lunedì 26 giugno 2023

OMELIA DOMENICA 25 GIUGNO 2023

 




DOMENICA XII/A

Ger 20, 10-13; Sal 68; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33

Paolo Cugini

 

La scorsa domenica è iniziata la lettura del capitolo 10 del Vangelo di Matteo e terminerà la prossima settimana, che contiene quello che viene definito il discorso missionario di Gesù, che costituisce la conclusione della sezione: la predicazione del regno dei cieli, che va dal capitolo 8 al capitolo 10. Ci troviamo, dunque, con il vangelo di oggi, nel cuore del discorso missionario di Gesù che, come vedremo, ha un’unica preoccupazione: esortare i discepoli, infondere in loro coraggio dinnanzi alle situazioni di contrasto che incontreranno. Importante è sottolineare che l’invio dei discepoli avviene durante il cammino e non al termine del percorso. C’è un mondo che ha bisogno urgente dell’annuncio di gioia e di pace che è la buona novella. Chi ha sperimentato la bellezza dello stile di vita proposto da Gesù, non può attendere e sente il desiderio di condividerlo. C’è amore, gioia, giustizia, pace: è di questo che il mondo ha bisogno e deve sapere dove potere trovare questo tesoro di vita nuova. La comunità cristiana, ascoltando questi brani di Vangelo, si dovrebbe sentire sollecitata a pensare cammini di evangelizzazione, per portare a conoscenza del mondo la bellezza di ciò che sta vivendo.

Non abbiate paura degli uomini (Mt 10,26). Per ben tre volte in pochi versetti Gesù esorta i suoi discepoli a non aver paura: perché e che cosa dovrebbero temere? I problemi che i discepoli dovranno affrontare sono tutti legati alla novità della proposta del Vangelo, che disorienta gli ascoltatori, li mette in crisi e provoca reazioni di rifiuto in coloro che non intendono minimamente mettersi in discussione. Il messaggio di libertà di Gesù è profondo e radicale, perché supportato dal suo stile di vita libero. Gesù è libero dall’attaccamento alle cose e al denaro e insegna a tutti coloro che lo seguono uno stile di vita semplice, incentrato sulla ricerca del regno di Dio (Mt 6,32s). In un contesto come quello in cui viviamo in cui il denaro rischia costantemente di orientare le nostre scelte, facendoci perdere i contenuti essenziali del vivere bene, la proposta di Gesù, quando è vissuta dalla comunità, provoca irritazione. Lo stesso dicasi del modello di uguaglianza che propone attraverso una comunità di uomini e donne uguali, svuotando dall’interno il senso del patriarcato, modello culturale che ancora oggi segna la cultura occidentale e ne determina stili di vita improntati sulla disuguaglianza e la discriminazione. All’interno di una cultura maschilista, com’era quella semitica, che considerava le donne inferiori agli uomini e oggetto di tante discriminazioni, la proposta di Gesù provocava forti tensioni. Per questo Gesù allerta i suoi discepoli a non avere paura. Questo è anche il senso di una vita spirituale impostata sulla sequela al Signore: accogliere il suo Spirito che ci rende capaci di sopportare le tensioni, per imparare a convivere con esse e non perdere la serenità.

Sentivo la calunnia di molti: «Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo Ger 20, 10).

Per te io sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia (Sal 68).

Non a caso la liturgia ci ha fatto ascoltare un brano delle confessioni di Geremia, in cui il profeta si lamenta della persecuzione di cui è vittima a causa della predicazione della Parola di Dio. Lo stesso si può dire del protagonista del salmo 68 proclamato nella liturgia di oggi, che esprime tutta la sua sofferenza causata, anche per lui, dall’essere testimone fedele del progetto d’amore del Signore. In entrambi i casi, i protagonisti fanno l’esperienza della vicinanza del Signore. Proprio nel momento di massima tensione Geremia percepisce vicino a sé la presenza del Signore: Ma il Signore è al mio fianco come un prode valoroso. Il rimanere nella relazione con il Signore proprio nelle situazioni di tensione, ci conduce verso un’esperienza interiore di Lui, che potremmo definire mistica. È come se fosse un passaggio obbligatorio, che ci conduce in un’altra dimensione, separandoci definitivamente dal modello culturale del mondo in cui siamo nati e da cui ci siamo abbeverati, per introdurci in modo più profondo nel mondo dell’amore, accogliendo lo Spirito della Vita che soffia dove vuole e lo sente chi lo segue.

