano come lui. Chi ha la verità divide il mondo tra ortodossi ed eretici e vede dappertutto nemici da battere o persone da bruciare al rogo. Gesù non ci chiede di avere la verità, perché chi ha la verità si divide dagli altri; ci chiede di essere nella verità. Essere nella verità, in questo vangelo, significa inserirsi in un dinamismo d’amore che è lo stesso di Gesù: comunicare con le opere la vita che il Padre gli ha manifestato. Mentre chi ha la verità si separa dagli altri, chi è nella verità e si fa coinvolgere nel dinamismo di portare vita a tutte le persone, non solo non si separa da nessuno (non importa se tu la pensi diversamente e se credi in un’altra cosa), ma nulla gli impedirà di volere bene alle persone. Quando però verrà lui, lo Spirito di verità, vi avvierà nella verità tutta, il cammino della comunità è orientare la propria esistenza per il bene dell’uomo. Gesù aveva definito se stesso come la via, io sono la via, la verità e la vita e lo Spirito santo di Dio è quello che avvia verso questa verità. Per questo la verità non è una dottrina acquisita, non si ha la verità, ma si è nella verità e non ci sono persone più terribili di quelle che hanno la verità. Per difenderla sarebbero capaci di uccidere, vivono in un livore, in un rancore verso tutti quelli che non la pensano come loro e la loro vita è un inferno perché si vedono accerchiate da nemici eretici, vedono il fumo di satana da tutte le parti. Gesù invita a fare la verità, cioè ad inserirsi nel dinamismo del suo amore che opera per il bene degli uomini. Lo ripeteremo fino alla noia. Non c’è nulla di più importante che comunicare bene agli uomini. Gesù dice: vi dirà tutto ciò che ha udito e vi annunzierà le cose che verranno, il verbo annunziare verrà ripetuto tre volte per indicarne l’importanza. La funzione dello Spirito di verità, all’interno della comunità, è annunziare le cose che verranno, non sono profezie del futuro, ma è rendere capace la comunità cristiana di avere sempre nuove risposte ai nuovi bisogni che emergono nella società (questo è importantissimo, delicatissimo e attualissimo).

Gli Esseni, un movimento monastico sulle rive del Mar Morto, erano i figli della luce e dovevano combattere contro i figli delle tenebre. Gesù no! E dice che la luce non combatte le tenebre, la luce brilla e per sconfiggere le tenebre non deve combatterle, basta che aumenti il suo splendore. Più la luce aumenta e più le tenebre si dileguano. Gesù non annunzia una nuova rivelazione o un nuovo messaggio da parte dello Spirito, ma l’attualizzazione del vangelo, del messaggio di sempre, in modi e forme nuove per la vita della comunità. Ed è quello che la chiesa, più o meno con fatica, sta facendo: formulare la verità di sempre in forme sempre nuove, perché cambia il linguaggio, il modo di capire. La dottrina non è un monumento imbalsamato e valido per sempre, deve essere sempre formulata e ce lo dice il Concilio, in forme nuove e comprensibili, che la gente possa comprendere. Quando la dottrina viene imposta in maniera imperativa e categorica e con un linguaggio che non è della gente, questa non ascolta. È un monito di Gesù. 14 Egli mi glorificherà perché prenderà del mio e ve lo annunzierà. Compito dello Spirito è la proposta continua e incessante, nella comunità, del messaggio di Gesù. Non è un nuovo messaggio, ma lo Spirito ne fa comprendere ogni volta degli aspetti che erano rimasti come sommersi, non perché mancava la capacità intellettuale di comprendere, ma perché, ed è una caratteristica che fin dall’inizio dei nostri incontri abbiamo detto, è la vita che illumina il testo, non il testo che illumina la vita. Man mano che noi cresciamo nell’amore, comprendiamo sempre meglio il vangelo.

15 Tutto quello che il Padre possiede è mio, sta parlando dello Spirito. Nel momento del battesimo lo Spirito è disceso su Gesù, cioè la forza, la vita e l’amore di Dio. Tutto quello che il Padre aveva l’ha dato a Gesù, in lui si manifesta chi è Dio. Al termine del prologo si dice: Dio nessuno lo ha mai visto, solo il Figlio ce lo ha rivelato; in Gesù c’è tutta la pienezza del Padre. Molte volte abbiamo visto che dovevamo rettificare certe immagini e credenze di Dio. Se tutto quello che crediamo di Dio non corrisponde a quello che vediamo in Gesù, nel suo insegnamento e nelle sue opere, va eliminato perché inesatto, falso o incompleto. Tutto quello che il Padre possiede è mio, per questo ho detto che prenderà del mio e ve lo annunzierà. Quello che il Padre e Gesù possiedono in comune è lo Spirito, la pienezza d’amore, e Gesù fa alla sua comunità la comunicazione di pienezza d’amore. La terza ripetizione del verbo annunziare è un invito all’ascolto, senza il quale il messaggio rimane inefficace: non basta che il messaggio sia annunziato, ci vogliono orecchie che lo possano ascoltare.

16 Un poco, e non mi vedrete più; un poco ancora, e mi vedrete. Adesso ricorreremo al greco, altrimenti non capiremo. La parola adoperata per poco è mikron, pochissimo, e non mi vedrete il verbo vedere, qui, è theoreo che indica la vista fisica. Tra poco sarà ammazzato e non lo vedranno più. Però un poco ancora, mikron, mi vedrete, percepirete, e adopera il verbo greco horao che indica la vista della fede. Ci sono due maniere di vedere e anche noi le usiamo nella lingua italiana. Quando parliamo con una persona per convincerla, se non capisce, diciamo: ma non vedi che… non ha un problema oculistico, ma di incomprensione. La distinzione è importante, altrimenti non si capisce.

17 Dissero allora alcuni dei suoi discepoli tra loro: “Cos’è questo che dice: Un poco, e non mi vedrete; un poco ancora e mi percepirete, e: in tutto il brano c’è la distinzione tra i due distinti verbi del vedere, perché vado al Padre?” É la prima volta che finalmente i discepoli prendono la parola (ed è per dimostrare la loro incomprensione) da quando 14,22 il discepolo Giuda, non l’Iscariota, aveva detto: Signore come è accaduto che devi manifestarti a noi e non al mondo? C’era una bella riflessione del teologo José Castillo che si chiedeva: come mai gli evangelisti (la chiesa primitiva) si prendono la briga di criticare i discepoli (qui fanno la figura di ottusi) e oggi non si possono più criticare, sotto il peccato di lesa maestà? Cos’è cambiato nella chiesa? Criticano il povero Pietro e gli fanno fare una figura - oggi guai criticare i successori di Pietro - e qui fanno fare ai discepoli una figura meschina. I discepoli hanno taciuto dal capitolo 14, sono stati zitti per tutto il capitolo 15 e quando finalmente prendono la parola è per dire che non capiscono niente!

