sabato 22 dicembre 2018

AMORE COME DONO





Omelia Matrimonio Marco e Sara
Cogruzzo 12luglio 2008
(Mt 10, 16-23)

Schema dell’omelia


1.     Lettura del libro; “L’ospite inquietante” di Galimberti. Questo ospite sarebbe il Nichilismo, che è m problema culturale e non esistenziale.

2.     Le risposte di Galimberti al problema del nichilismo e le risposte che la cultura offre.
3.     La risposta più vera sta in ciò che stiamo celebrando e cioè l’amore.
4.     Caratteristiche dell’amore:

1        Si presenta come dono (non l’avete ricercato ma vi è stato donato).
·        il dono è gratuito
·        esige il ringraziamento
·        il dono ha delle caratteristiche proprie che esige risposte specifiche, corrispondenti al dono.
·        Libera dalla solitudine.

2        É una forza vitale che riorganizza la vita (sia materiale che spirituale).
3        È una forza intenzionale (offre una direzione).

5.     Il Matrimonio è un invito a vivere il vostro amore non in qualsiasi modo, ma con un criterio e una modalità ben chiara e cioè come Cristo ci ha amato. Per questo è importante il sacramento perché vi viene oggi riconsegnato il significato del dono che vi è stato dato, che è l’amore. In che modo, allora dovete amare? Come Cristo: ottimo. E allora com’è che Cristo ha amato l’umanità?
  Donandosi
  In un modo disinteressato
  Con la costante attenzione all’altro
  Per questo diventa importante nella sua esistenza il tema del perdono.
  L’amore del Signore esige la condivisione: si protegge donandolo (quello che ascoltate nell’oscurità gridatelo sui tetti).

6.     Non abbiate paura!” (Mt 10, 28). Oggi Gesù lo dice a voi: non abbiate paura di vivere il matrimonio come il Signore vi chiede di farlo. Abbiate coraggio di donarvi, di amarvi in modo disinteressato, di cercare sempre l’altro prima di se stesso, di condividere tutto quello che siete e avete.



AMORE



Omelia nel giorno del matrimonio di Matteo e Micheline


1. L’amore come ospite desiderato da tutti, ma che arriva quando vuole. L’amore si presenta con la novità di un dono inaspettato, inatteso. Viene al nostro incontro senza chiedere permesso: arriva e basta. Necessita, però di essere riconosciuto, accolto. È incalcolabile il suo arrivo nella stessa misura in cui è desiderato. Il paradosso dell’amore: tutti lo vogliono, ma accade in modo improvviso e senza chiedere permesso e senza tenere conto delle condizioni di nessuno. Arriva e pronto: lo puoi solo accogliere. Quando arriva è una forza inarrestabile. È come se vi foste riconosciuti immediatamente, come se colui e colei che stava passando corrispondeva ai tanti sogni fatti nel passato. L’amore quando arriva rovescia la vita, la riorganizza. È come se quello che avevamo fatto sino a quel giorno non valesse niente, come se fosso una preparazione a questo evento.

Chi prova a difendersi rimane segnato negativamente per tutta la vita. Chi lo rifiuta passare il resto dei sui giorni a rammaricarsi per averlo fatto, per non essere salito sul treno che è passato nella propria vita e che invocava solamente di salire. Quanti passano il resto della vita rammaricandosi di quel biglietto strappato in un momento di totale smarrimento di un treno che non tornerà a passare mai più. Voi invece su quel treno siete montati su subito, senza farvi troppo pregare.

L’amore è la miglior medicina al male del mondo Occidentale: la solitudine. Non c’è balsamo migliore per curare le ferite profondissime che la solitudine scava nell’anima delle persone sole. Due persone che si amano sono innanzi tutto due persone guarite dal male della solitudine. L’altro che il Signore vi ha donato, sarà d’ora innanzi il motivo che darà forza alle vostre lotte, ai vostri sacrifici, al perseguimento dei vostri ideali. Lo farete pensando a lui, a lei. D’ora innanzi avrete un fantastico motivo per cui vivere. Credete, non è roba da poco.

2. A questo dono avete deciso di dare un contenuto con le letture che avete scelto. Che cosa sono allora le beatitudini che abbiamo ascoltato se non la narrazione dei tratti dell’umanità di Gesù? Umanità che è impastata d’amore e che genera amore in ogni suo gesto e movimento. E infatti, come fai ad essere un costruttore di pace i un mondo alimentato dall’odio e dalle divisioni se non hai il fuoco dell’amore di Dio dentro di te? Come puoi essere assetato di giustizia, vale a dire, del desiderio di un mondo di persone uguali e che ti conducano a lottare contro ogni forma di discriminazione e disuguaglianza, se non bruci dentro la tua anima il fuoco dell’amore di Gesù, che è morto a causa di questo? E ancora, come potrete resistere alle persecuzioni provocate dall’impegno per un mondo più giusto

Conclusione: l’amore è anche un atto di fede verso una persona. L’amore si alimenta e alimenta questa reciproca fiducia. Abbiate l’umiltà e la tenerezza di non spezzarla mai, per nessun motivo al mondo. Buon cammino. Auere, bom vojage,

giovedì 20 dicembre 2018

NATALE OVVERO L'ADDIO ALLA VERITÀ




(omelia della Vigilia di Natale 2018)

Paolo Cugini


È bello riascoltare i vangeli dell’infanzia, soprattutto quelli narrati da Luca, perché ci aiutano a ritornare al punto zero, all’inizio di una storia che ha molto da dire a noi e alla nostra civiltà. È bello riascoltarla e rivisitare il presepio per capire se l’abbiamo visto bene o se ci è sfuggito qualcosa. Siamo così abituati a vedere le cose che spesso il nostro guardare è così filtrato dalle nostre pre-comprensioni, che non riusciamo più a cogliere la novità, a guardare l’oggetto per quello che è e non per quello che pensiamo già di sapere. Credo che capiti la stessa cosa con il Natale di Gesù, una festa così farcita da tradizioni da non permetterci più di coglierne la novità. Proviamo, allora, a mettere da parte ciò che sappiamo, ciò che crediamo di sapere e avviciniamoci ad osservare il presepio, per lasciarci consegnare qualcosa che questo evento ha voluto dire e continua ad ispirarci.

