mercoledì 26 luglio 2023

FOSSIMO MORTI

 




Paolo Cugini

Nel deserto tutta la comunità degli Israeliti mormorò contro Mosè e contro Aronne. Gli Israeliti dissero loro: “Fossimo morti per mano del Signore nella terra d'Egitto, quando eravamo seduti presso la pentola della carne, mangiando pane a sazietà! Invece ci avete fatto uscire in questo deserto per far morire di fame tutta questa moltitudine” (Es 16,1-5). È un brano che rivela lo spaccato dell’umanità che vive a livello istintuale e non ha motivazioni profonde sul senso del proprio cammino. Coloro che non hanno radici profonde nelle loro motivazioni, basta un po' di sofferenza per rifiutare la novità, il presente e iniziare a lamentarsi. Chi si lamenta è solitamente una persona che non sta bene dentro di sé. È dunque, un brano che offre l’orientamento per una vita spirituale che aiuti a vivere serenamente il cammino della vita. Solo chi sa dove sta andando trova le motivazioni dentro di sé per andare avanti nei momenti bui della vita, in quei momenti in cui le cose si sono messe male e la confusione regna. Sono questi i momenti in cui la persona spirituale sa dove andare a cercare consolazione e cioè nell’esperienza personale di rapporto con il Signore che ha segnato l’inizio di un nuovo cammino.

La vita spirituale nei momenti difficili fa ricorso alla memoria, come risorsa unica e personale che contiene le motivazioni del cammino. È proprio nei momenti difficili che la persona spirituale compie un passo in avanti nel cammino della fede, perché può sperimentare la verità dell’evento delle origini e la bontà del cammino intrapreso. Mentre, dunque, le persone senza radici, che non hanno mai lavorato su di sé e non hanno mai dato importanza alla vita interiore nei momenti difficili cadono nella disperazione e nel lamento, la persona spirituale vive questo momento come un arricchimento e sperimenta cose nuove mai percepite prima. Proprio nelle situazioni difficili del cammino di sequela al Signore, si realizza quello che diceva Gesù: la vostra tristezza si trasformerà in allegria (Gv 16, 22). 

martedì 25 luglio 2023

TESORO IN VASI DI CRETA

 



Fratelli, noi abbiamo un tesoro in vasi di creta, affinché appaia che questa straordinaria potenza appartiene a Dio, e non viene da noi. In tutto, infatti, siamo tribolati, ma non schiacciati; siamo sconvolti, ma non disperati; perseguitati, ma non abbandonati; colpiti, ma non uccisi (2 Cor 4,7-9). Quando nelle situazioni di confusione dovuta alla persecuzione, rimaniamo fermi nella fede, si manifesta la presenza di Dio nella storia attraverso la nostra presenza, perché resistere nella persecuzione non è umano. Interessante questo aspetto: la prova della presenza di Dio nel mondo avviene non attraverso eventi straordinari e potenti, ma in quelli in cui viene evidenziata la fragilità umana. La capacità di resistere quando il peso della vita rischia di schiacciarci è un dono dell’amore di Dio per noi. Infatti, Paolo, a proposito di questo dice: non viene da noi. Ancora una volta diventa chiaro che Gesù non è venuto a toglierci i pesi della vita, che rimangono tutti, ma a darci la forza per sostenerli. La presa di coscienza della nostra debolezza, che sperimentiamo proprio in questi frangenti, nella prospettiva di fede non diventa un dramma, ma la possibilità di sperimentare la presenza del Signore: abbiamo un tesoro in vasi di creta

Apprendere a vivere i momenti difficili che incontriamo nella vita, non cadendo nella disperazione o nell’afflizione, ma come possibilità che ci viene offerta per aprirci alla grazia del Signore, per sperimentare la sua forza e la sua presenza e, così, trasformare il dolore personale in un inno di ringraziamento a Dio, come ci ricorda san Paolo alla fine del testo di oggi: La grazia, accresciuta a opera di molti, faccia abbondare l'inno di ringraziamento, per la gloria di Dio (2 Cor 4, 15). 