18 Dicevano perciò: “Cos’è mai questo “un poco”? Non sappiamo cosa dice”. Non capivano. Le parole di Gesù causano sconcerto nella comunità, per loro la morte è la fine di tutto, e riferita a Gesù, sarebbe stato il suo fallimento come Messia. Qualche domenica fa c’è stato il brano dei discepoli di Emmaus, del vangelo di Luca: Noi speravamo che fosse lui, invece è morto. Perciò loro dicono: non sappiamo cosa dice. Nei più antichi manoscritti del vangelo, il codice Vaticano, la frase non c’è e molti hanno il sospetto che non sappiamo, sia stato aggiunto dagli scrivani che hanno commentato il non facile testo. Credo che sia del testo di Giovanni, ma siccome in uno dei testi più antichi del 15 vangelo non c’è, molti pensano che l’espressione non sappiamo cosa dice sia di qualche copista che non capiva il discorso che è difficile. Al non sapere dei discepoli, Gesù contrappone il suo sapere.

19 Gesù capì che volevano interrogarlo e disse loro: “Riguardo questo cercate di indagare tra voi perché ho detto: Un poco, e non mi vedrete; un poco ancora e mi percepirete? In tutto il brano c’è sempre la distinzione tra i due verbi distinti del vedere. È fondamentale per l’evangelista che ce lo trasmette e per noi che lo comprendiamo. Sono modi differenti di vedere le persone. Un conto è la vista fisica limitata, un conto l’esperienza interiore che è illimitata. Gesù va incontro alle perplessità dei discepoli che non comprendono quello che lui ha detto. Essi sono più preoccupati della prima parte, che riguarda la morte di Gesù, la sua scomparsa e non capiscono l’allusione e le parole di Gesù al ritorno. Questo non lo comprendono.

20 Amen, amen, è un’espressione ebraica che l’evangelista riporta e traduciamo in verità, in verità e viene adoperata quando Gesù annunzia qualcosa di vero, di definitivo, di stabile per la sua comunità. A quell’epoca i vangeli (le parole) erano scritti tutti attaccati perché la pergamena era preziosa e bisognava occupare tutto lo spazio possibile. Se guardiamo i testi in cui ci sono stati tramandati i vangeli, c’era una parola dietro l’altra e gli evangelisti avevano degli accorgimenti letterari, mentre io posso usare la sottolineatura, il carattere neretto o il corsivo. Quando usano amen, amen, è come se scrivessero la frase di Gesù in neretto o in sottolineato, qualcosa che deve attrarre l’attenzione. In verità, in verità vi dico voi piangerete e lamenterete, piangere e gemere erano le classiche manifestazioni impiegate per il cordoglio funebre durante la veglia funerea, piangere e gemere è tipico del lutto, ma il mondo si rallegrerà. Che soddisfazione per Caifa e per tutto il Sinedrio quando Gesù è crepato! Finalmente questo ce lo siamo tolto di mezzo! Quando Gesù è crepato, hanno fatto senz’altro festa: finalmente lo abbiamo eliminato e con la morte più infamante: il mondo si rallegrerà. Voi sarete tristi, ma la vostra tristezza si cambierà in gioia. La loro allegria, l’evangelista non lo dice, si cambierà in disperazione.

21 La donna, quando partorisce è triste – prima, voi sarete tristi – perché è giunta la sua ora; ma, quando ha generato il bambino non si ricorda più della sofferenza, per la gioia che è venuto al mondo un uomo. Nelle doglie del parto la donna è preoccupata e triste, ma una volta che è nato, che è venuto al mondo un uomo gioisce. Non credo che ci sia una punta di maschilismo della cultura dell’epoca, perché la nascita di una donna in quella cultura!,.. ma non credo che Gesù abbia avuto di questi problemi, Gesù ci sta dicendo che la sofferenza che il discepolo patisce non è fine a se stessa, è un cammino verso un frutto pieno di vita. La morte di Gesù non sarà una fine, ma un nuovo inizio. Quando arriveremo alla morte di Gesù, l’evangelista non descriverà un funerale, ma una festa di nozze; non una morte, ma una nascita. Sul Golgota non muore Gesù, nasce la chiesa. Gesù chiede della madre, del discepolo: Ecco tua madre, ecco tuo figlio. Non una scena di morte, ma una scena di vita. Qui la morte di Gesù è rappresentata dai dolori del parto, la sua resurrezione dalla nascita dell’uomo. Gesù prende l’immagine dal profeta Isaia, dove l’immagine della donna che partorisce indica la nascita di un nuovo popolo di Dio; nel capitolo 66 e 26, il parto è come la nascita di un nuovo popolo. La morte e resurrezione di Gesù saranno la nascita del nuovo popolo di Dio. Gesù dice che il momento della tristezza è breve, il momento della gioia sarà continuo, crescente e traboccante. Infatti, adesso parlerà della gioia.

22 Così anche voi, ora, siete nella tristezza; ma vi vedrò di nuovo, anche per sé, Gesù, non adopera il verbo theoreo, che indica la vista fisica, ma horao che indica la vista della fede; è in una nuova dimensione, non ha occhi fisici, ha un’altra maniera per vedere le persone, ma vi vedrò di nuovo e il vostro cuore si rallegrerà e la vostra gioia

23 nessuno ve la potrà togliere. La gioia è la caratteristica costante, riconoscibile del discepolo di Gesù. C’è da chiedersi: come mai in passato i discepoli del Signore, i santi, i credenti avevano una faccia triste? Certe immagini di santi hanno l’allegria di una lapide funeraria! Come è possibile, se Gesù dice che la caratteristica del credente è una gioia, che vedremo, crescente e traboccante? Ma la chiesa, quanto si è distaccata nella sua spiritualità, per aver imposto la tristezza, la serietà!

Alla tristezza, che è di un mikron, c’è una gioia definitiva e permanente. In quel giorno, il giorno della resurrezione, non mi domanderete più nulla. In verità, in verità vi dico: se chiederete qualche cosa al Padre nel mio nome, egli ve la darà. C’è la differenza tra il verbo chiedere e domandare. Il verbo chiedere significa una richiesta da un inferiore a un superiore; il verbo domandare è una richiesta tra persone di pari livello e l’evangelista distingue i due modi di richiedere. In quel giorno, il giorno della resurrezione, non mi domanderete più nulla. Non c’è bisogno di chiedere a Gesù; se avesse detto chiedere voleva dire che era superiore invece vuole con i suoi un rapporto paritario.

24 Finora non avete domandato nulla nel mio nome – domandare è tra pari. Ma chiedete e otterrete, perché, la vostra gioia sia traboccante il motivo che spinge a chiedere e ottenere, e che sta a cuore a Gesù, è la massima aspirazione degli uomini, la felicità, e coincide con la volontà di Dio. C’è un inizio di gioia che è crescente, si colma, poi è traboccante. Il comando dell’amore vicendevole nel capitolo precedente era stato dato per una pienezza di gioia: questo io vi comando: amatevi gli uni gli altri. Ora chiede che la gioia dei discepoli raggiunga la pienezza, sia completa e poi traboccante. La gioia non si può trasmettere con proclami, con dottrine, ma solo con il contagio. Soltanto se io sono pienamente felice, ti contagerò in qualche maniera con la mia felicità. Per questo la gioia non deve essere soltanto piena, non è solo per me, è traboccante perché va donata all’altro.