Mi avvicino allora, al presepio e vedo il bambino Gesù nella mangiatoia. Quel bambino non è solo il figlio di Giuseppe, che viene dalla dinastia di Davide, realizzando in questo modo le profezie messianiche ascoltate nel tempo dell’avvento. Gesù è anche il figlio di Maria che è gravida per opera dello Spirito Santo. Quel bambino che giace nella mangiatoia non porta a compimento solamente un processo storico, che lo fa simile ad ogni uomo e ad ogni donna, che hanno dietro di loro una genealogia, ma è anche il dono del cielo. Quel Bambino è Dio. Come sappiamo questo dato, che chiamiamo incarnazione, è l’aspetto più originale del cristianesimo, che ancora oggi fa tanta fatica ad essere accolto e vissuto come un dono. Gesù è il dono di Dio per l’umanità e rivela che Dio smette di essere un’idea astratta – il dio dei filosofi – e diventa il Dio con noi, che è in mezzo a noi. Che cosa vuole dire?

Se questo è vero, quel bambino è portatore di alcune novità che bisogna tener conto. A partire da Gesù, l’essere di Dio non è più in un’idea astratta, uguale per tutti, che può essere definita in modo oggettivo e compresa con la ragione, ma è un evento. Se l’essere di Dio è in quell’evento che si chiama Gesù, allora il suo essere può venire colto da sguardi differenti e in modi differenti. Con Gesù, Dio cessa di essere un’idea assoluta, astratta, oggettiva, ma diviene evento, soggetto storico, persona percepibile ai sensi e, quindi, interpretabile. A partire dall’evento Gesù, per dire Dio occorre sempre declinare il punto di vista a partire da cui lo osservi e, quindi, lo comunichi. Ecco perché, a mio avviso, i vangeli dell’infanzia insistono nel contestualizzare l’evento. “In quei giorni un decreto di Cesare Augusto ordinò che si facesse un censimento” (Lc 2,1s). Se l’essere di Dio entra nella storia e si consegna all’evento, significa che per coglierlo devo conoscere il contesto storico e culturale. Non è possibile dire la verità di Dio in Gesù senza le coordinate storiche e culturali. È stato Dio a consegnarsi in questo modo e, quindi, va rispettato. Quali sono le conseguenze di questo nuovo modo di pensare Dio?

In primo luogo, se l’essere di Dio è in un evento, acquistano valore i sensi: lo vedo, lo ascolto, lo tocco. Vengono alla mente le parole di Giovanni quando, nella prima lettera inizia il prologo affermando: “Quello che abbiamo visto e udito e le nostre mani hanno toccato, noi lo annunciamo a voi” (1 Gv 1, 1s). L’evento Gesù non può più essere narrato come una teoria, un concetto filosofico. Non può più essere comunicato come si comunica una dottrina, vale a dire qualcosa d’imparaticcio appreso a memoria. Con l’evento del Natale posso dire Dio solamente attraverso un’esperienza storica, filtrata dai miei sensi, vale a dire un’esperienza personale. I vangeli sono la consegna di Dio attraverso l’esperienza di persone concrete che hanno visto il Signore, che sono stati con Lui. I vangeli non sono una dottrina, ma la comunicazione di un’esperienza personale che invitano chi l’ascolta a fare lo stesso tipo di esperienza, vale a dire ad incontrare il Signore, ad ascoltarlo, vederlo, sentirlo. La prima conseguenza immediata dell’evento del Natale è che per conoscere Dio occorre incontrarlo, ascoltarlo, vederlo, toccarlo. Dopo Gesù, l’essere di Dio non si dona in un’idea astratta, che esige il pensiero per coglierlo, ma in una persona che richiede il coinvolgimento dei sensi, compreso il sentimento e, senza dubbio, anche la ragione per formalizzare l’esperienza e poterla narrare a qualcuno. È quello che esprime il grido di Andrea che si dirige pieno di gioia a suo fratello Pietro dicendo: “abbiamo trovato il messia!” (Gv 1,41). È lo stesso che disse Filippo a Natanaele incredulo: “Vieni e vedi” (Gv 1, 46).  Molto più forte è l’espressione dei discepoli che, dopo aver visto il Signore risorto, dicono a Tommaso: “Abbiamo visto il Signore” (Gv 20,25). Il Natale ci consegna un Dio che non si può più apprendere come una teoria filosofica, perché non sta più in cielo, ma è vivo in mezzo a noi: è una persona.

