Paolo Cugini
Che
notte triste devono aver trascorso i tuoi discepoli, Signore, saperti morto.
Pensarti nel sepolcro. Com’è possibile accettare un simile vuoto? Com’è
possibile resistere all’angoscia di questo nulla? Senza di Te il mondo vive
nelle tenebre.
È
strano pensare che alla sepoltura ci abbia pensato Giuseppe d’Arimatea. In
tutti e quattro i vangeli è l’unico personaggio costante tra quelli menzionati
in questa circostanza. Giuseppe d’Arimatea salta fuori dalla narrazione
evangelica come dal nulla, come se il suo compito dell’eternità fosse stato
quello di seppellire il corpo di Gesù. Così come l’altro Giuseppe, il falegname
menzionato all’inizio del Vangelo per costituire le piccole famiglie di Betlemme.
E
così nel mistero dell’incarnazione c’è un Giuseppe all’inizio e un Giuseppe
alla fine. C’è un Giuseppe, un’umile figura, che non fa rumore “persona buona e
giusta”, “membro del sinedrio” “che era diventato discepolo di Gesù”.
Giuseppe
d’Arimatea, quel buon uomo che ha deposto con cura Gesù nel sepolcro.
Giuseppe
d’Arimatea rimane, per me un mistero incomprensibile.
Gesù
nasce povero e muore in una tomba da ricchi.
Gesù
nasce in una mangiatoia e muore in una tomba da re.
Era
o non era il re dei Giudei?
Era
o non era re? Di un regno che non era di questo mondo, ma pur sempre un Regno!
Giuseppe
d’Arimatea depone il corpo del Signore in una tomba (la sua?) nuova scavata
nella roccia. Un sepolcro nuovo in mezzo ad un giardino. Un sepolcro nuovo dove
nessuno vi era mai stato.
Gesù
nasce povero, muore come un brigante e assassino e viene deposto in una tomba
nuova in mezzo al Giardino da un uomo del Sinedrio persona buona e giusta, che
era diventato discepolo di Gesù.
Chi
può deporre nella tomba il corpo del Giusto, dell’unico vero Giusto, se non una
persona buona e giusta? Giuseppe il buono – giusto che depone il Giusto.
Giuseppe il buono – giusto depone il Giusto punito proprio per la sua bontà.
Giuseppe
d’Arimatea predestinato dall’eternità a non lasciare che il corpo del Santo
rimanesse appeso alla croce per essere poi gettato insieme agli altri.
Giuseppe
d’Arimatea, persona buona e giusta stacca dal legno della croce le mani e i
piedi del Giusto. È Giuseppe che libera le mani di Gesù dai chiodi. Chissà
quali domande hanno riempito la mente del buon Giuseppe d’Arimatea quando ha
accolto tra le sue mani il corpo nudo di Gesù morto.
Gesù
perché hai affidato il tuo corpo morto ad uno sconosciuto? SI, è vero che era
una persona giusta e buona, ma era pur sempre uno sconosciuto. Perché non hai
voluto che fosse Andrea o Simone Giacomo di Zebedeo o suo fratello Giovanni,
Filippo o Bartolomeo, Tommaso o Matteo, Giacomo di Alfeo o Taddeo, o Simone il
Cananeo? Questi li avevi scelti perché stessere con te e imparassero le parole
che il Padre ti aveva detto di dire loro.
Perché non hai concesso a loro di vederti
nell’alto estremo della tua umanità? Forse temevi che vedendoti inerme e senza
vita sarebbero rimasti talmente turbati da non credere più nemmeno alla Tua
Resurrezione? Pietro ormai ti aveva rinnegato per ben tre volte; Giuda
l’iscariota ti aveva tradito per pochi denari. Gli altri erano tutti fuggiti
Tranne Giovanni il discepolo che Tu amavi. Forse lui avrebbe potuto togliere i
chiodi dal legno della tua croce. Forse Lui avrebbe potuto abbracciare il tuo
corpo senza vita. Però, dopo la tua morte, accompagnò a casa tua Madre che
divenne da quel momento la sua.