Eppure, nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Della narrazione del capitolo 10 di Mateo colpiscono, tra le altre cose, i verbi al plurale, come nel versetto citato. Il discorso missionario non è rivolto a singole persone e non è un invito a divenire eroi, ma è rivolto alla comunità. È, infatti, la comunità che è missionaria perché fa risplendere sulle sue scelte e il suo stile di vita il mondo delle relazioni trinitarie che accoglie continuamente. La verità del nostro cammino alla sequela del maestro si manifesta quando, in modo deciso e definitivo, usciamo da una prospettiva individualista, per camminare insieme con i fratelli e le sorelle che il Signore ha posto accanto a noi, interessandoci a loro, soprattutto i più poveri e deboli. Anche questo aspetto è motivo di disturbo per il modello di mondo incentrato sui criteri meritocratici, che tanti disastri esistenziali produce in mezzo a noi. La proposta del regno di Dio che i discepoli e le discepole sono chiamate ad annunciare con le parole e la vita è quella semente piccolissima, che produce cammini di vita nuova così evidenti da renderli, paradossalmente, insopportabili agli occhi del mondo e, proprio per questo, profetici. 

LA COSCIENZA DI ABRAMO

 



Gen 12,1: Il Signore disse ad Abram. Come interpretare questa frase? Che cosa vuole dire il fatto che il Signore disse ad Abram? È un linguaggio che contiene una verità nascosta da una forma verbale che dev’essere interpretata. È la riflessione post-teista che ci spinge a guardare al di là delle parole, al di là delle forme verbali che s’incontrano nella Bibbia, per liberare la verità nascosta nei generi letterari. Per questo possiamo liberamente chiederci: come sono andate le cose?  Che cosa voleva dire e significare questo linguaggio che manifesta la relazione di Abramo con un Dio che parla con lui e sembra venire da un altro mondo, dal cielo?

Abramo percepisce la voce di Dio nella propria coscienza e interpreta il fatto di prendere una direzione come volontà di Dio. Abramo è una persona, così come ci viene narrata dal libro della Genesi, segnata da una profonda fede in Dio e dalla ricerca costante della sua volontà. Cercando il Signore nelle cose che fa e nelle scelte che deve compiere ne percepisce la direzione, ne sente la presenza. C’è un’esperienza spirituale che diventa fondamentale ed è percepita come tale. Si tratta della scelta di che direzione prendere, cioè se rimanere nella sua terra di Carran dove c’era tutta la sua famiglia, oppure se andarsene altrove prendendo con sé sua moglie e il fratello Lot. Forse questa decisione è dettata dal fatto che sua moglie Sarah era sterile e, a causa di ciò, non era visto bene nella comunità, forse era deriso. In ogni modo, è proprio questa decisione di andare altrove, lasciare Carran per dirigersi verso la terra di Canaan che diventa per Abramo la decisione fondamentale della sua vita al punto da percepirla come fonte di benedizione di Dio su di sé e sui suoi famigliari. Solo un uomo profondamente spirituale, capace di cogliere Dio in tutto e desideroso di realizzare la volontà di quel Dio che percepiva così presente sente dentro di sé come una voce in sintonia con quello che sente. 

domenica 18 giugno 2023

OMELIA DOMENICA 18 GIUGNO 2023

 




XI DOMENICA

Es 19,2-6a; Sal 99; Rm 5,6-11; Mt 9,36-10,8

 

 

Paolo Cugini

Nelle domeniche del tempo comune riflettiamo sulle caratteristiche che dovrebbero avere coloro che seguono Gesù. Per compiere tale cammino è necessario la disponibilità al cambiamento, l’umiltà per lasciarsi mettere in discussione dalla Parola del Maestro. È un percorso che non è semplice perché incontriamo dentro di noi le resistenze al cambiamento, la difficoltà di un cammino che richiede un atteggiamento di fiducia nei confronti della Parola di Dio.