A questo punto si comprende molto bene come l’essere di Dio si affida all’interpretazione di qualcuno che ha visto l’evento. A partire da Gesù non è più possibile dire Dio, narrarlo, in un modo univoco. Non esiste un’unica narrazione di Gesù, perché è un evento che si è donato all’esperienza sensibile di ogni persona. Ecco perché i Vangeli sono quattro e non uno. Ogni narrazione sull’evento non escluda l’altra, ma tutte sono necessarie perché ognuna coglie un aspetto di Dio. La comunità cristiana che pone al centro l’evento di Gesù Cristo, si riconosce dal fatto che fa di tutto affinché le persone possano incontrare l’evento Gesù e poi crea le condizioni affinché le persone possano esprimere le loro narrazioni, le loro interpretazioni, quello che hanno visto, udito, toccato. La comunità cristiana è lo spazio in cui si sperimenta la pluralità delle opinioni e in cui si rispetta ogni narrazione.

Potremmo infine affermare che a Natale Dio abbandona la verità, perlomeno quella intesa in senso metafisico, per consegnarci la persona del suo Figlio Gesù. L’incarnazione è il farsi storia del Figlio di Dio, che ci libera dalla verità, determinando le condizioni in cui non si può più pensare la verità come oggettività metafisica, come rappresentazione fedele e perciò autorevole del modo in cui stanno le cose (G. Vattimo). È stato questo modo d’intendere Dio, che è la negazione di ciò che ci è stato donato nell’incarnazione, ad essere motivo di guerre e di morte. È perché s’intende la verità in modo metafisico, come una verità assoluta uguale per tutti, che non solo si pretende d’insegnare, ma la si vuole difendere ad ogni costo. Chi pensa la verità come un assioma apodittico, astratto fuori dalla storia, non accetta le interpretazioni diverse, ma anzi fa di tuto per annichilirle. La storia della Chiesa passata e recente, è purtroppo piena di queste situazioni d’intolleranza. È dal modo in cui ci avviciniamo al mistero di Dio che possiamo diventare persone terribili o buone. Lo stesso Gesù è stato vittima dell’intolleranza e della cattiveria degli uomini della religione metafisica, dell’idea di Dio astratta, un’idea unica da difendere ad ogni costo. Il Dio che è presente nella persona di Gesù ha smascherato l’arroganza dell’idolo, la violenza esigita dalla verità univoca che non accetta e non ammette differenze.


sabato 8 dicembre 2018

LA LIBERTA’ DI MARIA








Paolo Cugini

Che cosa dice la festa di oggi alla cultura post cristiana e secolarizzata nella quale siamo immersi? Assolutamente nulla, soprattutto quel tipo di spiritualità mariana filtrata dal devozionismo che fa di Maria il massimo prototipo a servizio della cultura patriarcale e maschilista. Forse, però, mai come oggi, abbiamo la possibilità di ascoltare la verità di questo testo per quello che è. E allora, si può finalmente entrare nel Vangelo che narra i primi momenti di Maria nella storia della salvezza per cogliere quello che davvero può dirci.

Che cosa esprime Maria nel testo dell’Annunciazione secondo la redazione di Luca? Prima di tutto una grande intelligenza. Porre domande, mettere in discussione è il contrario di un servilismo cieco e dimesso, come è sempre stata presentata Maria. Qui troviamo la futura mamma di Gesù in un atteggiamento critico, attento, che interroga. Se ci pensiamo bene è lo stesso atteggiamento di Gesù nel tempio che da ragazzino poneva le domande ai dottori della legge. Non si accontenta delle risposte preconfezionate. Non si accontenta della verità che è tale perché viene da un’autorità. Maria avanza con delle domande, pone questioni, apre varchi, vuole penetrare il mistero. C’è molto di Maria nello stile di Gesù.

Maria esprime, in secondo luogo, un atteggiamento di grande libertà. Pone domande non solo chi è intelligente, ma anche chi è libero. La libertà è uno spazio che conquistiamo con la nostra intelligenza, che non ci permette di stare schiacciati dentro degli schemi precostituiti. La libertà di Maria è immensa perché lo schema culturale che avvolgeva l’Israele del suo tempo durava da millenni: il sistema patriarcale. Questo sistema aveva prodotto leggi tutte a favore del mondo maschile a scapito delle donne, leggi che arrivavano persino a controllare l’atteggiamento delle donne nel tempio, nel rapporto con Dio. Maria esprime libertà nei confronti di questo modello patriarcale: non ci sta dentro e non la rappresenta. Potremmo dire che Maria è la capofila di un nuovo modello culturale femminile, che vede la donna con gli stessi diritti e doveri dell’uomo. Maria esprime un diritto di uguaglianza, duro ad imporsi nelle culture.

C’è un ultimo aspetto presente nel testo che rivela la personalità di Maria: è una donna pronta per amare. Maria alla fine del dialogo con l’angelo dice sì. Amare significa arrivare ad un sì, che dice la disponibilità a trasformare un sentimento in un progetto di vita sino alla fine dei giorni. La verità dell’amore dice dell’intelligenza che porta il sentimento sino alle soglie di un progetto di vita. L’amore quando è autentico, è anche espressione di libertà. Maria accetta la proposta dell’angelo perché la sente in sintonia con le proprie aspirazioni. Nonostante fosse promessa sposa di Giuseppe, forse coltivava nel suo cuore qualcosa di diverso che non riusciva a formalizzare. Quest’incontro con quel personaggio misterioso che il Vangelo chiama angelo, rivela a Maria una possibilità di vita che s’incontra con ciò che lei stessa sentiva nel più intimo del suo cuore, vale a dire il cammino di un amore oblativo, di una vita totalmente donata a Dio gratuitamente e per sempre.  