E
tu eri lì, solo, morto sulla croce. Che silenzio sul Calvario. Che tenebre
dentro e fuori Gerusalemme! Ore interminabili. Minuti pesanti come il piombo.
Chi poteva sopportare il peso della Tua assenza? Il mondo per Tre giorni è
vissuto nella tua assenza. Quale mistero il Dio che è spirato, che ha reso lo
spirito. Grande desolazione per l’umanità rimasta orfana del suo Dio!
Per alcune ore qualcuno può aver pensato che
le tenebre sarebbero scese per sempre; che per sempre il nulla avrebbe
aleggiato sul mondo.
Poiché
lo spirito era stato spirato, reso al Padre, a colui che glielo aveva dato.
Qualcuno ha potuto pensare che quell’istante poteva durare per sempre. Che per
sempre lo spirito era spirato e non sarebbe mai più tornato. Pensieri cupi.
Pieni di angoscia. Abbandono totale. Smarrimento.
Qualcuno
ha potuto domandarsi che cosa avrebbe dovuto fare se le tenebre sarebbero
rimaste sulla terra. Per sempre. E qualcuno ha pensato che non era bene, non
stava bene che colui che era la Via, la Verità, la Vita rimanesse là, in cima
al monte, appeso alla Croce, nudo.
Qualcuno,
questo buono e giusto Giuseppe ha pensato bene di togliere davanti agli occhi
di tutti lo scandalo, la vergona inquietante, il Dio Crocifisso! E lo ha preso
fra le sue mani dopo avergli tolto con cura i chiodi, lo ha profumato con gli
aromi e lo ha avvolto in un lenzuolo. Poi lo ha sistemato in un sepolcro nuovo
e lo ha avvolto in un lenzuolo. Poi lo ha sistemato in un sepolcro nuovo
scavato nella roccia, mai usato prima. Lo ha preso tra le mani. Quel corpo
morto. Il cadavere di Gesù. Il corpo senza vita del Figlio di Dio. Forse lo ha
guardato negli occhi. Ha cercato il suo sguardo. Ma non lo ha trovato. Aveva le
palpebre chiuse. Come un morto. Come tutti i morti. Perché Gesù era morto. E
uno sconosciuto lo stava deponendo dalla croce. Uno sconosciuto stava deponendo
dalla Croce il re della Vita. Uno sconosciuto, di cui nessuno aveva mai sentito
parlare, prese Gesù morto fra le sue braccia. E lo fissò, lo toccò, quel corpo
inerte, senza vita. Ma perché uno sconosciuto ha potuto fare ciò?
Perché
è toccato proprio a lui, Giuseppe d’Arimatea, vedere e toccare il corpo morto
del Vivente? Uno sconosciuto è il testimone del mistero dell’umanità.
Perché
colui che era venuto per portare la vita eterna è morto sulla croce. E lui lo
ha visto. E lo ha persino toccato.
Perché
colui che aveva guarito i ciechi e sanato i lebbrosi è morto. E lui ne è
testimone.
Perché
ha sfilato i chiodi dalle sue mani fredde. Dalla morte.
Perché colui che ha risuscitato Lazzaro è
stato colpito al costato da una lancia. E lui è lì a rendere testimonianza. E
non può dire altro che tutto ciò è vero. SI Gesù è morto. Lui lo può dire. Ha
cercato il suo sguardo ma non lo ha trovato. Ha sentito la sua pelle fredda.
Come quella di un morto.
Perché Lui, il Vivente, era morto.
Che
pena dev’essere stato per i dodici (gli undici) rammaricarsi per non essere
stati presenti alla morte del loro maestro. Si è vero, Giovanni lo aveva visto
morire sulla croce, ma non era stato lui a sfilare i chiodi dalle mani del
Signore. Anche lui come gli altri aveva lasciato ad uno sconosciuto che toccasse
il corpo morto di Gesù.
(18
Aprile 1992, Sabato Santo)
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