In quel tempo, Gesù, vedendo le folle, ne sentì compassione, perché erano stanche e sfinite come pecore che non hanno pastore (Mt 9,36). Il primo atteggiamento interiore necessario per seguire le orme del Maestro consiste nell’imparare a sentire compassione nei confronti di coloro che incontriamo nel nostro cammino. L’annuncio del Vangelo, dello stile nuovo di vita inaugurato da Gesù, non è un insegnamento che si trasmette dalla cattedra ma è, prima di tutto, la comunicazione di vita nuova che sgorga da un atteggiamento di empatia nei confronti dei fratelli e delle sorelle che vengono al nostro incontro. Sentire le sofferenze degli altri con il desiderio di aiutarli a mettersi in cammino verso una vita di pienezza è il pinto di partenza dei discepoli del Maestro che, vedendo le folle, ne sente compassione. Diventiamo cristiani e comunità generative, che sanno stimolare processi di cambiamento, solamente se apriamo il nostro cuore all’amore del Signore, all’azione del suo Spirito, che ci aiuta a vedere gli altri con uno sguardo nuovo, attento a loro, desideroso di comunicare vita.

Chiamati a sé i suoi dodici discepoli, diede loro potere sugli spiriti impuri per scacciarli e guarire ogni malattia e ogni infermità (Mt 9,37). È impossibile comunicare vita se l’anima è intasata da realtà contrarie e antagoniste all’amore di Dio. È impossibile essere portatori di pace in un contesto malato e contaminato dall’odio. Per annunciare il Vangelo occorre prima di tutto liberare il terreno, creare le condizioni. Lo spirito impuro indica una malattia spirituale tipicamente religiosa. Impuro è l’invenzione della religione per controllare le persone e farle sentire indegne di accostarsi a Dio. I sacrifici, le abluzioni, sono tutti precetti messi in atto dagli uomini del tempio, per sottomettere gli uomini e per ricavarne un profitto. Non a caso, nel tempio c’era il tesoro che raccoglieva i soldi di tutto ciò che gli uomini versavano per poter fare i loro riti e accedere al tempio. Gesù dichiara fallito questo sistema e, di conseguenza, dà potere ai discepoli di liberare gli uomini e le donne da questa schiavitù. Per poter aiutare le persone a liberarsi dei lacci degli uomini del tempio, occorre che prima di tutto il discepolo si sia liberato da questa schiavitù religiosa. E’ questo il potere che Gesù dona a coloro che lo seguono: mostra loro il grande inganno e la grande farsa della religione del tempio, che invece di avvicinare gli uomini e le donne a Dio, li allontana. Gesù mostra con il suo stile di vita, con il suo essere venuto in mezzo a noi spogliandosi di tutto, che Dio è accessibile a tutti e a tutte e non ha bisogno di alcun filtro religioso. Inoltre, di che malattia e di che cure Gesù sta parlando? A questo livello è possibile indicare varie interpretazioni a partire dal contesto in cui ci si trova ad annunciare il Vangelo. Dalle nostre parti, vale a dire in Occidente, le malattie che non permettono al Vangelo di entrare e portare frutto sono l’attaccamento al denaro, lo spirito di antagonismo, la dinamica meritocratica, che stimola l’individualismo e il desiderio di primeggiare sugli altri a qualsiasi costo. Queste malattie vanno curate, perché non permettono al Vangelo di entrare. Anche qui vale quello che dicevamo poco sopra. È impossibile applicare questa cura se prima i discepoli e la discepole non si sono lasciati guarire dal Signore, liberandosi dalle vanità e dalla ricerca ostentata della gloria degli uomini.

Questi sono i Dodici che Gesù inviò (Mt 10,5). Passiamo da una vita anonima ad avere un nome proprio quando rispondiamo all’appello del Signore. La nostra vita viene modellata gradualmente conforme all’immagine del Signore che scopriamo nel nostro cammino e che contempliamo ogni giorno della nostra vita. È questo il grande dono che Lui ci fa: la vita! Vivere significa realizzare noi stessi come persone capaci di amare. Gesù invia delle persone che, durante il cammino di sequela, diventano nomi propri la cui identità giorno dopo giorno diventa sempre di più conforme al Vangelo. Chi si lascia trasformare dall’amore del Signore non rimane più vittima del proprio egoismo, che stimola la ricerca della realizzazione di se stessi, ma diviene disponibile alla vita nuova, alla realtà del Regno di Dio. Questo è il compito della Chiesa, che è tale quando fa di tutto per condividere gratuitamente ciò che ha ricevuto. Gesù ci chiama per inviarci. La comunità ha senso quando diventa strumento generativo di vita, possibilità che il Signore pone nel mondo affinché tutti possano abbeverarsi dell’acqua nuova che sgorga dalla vita nuova della comunità.