A differenza della tradizione secolare fatta di devozioni che ci presentano una Maria tutta modellata dallo schema patriarcale, una Maria obbediente, silenziosa, docile all’autorità costituita, qui troviamo nel Vangelo una donna forte, intelligente, libera e, per questo, capace di un amore oblativo e fedele. Più della Maria che le devozioni ci hanno consegnato, è la Maria del Vangelo che ha ancora qualcosa da dire agli uomini e alle donne di ogni tempo.

lunedì 3 dicembre 2018

ECCO VERRANNO GIORNI - RITIRO SPIRITUALE DI AVVENTO





RITIRO SPIRITUALE DI AVVENTO
CRISTIANI LGBT

DOMENICA 2 DICEMBRE 2018 – Baccanello di Guastalla

Discepoli di Gesù: un cammino di libertà

 

PRIMA MEDITAZIONE: ECCO, VERRANNO GIORNI (Ger 33,14)

C’è una prima dimensione del tempo di avvento che viene sollecitata dalle prime letture della liturgia che, perlomeno sino a metà avvento sono letture profetiche-messianiche. C’è un annuncio dei profeti per il popolo d’Israele che è rivolto al futuro, che spinge il popolo a guardare lontano, ad alzare lo sguardo, a non fermarsi a ciò che vede dinanzi a sé, ma a spingere lo sguardo altrove, oltre l’apparenza, oltre il dato immediato. È interessante e significativo iniziare l’anno liturgico in questo modo e cioè a non considerare il dato immediato, il dato materiale come l’unico possibile, come l’unico orizzonte possibile: c’è di più. I cristiani sono coloro che camminano con lo sguardo elevato, che guardano lontano, che attendono il compiersi di una promessa.

Il Natale al quale ci prepariamo ci dice che questa attesa non è vana perché si realizza in Gesù. C’è una tensione tra promessa e realizzazione che siamo chiamati a vivere. La fiducia nella Parola di dio significa abitare questa tensione, che è in contrasto con la cultura dell’immediato nella quale viviamo e siamo immersi. Questo aspetto ha alcune ricadute immediate sull’esistenza.

1.      La prima è la fede nella Parola. Fiducia nel Signore, nel Vangelo che è cammino di salvezza ed ha una parola di misericordia per tutti. Il Dio che si è manifestato in Gesù è sovrabbondanza di amore misericordioso. Os 11, Mt 9, 10-13; Gv 8, 1-11 Lc 15. E’ una Parola che dice di uno stile, che ha parole di attenzione, di accoglienza, mai di giudizio e di esclusione. E’ una Parola nuova e sconvolgente che attrae a sé. “In religioso ascolto della Parola” (DV, 1). La Parola è una semente di eternità (1 Pt 1, 22-25).

2.      È questa Parola di amore nella quale pongo la mia fiducia che mi salva: 1 Cor 15, 1-3; Ef 1,13. È la Parola che mi salva: da che cosa? Dalle parole vane, dalle parole ingannatrici, dalla menzogna camuffata di verità (Gv 8, 44).

3.      La seconda è la spiritualità dell’attesa che matura nella pazienza. L’attesa paziente è alimentata dalla fiducia nella Parola di Dio. Traducendo queste affermazioni nel contesto attuale: tutte le volte che nella mia vita presente incontro una parola di Dio mediata dalla Chiesa che è dura ed escludente

4.      Il cristiano è colui che ascolta (Dt 6,4)

5.      Il cristiano che ascolta una Parola di cui si fida, apprende a non consegnarsi alle intuizioni immediate, alla materialità del tempo presente, al qui ed ora, alla pressione di ciò che è attuale, ma con pazienza aspetta che maturino i tempi per operare un discernimento. Si tratta di fare la volontà di Dio, ma questa volontà va oltre la dottrina degli uomini, che nel tempo codificano la Parola.

6.      In questa prospettiva così delineata, il tempo di avvento dovrebbe aiutarci a maturare una spiritualità del discepolato, che indica che la vita è un cammino di liberazione dalla tirannia del tempo, dell’immediatezza e che ha come stella polare irrinunciabile la Parola di Dio.


SECONDA MEDITAZIONE
Discepoli/e del Signore sul cammino della libertà
Marco 3, 1-6: Gesù l’uomo libero. Analisi della scena
Il contesto: è un giorno di sabato nella sinagoga. (leggere Es 20; Dt 5)
I personaggi coinvolti:
ü  L’uomo dalla mano inaridita
ü  I farisei
ü  Gesù
Alzati, vieni qui in mezzo: la prima cosa che Gesù compie è porre nel mezzo colui che era in disparte. Lo pone al centro della comunità. Questo è il compito di ogni comunità cristiana: porre al centro coloro che la società mette da parte, esclude e discrimina.
È lecito in giorno di sabato fare del bene o fare del male, salvare una vita o ucciderla?
Ø  Gesù, con una domanda, provoca la coscienza degli ascoltatori.
Ø  Gesù consegna agli ascoltatori un’interpretazione sui testi della legge che parlano del precetto del sabato. Quest’interpretazione rivela il senso autentico della Legge, che consiste nel liberare l’uomo, offrendogli dei cammini di salvezza. Allo stesso tempo, Gesù mostra i contenuti autentici della Legge di Dio: la vita, il bene.

Disse all’uomo: tendi la mano: Gesù libera l’uomo dal male in giorno di sabato, mostrando il senso autentico della Parola.