25 Questo vi ho detto in similitudini; esempi, parabole, ma viene l’ora in cui non vi parlerò più in similitudini, ma apertamente vi annuncerò del Padre. Non è possibile parlare delle cose divine se non ricorrendo a paragoni, immagini, esempi che rendano, con parole umane, quello che va al di là dell’esperienza dell’uomo, ed è indescrivibile. Ma nell’ora, l’ora della sua morte in croce, quando comunicherà lo Spirito, farà vedere fino a che punto Dio ama l’umanità; questo renderà i suoi capaci di intendere il linguaggio dell’amore, l’unico linguaggio universale compreso da tutti. Le dottrine non possono essere comprese da tutti. La difficoltà della nostra chiesa cattolica è che ha imposto la dottrina di Roma, in Asia, in Africa, dove gli schemi culturali erano completamente differenti.

26 In quel giorno, il giorno della resurrezione, nel mio nome chiederete e io non vi dico che domanderò per voi: per sé usa il verbo domandare che significa pari al Padre. Per la terza e ultima volta in questo vangelo, appare in quel giorno, che si riferisce al giorno della sua resurrezione, quando comunicherà il suo Spirito. La comunicazione dell’unico Spirito renderà i suoi discepoli una sola cosa, come Gesù. Se abbiamo un solo Spirito, non possiamo essere divisi. La dottrina divide, ma lo Spirito che è amore, non può dividere, non può fare altro che unire. La penseremo in maniera differente, ed è bene che sia così, avremo modi di vedere, di interpretare differenti, ma l’amore è unico e sarà lui ad unirci. Gesù ci assicura: non vi dico che domanderò al Padre per voi.

 27 Il Padre infatti, vi vuole bene, qui c’è un’altra sorpresa e dobbiamo ricorrere al greco perché non ci aspettavamo questo uso, e l’evangelista per, vi vuole bene, usa il verbo greco phileo che significa un amore di amicizia e non lo aveva mai detto con il Padre. In precedenza per amare, aveva usato il verbo agapao, da cui agape. Gesù sta portando per gradi, prima aveva detto: siete miei amici; adesso qualcosa di sconvolgente, di incomprensibile: amici di Dio. Il rapporto del credente con Dio non è, come nelle religioni, di sottomissione, di paura, di timore o comunque di ossequio, di rispetto: è un rapporto di amicizia con Dio, quello che Gesù ci sta dicendo è qualcosa da andare fuori di testa. Il Padre infatti vi vuole bene, perché voi mi avete voluto bene e avete creduto che sono venuto da Dio. Gesù non si presenta come un mediatore che inoltra le nostre richieste al Padre. Il Padre stesso vuole bene agli uomini e mostra loro un amore di amicizia come quello di Gesù con i suoi discepoli, che nel capitolo 15 dice: voi siete miei amici se fate ciò che io vi comando.

31 Rispose allora Gesù: Adesso credete? Non basta riconoscere che Gesù viene da Dio, occorre accettare dove la provenienza lo conduce. Hanno capito da dove Gesù viene, ma non sanno dove va. Questa è la difficoltà. Non basta sapere da dove Gesù viene (da Dio), bisogna seguirlo dove la provenienza da Dio lo porta (al dono totale di sé). Questo rende l’uomo suo discepolo. Non è un sapere, è un orientamento della propria esistenza. Questo che è chiamato il vangelo spirituale, è il vangelo più pratico, più concreto di tutti. L’annuncio è tremendo: 32 Ecco, verrà l’ora, ed è venuta, in cui vi disperderete ciascuno alle proprie cose e mi lascerete solo; ma io non sono solo, perché il Padre è con me. Al momento dell’arresto, quando rifiuterà la difesa di Pietro (al momento dell’arresto Pietro taglia l’orecchio al servo del sommo sacerdote), nessuno sarà capace di restare con Gesù, che non vuole essere difeso e si consegna. L’espressione di Gesù: vi disperderete, è una citazione del profeta Zaccaria 13,7, dove si legge: Percuoti il pastore e sia disperso il gregge. I discepoli si disperderanno, ognuno per conto proprio, cercando la propria salvezza, abbandonando Gesù al suo destino. Ma nel momento dell’abbandono, quando apparentemente viene abbandonato da tutti e da Dio, morendo della morte riservata ai maledetti da Dio, Gesù non sarà solo. Gesù viene crocefisso perché nella bibbia era la morte riservata ai maledetti da Dio. Non è stato decapitato, secondo l’uso romano; non è stato lapidato secondo l’uso ebraico; è stato torturato con la croce perché la gente avesse chiaro che non poteva provenire da Dio. La bibbia dice: maledetto colui che appende al legno e Gesù è appeso ad un legno e non si può dire che la bibbia sbagli. Per questo hanno scelto quella morte. Gesù non sarà solo, il Padre sarà con lui, perché Dio non sta con chi condanna, sta dalla parte dei condannati. La sentenza straordinaria, inaspettata, finale, è la garanzia non di un ottimismo, ma di una profonda convinzione, nonostante quello che può capitare nella nostra vita e in quella della chiesa. 33 Vi ho detto queste cose perché in me abbiate pace. La pace indica una sorgente continua di felicità. Gesù contrappone due situazioni differenti: nel mondo c’è la tribolazione, in lui la pace, che ha le sue radici nel suo amore. Nel mondo avete tribolazioni, ma coraggio; e questo lo esclama pochi istanti prima di essere arrestato e ammazzato, abbiate coraggio, forse uno si sarebbe aspettato: abbiate fiducia. La fiducia significa fidarsi di Gesù; il coraggio significa rimboccarsi le maniche e continuare. Non è semplicemente fidarsi di lui, ma ci vuole coraggio: andate avanti. I discepoli hanno davanti un mondo ostile, non soltanto quello pagano, ma la stessa istituzione. Rifacciamoci all’inizio del capitolo: sarete espulsi dalle sinagoghe che voleva dire la morte civile, vi ammazzeranno, ma voi siete i vincitori.. ci vuole un po’ di coraggio!. Allora dice: abbiate coraggio. io ho vinto il mondo! Ci saremmo aspettati un verbo al futuro, abbiate coraggio, io vincerò il mondo. Gesù parla di un’azione al passato, io ho vinto il mondo perché considera la vittoria già conseguita. Ogni volta che il mondo, la società ingiusta sembra vincere, in realtà non fa altro che confermare il suo fallimento.

venerdì 14 aprile 2023

OMELIA DOMENICA 16 APRILE 2023

 



II DOMENICA DI PASQUA

At 2,42-47; Sal 117; 1 Pt 1, 3-9; Gv 20, 19-31

 

 Paolo Cugini

 

Siamo entrati nel tempo di Pasqua, un tempo liturgico ricco di prospettive nuove e di proposte dal grande impatto sulla vita delle comunità cristiane. C’è una novità nuova che orienta le scelte, una vita che resiste alle dinamiche del tempo e che si offre come dono gratuito per la nostra esistenza. C’è una luce che la resurrezione di Gesù fa brillare dentro alla storia e che orienta tutti coloro che sono alla ricerca di un modo nuovo di vivere. La Resurrezione di Gesù dice della bontà delle sue parole, della verità della sua proposta. Ascoltiamo, allora, le letture di questa domenica chiedendoci: dove possiamo incontrare i segni del risorto per riconoscerlo e seguirlo?