Strada facendo, predicate, dicendo che il regno dei cieli è vicino (Mt 10,7). Il regno si è avvicinato al mondo prima di tutto nella vita di Gesù e poi nella comunità. L’annuncio che la comunità fa di una vita piena, dev’essere visibile nello stile evangelico della comunità, che è chiamata a dimostrare che esiste un pezzetto di umanità nel mondo che non è più dominato dai meccanismi di potere, di egoismo e di antagonismo, ma unicamente dall’amore gratuito ricevuto dallo Spirito del Signore. Quando questo avviene, l’annuncio del Regno di Dio diviene possibilità concreta, perché già visibile in coloro che l’annunciano.

domenica 4 giugno 2023

OMELIA DOMENICA 11 GIUGNO 2023

 



Corpus Christi/A

Dt 8, 2-3. 14-16; 1Cor 10,16-17Gv 6, 51-58

Paolo Cugini

 

 

Perché la liturgia ci fa leggere questo brano nel giorno in cui celebra la solennità del Corpus Christi? Non sarebbe stato meglio leggere il brano di Es 12, che ricorda la prima Pasqua ebraica? Anche il Vangelo di questa liturgia non riporta la narrazione dell’ultima cena di Gesù, ma Gv 6, che è uno dei capitoli che riporta il significato dell’eucaristia.  Quindi, anche questo testo del Deuteronomio vuole offrire un contenuto d’interpretazione del rito, ed è in questa prospettiva che lo leggiamo.

Ricordati di tutto il cammino che il Signore, tuo Dio, ti ha fatto percorrere in questi quarant'anni nel deserto (Dt 8,2).

Prima di tutto ci dev’essere un ricordo di un cammino, che è il cammino della nostra vita che non è casuale, ma che è guidato dalla mano provvidenziale del Signore. Si entra nell’assemblea della domenica con questo ricordo, con la percezione di essere in un cammino che, per sua natura è lungo. Viene detto anche, che il cammino si compie nel deserto e ciò significa che non è rettilineo, non è una progressione veloce verso una meta visibile, ma un cammino in cui spesso ci si perde, perché nel deserto non ci sono indicazioni, non s’intravede la meta. Nel deserto l’unica certezza che si ha è quello che si ha nel cuore, per questo diventa importante il versetto successivo: per umiliarti e metterti alla prova, per sapere quello che avevi nel cuore. Non si può far parte dell’assemblea eucaristica se non si ha il contatto con il proprio cuore, con la propria coscienza, con la consapevolezza di quello che siamo, delle nostre fragilità, di quello che abbiamo nel cuore. Tra le cose che troviamo nel cuore c’è anche il nostro modo di cogliere Dio, di pensarlo. Il cammino nel deserto della vita dovrebbe condurci a distruggere gli idoli che ci simo costruiti, le fantasie su di Lui, per fare spazio alla sua manifestazione, a come Lui desidera presentarsi a noi., Per questo, il tempo di deserto, che è il senso del cammino della nostra vita, è tempo di umiliazioni, perché dovremo accettare che ci siamo sbagliati su di Lui, che abbiamo lasciato spazio affinché gli altri ci convincessero della loro religione, quella religione sociale che troviamo a buon mercato sin dalla nascita; quella religione di comodo che nessuno mette in discussione, sino a quando nel deserto della vita scopre che il dio di quella religione corrisponde solo ad interessi umani, tremendamente umani. Questo tipo di umiliazione diviene fondamentale per lasciare spazio al pane di vita, che è il Vangelo, la Parola del Signore, che è la vera vita, la luce, l’amore di cui siamo plasmati e che è il senso profondo della nostra vita, del nostro cammino.

Chi mangia la mia carne e beve il mio sangue rimane in me e io in lui.

