domenica 29 gennaio 2017

BEATITUDINI



Paolo Cugini

Il bambino dipende senza riserve, dall’esistenza della madre, come non accade in nessun altro legame umano. Il volto della madre, per il bambino, è la prima apparizione del mondo” (Massimo Recalcati, Le mani della madre).

Che cosa sono le Beatitudini di Gesù, che cosa esprimono? Non rappresentano alcuna teoria, alcuna riflessone filosofica. Sono invece, nient’altro che il frutto della riflessione di Gesù, di quello che Lui aveva capito della vita. E da chi l’aveva capito? A me sembra che le beatitudini, oltre ad esprimere i tratti fondamentali dell’umanità di Gesù, quei tratti che poi lo Spirito Santo tenta di formare in coloro che si rendono disponibili alla sua opera, esprimono quello che aveva assorbito dai suoi genitori, da sua madre e da sua padre. Infatti, è stato il modo in cui è cresciuto il grande prodigio, il modo in cui è stato amato la grande risorsa della sua esistenza. Da dove ha preso Gesù tutta quella libertà se non dalla fiducia che sua madre Maria aveva per Lui? E dov’ha preso Gesù tutta quella forza e quella fermezza, che ha espresso tante volte nella vita adulta, se non nella coscienza di essere stimato ed amato da Giuseppe? Potrebbe essere questo il prodigio: una madre che crede fino in fondo nel suo figlio, un padre che dà fiducia senza riserve al figlio. Genitori e figlio che agiscono secondo le leggi che Dio ha iscritto in noi. Un bambino ha solo bisogno di suo padre, sua madre e della sua famiglia. Il resto lo dirà il tempo. Le parole di un uomo dicono qualcosa della madre. I pensieri di un uomo, rivelano il volto del padre.

La prodigiosa persona di Gesù proviene non solamente dall’alto, ma dalla relazione di paternità e maternità. È per come è stato educato che è venuto fuori così. È per come è stato amato che ha potuto esprimere con libertà il suo pensiero. Sono la qualità delle relazioni che viviamo nell’infanzia che ci umanizzano o disumanizzano. C’è un DNA educativo che forma la personalità, plasma l’identità, lasciando dei segni indelebili. Noi siamo il volto di nostra madre, siamo il cuore di nostro padre.

E allora nelle beatitudini Gesù esprime ciò che h assimilato dalla sua famiglia. Chi era infatti, più povero in spirito di suo padre e sua madre, di Giuseppe e Maria? I poveri di spirito nella tradizione biblica che troviamo ad esempio in Isaia e Sofonia, sono coloro che hanno fatto della loro vita un totale servizio al Signore, una totale donazione a Lui. Sono gli anawim, i poveri di IHWH. Che cosa sono stati Maria e Giuseppe se non degli anawim, dei poveri di IHWH, nel senso più vero del termine?

Dove ha trovato Gesù l’ispirazione per definire beati i puri di cuore? Possiamo chiederci: ma chi ha avuto nella storia dell’umanità il cuore più puro di Giuseppe? Per dirigersi a lui Dio Padre non ha avuto bisogno di pensare a grandi strategie, ma gli è bastato apparirgli in sogno.

Dove ha trovato, Gesù, la fame e sete di giustizia, se no dalla condizione di povertà che viveva la sua famiglia. Solo che sente sulla pelle i problemi, le ingiustizie causate dai potenti di turno, può capire la realtà e sente il desiderio di cambiarla per riportarla nell’orizzonte voluto dal Padre. Per questo, poi Gesù, chiama tra i suoi discepoli non dei ricchi, collaboratori dell’impero del male, ma dei poveri pescatori che sentivano sulla loro pelle le ingiustizie dei prepotenti del mondo e che capivano che cosa voleva dire portare il peso di una ingiustizia.