Erano perseveranti nell'insegnamento degli apostoli e nella comunione, nello spezzare il pane e nelle preghiere (At 2,42). È nella comunità cristiana che dovremmo incontrare i tratti della presenza del risorto nella storia. Comunità cristiana non significa solo la comunità che celebra la liturgia, ma lo stile di vita di coloro che la frequentano, che si cibano del copro di Cristo e che ascoltano la sua parola. Come Giovanni ha riconosciuto la presenza del risorto vedendo i panni che avevano accolto il corpo morto di Gesù, così il mondo dovrebbe poter riconoscere la presenza del Signore risorto dai tratti caratteristici dell’umanità di Gesù nel modo di vivere della comunità. Vivere ciò che si ascolta e ciò che si riceve è fondamentale. C’è uno stile nuovo, un’attenzione mai vista prima nei confronti dei diseredati di questo mondo, che rivela la presenza del risorto. Quando la comunità propone cammini di condivisione, percorsi di giustizia e di uguaglianza, sentieri di perdono e di pace significa che nelle persone che vivono in questo modo c’è lo Spirito del Signore risorto. Per vivere come Lui e manifestare al mondo la sua presenza occorre aderire a Lui, rimanere nel suo Nome, perseverare. Nel Vangelo di Giovanni il verbo rimanere ricorre molte volte, soprattutto nei capitoli 15 e 16, che riportano le parole di Gesù dette ai discepoli nel contesto dell’ultima cena. È la parola di Gesù che contiene e, allo stesso tempo, rivela quel cammino nuovo che Lui stesso ha percorso e che comunica a coloro che lo cercano. L’aderenza a Lui, alla sua Parola è fondamentale per permettere al suo Spirito di modellarci, di formare in noi i tratti della sua umanità.

Per una speranza viva, per un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce. Essa è conservata nei cieli per voi, che dalla potenza di Dio siete custoditi mediante la fede, in vista della salvezza che sta per essere rivelata nell'ultimo tempo (1 Pt 1,4). Questo cammino nuovo è possibile perché nel cuore della comunità c’è una speranza viva, che non è fantasia, ma una speranza che rimanda alla realtà narrata dai testimoni che hanno incontrato il risorto. La fede in Gesù e la fiducia nella sua proposta di vita nuova è possibile quando la comunità fa spazio alla speranza. Quelle di Pietro sono parole dette in un contesto in cui la comunità viveva un periodo di grande persecuzione e, di conseguenza, era facile cadere nella disperazione. Ebbene, Pietro rincuora i membri della comunità ricordando loro che la speranza sulla quale hanno impostato le loro vite non è vana, non frutto di illusioni e fantasie, ma  è un'eredità che non si corrompe, non si macchia e non marcisce.

Venne Gesù, stette in mezzo e disse loro: «Pace a voi!». Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. E i discepoli gioirono al vedere il Signore (Gv 20, 20). Le tre letture proposte oggi sono caratterizzate da un grande realismo, da una profonda concretezza. Questo aspetto deve farci riflettere. Solitamente, infatti, i cristiani sono tacciati di essere persone credulone, che credono alle favole e, per questo motivo, molte persone non si sentono attratte dalla proposta del Vangelo. Spesso le comunità cristiane coltivano delle tradizioni religiose che non hanno molto a che fare con il realismo espresso dai vangeli, tradizioni espressioni più di sentimentalismo religioso sorto in epoche caratterizzato da una grande ignoranza della parola di Dio. Fa specie, allora, il modo di presentarsi di Gesù risorto ai suoi discepoli. Detto questo, mostrò loro le mani e il fianco. È un corpo che manifesta la presenza del risorto nella storia. Un corpo che dice di una storia, racconta uno stile di vita che ha provocato il mondo circostante, perché non ha mai taciuto le ingiustizie dei signori del tempio. Un corpo che ha condiviso amore con i suoi amici e le sue amiche. Un corpo che ha amato tanto, fino alla fine e non si è tirato indietro nemmeno dinanzi ai colpi duri della flagellazione, alla morte umiliante in croce. Ecco perché Gesù ai suoi discepoli mostra le mani e il fianco. Quel corpo che ha amato in modo incredibile non è stato vinto dalla morte, ma è vivo e diventa il fondamento della vita della comunità. Alla stesso modo, anche la comunità cristiana non ha solo delle belle celebrazioni e dei pontificali da offrire al mondo, ma deve poter mostrare un corpo che porta i segni del conflitto con il mondo. Sono proprio questi segni che rendono visibile e, allo stesso tempo credibile, la presenza del Signore risorto. Solo così potremo dire: perché cercate tra i morti colui che è vivo!


VANGELO DI GIOVANNI CAPITOLO 15

 



 

[Annotazioni di Paolo Cugini]

 

Al termine del capitolo 14 Gesù dice: Alzatevi, andiamo via di qui, e in origine il vangelo proseguiva con il capitolo 18, dove l’evangelista scrive: Detto questo Gesù uscì con i suoi discepoli. Nel vangelo originario non c’erano i capitoli 15-16-17, è stata la maturazione della comunità cristiana, la sua riflessione nella eucarestia (che era libera e vivace, in cui c’era la voce profetica del Signore che continuamente insegnava alla sua comunità) che ha elaborato i tre capitoli. Sono dei capitoli preziosissimi che contengono il patrimonio dell’esperienza della comunità cristiana delle origini, ma sono soprattutto dei brani che vanno letti in chiave eucaristica, cioè sono sorti durante la celebrazione dell’eucarestia. Vedremo che i riferimenti all’eucarestia sono molteplici.

1 Io sono la vite quella vera e il padre mio è il vignaiolo. Gesù dice: Io sono la vite, perché la vite insieme alla pianta del fico, rappresentava il popolo di Israele. Quando i testi biblici o i profeti volevano parlare del rapporto tra Dio e il suo popolo, usavano l’immagine della vite. Era molto conosciuto sia il capitolo cinque del profeta Isaia: il cantico d’amore per la vigna, l’amore di Dio per la sua vigna, sia la dichiarazione del Signore, nel profeta Geremia 2,21, dove dice: Io ti avevo piantato come una vite scelta. La vite rappresentava il popolo di Dio, poi in questa rappresentazione si è infilata una corrente nazionalista, che ha fatto sì che questa vite fosse la prediletta al punto che per piantarla, Dio trapiantasse tutti gli altri popoli. Nel Salmo 80,8 si legge: Hai sradicato una vite dall’Egitto, hai scacciato le genti e l’hai trapiantata. La corrente nazionalistica giustificava l’oppressione da parte di Israele sugli altri popoli: è Dio stesso che ha scacciato le genti per trapiantare la sua vite. Questa linea teologica verrà contestata dai profeti. Ad esempio, Amos 9,7, mette in bocca a Dio delle parole tremende: Non siete voi come gli Etiopi, figli di Israele? Non sono io che ho fatto uscire Israele dal paese d’Egitto, i Filistei da Caftor (i Filistei sono i nemici storici del popolo di Israele). Dio attraverso il profeta Amos dice: quello che ho fatto a voi di liberarvi dalla schiavitù egiziana, è quello che faccio con tutti i popoli che sono oppressi. Non dovete pensare di essere un popolo particolare, un popolo eletto che ha dei privilegi esclusivi. Quello che Israele considerava episodio unico, esclusivo della sua storia, viene messo dal profeta Amos alla stregua delle emigrazioni degli altri popoli e dell’azione di liberazione da parte di Dio, verso tutti quelli che sono oppressi, inclusi anche i nemici storici di Israele, come i Filistei.