È comoda pensare che il rito, la sua partecipazione, risolva tutti i problemi della vita cristiana. Come se nel culto si risolvesse la vita cristiana, Sventrare il culto per cogliere l’essenza del messaggio che contiene: è il senso della liturgia di oggi. Di che cosa sta parlando Gesù? Di che sangue e di che carne sta parlando? Certamente non stava mettendo il discorso sul piano materiale, cioè non stava parlando delle sue fibre muscolari, del suo plasma, piastrine, dei suoi globuli rossi e bianchi, così come probabilmente intendevano i suoi interlocutori. E allora di cosa parlava, a cosa alludeva? La sua carne è la sua persona, il suo stile, il suo modo di stare nel mondo in mezzo agli altri; le sue scelte, la sua sete del Padre. Mangiare la sua carne vuole dire, allora, assimilare questo specifico stile di essere presente al mondo nella storia degli uomini e delle donne, masticarlo, ruminarlo, che vuole dire pensarlo, assimilarlo, meditarlo, dedicare tempo per farlo proprio.

E cosa vuole dire Gesù quando invita gli ascoltatori a bere il suo sangue? Che cosa simbolizza il sangue nella tradizione giudaica? La vita. Quanto sangue vedevano gli israeliti quando andavano al tempio! Il Sangue di Gesù è la sua vita donata gratuitamente. Bere il suo sangue significa questo: pensare a come ha donato la vita, amando i suoi che erano nel mondo sino alla fine; amando sino al punto da lasciarsi consegnare al nemico da uno dei suoi discepoli. Bere il suo sangue significa questo, vivere in modo gratuito e disinteressato, donando la vita per le sorelle e i fratelli, soprattutto i più bisognoso, per coloro che non contano nulla, per lo meno per la società. Più che moltiplicare delle messe, si tratta di aiutarci a vivere ciò che riceviamo nella celebrazione eucaristica: un pane, una vita spezzata per noi e un sangue versato per amore di tutti, affinché tutti possano avere la possibilità di uscire dai torbidi cammini religiosi per entrare umilmente nel cammino del Signore. Dietro a Lui.

Poiché vi è un solo pane, noi siamo, benché molti, un solo corpo: tutti infatti partecipiamo all'unico pane (1 Cor 10,17). Partecipare dell’unico pane fatto da molti grani di frumento e dell’unico vino costituito da molti acini significa che nella comunità del Signore la diversità non è un problema, ma una necessità. È Perché lo Spirito Santo suscita carismi diversi da mettere a servizio della comunità che questa stessa rende visibile al mondo la comunione, segno della presenza del Signore in mezzo a noi. Veniamo alla mensa di Gesù, invitati da Lui, per cibarci di quell’unico pane che trasforma la nostra umanità e la rende capace di cammini nuovi di comunione.

 

giovedì 1 giugno 2023

OMELIA DOMENICA 4 GIUGNO 2023

 




DOMENICA DOPO PENTECOSTE

SANTISSIMA TRINITA’

Es 34, 4b-6. 8-9; Dn 3,52.56; 2 Cor 13, 11-13; Gv 3, 16-18

 

Paolo Cugini

 

Dio è un mistero insondabile e rimarrà sempre tale. È la risposta immediata che diamo dinanzi ai problemi insolubili della vita. Quando pensiamo al senso della vita, all’immensità dell’universo, alle meraviglie del cosmo anche oggi, nonostante i progressi scientifici che ci offrono risposte esatte, andiamo con la mente al mistero: Dio. Allo stesso tempo, però, è una parola abusata, nel senso che la tiriamo fuori in tanti momenti e circostanze che non ha nulla a vedere con il nome di Dio manifestato da Gesù. Se ci pensiamo bene, la grande diffidenza e indifferenza che riscontriamo oggi nel mondo occidentale sulla religione e su Dio è forse dovuto al fatto che il Dio che presentiamo non parla più a questa generazione e ciò per il fatto che, probabilmente, abbiamo spacciato per Dio qualcosa che Dio non era. Proviamo, allora, a porre attenzione alle letture proposte oggi per comprendere qualcosa su questo Mistero.