 Come si fa, poi, a non essere dei miti con un padre come Giuseppe, con una madre come Maria? Quante volte Gesù avrà visto suo padre rispondere senza severità e durezza alle provocazioni dei prepotenti. Quante volte avrà osservato tutta la delicatezza dei gesti e dei modi di sua madre Maria? L’ambiente ci plasma, quello che assimiliamo nell’infanzia dalle persone che ci circondano modellano la nostra umanità.
Beati noi, allora, se sapremo anticipare le parole con dei gesti che le spiegano. Tutto diventerà più semplice.



domenica 22 gennaio 2017

SI RITIRO' NELLA GALILEA




Paolo Cugini
Non è facile ascoltare questo brano e cogliere quello che vuole dire, visto che è stato brutalmente deturpato da secoli di predicazione faziosa, di predicazione clericale che si è indebitamente impossessato di questo testo attribuendogli significati che non sono suoi. Come se la chiamata riguardasse solamente i preti e le suore, come se la vocazione appartenesse solamente a coloro che entrano in seminario. Questa lettura distorta dei brani che narrano la chiamata di Gesù nei primi discepoli rivela l’idea di Chiesa che c’è sotto, vale a dire la chiesa che s’identifica con la gerarchia, con il clero, in una parola la Chiesa clericale. Ascoltare questo brano senza cadere nelle trappole dello spiritualismo vuoto, necessita di uno sforzo di studio e di attenzione. Proviamoci.

Quando Gesù seppe che Giovanni era stato arrestato, si ritirò nella Galilea, lasciò Nàzaret e andò ad abitare a Cafàrnao , sulla riva del mare, nel territorio di Zàbulon e di Nèftali, perché si compisse ciò che era stato detto per mezzo del profeta Isaìa: «Terra di Zàbulon e terra di Nèftali, sulla via del mare, oltre il Giordano, Galilea delle genti!(Mt 4,12)

perché è così importante questa indicazione geografica per la storia della salvezza? È da dove viviamo che si formano le nostre idee, la nostra concezione del mondo. Una cosa è guardare il mondo da un castello. Tutta un’altra visone la si ha se si vive in una casetta povera o in una grotta, nell’indigenza. La realtà precede l’idea. Questo pensiero che il papa Francesco ha espresso nella Evangeli Gaudium offre una chiave di lettura della scelta che sta dietro al fatto che Dio ha deciso di trascorrere i primi trent’anni della vita in Galilea. E allora che posto è questo? Nazareth era talmente un non-luogo che anticamente non si trovava nella lista dei villaggi di Zabulon Ebbene, la cosa misteriosa e, allo stesso tempo straordinaria, è che Gesù ha trascorso i suoi primi trent’anni proprio in questo non-luogo, in questa terra dimenticata e ricolma d’ingiustizie.       La Galilea ai tempi di Gesù era una terra estremamente feconda e, allo stesso tempo e paradossalmente pieni di poveri. Infatti tutto quel ben di Dio era nelle mani di pochi latifondisti. Tranne qualche piccolo proprietario terriero la maggior parte della popolazione andava a lavorare a giornata o era mendicante. Nelle parole di Gesù sentiremo i frutti di questa esperienza dura che lui stesso visse e vide di persona. E poi c’era la pressione fiscale sia dei romani che dei politici locali e, soprattutto del tempio, Anche i piccoli agricoltori soffocati da questa pesante pressione erano costretti a vendere i loro terreni e rimanere così schiacciati dalla morsa dei debiti. Gesù ha respirato a pieni polmoni quest’aria piena d’ingiustizie e oppressione e ne ha fatto tesoro, desiderando ricostruire il mondo di giustizia del Padre

Da allora Gesù cominciò a predicare e a dire: «Convertitevi, perché il regno dei cieli è vicino»

Che cos’è il Regno dei cieli? È Gesù stesso. Nell’umanità di Gesù non è la terra che conta, ma il cielo. Gesù ha trascorso la sua adolescenza e la sua giovinezza in ascolto della realtà circostante e verificandola alla luce della Parola di Dio e del suo rapporto con il Padre. Il regno dei cieli è il progetto di amore del Padre, quello che è stato creato all’origine del mondo, che l’umanità ha deturpato a causa dell’egoismo e che Gesù ha ricostruito lasciandosi guidare dall’amore del Padre. In Gesù non c’è un atomo di terra, ma tutto è cielo. Ecco perché la prima predicazione è un invito alla conversione, al cambiamento, che consiste nel fare spazio al cielo nella nostra vita.