2 Ogni tralcio che in me non porta frutto, l’importanza di portare frutto è evidenziata dall’evangelista che la ripete, in questo brano, ben sette volte cioè la totalità. Un tralcio della vite non porta frutto quando ne succhia la linfa vitale e non la trasforma in frutto, lo toglie. Gesù sottolinea che il tralcio (immagine del discepolo) pur ricevendo la linfa vitale (l’amore dalla unione con lui), non la trasforma in amore per gli altri, è un tralcio inutile. Abbiamo detto che sono narrazioni che vanno prese nell’ambito dell’eucarestia: quanti nell’eucarestia si cibano del pane, che è Gesù, ma poi rifiutano di farsi pane per gli altri, sono inutili perché assorbono energie vitali che non le rimettono agli altri. Gesù è molto chiaro: ogni tralcio che in me non porta frutto lo toglie (è l’appartenete alla comunità cristiana che assorbe soltanto energie vitali, che prende soltanto dagli altri, ma poi è incapace di dare perché pensa soltanto a se stesso, ai propri bisogni e necessità, non si accorge dei bisogni, delle necessità degli altri. Ci sono persone nutrienti e tossiche. Le prime sono persone che incontri, nemmeno le conosci e senti una attrazione, una simpatia perché sono piene di vita che la comunicano. Le altre invece sono piene di elementi negativi e solo la loro vicinanza rende nervosi, mette a disagio perché intossica. Sono solo capaci di prendere senza mai dare.). L’azione di togliere non compete agli altri tralci, non compete neanche alla vite, ma compete al Padre. Soltanto il Padre sa considerare, calcolare la fecondità del tralcio e decidere se bisogna mantenerlo o è soltanto un elemento inutile che succhia le energie vitali della comunità cristiana e non le traduce in amore: è un elemento negativo che deve essere eliminato perché ne va di mezzo la produttività di tutta la vite. Non sono gli altri tralci che devono dire: tu non porti frutto e vai eliminato; neanche Gesù che comunica vita, è il Padre, l’unico, ad essere capace di calcolare la fecondità del tralcio, lo toglie, e ogni tralcio che porta frutto lo purifica perché porti più frutto. L’evangelista fa un gioco di parole nella lingua greca che è difficile riprodurre nella lingua italiana, ma è molto importante per comprendere questa traduzione. In passato e purtroppo ancora in molte edizioni di oggi del vangelo, si legge: e ogni tralcio che porta frutto lo pota. Il Signore non pota, ma purifica ed è un’azione pienamente positiva: ogni tralcio che non porta frutti lo toglie -airo-, ogni tralcio che porta frutto lo purifica -kathairò. L’evangelista 3 vuol dire che il Padre elimina dal tralcio ogni preoccupazione che non sia quella di trasformare la linfa vitale che riceve, per amore di Dio, in un frutto sempre più abbondante. Il tralcio, immagine del discepolo, non viene invitato a concentrarsi sulla propria perfezione interiore, ma sul dono di sé. Questo è importante perché cambia la vita. Non c’è una perfezione alla quale l’individuo deve tendere, cercando di individuare quali sono i propri limiti, difetti, per cercare di estirparli o eliminarli. Quando si fa questo l’effetto è molto controproducente, perché la persona non fa altro che centrarsi su se stesso e l’effetto è che quel difetto, quella tendenza, quel elemento negativo che si vuole eliminare si rafforza, perché si è centrati solo su di sé. Invece Gesù invita al dono totale di sé senza nessuna preoccupazione. Il credente è invitato soltanto ad accogliere la linfa vitale e a trasformarla in amore per gli altri. Se in lui ci sono elementi negativi ci penserà il Padre - non il credente, non gli altri tralci, ne la vite - che comunica linfa vitale. L’azione di pulizia del Padre consiste in una maggiore trasmissione della linfa d’amore e conduce il discepolo in maniera progressiva, crescente, a una sempre maggiore capacità d’amore, di dono. Se in questa crescita ci sono elementi nocivi, ci pensa il Padre. Quell’esame scrupoloso di coscienza o l’attenzione ai propri difetti, ai propri limiti va eliminato. Non mi devo preoccupare di nient’altro se non di aumentare ogni giorno la mia capacità d’amore. Più mi dono, più acconsento alla vitalità di entrare nella vita. Più mi dono agli altri e più permetto al Padre di donarmi e se c’è in me qualcosa di negativo ci pensa il Padre ad eliminarlo, non io. È la serenità totale.

 3 Voi siete già puri, la conferma che il verbo utilizzato dall’evangelista non poteva essere potare è perché riscrive di nuovo kathairo e non: siete già potati per il messaggio, per la parola che io vi ho annunziato. Il termine che traduciamo con messaggio è logos ed indica tutto l’insegnamento che Gesù ha dato ai suoi discepoli, un insegnamento che non si traduce in una dottrina, ma in una azione. Ricordo che il brano segue il capitolo 13 che iniziò con queste parole: Avendo amato i suoi che erano nel mondo, Gesù li amò fino alla fine. Tutto l’insegnamento di Gesù si è tradotto nel lavare i piedi dei suoi discepoli. Non è un messaggio che va tradotto in una dottrina, è un messaggio che va tradotto in un’azione che comunica vita agli altri. Ricordo che siamo in un ambiente eucaristico e Gesù non ha lavato i piedi ai discepoli prima della cena, per renderli degni di partecipare alla cena, ma ha lavato i piedi ai discepoli durante la cena a significare che quello era l’effetto della cena.

4 Rimanete in me ed io in voi, rimanere è un verbo caratteristico di Giovanni, nel suo vangelo compare ben 36 volte contro le tre di Matteo, le due di Marco e le sette di Luca. In questo brano compare per undici volte, rimanete in me ed io in voi. È la teologia di Giovanni, il Dio di Gesù non è esterno o estraneo all’uomo, è un Dio intimo. Non è un Dio che va cercato, è un Dio che va accolto, è un Dio che ama talmente gli uomini che chiede di essere accolto nella loro esistenza per fondersi con loro e dilatarne la capacità d’amore. Rimanete in me e io in voi, chi rimane in questo atteggiamento di amore che si fa servizio con gli altri, alimenta continuamente l’unione con il Signore. C’è da parte di Gesù una espansione nell’individuo che si traduce in azioni concrete d’amore. Come il tralcio non può portare frutto da se stesso se non rimane nella vite, così anche voi se non rimanete in me. Quanti si staccano dalla vite vanno incontro alla sterilità, solo il servizio è quello che rende feconda la vita del discepolo e permette la comunione continua con il Signore. Oggi, come facciamo a sapere se siamo in piena comunione con il Signore?, una volta si usava il termine essere in grazia. È semplice. Se siamo in un atteggiamento di amore che si fa servizio per gli altri, è la garanzia che siamo in comunione con lui. Lo dice lui: rimanete in me e io in voi, e Gesù rivendica la condizione divina:

5 Io sono la vite e voi i tralci. Chi rimane in me e io in lui, questi porta molto frutto, siamo in ambiente eucaristico e l’evangelista non fa altro che citare quello che Gesù ha detto nella sinagoga di Cafarnao sul discorso dell’eucarestia: chi mangia la mia carne e beve il mio sangue, rimane in me e io in lui. Chi accoglie questo pane che si fa vita per noi ed è disponibile a farsi pane, vita per gli altri, ha la garanzia della piena comunione con il Signore.

