venerdì 29 settembre 2023

OMELIA DOMENICA 1 OTTOBRE 2023

 



XXVI DOMENICA TEMPO COMUNE

Ez 18,25-28; Sal 24; Fil 2,1-11; Mt 21,28-32

 

 

Paolo Cugini

 

Continua anche nel Vangelo di oggi la polemica con i farisei e i capi del popolo che arriverà al suo apice nel capitolo 23. Ciò significa che siamo vicini. Sono i contenuti di questa polemica ad essere importanti per il nostro cammino di fede, perché rivelano la proposta specifica di Gesù. Il contrasto con i capi religiosi d’Israele deriva dal fatto che non riescono ad accettare la proposta di Gesù, troppo lontana dalla loro prospettiva religiosa. Proprio questo è il dato strano: coloro che avrebbero dovuto comprendere e accogliere il Figlio di Dio, sono proprio coloro che non lo capiscono. Cogliere il contenuto di questa incomprensione significa capire dove vuole condurci Gesù con la sua proposta. Proviamo, allora, ad ascoltare la parabola di oggi per continuare il nostro cammino di fede.

Che ve ne pare? Un uomo aveva due figli. L’inizio è simile a quello della parabola del figliol prodigo. La parabola mostra due atteggiamenti diversi dinanzi alla richiesta dello stesso padre. C’è, dunque, un primo punto di partenza che è la relazione di paternità e il modo di intenderla e viverla. Il cammino di fede comincia all’interno di una relazione con il Mistero. Il problema è capire come abitiamo questa relazione, in che modo ci stiamo dentro. In questa prospettiva, i due fratelli non sono molto diversi, rappresentano ancora il modello religioso, una relazione legalista con il padre, che provoca timore e possibilità di trasgressione. Ben diversa è la relazione figliale mostrata da Gesù, segnata da un amore profondo cercato continuamente e rivelato in ogni scelta e in ogni atteggiamento.

Chi dei due ha compiuto la volontà del padre?». Risposero: «Il primo». Non è un’appartenenza che decide il senso del nostro cammino. Dipende da come abitiamo questa appartenenza. La riflessione che Gesù propone commentando la parabola è un invito ad uscire da ogni tipo di relazione formale con Dio, soprattutto, da tutte quelle forme di religione che curano l’apparenza, ma non entrano in profondità per modificare l’umanità della persona. Sono le nostre scelte, i nostri pensieri che rivelano come stiamo dinanzi al Signore. È proprio questa l’idea espressa dal profeta Ezechiele ascoltato nella prima lettura: E se il malvagio si converte dalla sua malvagità che ha commesso e compie ciò che è retto e giusto, egli fa vivere se stesso (Ez 18,27). Siamo responsabili delle nostre azioni. Non solo. Nel cammino di fede non regge la teoria dell’accumulo, perché rientra nello schema della dottrina del merito criticata da Gesù nel vangelo della scorsa domenica. Non esiste una banca dati in cielo che registra il bene che abbiamo fatto in modo tale che, se compiamo alcune azioni malvagie, il bene accumulato le copre. Il cammino di fede non segue questo tipo di mentalità mondana. Senza dubbio, il cammino di sequela dietro al Signore non è lineare, non è un progresso costante verso la luce. Passiamo attraverso momenti di grande entusiasmo, di grandi scoperte spirituali e di bellissimi momenti personali e comunitari. Coloro che hanno un po' di cammino cristiano alle spalle sanno che si passano anche momenti difficili, di confusione e di disorientamento, al punto che si ha la sensazione di essere ritornati indietro, di essere regrediti. Nel cammino di fede ci sta dentro tutto, perché la nostra umanità è debole e stiamo seguendo Gesù esattamente perché desideriamo che la forza del suo Spirito rafforzi la nostra umanità e ci aiuti a vivere in pieno le scelte fatte. Per questo, nel cammino di fede il male che facciamo dev’essere messo umilmente nelle mani del Signore per accogliere il suo perdono e, in questo modo, continuare il cammino.

E Gesù disse loro: «In verità io vi dico: i pubblicani e le prostitute vi passano avanti nel regno di Dio. La spiegazione che Gesù offre per questa affermazione forte sta nel fatto che, mentre i capi dei sacerdoti e gli anziani del popolo non hanno creduto alle parole e all’azione di Giovanni Battista, i pubblicani e le prostitute invece vi hanno creduto. Il problema è capire come mai c’è stata questa differenza di atteggiamento nei confronti del Battista. C’è orgoglio e presunzione nell’atteggiamento dei sacerdoti, che impedisce loro di fare spazio alla novità, di mettersi in discussione per creare lo spazio di un confronto libero e autentico. Il loro atteggiamento di chiusura non permette di cogliere la novità che il Signore sta manifestando. Al contrario, nei pubblicani e nelle prostitute la proposta di Gesù trova spazio, perché la loro condizione è tale che non hanno nessuno forma di orgoglio da contrapporre. Ciò significa che solamente un cuore umile è in grado di fare spazio alla novità della proposta del Signore annunciata dal Vangelo e iniziare un cammino di conversione e di cambiamento di vita e di mentalità.

Questo cammino di svuotamento e di umiliazione lo ha compiuto lo stesso Gesù. Ce lo ricorda san Paolo nella seconda lettura di oggi: non ritenne un privilegio l'essere come Dio, ma svuotò se stesso assumendo una condizione di servo (Fil 2, 6-7). Gesù è venuto a comunicarci la novità del Padre non sedendo su una cattedra, ma ponendosi al nostro livello e, per questo, si è svuotato di tutto. È un cuore umile che è in grado di amare tutti e tutte, senza alcuna distinzione e discriminazione. È l’umiltà che è segno di quello svuotamento che è, allo stesso tempo, un invito per l’interlocutore ad entrare, a comunicare, perché c’è spazio. È questo che diceva sant’Agostino commentando il prologo di Giovanni: dove c’è umiltà c’è carità

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