(Ger
1,4-5.17-19: Sal 70; 1Cor 12,31 - 13,13 Lc 4,21-30)
Paolo
Cugini
Lc 4,21-30
In quel tempo, Gesù cominciò a dire nella sinagoga: «Oggi
si è compiuta questa Scrittura che voi avete ascoltato». Tutti gli davano
testimonianza ed erano meravigliati delle parole di grazia che uscivano dalla
sua bocca e dicevano: «Non è costui il figlio di Giuseppe?». Ma egli rispose
loro: «Certamente voi mi citerete questo proverbio: “Medico, cura te stesso.
Quanto abbiamo udito che accadde a Cafarnao, fallo anche qui, nella tua
patria!”». Poi aggiunse: «In verità io vi dico: nessun profeta è bene accetto
nella sua patria. Anzi, in verità io vi dico: c’erano molte vedove in Israele
al tempo di Elia, quando il cielo fu chiuso per tre anni e sei mesi e ci fu una
grande carestia in tutto il paese; ma a nessuna di esse fu mandato Elia, se non
a una vedova a Zarepta di Sidone. C’erano molti lebbrosi in Israele al tempo
del profeta Eliseo; ma nessuno di loro fu purificato, se non Naamàn, il Siro». All’udire
queste cose, tutti nella sinagoga si riempirono di sdegno. Si alzarono e lo
cacciarono fuori della città e lo condussero fin sul ciglio del monte, sul
quale era costruita la loro città, per gettarlo giù. Ma egli, passando in mezzo
a loro, si mise in cammino.
Continuiamo la lettura del Vangelo di Luca che ci
propone la reazione del popolo d’Israele a quella che potremmo chiamare la
prima omelia pubblica di Gesù. Senza tani giri di parole possiamo
tranquillamente affermare che è stata un fallimento, nel senso che non è
piaciuta per niente, al punto che cercano di ucciderlo. Durante la sua difesa
alla reazione negativa del popolo, Gesù cita due brani che appartengono alla
memoria negativa di Israele, nel senso che il popolo non ama ricordare. Si
tratta, infatti, di quegli episodi in cui Dio aiuta i pagani a scapito degli
israeliti. Sono episodi che avrebbero dovuto provocare una riflessione all’interno
del popolo, per una crescita sui dinamismi della fede provocati da JHWH. Al
contrario, la scelta di Dio provoca insofferenza e disappunto: il popolo non
coglie e non vuole ascoltare la portata spirituale e storica di questi eventi e
li mette nel dimenticatoio. Citando questi esempi Gesù ne rivela il senso,
attualizzandoli riferendoli alla sua persona. Gesù, infatti, è venuto a
mostrare il cammino tracciato da Dio sin dall’eternità, cammino che è aperto a
tutti coloro sono attenti ai fratelli e alle sorelle più povere e bisognose,
vivendo, in questo modo, il comandamento centrale cdi Dio: l’amore al prossimo.
I capi d’Israele non riescono ad accettare queste aperture proprio perché hanno
vissuto il rapporto con Dio confinandolo nella dimensione cultuale, rituale,
nei sacrifici, nei canti di lode. In fin dei conti, per Israele, vivere in Dio
significava partecipare alle liturgie del tempio, alle feste liturgiche, ai
culti. Soprattutto dopo il ritorno dall’esilio in Babilonia e la costruzione
del secondo tempio, in Israele sparisce il profetismo e s’instaura una
religione che fa dei riti liturgici un sistema così particolareggiato da
identificare la religione con il culto, andando lentamente fuori dalla proposta
di JHWH. È questo spostamento che Gesù è venuto a criticare e a modificare ed è
naturale la reazione negativi dei capi religiosi.
In verità io vi dico: nessun profeta è bene
accetto nella sua patria. Gesù si pone sulla linea dei profeti, di coloro
che nella storia d’Israele hanno provocato il popolo proponendo prospettive
nuove, cercando di scrollare il popolo dal costume di sedersi sul passato e, in
questo modo, non permettere alla parola di Dio di orientare il presente
intasato dai detriti del passato. È questo il motivo della dura reazione del
popolo che lo cacciano fuori dalla città per ucciderlo. Coloro che cercano di aiutare
il popolo a comprendere il senso della realtà, a comprenderla alla luce del
Vangelo, della novità di Gesù illuminata dall’azione dello Spirito Santo,
vengono respinti, rifiutati. Probabilmente è questo il senso profondo e la
vocazione della comunità cristiana: essere segno di contraddizione, stimolo
verso la novità del Regno.
Si alzarono e lo cacciarono fuori della città. Nella
vita di Gesù il pericolo non viene dall’esterno, ma dall’interno, vale a dire,
dalla religione, da coloro che gestiscono il tempio, il culto. Gesù non correrà
mai pericolo con i peccatori, le prostitute, i pubblicani, i poveri: questo è
un dato di fatto. Per Gesù i luoghi e le persone più pericolose saranno luoghi
e persone religiose. Saranno questi che cercheranno di eliminarlo, lapidarlo, ammazzarlo.
Come mai avviene questo? Perché Gesù è venuto a mostrare con parole e opere il
senso autentico del rapporto con il Padre che conduce all’amore fraterno, alla
sororità, all’attenzione verso tutte e tutti. I capi religiosi del popolo,
invece hanno trasformato questo annuncio di amore, in una sterile osservanza di
leggi volute da loro per controllare la vita del popolo. Per questo motivo, le
parole e le azioni di Gesù li irritano al punto da volerlo morto.
Ma egli, passando in mezzo a loro, si mise in
cammino. C’è in questo versetto, un’anticipazione della resurrezione. La morte
non si è impadronita di Gesù, ma Gesù continua il suo cammino. Gesù è il
Signore della storia, degli eventi: ci passa in mezzo. Chi proviene dal
silenzio ed è abituato ad ascoltarsi, a confrontarsi con la voce della propria
coscienza non si lascia schiacciare dagli eventi, non permette a ciò che è
immediato di confondere ciò che viene dal profondo. Chi ha lo sguardo rivolto
al Padre e vive il presente con questo sguardo di amore negli occhi, fa di
tutto per trascinare il presente in quella direzione, trasformando, se è
necessario, quello che incontra. Questa è la differenza tra un maestro e un
principiante, tra un padre o una madre, e il figlio, la figlia. Chi è testimone
del perdono e dell’amore di Dio non si ferma mai neanche quando è in gioco la
propria vita.
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