6 Se non rimane in me viene gettato fuori, non dice che sia il Padre a gettarlo fuori. Adesso c’è una serie di espressioni impersonali, come il tralcio si inaridisce; e adopera lo stesso verbo presente nel profeta Ezechiele 37,2 che ha una visione e dice: vedo una valle di ossa inaridite (ossa senza spirito senza vita e rappresentavano il popolo di Israele), poi lo raccolgono e lo gettano nel fuoco e lo bruciano. Gesù in questa affermazione, si rifà ad un brano molto conosciuto, per questo ha adoperato, oltre il fatto che la vite rappresenti Israele, il legno della vite. Il capitolo 15 del profeta Ezechiele si apre con queste parole: Mi fu rivolta la parola del Signore: Figlio dell’uomo, che pregi ha il legno della vite di fronte a tutti gli altri legni della foresta? Si adopera forse quel legno per farne un oggetto? Ci si fa forse un piolo per attaccarci qualcosa? Ecco lo si getta sul fuoco a bruciare, il fuoco ne divora i due capi e anche il centro è bruciacchiato. Potrà essere utile per farvi un oggetto? Anche quando era intatto non serviva a niente: ora, dopo che il fuoco lo ha divorato, si potrà forse ricavare qualcosa.(Ez.15,1-5).

7 Se (c’è la condizione. È interessante come noi siamo pronti a trovare le scorciatoie. Tutti conosciamo questo detto di Gesù eliminando la condizione: chiedete quello che volete e vi sarà dato, però, chissà perché ne ignoriamo la parte in cui ci sono le condizioni e rimaniamo male. Abbiamo chiesto e non ci è stato dato. Ma la prima parte del versetto cosa dice? Non so. Ora te lo dico io.) rimanete in me, è l’adesione a Gesù, e le mie parole rimangono in voi, non basta l’adesione, bisogna che le sue parole siano radicate nella persona. Tante volte abbiamo detto che quello di Gesù non è un codice esterno all’uomo, al quale l’uomo si deve riferire per sapere come comportarsi! Questo era per la legge dell’Antico Testamento, che era un codice esterno all’uomo e l’uomo per sapere come comportarsi, se un’azione era buona o cattiva, lo andava a consultare. Se era permessa era buona, se era proibita era malvagia. Il messaggio di Gesù non è un codice esterno all’uomo, è una realtà interiorizzata dall’uomo e fa parte della sua esistenza. L’uomo per sapere come comportarsi non deve andare a confrontarsi con le parole di Gesù, ma sono le sue parole che sono state talmente interiorizzate, che di fronte alle situazioni o occasioni si manifestano in forma nuova, originale e creativa. Se rimanete in me e le mie parole rimangono in voi quel che volete chiedete e vi sarà fatto. Gesù assicura che quanti accolgono il suo messaggio e la sua persona si identificano con lui in un processo di crescita e di assomiglianza. Il Padre vedendo in queste persone lo stesso profilo, comportamento del Figlio, collaborerà e l’aiuterà. È naturale che quando uno rimane in Gesù e le sue parole rimangono in lui: quel che volete, chiedete e vi sarà dato, non chiederà mai qualcosa di nocivo, di negativo che faccia male agli altri.

8 In questo è glorificato il Padre mio: che portiate molto frutto e diventiate miei discepoli. La proiezione delle ambizioni dell’uomo e delle sue frustrazioni in Dio ha fatto 7 si che per molto tempo la gloria di Dio, glorificare Dio, consistesse in opere spettacolari, in opere grandiose. Conosciamo la scritta a maggior gloria di Dio. Facciamo edifici sempre più spettacolari, più ricchi, più sontuosi, opere straordinarie tutto a maggior gloria di Dio. Gesù che pure parla della gloria del Padre dice che la gloria del Padre non si esprime attraverso opere grandiose, lussuose o straordinarie: in questo è glorificato il Padre mio, c’è una precisazione da parte di Gesù, non in opere chissà quali. Che portiate molto frutto, solo nell’abbondanza del frutto, diventando poi discepoli di Gesù, viene glorificato il Padre, viene resa visibile e manifesta la presenza e l’attività di un Dio amore a favore degli uomini.

Rimanete nell’amore mio. Quanti accolgono Gesù, accolgono il suo amore e lo prolungano in un servizio verso gli altri, rimangono nel servizio, unica sfera dell’amore.

10 Se osserverete i miei comandamenti, quando Gesù deve parlare dei comandamenti sottolinea sempre i miei da non confondere con quelli di Mosè. Questo discorso segue il capitolo 13, dove Gesù ha lasciato il comandamento nuovo: che vi amiate gli uni e gli altri come io vi ho amato, così amatevi anche voi.

11 Questo vi ho detto, perché la gioia, non una gioia qualunque, quella mia, dell’uomo Dio, sia in voi e la vostra gioia sia piena. sentiamo quanto è lontana la spiritualità dei vangeli da certa spiritualità triste, nefasta, deprimente, opprimente di certa teologia che non si è alimentata dai vangeli! Per la prima volta nel vangelo, Gesù parla di gioia e lo ha fatto dopo aver lavato i piedi ai suoi discepoli. Sottolinea che la sua gioia, quella che lui vuole comunicare e desidera che questa gioia raggiunga nell’uomo una pienezza incontenibile.

12 Questo è il comandamento quello mio, Gesù ogni volta che deve parlare di comandamento, sottolinea che è quello suo. Perché? Al capitolo 13,34 Gesù aveva lasciato un comandamento e l’aveva sottolineato: vi lascio un comandamento nuovo, non un nuovo comandamento; non è che avete già quelli di Mosè e adesso vi lascio un nuovo comandamento che va ad aggiungersi a quelli, ma vi lascio un comandamento nuovo di una novità, di una qualità, che sostituisce tutti gli altri. Gesù parla di comandamento per contrapporli a quelli di Mosè e alla nuova alleanza da lui proposta. Mentre l’antica alleanza era basata sull’obbedienza alla legge di Dio, la nuova alleanza è basata sull’accoglienza dell’amore del Padre. Mentre nella prima alleanza il credente era colui che obbediva a Dio osservando le sue leggi, nella nuova alleanza il credente è colui che assomiglia al Padre, praticando un amore simile al suo.