Il Signore, il Signore, Dio misericordioso e pietoso, lento all’ira e ricco di amore e di fedeltà (Es 34,8). Siamo abituati alle definizioni su Dio e non ci accorgiamo della profondità e della novità di alcune espressioni, anzi della loro assurdità. Dire che Dio è misericordia è sconvolgente in un contesto il Mistero era percepito con una serie di aggettivi che volevano presentare Dio esattamente il contrario della misericordia. È il Dio degli eserciti, vendicativo, che distrugge hi gli si oppone: c’è poco da scherzare con un dio così! La percezione di Dio come misericordia è, dunque, un dato estremamente originale, una produzione tipica del pensiero semitico che percepisce la presenza del mistero in questa modalità nuova del perdono misericordioso. Su questa linea troviamo diversi brani del Primo Testamento, come Osea che percepisce l’azione del Mistero come quello di una madre per i suoi piccoli. Dio ha un cuore di mamma che freme per amore: “Il mio cuore si commuove dentro di me, il mio intimo freme di compassione” (Os 11,8). Se ci massacriamo la coscienza quando pensiamo di essere caduti in errore, eco che la saggezza semitica percepisce che Dio dei nostri peccati non sa cosa farsene, se li getta alle spalle, li dimentica (Eb 10,17), li nasconde in fondo agli abissi (Miche 7,18-19). È il Dio della misericordia che apre davanti a noi il cammino della libertà, mentre il dio terribile è un’invenzione umana che serve per controllare le persone e tenerle soggiogate con i sensi di colpa.

“Vivete in pace e il Dio dell’amore e della pace sarà con voi. Salutatevi a vicenda con il bacio santo” (2 Cor 13,12). La relazione con il Dio dell’amore e della pace si manifesta nelle relazioni tra i membri della comunità. L’amore e la pace che riceviamo da Dio lo riversiamo nella comunità. Questo è un dato importante, che ci libera da quelle forme di devozionismo, tutte improntate a incentivare l’individualismo religioso. La verità del nostro rapporto con Dio lo si misura dalla nostra relazione con i fratelli e le sorelle. Del resto, è proprio questo che Gesù è venuto a manifestare, creando una comunità di fratelli e sorelle uguali, vivendo con loro e aiutandoli a vivere in modo nuovo, nella condivisione dei beni, l’attenzione ai fratelli e sorelle più bisognosi. È questa un’idea che troviamo espressa in alcune pagine del Nuovo Testamento. Giovanni ci ricorda, ad esempio che è impossibile dire di amare Dio che non vediamo e poi disprezzare il fratello e la sorella che vediamo. La vita nel dio che si è manifestato nella storia e che Gesù ci ha fatto conoscere è, prima di tutto, relazione del Padre, Figlio e Spirito Santo e la vita in Lui significa vivere relazioni nuove e autentiche impostate sulla pace e la misericordia che riceviamo da Dio.

Dio, infatti, non ha mandato il Figlio nel mondo per condannare il mondo, ma perché il mondo sia salvato per mezzo di lui” (Gv 3,17). La fede nel Dio manifestato da Gesù, ricco di amore e di misericordia, oltre che di pace e di giustizia, non sopporta che qualcuno si perda. Il Dio che entra nella storia attraverso la vita di Gesù e l’azione del suo Spirito immette un principio di vita di una tale intensità che sembra fare di tutto affinché tutti vengano salvati, tutti, cioè, realizzano la propria vita nell’amore. Ci sono molti esempi nel Nuovo Testamento che certificano questo. La parabola del figliol prodigo (Lc 15, 11-32), l’incontro con l’adultera (Gv 8, 1-11), ma anche le parole che Gesù ha rivolto al ladrone pentito suo collega di crocefissione (Lc 23, 43). Il Desiderio di Dio affinché nessuno vada perduto è nel cuore di Gesù nelle parole della preghiera che pronuncia prima di morire nella redazione di Giovanni (Gv 17). Ciò significa che credere nel Dio così come l’ha manifestato Gesù significa coltivare lo stesso desiderio e collaborare dentro la storia affinché si realizzi. L’annuncio del Vangelo porta con sé il desiderio che tutti si realizzino nell’amore e nella pace; il desiderio di un mondo senza disuguaglianze, perché quando queste avvengono c’è il rischio che qualcuno si perda a causa dell’umiliazione ricevuta.