XXVIII DOMENICA DEL TEMPO ORDINARIO ANNO C
Lc
17,11-19
Paolo
Cugini
Lungo
il cammino verso Gerusalemme. È bene ricordarci che
stiamo leggendo il Vangelo di Luca che organizza il materiale che ha a disposizione
sulla vita di Gesù nel viaggio che compie da nord a sud, da Nazareth a
Gerusalemme. E già questa è un’importante indicazione spirituale. Gesù annuncia
il Vangelo mentre cammina, entrando in spazi nuovi, conoscendo persone,
situazioni. Il cammino cristiano non è fatto per persone sedentarie, ma per
coloro che accettano la sfida di alzarsi, lascare le proprie tranquillità. Oltre
a ciò, il versetto citato dice che Gesù non viaggia a caso, ma ha un obiettivo:
Gerusalemme. Elemento fondamentale nel cammino della vita di fede è avere un obiettivo,
perché significa che si sa ciò che si sta facendo e dicendo.
Entrando
in un villaggio. Tutte le volte che nel Vangelo di Luca
ci viene detto che Gesù entra in un villaggio, è un’allerta che avverrà
qualcosa di strano, che ci saranno tensioni. E infatti, anche in questo brano l’evento
che si profila è carico di tensioni e di novità. Villaggio nei vangeli
significa luogo in cui si è sempre fatto così: è il luogo per eccellenza della
tradizione degli uomini, non disposti a cambiare.
gli
vennero incontro dieci lebbrosi, che si fermarono a distanza e dissero ad alta
voce: «Gesù, maestro, abbi pietà di noi!». Appena li vide, Gesù disse loro:
«Andate a presentarvi ai sacerdoti». E mentre essi andavano, furono purificati.
Gesù
risponde alla richiesta dei lebbrosi. Strano vedere dei lebbrosi che escono da
un villaggio. Solitamente i lebbrosi venivano espulsi dai centri abitati, e
allora come fanno questi lebbrosi ad uscire da questo villaggio? Probabilmente
si tratta di un artificio letterario. Sono dieci uomini divenuti lebbrosi a
causa della lebbra della tradizione degli uomini, che li ha infettati. È un’interpretazione
che può essere interessante per il discorso della fede.
Uno
di loro, vedendosi guarito, tornò indietro lodando Dio a gran voce, e si
prostrò davanti a Gesù, ai suoi piedi, per ringraziarlo.
Uno
di loro: colpisce la sproporzione. Sono le proporzioni sproporzionate del
cammino della fede dietro a Gesù. La spiritualità che sgorga dalla frequenza
quotidiana del Vangelo, ci aiuta ad abitare queste sproporzioni, che richiedono
una libertà interiore fuori dalla portata umana, che ha bisogno di un ritorno,
di un ringraziamento e, cioè, di un riconoscimento. Sono queste sproporzioni
che abitano i genitori, perché i figli difficilmente si voltano per
ringraziare. È la sproporzione che abitano i maestri e tutti coloro che vivono
relazioni educativi. Senza questa spiritualità evangelica, l’umanità svuotata
dalla tensione va alla ricerca di qualcosa che compensi il vuoto provocato
dalla sproporzione.
Era
samaritano. E qui c’è una grande sorpresa. Va bene la mancanza
di gratitudine: ci può stare. Ma che l’unico che torna per ringraziare sia un
samaritano, una persona di un popolo ritenuto maledetto dagli ebrei a causa di
un passato fatto di tensioni, è difficile da digerire. Che coca ci vuole dire
il Vangelo con questa osservazione? Gesù c’insegna a non lasciarci annebbiare
la mente dai preconcetti, di non giudicare le persone per la loro appartenenza,
nel senso che ogni persona è originale e unica.
Alzati e va’; la tua fede ti ha salvato! Chi ci salva dalla nostra solitudine, da una vita nuova è la nostra presa di posizione personale, la nostra risposta soggettiva agli appelli che percepiamo dal Mistero che, a volte, passano anche attraverso l’ascolto del Vangelo. Il Samaritano risponde al dono della guarigione: la sua risposta dice della sua fede, della sua fiducia in colui che lo ha guarito. Il ringraziamento è il segno della percezione di un cambiamento che non rimane isolato nella sfera dell’interiorità, ma che si muove verso l’altro e condivide.
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