XXIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO
Ez 33,7-9; Sal 94; Rm
13,8-10; Mt 18,15-20
Paolo Cugini
La cultura post-moderna
nella quale siamo immersi, incentiva ogni forma di individualismo come stile di
vita proteso alla soddisfazione dei propri bisogni. Questo modo di pensare ha
contaminato anche la religione. La devozione moderna, sganciata dai contenuti
biblici, ha fomentato un modo di avvicinarsi al sacro tutto incentrato sul
rapporto individuale con Dio, mettendo a disposizione una serie di artifici
devozionali per meritarsi la salvezza. La comunità, in questa prospettiva, è un
accessorio secondario, senza dubbio non importante per il raggiungimento della
salvezza che è una questione di merito individuale. Il capitolo 18 del Vangelo
di Matteo, che ci verrà proposto nelle prossime domeniche, ci allerta che, in
realtà, in quella realtà che Gesù ci ha manifestato, la comunità di fratelli e
sorelle è il luogo esistenziale in cui siamo chiamati a vivere l’adesione al
suo Vangelo. È, infatti, nella comunità che sperimentiamo la sua presenza e, di
conseguenza, le relazioni umane con i membri della comunità hanno un valore
molto importante nella vita dei discepoli e delle discepole del Signore.
In quel tempo, Gesù disse
ai suoi discepoli: «Se tuo fratello commetterà una colpa contro di te, va' e
ammoniscilo fra te e lui solo…
Nella comunità dovrebbe
risplendere la comunione trinitaria: è questa la grande sfida. Per questo
motivo, il Vangelo di oggi ci invita a sentire la responsabilità nei confronti
di ogni fratello e sorella e, in modo particolare, quando qualcuno ci offende.
In questi casi, è importante notare che Gesù non dice che chi ha offeso deve
andare a chiedere scusa, ma il contrario. Chi ha ricevuto l’offesa da un membro
della comunità, deve attivare un percorso che ricucisca al più presto lo
strappo causato dalla colpa. C’è un itinerario che Gesù indica, che va dalla
relazione personale, al coinvolgimento di qualche membro della comunità, sino
al coinvolgimento dell’intera comunità. Questa indicazione è molto importante perché
indica non solo che ogni persona nella comunità ha pari dignità, ma anche che
ogni fratello e sorella deve sentire la responsabilità nei confronti di ogni
membro della comunità. Del resto, è proprio questo il significato della scelta
della prima lettura. Il profeta Ezechiele, infatti, insite sulla responsabilità
nei confronti di coloro che fanno il male: Ma se tu avverti il malvagio
della sua condotta perché si converta ed egli non si converte dalla sua
condotta, egli morirà per la sua iniquità, ma tu ti sarai salvato» (Ez
33,9). Abbiamo una responsabilità nei confronti delle sorelle e dei fratelli
che il Signore ci pone accanto nella comunità e, per questo, non possiamo
essere ommessi. Sono parole che dicono no all’individualismo devozionale,
parole che sono in controtendenza alla cultura individualista post-moderna e,
di conseguenza, indicano lo stile nuovo di vita della comunità cristiana che si
riconosce nel nome di Gesù. In questa comunità deve essere visibile la presenza
del Signore, che è pace, comunione, fraternità e sororità. Quando questa viene
minacciata da relazioni problematiche e conflittuali tra i membri della
comunità, che arrivano a ledere profondamente la comunione, tutti devono
sentirsi responsabili per recuperare al più presto la pace.
Perché dove sono due o
tre riuniti nel mio nome, lì sono io in mezzo a loro. Il Vangelo di Matteo inizia
ricordandoci che Dio è in mezzo a noi (Mt 1,23) e termina allo stesso
modo, quando Gesù rincuora i suoi al momento della sua dipartita dicendo loro: io
sono con voi tutti i giorni fino alla fine del mondo (Mt 28, 20). Questo
stesso annuncio Gesù lo ripete a metà del cammino: che cosa significa? Sono
parole di consolazione e, allo stesso tempo, d’identità. La presenza misteriosa
del Signore rivela il suo modo discreto di accompagnare la comunità dei
discepoli e delle discepole ed è un incoraggiamento per tutti coloro che hanno
fatto del Vangelo il punto di riferimento per le proprie scelte e per impostare
uno stile di vita evangelico. Allo stesso tempo, le parole di Gesù ci ricordano
che la sua presenza non è appena nell’istituzione religiosa, ma in ogni
ambiente vitale in cui le persone, anche solo due, si riuniscono nel suo nome.
Sono parole che incentivano la dimensione famigliare della comunità cristiana,
il piccolo gruppo che cerca nel Vangelo ispirazione per il proprio cammino. Per
sentire la presenza del Signore nella nostra vita, non abbiamo bisogno di
aspettare le indicazioni da Roma, ma è sufficiente incontrarsi per ascoltare la
parola di Gesù che illumina i nostri passi e le nostre scelte.
Facciamo nostre le parole di Paolo ascoltate nella seconda lettura, quando ci dice: qualsiasi altro comandamento, si ricapitola in questa parola: «Amerai il tuo prossimo come te stesso». La carità non fa alcun male al prossimo: pienezza della Legge, infatti, è la carità (Rom 13, 10). Amiamo i fratelli e le sorelle della comunità perché, quando questo avviene, manifestiamo a tutti la presenza del Signore in mezzo a noi, affinché il mondo si converta e creda.
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