Mentre camminava lungo il mare di Galilea, vide due fratelli, Simone, chiamato Pietro, e Andrea suo fratello, che gettavano le reti in mare; erano infatti pescatori. E disse loro: «Venite dietro a me, vi farò pescatori di uomini». Ed essi subito lasciarono le reti e lo seguirono.


Che cos’è un pescatore nella terra di Zabulon se non un poveraccio? Gesù chiama una coppia di fratelli pescatori, che senza dubbio ne sapevano qualcosa della vita, della vita segnata dall’ingiustizia. Certamente non poteva chiamare i figli di Eroe, o i figli dei nobili della Galilea, i figli di coloro che erano la causa del disastro sociale d’Israele. Solo chi ha nella carne i segni dell’ingiustizia sente il desiderio della giustizia. Gesù questo lo sapeva bene e per questo chiama questa coppia di poveri pescatori per aiutarli a ricostruire il mondo così come l’aveva pensato Dio all’inizio.

venerdì 13 gennaio 2017

L'AGNELLO DI DIO






L’AGNELLO DI DIO CHE TOGLIE IL PECCATO DEL MONDO
Paolo Cugini
Iniziamo l’anno liturgico ripartendo da un punto, che è per eccellenza il punto di partenza in assoluto del cammino spirituale: il deserto. Giovanni è la voce che grida nel deserto. Il deserto è il non luogo, lo spazio del nulla. È importante ripartire da qui, per sentire il nulla della nostra vita, per avere la possibilità di capire che cosa stiamo mettendo dentro ad essa e cogliere che cosa vale davvero la pena d’investire con le nostre forze.  Nel deserto veniamo messi a contatto con la nostra nudità, con la nostra identità di figli e figlie amati dal Padre, dove ciò che conta non sono le cose che abbiamo o che facciamo. Nel deserto siamo costretti ad ascoltare il nostro nulla. In questa situazione di vuoto assoluto che cosa ci viene detto?

Eco l’Agnello di Dio che toglie il peccato del mondo”. Il primo dono che ci viene offerto nel deserto della nostra vita, che ci chiama a deporre le nostre maschere e le nostre false identità, è che siamo immersi in una situazione che non riusciamo a vincere da soli. Il mondo, che è quella realtà nella quale noi viviamo e che è caratterizzata da una forza invincibile di autoaffermazione è dominata dal peccato, cioè dall’egoismo. Nel mondo avvolto dal peccato la condizione esistenziale è quella dello schiavo e non della persona libera. C’è un’apparenza di libertà che il mondo vuole venderci attraverso gli unici strumenti che possiede, che sono la superficialità della vita istintiva, la forza persuasiva del piacere immediato, ma che non lascia traccia di nulla, se non di una insoddisfazione che con il tempo diventa percezione del nulla, conducendo l’esistenza verso il baratro del non senso. Ebbene Giovanni Battista ci dice che d’ora innanzi non dobbiamo più temere di rimanere schiavi, perché è arrivato in mezzo a noi ed è fra di noi colui che può renderci liberi, perché capace di togliere lo strumento della schiavitù. Come fa Gesù a liberarci dal peccato del mondo? In primo luogo lo toglie dalla sua stessa umanità. È questo il cammino che Gesù ha percorso e che siamo invitati a seguire. Non è stata, infatti, un’operazione esterna a noi, dall’alto al baso, un insegnamento cattedratico. Al contrario, il peccato del mondo è stato tolto prima di tutto da un’umanità come la nostra. Gesù è dunque l’unico pezzetto di umanità come la nostra in cui il mondo non è riuscito ad esercitare il suo fascino. Il mondo non è riuscito a sedurre Gesù perché nella sua umanità c’era spazio solo per l’amore del Padre. È proprio questo che Gesù ha manifestato durante la sua vita pubblica facendo della sua esistenza uno sguardo continuo diretto al Padre. Possiamo tranquillamente dire che Gesù ha guardato il mondo a partire da questo sguardo d’amore con il Padre. Ci ha amato con quell’amore che riceveva dal Padre. Il mondo non ha trovato, così, nessun varco, nessuna breccia nell’umanità di Gesù e, in questo modo, Il mondo è stato sconfitto dall’amore di Gesù.