Domande:
·         come fa Gesù ad essere così libero?
·         Come fa a vedere oltre la spessa coltre della tradizione?
·         Come fa a vedere il cuore dell’uomo, della donna?

Cammino di Avvento per imparare ad essere persone libere, umane, che sanno discernere
La libertà evangelica:
ü  La verità vi farà liberi (Gv 8,32)
ü  2. Cor 2, 12s

Condivisione:
·         Volevo ringraziare il Signore per essere qui, per ascoltare una Parola di Speranza e d’amore. Siamo qui provenendo da situazioni particolari. Anche nelle situazioni che ci ha sconvolti il Signore è stato presente, anche più di prima. Pericolo dia avere una religione senza fede, una religione atea. Non basta osservare le norme per sentire il problema della presenza del Signore. Non incontriamo il Signore obbedendo semplicemente a delle norme. Il Signore ha fiducia di noi. Tempo di Avvento la sua Parola dev’essere al centro della nostra giornata.

·         Voglio ringraziare il Signore per essere qui, in questo posto sperduto, ma mi aveva dato un appuntamento qui. Sono commossa da questa attenzione che ha avuto per me. Povertà come occasione per chi accorgermi di chi mi vuole bene. Vivo una povertà di affetti, e qui mi sento umiliata e povera, E non ho fiducia che verranno giorni migliori. Spero di maturare una amore adulta, matura: donarmi, essere ciò che a Lui fa piacere.

·         Questo giorno è già nell’ottica della realizzazione della profezia, del “verranno giorni”. Guardando indietro mi sono accorta che Dio attraverso la via che ho percorso, mi ha portato. Ho capito che Dio vuole bene a tutte le cose, anche quando non capisco dove sono. Devo ricordarmi che ho passato un peggio e che c’è quindi un nuovo che Dio prepara. Mentre ero nella situazione negativa, capivo che sarebbero venuti giorni migliori. C’è speranza. I miei figli sono grandi e ho provato la difficoltà economica. L’obiettivo come mamma era quello di non fargli sentire la mancanza delle cose.

·         Anch’io ringrazio Dio, per questo: “verranno giorni”. Sono tanti anni che aspetto e forse dovrò ancora aspettare. È una parola che è già una consolazione.
·         Ringrazio il Signore per queste ore che mi ha dato, anche perché sono state un fuori programma. Tramite le riflessioni capisco che c’erano cose che potevo considerare fuori programma, tutto è servito, perché anche quello che poteva sembrare sbagliato è servito per capire la volontà del Signore su di me. L’ascolto delle persone è importante.

·         Mi ha colpito il contesto in cui Gesù è arrivato. Gesù interpreta le Scritture in modo nuovo rispetto alla Tradizione. Anche noi oggi facciamo fatica nei confronti della Parola e della sua interpretazione. Anche noi siamo poveri in vari momenti della nostra vita. A volte passiamo momenti di povertà in cui sentiamo il bisogno di essere messi al centro. Attenzione a tutti. I criteri per interpretare la Parola sono la vita, la giustizia, la pace, la misericordia.

·         Fammi conoscere Signore le tue vie. Nell’Avvento mettendo al centro il Signore possiamo avere lo sguardo di Gesù, che è nuovo, perché ci permette di vedere al di là delle apparenze.

·         Mi sono interrogato. Mi sono chiesto: io cosa posso fare in questo contesto, nella mia realtà? Faccio fatica a dare una risposta. Mi sono sempre chiesto che cosa posso fare di più? Il Signore non ha detto prima gli italiani: cosa posso fare? Abbiamo cercato di trasmettere ai figli la fede, ma l’hanno rifiutata. Che cosa devo fare? Mi chiedo se la strada intrapresa è quella che il Signore vuole. Perché sono in contrapposizione con quello che vivevo prima? Forse perché era un ambiente autoreferenziale, dove i problemi vengono tenuti nascosti. È un cammino che devo digerire.

·         Vivere la povertà è molto difficile. È difficile liberarmi dalla schiavitù delle cose. Mi affascina il fatto che Gesù metteva al centro la persona. Oggi siamo schiavi di regole, e giudichiamo gli altri.

sabato 20 ottobre 2018

TRA VOI NON SIA COSI’





MARCO 10,35-45
Paolo Cugini

Il Vangelo che abbiamo ascoltato ci mostra uno squarcio della nostra umanità. Nelle richieste di Giovanni e Giacomo, i figli di Zebedeo e nell'indignazione degli altri dieci, c’è tutto quello che siamo e viviamo: ci rappresentano molto bene. C’è tutta un’umanità mossa dall'istinto di sopravvivenza che smuove l’egoismo umano di cui siamo plasmati, producendo relazioni basate sull'interesse personale, il desiderio di sopraffare l’altro, il bisogno atavico di emergere sugli altri. Il testo ci dice chiaramente che i dodici discepoli Gesù non li ha scelti perché sono migliori degli altri: sono esattamente come tutti gli altri, sono come noi. Questo dinamismo egoistico di cui siamo plasmati si trasferisce poi su tutti i livelli dell’esistenza umana. Lo vediamo molto bene ogni giorno leggendo i giornali. Il modello economico neo-liberale produce giorno dopo giorno sempre più poveri e aumenta i soldi nelle tasche dei pochi ricchi, che non s’importano di nulla se i poveri muoiono. I politici che sono al potere pensano agli affari loro e delle loro famiglie, promuovendo operazioni di facciata per illudere la gente e continuare a fare il bello e cattivo tempo. Venendo anche vicino a noi, possiamo tranquillamente dire che l’egoismo manifestato dai discepoli è ben visibile nelle nostre comunità, in cui spesso sono gli interessi personali che prevalgono, a scapito della comunione. Basterebbe partecipare a qualche consiglio pastorale parrocchiale per confermare quanto sto dicendo. Gli stessi dinamismi umani mossi dall’invidia e dall’egoismo hanno segnato profondamente e tristemente la storia della Chiesa. Quello che stiamo accompagnando in questi giorni – pedofilia, odio nei confronti del Papa, scandali nel clero, poca chiarezza nei conti del Vaticano, ecc. – dicono chiaramente che l’umanità dilaniata dall’egoismo umano ha intaccato anche il corpo di Cristo che è la Chiesa. Siamo immersi in un mondo di egoismo: c’è una possibilità di salvezza?

