martedì 16 giugno 2015

LO SPIRITO DATORE DI VITA





XXI DOMENICA\B
(Gs 24, 1-18; Sal 34; Ef5, 21-32; Gv 6, 60-69)


1. In queste ultime domeniche la liturgia della Parola ci ha offerto l’opportunità di meditare sul capitolo 6 del Vangelo di Giovanni e, quindi, sul tema dell’Eucarestia. Questa riflessione si conclude oggi in un modo un po’ drammatico. Infatti, questo discorso di Gesù, invece di infiammare i cuori degli ascoltatori, finisce per provocarli negativamente e, di conseguenza, di allontanarli. A questo punto non ci rimane che da chiederci. Perché il discorso sull’eucarestia è così duro e perché è un discorso che allontana?

2. “Questo linguaggio è duro; chi può intenderlo?… E’ lo Spirito che dà la vita, la carne non giova a nulla; le parole che vi ho dette sono spirito e vita.” (Gv 6,60.63).
Le parole che Gesù ha detto sul suo corpo e sul suo sangue non sono carnali, ma spirituali, non vanno interpretate cioè in modo materialista, ma bisogna cercarne lo spirito. Questa sottolineatura che lo stesso Gesù fa, ci deve aiutare a capire il motivo della durezza apparente di queste parole e la conseguente incomprensione di molte persone che lo seguono. E’, in primo luogo, un cammino di spiritualizzazione che il signore ci chiama a compiere, che è allo stesso tempo una smaterializzazione, uno sforzo di spiritualizzare i nostri sensi affinché la nostra percezione della realtà possa essere sempre di più profonda. E’ in questa prospettiva possiamo leggere il primo motivo dell’abbandono di alcuni discepoli: la non disponibilità ad abbandonare il mondo della materia, la propria concezione materialista del mondo per entrare nel mondo di Dio, nel quale Gesù vuole farci entrare,  introdurre. Non si può capire la profondità del mistero eucaristico che è allo stesso tempo il mistero di Gesù stesso, se non si è disponibili a camminare con Lui, a seguirlo e, questa sequela, esige una trasformazione, una spiritualizzazione che è il senso profondo della conversione. Convertirsi, in questa prospettiva, uscire da una visione materialista e immediata della realtà, per entrare in una visione più spirituale e profonda. La carne, che è il dato immediato che i nostri sensi ricevono della realtà, non è il tutto della realtà, ma nasconde qualcosa che deve essere scoperto. Per questo in questo mondo materialista, carnale – non in senso morale, ma culturale – facciamo fatica a vivere i riti, a sentirli importanti nella nostra vita e, spesso, li viviamo perché fanno parte del nostro passato, delle nostre abitudini, della nostra “pelle”. Il grande rischio per noi occidentali, che viviamo in una cultura sempre più materialista, che identifica la materia con la realtà, è proprio questo: abituarci alla materialità dei riti, perché incapaci di scendere e cogliere la profondità spirituale dei misteri che celebriamo. Questo è un male perché poi non riusciamo a legarli alla vita e, di conseguenza, col passare del tempo li abbandoniamo o, li frequentiamo per forza di inerzia.

3. Dove ci vuole condurre il Signore in questo cammino spirituale, che ci chiama a realizzare attraverso il suo Corpo e il suo sangue? Se la risposta dev' essere dettata dall’ascolto della Parola di Dio, allora le prime due letture che abbiamo ascoltato indicano la stessa direzione: un impegno di servizio.
Se vi dispiace servire il Signore, scegliete oggi chi volete servire: se gli dei che i vostri padri servirono oltre il fiume, oppure gli dei degli Amorrei, nel paese dei quali abitate. Quanto a me e alla mia casa, vogliamo servire il Signore” (Gs24,18).
L’Eucarestia domenicale è proprio questo: un incontro misterioso con il Signore nel quale chi partecipa è invitato a decidersi, a compiere una scelta decisiva e cioè se vivere per il Signore o per se stessi. La vita adulta, psicologicamente matura si rivela nella capacità di prendere delle decisioni permanenti: è questo che ci invita a compiere il Signore. Sono infatti i bambini, che giocano con la vita e non vogliono e nemmeno possono assumersi qualsiasi responsabilità. La persona diventa adulta quando liberamente sceglie il cammino della propria vita. Questo è uno dei significati più profondi del mistero eucaristico, al quale siamo invitati a partecipare ogni domenica.
Il problema maggiore che a questo punto si presenta è sul tipo di partecipazione che deve stimolare una risposta personale e libera. Se noi, infatti, che partecipiamo al banchetto eucaristico, siamo invitati a prendere una decisione definitiva, questo è possibile farlo solamente in una situazione di libertà, se no sarebbe costrizione, imposizione. Ciò significa che nessuno può seguire, servire, obbedire il Signore per forza, perché obbligato: non funzionerebbe. E’ forse questo il caso di tutti quegli adolescenti costretti dai loro genitori a partecipare dei corsi di catechismo, senza essere mai coinvolti in una decisione personale. Dopo anni di partecipazione forzata la stragrande maggioranza dei ragazzi abbandona la Chiesa. Oppure possiamo pensare anche a quella massa di cattolici che partecipa dell’Eucaristia domenicale per forza di inerzia, abitudine. In questi casi l’incontro con il Signore non cambia nulla della propria vita, dei propri progetti.
Per incontrare il Signore e accettare la sua proposta, bisogna esserci, occorre essere presenti e, per certi aspetti, occorre aver desiderato e voluto quell’incontro. E’ questo il senso della preparazione, del fare memoria  e dell’arrivare al banchetto eucaristico con il desiderio di una vita diversa, più coerente e conforme al Vangelo che si desidera vivere. Se ci pensiamo attentamente, tutta la struttura della liturgia eucaristica è strutturata affinché l’incontro tra il Signore e il popolo di Dio avvenga e produca una risposta il più possibile personale. Infatti la liturgia penitenziale prepara i cuori per l’ascolto della Parola di Dio, che deve illuminare le nostre menti, la nostra volontà per deciderci poi, con l’aiuto del Signore che riceviamo dal suo Corpo, di rispondere affermativamente alla sua proposta dicendo: Amen.
Il popolo rispose a Giosuè: ‘Noi serviremo al Signore nostro Dio e obbediremo alla sua voce!’”. (Giosuè 24, 24).

4. Se è vero che l’Eucarestia domenicale coinvolge la nostra libertà per un servizio definitivo per il Signore, rimane però ancora aperto un problema: che cosa significa servire il Signore?
E’ san Paolo, nella seconda lettura di oggi che ce lo spiega. “E voi, mariti, amate le vostre mogli come Cristo ha amato la Chiesa” (Ef 5, 25).

San Paolo utilizza l’immagine sponsale di marito e moglie per spiegare la relazione che deve intercorrere tra Lo sposo Cristo e la Chiesa sua Sposa. Servire il Signore, che è l’obiettivo di ogni Eucaristia, significa amare la Chiesa come Cristo l’ha amata: E com’è che Cristo ha amato la Chiesa? Morendo per Lei, donandosi totalmente a Lei, senza  risparmiare nulla di sé, ma donandosi totalmente e gratuitamente. È a questo amore gratuito, libero e disinteressato, che l’Eucaristia domenicale vuole condurci, per liberarci dal nostro egoismo. Chiediamo allora al Signore un poco di umiltà affinché ci aiuti a compiere questo cammino, ci aiuti cioè a servirlo come lui ha servito la Chiesa, donandosi e morendo per lei.


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