Paolo Cugini
È senza dubbio una delle solennità più importanti
della Chiesa cattolica. A mio avviso, nei secoli, se ne è perso il significato
profondo perché è stata rivestita pesantemente di sacralità, che non permette
di cogliere la dimensione esistenziale e spirituale del gesto e delle parole che
Gesù ha pronunciato nell’ultima cena. In questo frangente, infatti, Gesù profetizza
quello che avverrà dopo poche ore, vale a dire la sua morte in croce, come conseguenza
delle sue scelte, del suo desiderio di liberare l’uomo e la donna dai pesi di
una legge, fatta passare per legge di Dio, ma che in realtà era piena di tradizioni
umane che soffocavano la vita degli uomini e delle donne. Era proprio su queste
tradizioni umane che si reggeva il potere degli uomini del Tempio, la loro
fonte di ricchezza e, allo stesso tempo, motivo di frustrazione di tante
persone. Gesù, durante la sua vita pubblica, ha smascherato la loro impostura,
manifestando il volto autentico di Dio che è Padre, che ama tutti i suoi figli
e figlie e che, dunque, non ha nulla a che vedere con il Duo sanguinario,
prepotente e vendicativo degli uomini del tempio. Amare significa aiutare le
persone a vivere bene, a liberarsi dei pesi delle tradizioni inutili e nocive,
per concentrarsi sull’essenziale, promovendo processi di giustizia e di pace: è
questo che ha fatto Gesù ed è per questo che ha pagato caro.
Se
tutto questo è vero possiamo chiederci: che cosa c’entra la prima parte del
Vangelo di oggi con il resto? In effetti, sembra una narrazione completamente
slegata dal contesto. Viene dedicato spazio alla ricerca e alla preparazione
della stanza in cui celebrare la cena pasquale. Ci sono dettagli che sembrano
marginali, ma che se guardati in profondità, diventano la chiave
d’interpretazione di certi testi. Ad un certo punto qualcuno si è chiesto: “ma
cosa ci fa un uomo con una brocca d’acqua in testa in questa storia?” E poi: “non
sono le donne a portare le brocche, tanto più all’interno di una cultura
patriarcale come quella giudaica?”. Seguendo questo indizio, che all’inizio
sembra più una curiosità che un punto importante della ricerca, si è scoperto
che, all’epoca di Gesù esisteva un quartiere in cui erano gli uomini a portare
le brocche d’acqua: era il quartiere degli esseni. Questo dato è importante.
Infatti, gli esseni utilizzavano non il calendario lunare dei farisei e degli
scribi, ma quello solare, che permetteva di celebrare le feste sempre lo stesso
giorno dell’anno, inserendo ogni sei anni una settimana (Paolo Sacchi). Oltre a
ciò, l’indicazione di Gesù: “la mia stanza” rivela una frequentazione del
Maestro al gruppo degli esseni, conosceva le loro pratiche, i loro riti, il
loro stile di vita. Se questo è vero, l’ultima cena diventa l’ultimo atto di un
dramma, vale a dire, l’ultima scelta operata da Gesù in polemica con i farisei
e, in questo modo, proprio questo brano, in apparenza innocuo, offre una delle
chiavi d’interpretazione dell’ultima cena.
Più
che una morte sacrificale, com’è stata interpretata negli stessi vangeli, si
tratta di una morte come conseguenza di una netta presa di posizione nei
confronti della religione del tempio, dello strapotere dei farisei sul popolo.
Gesù è venuto per liberare l’umanità da ogni forma di schiavitù, per aiutare
ogni persona a vivere non da schiavi, ma da figli di Dio. Questo cammino di
liberazione, che ha provocato il durissimo scontro con i farisei, ha avuto la
conseguenza la morte di Gesù e, allo stesso tempo, ha aperto per sempre il
cammino della nuova relazione con Dio, il padre misericordioso.
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