Leggendo il Vangelo e osservando la vita di Gesù, il suo modo di porsi con gli altri, il suo atteggiamento nei confronti dei più poveri, l’attenzione con le categorie sociali discriminate, come le donne, possiamo dire che in lui l’egoismo non ha prevalso. Gesù è l’unico pezzetto di umanità come il nostro, fatto di carne ed ossa come noi in cui a dominare è l’amore. Non c’è traccia di egoismo nell’umanità di Gesù, nella sua storia. Persino sulla croce Gesù ha amato, perdonando coloro che lo stavano uccidendo. Con il suo modo di essere e di agire, Gesù ha impresso dentro la storia umana il principio dell’amore. Gesù è diverso da tutti gli altri non per le cose che ha, ma per come ha vissuto, per il modo in cui si è relazionato con gli altri, per il modo in cui si è donato gratuitamente e disinteressatamente. In Gesù, nel suo modo di amare, i pregiudizi si spezzano, la verità non è più qualcosa di rigido e inarrivabile, ma è donata in modo semplice attraverso gesti umani di accoglienza, di giustizia, di amore. Gesù è il Vangelo, la proposta nuova di vita autentica, un cammino che tutti possono percorrere se lo desiderano.

Gesù è la speranza dell’umanità, è la nostra unica possibilità di salvezza, perché è l’unico che ci può salvare dalla condanna di una vita immersa nell’egoismo che porta alle divisioni, agli odi, alle discriminazioni, in una parola: alla morte. Siccome ha vissuto solo di amore è l’unico che ci può insegnare quello che ha vissuto. Ascoltando e interiorizzando il Vangelo, scopriamo il cammino che Gesù ha preparato non per fondare una religione, ma per aiutarci a divenire più umani, a far risplendere in noi l’immagine di Dio di cui siamo forniti, ma che il nostro egoismo rende opaco. Ha donato a noi il suo Spirito esattamente per questo: per vivere come Lui ha vissuto, per essere nel mondo il segno della diversità che Gesù ha portato, per riuscire a realizzare nei nostri gesti quotidiani, ciò che ascoltiamo nel Vangelo.

È bello vedere come nella prima comunità sorta subito dopo la morte del Signore, la Sua presenza era ben visibile in mezzo ai cristiani nel modo di relazionarsi, di considerare i beni del mondo, di prendere decisione a favore del bene comune e non cercando interessi personali.  È interessante constatare che nella primissima fase storica, quella che va dagli anni Trenta al Sessanta del primo secolo, la Chiesa popolo di Dio non prevedeva divisioni di ruoli. Quando si parlava di Popolo di Dio, s’intendeva tutti i fratelli e le sorelle credenti nel Signore Gesù. Anche i termini di laico e clero, in questa prima fase, non indicavano divisioni di ruoli, ma l’intera comunità. L’unica divisione che si riscontra in quel periodo è tra credenti e non credenti, tra coloro che sono nella comunità e quelli di fuori, mentre all’interno tutti vivevano in comunione.

Gesù è venuto a liberare l’umanità intrappolata dalle catene dell’egoismo, che sviluppa relazioni viziate dall’invidia, dalla gelosia, di bisogno di emergere sopra gli altri. Spetta noi battezzati accogliere lo Spirito del Signore, che è Spirito di libertà, per vivere da figli e figlie di Dio, liberi dalle catene delle dottrine umane, per esprimere nel mondo la diversità che ci viene dal Signore. È questo il nostro compito nel mondo, ed è questa la ragione d’essere della Chiesa, della comunità cristiana. Se viviamo ciò che siamo, se sapremo essere ciò che gratuitamente abbiamo ricevuto, il mondo, vedendo la presenza del Signore in mezzo a noi, avrà la possibilità di credere in Lui.


