martedì 16 giugno 2015

INCOMPRENSIONI



XXV DOMENICA/B
(Sap 2,12.17-20; Sal 53;Gc 3,16-4,3;Mc 9,30-37)

1.  San Giacomo, nella seconda lettura che ascolteremo oggi, ci ricorda che la sapienza che viene dall’alto è piena di buoni frutti e cioè, quando viene accolta, non torna mai a mani vuote. Una vita differente, quindi, vita in cui le parole giustizia, pace, misericordia acquistano un peso esistenziale, una possibilità effettiva. E’ per questo che tutte le domeniche ci mettiamo in ascolto della Parola, perché desideriamo uscire dal mondo della non autenticità, della falsità, dell’ipocrisia, delle relazioni fatte di invidie e gelosie (cfr.Gc 4, 3s.).  Nella Parola di Dio intravediamo un cammino che, però, non appena ci immettiamo in esso, lo troviamo pieno di ostaci e difficoltà.

2. “I discepoli, però non comprendevano queste parole e avevano timore a chiedergli spiegazioni” (Mc 9, 32).

Questa è la prima difficoltà che incontriamo nel cammino di uscita dalla nostra vita insipida, per dirigerci dietro al Signore: la comprensione di quello che Lui dice ed esige. Questa incomprensione non deriva dal fatto che Gesù parla troppo difficile, ma che quello che dice si pone si di un livello totalmente differente dal nostro modo di essere e di pensare. Noi, per esempio, viviamo tutti i giorni delle relazioni fatte di odi, rancori, gelosie, in cui facciamo di tutto per sentirci migliori degli altri. Il Signore, invece, ci viene incontro invitandoci ad amare, amare i nemici, pregare per loro. Ci viene allora spontaneo non capire, interrogarci sul significato delle sue parole: non le capiamo, sono troppo oltre le nostre condizioni di possibilità esistenziale. Ancora.
 Nel Vangelo che abbiamo appena ascoltato, mentre Gesù parlava alle folle, i discepoli erano intenti a discutere sul problema di chi tra loro fosse il più importante, il più grande. Gesù, allora,

                      “sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: se uno vuole essere il primo   sia l’ultimo di tutti e il servo di tutti” ( Mc9, 35).

Che cosa ha voluto dire il Signore con una frase del genere? Non è qualcosa di totalmente differente da quello che viviamo noi ogni giorno? Che cosa significa che dobbiamo essere l’ultimo di tutti? Come si fa?
Certamente quello che Gesù ci chiede non è un cammino sul piano materiale, ma spirituale. Sarebbe troppo facile, infatti, pensare che il cambiamento richiesto da Gesù si riducesse ad un movimento esteriore,  da un luogo ad un altro. E’ il cuore che deve essere purificato ( cfr. Ger 31, 31, Ez 36,12; Sal 51; Rom 5,5), affinché la persona diventi capace di uno sguardo nuovo sul mondo e sulla vita, di sentimenti nuovi su se stesso e sugli altri, di atteggiamenti nuovi che non umiliano il prossimo, ma lo valorizzano, non disprezzino gli altri per ciò che non hanno, ma lo accolgano nella sua dignità di figli e figlie di Dio. Questo modo di pensare nuovo, questo cambiamento radicale di prospettiva, non è assolutamente alla portata delle possibilità umane. Per questo osserviamo la grande fatica dei discepoli e, allo stesso tempo, della nostra, di capire il cammino proposto da Gesù e di entrarci. E’ qualcosa di radicalmente differente da ciò che viviamo e pensiamo tutti i giorni, nella vita quotidiana. Ed è proprio questo che il Signore vuole realmente rivoluzionare: la nostra vita quotidiana.

 Il Vangelo dovrebbe penetrare così profondamente in noi, da modificare il nostro modo di valutare gli eventi, di giudicare la realtà, di muoverci nel mondo. Vedere il mondo dalla prospettiva di Dio, vederlo e pensarlo come lo vede e lo pensa Lui, vedere gli altri, le persone amiche e coloro che ci fanno del male come le guarda Dio: è questo il senso del cammino cristiano. E’ chiaro, allora, che non si tratta di un percorso che noi possiamo realizzare a partire dalle nostre possibilità umane, dai nostri sforzi umani. Abbiamo il cuore troppo pieno di noi stessi. Abbiamo l’anima troppo intrisa di egoismo, gli occhi accecati dall’orgoglio, i pensieri contaminati dal male. Esattamente per questo motivo che Gesù è venuto al mondo: per aiutarci. Aiutarci a fare cosa? Ad uscire da noi stessi, dalle prigioni che ci costruiamo ogni giorno con il nostro egoismo, dalle ragnatele dell’invidia e della gelosia che bloccano e paralizzano i nostri rapporti, spesso anche i più importanti e più significativi. Dio ha mandato suo Figlio al mondo per aprirci il cammino dell’amore, della vita autentica: è questa la sapienza che viene dall’alto. E siccome viene dall’alto, l’unica cosa che possiamo fare è accoglierla, farle spazio nella nostra vita.

                            “Chi accoglie me, non accogli me, ma colui che mi ha mandato” (Mc 9,37).

3.  Se ci pensiamo bene, l’Eucaristia che stiamo celebrando è strutturata esattamente in questo modo: prima c’è l’ascolto della Parola di Dio e poi la manducazione del Corpo di Cristo e cioè la Sua assimilazione, la Sua accoglienza. Accogliere la sapienza che viene dall’alto, che noi stiamo manifestando nella partecipazione di questa liturgia, significa accettare la sfida che Gesù ci propone e cioè tentare di cambiare lentamente il modo di vivere, di essere, di pensare. Siccome mangiando il Suo Corpo abbiamo accolto il Signore dentro di noi, non si tratta più di un semplice sforzo umano, ma di una risposta ad un appello. Mentre, cioè, nella vita reale mi sforzo di cercare l’ultimo posto, di servire i fratelli e le sorelle, percepisco in me una forza che mi aiuta e sostiene in questo cammino nuovo. Cammino che genera tensioni, incomprensioni, perché gli altri non capiscono che cosa stia facendo e perché mi comporti in questo modo. Cammino che genera persecuzioni, contrasti:

                                  “Tendiamo insidie al giusto, perché ci è di imbarazzo ed è contrario alle nostre azioni… Mettiamolo alla prova con insulti e tormenti” (Sap 2, 12.19).

4. La via che il Signore ci propone di accogliere, perché è l’unica via che conduce alla vita vera, è la via dell’amore e l’amore vissuto, che si fa servizio gratuito, che si mette all’ultimo posto, che non cerca il proprio interesse, che si pone dalla parte che Gesù si è posto e cioè degli ultimi di questo mondo, dà fastidio.
Chiediamo, allora, al Signore in questa liturgia di aiutarci a mantenere lo sguardo fisso su di Lui, per non lasciarci impaurire e impressionare dal male e dall’odio del mondo, per riuscire a portare sulle nostre spalle il peso e la fatica di una vita autentica, una vita differente, una vita vissuta nell’amore.


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