C’è un altro insegnamento importante che troviamo nei versetti del Vangelo che abbiamo ascoltato e che possono essere utili per il nostro cammino di fede di quest’anno. Giovanni, infatti, dice per ben due volte che non conosceva colui che sarebbe stato il nostro salvatore. È una affermazione allo stesso tempo strana e curiosa, perché tutti sappiamo che Gesù era cugino di Giovanni e quindi i due si conoscevano molto bene. Giovanni, però, ci dice in questi versetti, non sapeva che suo cugino sarebbe stato il salvatore. L’ha scoperto nel momento del battesimo. “Chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto: l’uomo sul quale vedrai scendere e rimanere lo Spirito è colui che battezza in Spirito Santo”. E poco prima aveva detto: “Ho visto lo Spirito scendere come una colomba dal cielo e posarsi su di lui”. Che insegnamento contiene una simile storia? Che cosa c’insegna Giovanni che può essere utile a noi nel nostro cammino di fede? Credo che l’episodio narrato ci voglia insegnare a vedere in alcune situazioni umane, in alcuni eventi storici, la presenza misteriosa del signore. Togliendo tutte le interpretazioni posteriori, che cos’è accaduto realmente quel giorno nel battesimo di Gesù? C’era un uomo vicino al fiume Giordano e un altro dentro il fiume sul quale è sceso una colomba. Giovanni ha visto in quella scena la presenza dello Spirito Santo. Come ha fatto a vederla in quel modo, com'ha fatto ad interpretare quella colomba come segno della presenza dello Spirito Santo? In virtù della sua stessa esperienza spirituale personale. “Chi mi ha inviato a battezzare con acqua mi aveva detto”. Senza una storia personale con il Signore, senza un cammino profondo di fede non riusciremo mai a vedere negli eventi storici la presenza misteriosa di Dio e saremo condannati a vivere un’esistenza materiale, ed essere così facile preda dei desideri del mondo e delle sue seduzioni.


L’ultimo aspetto che vale la pena sottolineare di questa pagina del Vangelo e che ci vale come un ulteriore insegnamento per il nostro cammino di fede, è che senza una guida, senza qualcuno che c’insegni ad interpretare gli eventi della storia, faremo fatica a riconoscere la presenza del Signore in mezzo a noi. È stato Giovanni Battista, infatti, ad indicare ai discepoli che stava passando l’Agnello di Dio, colui che toglie il peccato del mondo. Non è facile oggi trovare una guida spirituale e questo per tanti motivi. Primo fra tutti è che per essere una guida spirituale una persona dev’essere in un certo senso rapita da Dio nel deserto, dev’essere passata attraverso quel cammino che ti conduce a morire a te stesso, per fare spazio al Signore, al suo amore. Occorre pregare molto e chiedere che il Signore ci faccia incontrare questo tipo di guida, un tipo alla Giovanni Battista: rude, aggressivo e, allo stesso tempo, pieno dell’amore di Dio.