Se volessimo attualizzare il discorso per fare parlare il testo di Luca nel nostro contesto attuale potremmo dire: tra di voi, cioè tra noi cristiani che seguiamo il Signore non ci possono essere discriminazioni, esclusioni di persone, come invece avviene tutti i giorni nel mondo.  Tra noi cristiani non ci possono essere pregiudizi. Tra di noi, che siamo in questa chiesa attorno allo stesso banchetto eucaristico, non ci possono essere persone che stanno meglio delle altre, perché contraddiremmo il corpo di Cristo di cui ci alimentiamo. Siamo di Cristo quando accogliamo tutti e tutte come Lui faceva; siamo discepoli e discepole del Signore quando sappiamo vedere nell’altro che incontriamo un fratello, una sorella e non una categoria elaborata dal pregiudizio sociale. Noi non possiamo essere come quelli che vivono nel mondo: siamo diversi, perché amati dal Signore, chiamati da Lui ad essere segno della sua presenza nel mondo.  

sabato 6 ottobre 2018

LO STILE ACCOGLIENTE DI GESÙ





V FORUM CRISTIANI LGBT
5-7 OTTOBRE 2018
ALBANO LAZIALE


Riflessione di J. Martin
Sintesi: Paolo Cugini

Martin propone un confronto tra la proposta di Giovanni Battista e quella di Gesù. Mentre Giovanni Battista mette d’innanzi la conversione e poi l’inclusione nella comunità. Per Gesù, invece, c’è prima la comunità e poi la conversione. Prima di tutto Gesù accoglie le persone. Lo si vede bene nei vangeli. La conversione che Gesù propone è la conversione a cui siamo chiamati tutti. Martin si sofferma sulle storie di alcune persone che si sentivano ai margini narrate nei vangeli.

 La prima è il centurione romano. Mt e Lc raccontano di un centurione che vive a Cafarnao, un villaggio di circa 1550 abitanti. Gesù si propone ad andare a casa del centurione come segno di accoglienza. Il Centurione dice che non è necessario. Gesù guarisce il servo del centurione. Il centurione è un pagano e forse non è nemmeno monoteista, lontano dal mondo giudaico. E’ emarginato e oltre i margini. Quante persone LGBT si sentono così? Gesù lo incontra, lo ascolta, lo accoglie. Così dobbiamo accogliere le persone che si sentono ai margini.

La Samaritana. Gesù si reca ad un pozzo ed incontra una donna Samaritana in Gv 4. Durante la conversazione Gesù gli manifesta la sua identità. Secondo la tradizione Gesù non dovrebbe parlare con lei perché è donna e pagana. Gesù la ascolta e le rivela la sua identità; Gesù non l’accusa pubblicamente, ma la ascolta e interagisce con lei. La Samaritana, a causa della sua situazione, è tenuta ai margini della comunità. Quante persone LGBT si sentono così nella Chiesa? La Samaritana, grazie all’incontro con Gesù, diviene un’apostola e viene reintegrata nella comunità.

Lc narra l’incontro di Gesù con Zaccheo. E’ un simbolo delle persone LGBT, perché si sentono molto emarginate. Zaccheo è piccolo di statura. Quante volte la folla si mette di traverso tra Gesù e le persone LGBT! In mezzo alle persone Gesù decide di parlare con Zaccheo e non con le persone più facoltose della città. Il Vangelo dice che: “tutti quelli che videro iniziarono a mormorare”. Quando offri misericordia, molti mormorano. Per Zaccheo la conversione significa donare ai poveri. Gesù cerca le persone che si sentono ai margini.

Due posizioni, allora, si possono assumere nei confronti delle persone LGBT:
a.       Dalla parte della folla a mormorare e giudicare
b.      Dalla parte di Gesù per accogliere e andare incontro a chi è ai margini





venerdì 5 ottobre 2018

DIO NON DISCRIMINA NESSUNO





V FORUM CRISTIANI LGBT
ALBANO LAZIALE
VENERDÌ 5 OTTOBRE 2018

Atti 15,1-12: RIFLESSIONE DI PADRE PINO PIVA
Sintesi: Paolo Cugini
E’ bello leggere questo brano nel contesto del Sinodo dei giovani, perché ricorda qualcosa che è accaduto subito dopo la morte di Gesù. E’ bello vedere come negli Atti degli Apostoli è una voce liberante, è una voce che libera e non lega.
C’è poi la parresia, il coraggio di Paolo e Barnaba: Dio non discrimina e accoglie tutti. Questa accoglienza per tutti dev’essere visibile.

Paolo e Barnaba dicono che se gli ebrei non accettano il dono della grazia, allora si dirigono ai pagani.
Andare oltre alla legge, per cogliere il cuore. La circoncisione era la legge esterna. Pietro sottolinea che non è il segno esterno che può distinguere, ma il cuore. Lo Spirito Santo scese su di tutti. La purificazione del cuore e l’adesione a Dio si fa mediante la fede e non attraverso una legge esterna.
Tutti possono amare Dio e non qualcuno.

Quando il Signore diventa il centro della mia vita, allora tutto cambia, perché tutto viene assunto da Lui e tutto diviene una meraviglia: la mia vita, quella che mi ha dato.
I Segno che Dio abita in noi: sono i frutti dello Spirito. Galati 5,22s: amore, gioia, pace, magnanimità, apertura verso tutti, bontà, fedeltà, dominio di sé. Se vivo questo significa che sono dello Spirito, al di là di quello che gli altri possono dire, soprattutto quelli legati da una legge esterna.
Dio mi abita e io abito in Dio e la mia vita è pinea di prodigi e segni e lo testimonio.

giovedì 2 agosto 2018

IO SONO IL PANE DELLA VITA (Gv 6, 24-35)





Paolo Cugini


Il brano del Vangelo di oggi si chiude con un’affermazione impressionante. Gesù si dichiara il pane della vita: che cosa significa? La risposta a questa domanda è importante, perché ci permette di cogliere il significato che l’Eucarestia ha per noi, per la nostra vita.
Che cos’è l’Eucarestia nella Chiesa e nella vita di una comunità? E’ un rito che è stato rivestito di un’obbligatorietà, di un precetto la cui osservanza è avvertita come necessaria per ereditare il Regno dei cieli? Questa precettistica e obbligatorietà oggi è percepita solamente dai cristiani di una certa età e dai movimenti cattolici conservatori. Le nuove generazioni, che sono nati e vivono immersi nella cultura postmoderna liquida e non hanno nulla da spartire con l’epoca della cristianità, non sentono l’esigenza di questi riti propiziatori, anche perché non s’interessano né del passato né del futuro, ma vivono immersi nel presente. Ecco perché diviene importante cercare di comprendere il brano di Vangelo di questa domenica.