13 Nessuno ha un amore più grande di questo che qualcuno la sua vita (se stesso) metta per i propri amici. L’evangelista gioca con i termini che abbiamo già visto. Per l’evangelista vita si esprime in tre maniere:

 1) bios, la vita biologica, la vita che ha un inizio, una crescita, un declino e la fine;

 2) zoe, è la vita che ha un inizio, una crescita, ma non declina e continua per sempre. Quando arriva la fine della parte biologica, zoe rimane e Gesù può usare espressioni paradossali chi osserva la mia parola non morirà mai; chi vive e crede in me non morirà mai; tutti andiamo incontro alla morte della ciccia, ma essa non scalfisce la nostra esistenza.

 3) Psyche è il termine che adoperato qui dall’evangelista e che possiamo indicare come se stesso. È l’identità della persona. Nessuno ha un amore più grande di questo che qualcuno se stesso (non è il momento in cui c’è bisogno di dare la vita per l’altro, è tutta l’esistenza orientata a favore del bene degli altri) metta per i propri amici. Non è il momento estremo in cui uno è portato a dare la vita per gli altri, è l’orientamento di tutta una esistenza a servizio degli altri, che può portare al dono, come ha fatto Gesù.

14 Voi siete miei amici, se fate ciò che io vi comando. Dopo aver parlato per la prima volta di gioia, per la prima volta parla dei suoi discepoli come amici. Le sue parole, per la 11 cultura dell’epoca sono incomprensibili perché il discepolo era il servo del suo maestro. Il rapporto dei discepoli con i loro maestri era un rapporto di sottomissione, di obbedienza. Gesù elimina tutto questo e al capitolo 13 aveva sottolineato: io sono il maestro, io sono il Signore; elimina ogni distanza tra sé e i discepoli. Perché questo? La religione aveva scavato un abisso tra Dio e gli uomini e ne aveva bisogno perché senza questo non ci sarebbe posto per lei. L’istituzione religiosa aveva fatto credere alla gente che non poteva rivolgersi a Dio, che aveva bisogno di un individuo particolare, l’uomo del sacro, il sacerdote; che non poteva rivolgersi a Dio dove voleva, ma c’era bisogno di un luogo particolare, il tempio; che non poteva farlo con le parole che venivano in mente, ma attraverso una liturgia. L’istituzione religiosa aveva scavato un abisso tra Dio e gli uomini. Dio era reputato lontanissimo, inavvicinabile, impossibile da raggiungere. Gesù che è Dio (nel prologo l’evangelista ha dichiarato che in Gesù c’è la pienezza della divinità: Dio nessuno l’ha mai visto, solo il Figlio ne è stata la rivelazione, cap.1,18), è venuto ad eliminare la distanza che la religione aveva scavato tra Dio e gli uomini.

15 Non vi ho mai considerati (chiamati) servi, molti purtroppo traducono non vi chiamo più servi, ma Gesù non ha mai chiamato i discepoli servi. Non è che per un tempo Gesù li ha considerati servi e adesso c’è un cambiamento di rotta. No. L’espressione adoperata dall’evangelista è un rafforzativo: No, non vi ho mai considerati servi. Il rapporto di Gesù con i suoi discepoli, fin dal primo istante, non è stato quello di un superiore con dei servi, ma un rapporto di amicizia. Gesù lo dice: perché il servo non sa quello che fa il suo signore; ma vi ho chiamati amici , la prova che la traduzione non vi chiamo più servi è sbagliata, Gesù stesso dice: vi ho chiamati amici. Fin dall’inizio ha avuto con i suoi seguaci, una relazione di amicizia. perché tutto ciò che ho udito dal Padre l’ho fatto conoscere a voi. Gesù è un Dio a servizio degli uomini e non ha bisogno di servi, ma di amici, di collaboratori, che condividano pienamente con lui la sua azione. Fin dal primo momento in cui ha invitato i discepoli a seguirlo, li ha chiamati come amici. Abbiamo la prova al capitolo 11, quando Lazzaro viene definito l’amico di Gesù. Gesù chiede rapporto di amicizia tra lui e i discepoli.

16 Non voi avete scelto me, ma io ho scelto voi, la scelta compiuta da Gesù è di individui che possono lavorare con lui. È interessante: Non voi avete scelto me, è Gesù che ha scelto i suoi discepoli e non è stata una scelta felice. Se avessi dovuto dare dei consigli a Gesù, avrei eliminati undici dei dodici che ha scelto, non so se ne rimaneva uno perché peggio non ne ha saputo trovare! Perché non hai scelto, dovendo trovare dei collaboratori che ti aiutassero nella tua azione, andando prendere qualche santo monaco in qualche monastero? Perché non hai scelto qualcuno dei farisei, perfetti osservanti? Perché nel tuo gruppo non c’è neanche un rabbino, persona colta e nei hai scelti dodici che… veramente avevi gli occhi tappati! Pietro lo tradisce, Giuda lo vende al nemico, gli altri non capiscono niente, sempre ottusi. Questo ci rasserena e san Paolo lo dice nella prima lettera ai Corinti: Sapete perché il Signore vi ha scelti? Perché peggio non ha saputo trovare. Se non c’è questa profonda convinzione, non c’è l’inizio della partenza della collaborazione con Gesù, in modo che quello che emerge si sappia che non è frutto nostro o solo nostro, ma è frutto della potenza di Dio che emerge tra noi. Non voi avete scelto me (l’autore della prima lettera di Giovanni dirà: Non siamo stati noi ad amare Dio, ma è lui che ha amato noi), ma io ho scelto voi e vi ho costituiti perché andiate. È un verbo di movimento. Il credente, la comunità scelta da Gesù è stata scelta perché cammini, non perché sia immobile.

17 Questo vi comando, affinché vi amiate gli uni gli altri. Gesù unisce strettamente il tema del chiedere con il tema dell’amore e per la terza volta ritorna su questo comando dell’amore. L’insistenza di Gesù su questo comando dell’amore, fa capire che c’è una forte resistenza da parte della sua comunità. Quando nei vangeli, Gesù deve insistere come qui, significa che trova resistenza. I discepoli hanno capito che l’amore di Gesù consiste nel servire gli altri.

18 Se il mondo vi odia sappiate che prima di voi ha odiato me. L’odio è la conseguenza di un amore che si fa servizio, - esercitato verso gli altri - che si offre come un’alternativa alla società basata sull’interesse, sull’odio, sul predominio, sistema di potere che regge la società. Per il mondo non si intende il creato, per mondo si intende il sistema di potere che regge la società.

19 Se foste del mondo, (in passato c’è stata confusione su questo invito di Gesù e molti hanno pensato di dover abbandonare il mondo, di creare delle isole felici), non significa che noi non siamo nel mondo; il credente è nel mondo, ma non è del mondo. L’invito di Gesù non è come purtroppo è stato inteso in passato: separiamoci dalla società che è perversa, depravata e andiamo a creare delle cittadelle angeliche di santità, di bontà. Non è questo. L’invito di Gesù è di non essere del mondo, di non accettare quei valori che reggono la società, basati sui tre verbi maledetti dell’avere, salire e comandare. Gesù è venuto a creare una società differente dove al posto dell’avere ci sia il condividere e al posto del comandare ci sia il servizio.

