DOMENICA
XII/A
Ger
20, 10-13; Sal 68; Rm 5,12-15; Mt 10,26-33
Paolo
Cugini
La
scorsa domenica è iniziata la lettura del capitolo 10 del Vangelo di Matteo e
terminerà la prossima settimana, che contiene quello che viene definito il
discorso missionario di Gesù, che costituisce la conclusione della sezione: la
predicazione del regno dei cieli, che va dal capitolo 8 al capitolo 10. Ci
troviamo, dunque, con il vangelo di oggi, nel cuore del discorso missionario di
Gesù che, come vedremo, ha un’unica preoccupazione: esortare i discepoli,
infondere in loro coraggio dinnanzi alle situazioni di contrasto che
incontreranno. Importante è sottolineare che l’invio dei discepoli avviene
durante il cammino e non al termine del percorso. C’è un mondo che ha bisogno
urgente dell’annuncio di gioia e di pace che è la buona novella. Chi ha
sperimentato la bellezza dello stile di vita proposto da Gesù, non può
attendere e sente il desiderio di condividerlo. C’è amore, gioia, giustizia,
pace: è di questo che il mondo ha bisogno e deve sapere dove potere trovare
questo tesoro di vita nuova. La comunità cristiana, ascoltando questi brani di
Vangelo, si dovrebbe sentire sollecitata a pensare cammini di evangelizzazione,
per portare a conoscenza del mondo la bellezza di ciò che sta vivendo.
Non
abbiate paura degli uomini (Mt 10,26). Per ben tre volte
in pochi versetti Gesù esorta i suoi discepoli a non aver paura: perché e che
cosa dovrebbero temere? I problemi che i discepoli dovranno affrontare sono
tutti legati alla novità della proposta del Vangelo, che disorienta gli
ascoltatori, li mette in crisi e provoca reazioni di rifiuto in coloro che non
intendono minimamente mettersi in discussione. Il messaggio di libertà di Gesù
è profondo e radicale, perché supportato dal suo stile di vita libero. Gesù è
libero dall’attaccamento alle cose e al denaro e insegna a tutti coloro che lo
seguono uno stile di vita semplice, incentrato sulla ricerca del regno di Dio
(Mt 6,32s). In un contesto come quello in cui viviamo in cui il denaro rischia
costantemente di orientare le nostre scelte, facendoci perdere i contenuti
essenziali del vivere bene, la proposta di Gesù, quando è vissuta dalla
comunità, provoca irritazione. Lo stesso dicasi del modello di uguaglianza che
propone attraverso una comunità di uomini e donne uguali, svuotando
dall’interno il senso del patriarcato, modello culturale che ancora oggi segna
la cultura occidentale e ne determina stili di vita improntati sulla
disuguaglianza e la discriminazione. All’interno di una cultura maschilista,
com’era quella semitica, che considerava le donne inferiori agli uomini e
oggetto di tante discriminazioni, la proposta di Gesù provocava forti tensioni.
Per questo Gesù allerta i suoi discepoli a non avere paura. Questo è anche il
senso di una vita spirituale impostata sulla sequela al Signore: accogliere il
suo Spirito che ci rende capaci di sopportare le tensioni, per imparare a
convivere con esse e non perdere la serenità.
Sentivo
la calunnia di molti: «Terrore all’intorno! Denunciatelo! Sì, lo denunceremo Ger
20, 10).
Per
te io sopporto l’insulto e la vergogna mi copre la faccia (Sal
68).
Non
a caso la liturgia ci ha fatto ascoltare un brano delle confessioni di Geremia,
in cui il profeta si lamenta della persecuzione di cui è vittima a causa della
predicazione della Parola di Dio. Lo stesso si può dire del protagonista del
salmo 68 proclamato nella liturgia di oggi, che esprime tutta la sua sofferenza
causata, anche per lui, dall’essere testimone fedele del progetto d’amore del
Signore. In entrambi i casi, i protagonisti fanno l’esperienza della vicinanza
del Signore. Proprio nel momento di massima tensione Geremia percepisce vicino
a sé la presenza del Signore: Ma il Signore è al mio fianco come un prode
valoroso. Il rimanere nella relazione con il Signore proprio nelle
situazioni di tensione, ci conduce verso un’esperienza interiore di Lui, che
potremmo definire mistica. È come se fosse un passaggio obbligatorio, che ci
conduce in un’altra dimensione, separandoci definitivamente dal modello
culturale del mondo in cui siamo nati e da cui ci siamo abbeverati, per introdurci
in modo più profondo nel mondo dell’amore, accogliendo lo Spirito della Vita
che soffia dove vuole e lo sente chi lo segue.
Eppure,
nemmeno uno di essi cadrà a terra senza il volere del Padre vostro. Della
narrazione del capitolo 10 di Mateo colpiscono, tra le altre cose, i verbi al
plurale, come nel versetto citato. Il discorso missionario non è rivolto a
singole persone e non è un invito a divenire eroi, ma è rivolto alla comunità. È,
infatti, la comunità che è missionaria perché fa risplendere sulle sue scelte e
il suo stile di vita il mondo delle relazioni trinitarie che accoglie continuamente.
La verità del nostro cammino alla sequela del maestro si manifesta quando, in
modo deciso e definitivo, usciamo da una prospettiva individualista, per
camminare insieme con i fratelli e le sorelle che il Signore ha posto accanto a
noi, interessandoci a loro, soprattutto i più poveri e deboli. Anche questo
aspetto è motivo di disturbo per il modello di mondo incentrato sui criteri
meritocratici, che tanti disastri esistenziali produce in mezzo a noi. La proposta
del regno di Dio che i discepoli e le discepole sono chiamate ad annunciare con
le parole e la vita è quella semente piccolissima, che produce cammini di vita
nuova così evidenti da renderli, paradossalmente, insopportabili agli occhi del
mondo e, proprio per questo, profetici.