In quel tempo la folla… si diresse a Cafarnao alla ricerca di Gesù
C’è una folla alla ricerca di Gesù. Già questo è un indizio che rivela l’impostazione di un tema. Solitamente la ricerca di Dio avviene personalmente. Qui abbiamo una folla. E’ una ricerca che sembra viziata in partenza. La folla è anonima, senza volto e senza identità: che senso può avere questa ricerca? Che cosa può cercare di buono una folla? Da che cosa è mossa la ricerca della folla? Non basta cercare Gesù per essere salvi: dipende come lo ricerchi e con chi e perché. Non basta andare in chiesa e partecipare a dei riti e a dei precetti per essere salvi; dipende con che intenzioni ci andiamo, con chi, a fare cosa e perché? Per riconoscere nel volto di Cristo la presenza di Dio occorre uscire dalla folla, occorre cioè metterci la faccia, assumere un’identità, distinguersi, prendere le distanze da ciò che ci nasconde dietro ad un anonimato che è controproducente. Finché rimaniamo tra la folla non siamo nessuno, soprattutto, non siamo qualcuno che Gesù può identificare per dirigerci la sua Parola. Il cammino di fede nasce quando abbiamo il coraggio di uscire allo scoperto, abbandonare la falsa sicurezza della folla, per cercare la protezione del Signore.

In verità in verità di vita voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati
Le parole di Gesù rivelano due livelli di esistenza: la vita materiale e quella spirituale. Due livelli che non sono contrapposti, ma interdipendenti e necessari. La vita materiale, nella condizione di vita umana, dev’essere guidata da quella spirituale: è questo l’ordine delle cose. Il senso di una comunità cristiana dovrebbe servire a questo: aiutare le persone a scoprire il tesoro prezioso della propria vita interiore, della bellezza della preghiera, della meditazione, del mondo spirituale che dà un senso e dei significati alla vita materiale. Gesù smaschera gli uomini della folla che vivono e cercano ciò che sazia, che sfama, che vivono, cioè, ad un livello materiale e non riescono vedere al di là della materialità delle cose e, per questo, non riescono a capire la profondità del messaggio di Gesù. C’è tutta una religione che rimane ad un puro livello materiale e che soddisfa l’istinto di sopravvivenza. Questa religione è a servizio dell’ego soggettivo e non permette nessun cammino al di fuori di sé. Sino a quando rimaniamo nella folla viviamo solamente al livello materiale e soddisfiamo i desideri che derivano dall’istinto di sopravvivenza.

Avete visto dei segni: che cosa vuole dire Gesù con questa espressione? Ci sono dei dati materiali, degli eventi storici che sono portatori di un significato che dev’essere interpretato. Ci sono delle situazioni e anche degli elementi materiali che Gesù ha rivestito di significati che devono essere scoperti, capiti, interpretati e che dicono qualcosa di Lui, della sua presenza, del suo modo di essere e di vivere. In questo caso l’evento di riferimento è la moltiplicazione dei pani e dei pesci il cui primo significato non è l’aver soddisfatto la fame di tante persone, ma di essersi interessato a loro. Il segno che Gesù ha posto dentro l’evento e anche nei pani e nei pesci distribuiti è il significato di una vita per gli altri. Gesù vuole condurre la folla dentro questo mistero, che è il significato autentico della vita e cioè, che la vita che abbiamo ricevuto come un dono ha senso solamente quando viene donata gratuitamente.

Avete mangiato di quei pani e di qui pesci
C’è una fame che muove verso una ricerca. Di che cosa abbiamo fame? Di che cosa ho fame? Cerco ciò che mi alimenta e soddisfa i miei desideri. Che cosa desidero? Di che cosa ho bisogno? Di che cosa ho bisogno per soddisfare il mio desiderio reale? Gli uomini della folla cercano Gesù solamente perché ha soddisfatto la loro fame fisica. Per questo tipo di soddisfazione non c’è bisogno di Gesù: lo può fare chiunque nel mondo. Ciò che invece solo Gesù può fare è alimentare la nostra anima rivelando il significato della vita.

Datevi da fare non per il cibo non per il cibo che non dura, ma per il cibo che rimane per la vita eterna
Gesù non le manda a dire, ma va subito al centro del problema. C’è il rischio di trascorrere tutta una vita senza arrivare al cuore del problema. C’è il rischio di trascorre tutta la vita all’ombra del campanile senza riuscire a cogliere l’essenza della vita di fede. C’è un alimento che riempie il vuoto che si forma nella nostra vita, dentro di noi, quel vuoto che riempiamo con la materia, ma che dev’essere invece riempito con qualcosa d’altro. E’ Gesù l’alimento di cui abbiamo bisogno, è Gesù il pane della vita, quell’alimento che dura per sempre e che dà un significato perenne alla nostra esistenza affinché tutta la nostra vita, in ogni singolo gesto e in ogni singola scelta diventi come il cibo che mangiamo e che Gesù ci dona, vale a dire: amore.