20 Ricordate la parola che ho detto a voi: Un servo non è più grande del suo padrone. Se hanno perseguitato me, perseguiteranno anche voi; se hanno osservato la mia parola osserveranno anche la vostra. Gesù richiama il proverbio popolare, un detto che aveva già espresso dopo aver lavato i piedi ai discepoli: un servo non è più grande del suo padrone, 13,16, collegando strettamente la persecuzione al servizio da lui reso con la lavanda dei piedi. In una società dove tutti tendono ad arrivare e a sopraffare gli altri, il servizio liberamente, volontariamente espresso, viene visto come un atto di accusa nei suoi confronti e per questo non scatena la riflessione, ma la persecuzione. La persecuzione è compresa nel programma del discepolo. Non c’è da meravigliarsi quando si scatena la persecuzione, c’è 15 da preoccuparsi quando non c’è perché significa che sono stati accettati i valori ingiusti del sistema. Se si è fedeli a Gesù, al suo messaggio, la persecuzione nelle sue varie forme, larvata o evidente, aperta o mascherata, è sempre presente all’ombra. Gesù dice: se hanno perseguitato me. Perché lo hanno perseguitato e dove in questo vangelo incomincia la persecuzione a Gesù? Nel quinto capitolo con l’episodio dell’invalido nella piscina.

21 Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, avendo aderito a me al mio messaggio, perché non conoscono colui che mi ha mandato. Ciò che dice è tremendo: Attenti a questi sommi sacerdoti, a questi scribi, a questa casta sacerdotale che si veste in modo particolare per fare vedere di avere un rapporto privilegiato con il Signore, che porta stemmi, distintivi, ed ha tanti titoli per fare vedere la propria particolare appartenenza al Signore, perché non conoscono Dio. Quando vi dicono qualcosa in nome di Dio, siccome non lo conoscono, non è vero che parlano in suo nome, vi parlano in nome del loro interesse. Tante volte abbiamo detto, che non sorprende che Gesù sia stato ammazzato, sorprende che sia riuscito a campare così tanto. Uno che dice queste cose è da eliminare subito! Ma tutto questo vi faranno a causa del mio nome, perché non conoscono colui che mi ha mandato.

22 Se non fossi venuto e non avessi parlato loro, Gesù ha parlato più volte ai capi e ogni volta è stato uno scontro. Ha parlato nel Tempio; ha parlato in occasione della guarigione dell’invalido nella piscina; nella festa delle capanne; ha parlato loro quando si è proclamato pastore; ha parlato loro nella festa della dedicazione.

23 Chi odia me, odia anche il Padre mio. La persecuzione che si scatena contro Gesù e i suoi discepoli è una persecuzione religiosa che avviene per difendere l’immagine di Dio. Quale Dio? Gesù afferma che ciò avviene perché questi non conoscono il Padre, ma in nome di che Dio si scatena la persecuzione? L’odio diretto a Gesù è in realtà un odio diretto al vero Dio, che è nemico del progetto di dominio da parte delle autorità religiose. Non è pensabile di potere amare Dio e allo stesso tempo perseguitare Gesù. Abbiamo un caso clamoroso proprio nel Nuovo Testamento, il caso di Saulo. Saulo (Paolo) era un fariseo, osservante integrale, tradizionalista e osservava tutti i precetti. Quando ha saputo che c’era l’eresia, la pazzia, la novità portata da Gesù da Nazareth, animato dallo zelo per Dio, indubbiamente era un buono, ma era uno zelante, un devoto, si è messo a perseguitare i seguaci di questa nuova dottrina.

24 Se non avessi fatto in mezzo a loro le opere che nessun altro mai ha fatto, perché mai nessuno aveva liberato il popolo dalla legge che era stata imposta e che gravava su di esso; mai nessuno aveva liberato il popolo dalla legge, che si credeva proveniente da Dio; non avrebbero alcun peccato; ma ora le hanno viste, non si tratta di insegnamento, non hanno creduto a quello che ho detto, ma hanno visto le opere frutto dell’insegnamento e hanno odiato me e il Padre. Gesù non si richiama più soltanto all’insegnamento, alla dottrina, ma all’amore e alla dimostrazione pratica di questo amore, cioè alle opere che i dirigenti hanno visto. Sono proprio le opere, tutte di liberazione dell’uomo, che sono inaccettabili per le autorità religiose. Il crimine compiuto da Gesù è aver reso le persone mature, mentre la religione mantiene gli individui in una condizione infantile. La religione non fa crescere le persone, si è sempre come bambini che hanno bisogno di un padre, a volte di un santo padre che dica cosa fare, come fare e quando fare. La persona non è mai matura: posso fare questo? È peccato fare quest’altro?… L’autorità gongola di questo, dice quello che si deve fare invadendo gli spazi della vita dell’individuo.

25 Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge: Mi hanno odiato senza motivo. Gesù non è mosso dalla legge, ma dall’amore. Quando deve parlare della legge, legge di Mosè, che è espressione di Dio per tutto il popolo di Israele e Gesù è un 19 ebreo, dice: Questo perché si adempisse la parola scritta nella loro Legge, doveva dire nella nostra legge, ma prende le distanze; è nella loro legge, non è la legge di Gesù. Gesù non ha niente a che fare con questa legge, perché denuncia come una grande mistificazione quel complesso di libri chiamato la Legge di Dio. È la loro legge, creata per i loro interessi.

26 Quando verrà il Protettore il soccorritore. L’attività dello Spirito è di soccorrere e Gesù ci ha parlato di gioia perché nella sua comunità c’è lo Spirito, Paraclitos che non è il 20 cognome dello Spirito, ma è l’attività, è l’aiuto, è colui che soccorre, ma non viene in situazioni di emergenza, le precede ed ecco la gioia. che io vi manderò dal Padre, lo Spirito di verità, l’amore è la verità, è l’amore che determina quello che è vero o che è falso che procede dal Padre egli testimonierà di me; L’azione dello Spirito che sarà a favore di Gesù, a favore degli oppressi, renderà chiaro da che parte sta Dio, da che parte sta il Padre e capiterà, lo vedremo nei prossimi capitoli, che gli accusatori si troveranno ad essere i veri accusati, i giudici i colpevoli e la verità dello Spirito di verità sarà rivelata a tutti. 27 e anche voi mi testimonierete perché siete stati con me fin dal principio. Stare con Gesù fin dal principio non è una indicazione cronologica, altrimenti potevano stare con lui soltanto i primi quattro discepoli, ma è un’indicazione qualitativa e indica l’accoglienza di tutto Gesù, non solo quello glorioso, il Cristo risuscitato, ma anche il Cristo perseguitato in tutta la sua vita. Pertanto significa situarsi con lui e come lui dalla parte dei deboli, mai dalla parte dei prepotenti. Sempre con chi viene emarginato e mai da chi emargina, sempre con chi viene escluso, mai da chi esclude anche se chi esclude lo fa in nome di Dio. Se si esclude una persona in nome di Dio, Dio sta dalla parte dell’escluso non dalla parte di chi esclude. La comunità dei credenti è invitata a situarsi dalla parte di Gesù, dalla parte degli ultimi.