TRA VOI NON SIA COSI'

 



Paolo Cugini

Tra voi non sarà così; ma chi vuole diventare grande tra voi, sarà vostro servitore e chi vuole essere il primo tra voi, sarà vostro schiavo. Come il Figlio dell'uomo, che non è venuto per farsi servire, ma per servire e dare la propria vita in riscatto per molti (Mt 20, 27-28). Stile nuovo di Gesù, che si manifesta nei sentimenti, nel modo in cui vediamo il mondo e percepiamo la presenza degli altri. Tra di voi non sia così: imparare a non andare dietro alle logiche del mondo, ma apprendere ad assimilare lo stile di Gesù. Non importa se nelle dinamiche del mondo c’è rivalità, spirito di contesa, sforzo di essere i migliori: tra di noi non dev’essere così.

Tra color che seguono il Signore ci deve essere amore per i fratelli e le sorelle, spirito di collaborazione, disponibilità al servizio gratuito e disinteressato. Il discepolo e la discepola sono coloro che si pongono in un cammino di diversità, vogliono uscire dai dinamismi di rivalità che il mondo vive e stimola, per essere diversi, capaci di creare relazioni basate sul rispetto, l’uguaglianza, l’attenzione agli altri, soprattutto i più poveri. È questo il compito e la sfida della comunità cristiana: essere in mezzo al mondo un pezzetto di umanità diversa, che fa spazio all’amore del Signore.

È questo un cammino che esige la disponibilità quotidiana al cambiamento, la docilità nei confronti del Vangelo, della sua luce che illumina il nostro cammino. Ricordiamocelo: tra di noi non dev’essere così. 

lunedì 24 luglio 2023

OMELIA DOMENICA 30 LUGLIO 2023

 




XVII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

1 Re 3,5.7-12; Sal 118; Rm 8,28-30; Mt 13,44-52

 

Paolo Cugini

 

È la terza domenica che la liturgia della parola ci propone di ascoltare il capitolo 13 del Vangelo di Matteo, in cui troviamo le parabole di Gesù. C’è un cammino che stiamo compiendo verso la comprensione della proposta di Gesù e della sua predicazione. Ebbene, in questo cammino di comprensione, le parabole hanno un ruolo fondamentale. Non a caso, si trovano proprio in quella sezione dedicata al mistero del Regno dei cieli, che è il centro dell’annuncio che Gesù svolge nel contesto del Vangelo di Matteo. Il Regno dei cieli, è bene ricordarcelo, non è una realtà che è fuori dalla nostra portata, in un improbabile al di là, ma indica la nuova realtà terrena che Gesù è venuto a mostrare con il suo stile di vita. Sant’Agostino ci ricordava che, per comprendere i misteri contenuti nella Parola di Dio, occorre prima di tutto credere in Dio: la fede precede la comprensione. È proprio questo che abbiamo visto nelle domeniche precedenti, quando dicevamo che per comprendere i misteri profondi contenuti nel Vangelo, occorre essere discepoli del Signore, avere fiducia in Lui e nella sua proposta. Del resto, al termine della narrazione di oggi, Gesù chiede ai suoi discepoli: “avete compreso tutte queste cose?”. Mettiamoci, allora, nell’atteggiamento interiori dei discepoli e delle discepole, per fare spazio in noi alla Parola del Signore, in quell’atteggiamento di fiducia che prepara la strada per la comprensione di ciò che ascoltiamo.

Il regno dei cieli è simile a un tesoro nascosto nel campo. Il regno dei cieli è la metafora che Gesù utilizza per descrivere il modo autentico di vivere ad immagine e somiglianza di Dio qui sulla terra. Il Regno dei cieli è lo stesso Gesù, il suo stile di vita, il suo modo di stare al mondo e di proporsi in modo gratuito e disinteressato. Gesù esprime questo stile creando una comunità di discepoli e discepole uguali, svuotando dall’interno la cultura patriarcale, che reggeva le dinamiche relazionali del tempo e le regge tutt’ora. Il vangelo, poi, parla di similitudine, perché il Regno dei cieli non può essere imprigionato da un’equazione di tipo matematico, che dà sicurezza e mette il cuore in pace. La similitudine esige inquietudine, un desiderio di cercare sempre, un costante cammino di comprensione, che non si esaurisce mai, come sono, del resto, tutte le cose che provengono da Dio. Questo stile nuovo di Gesù è simile ad un tesoro nascosto in un campo: cosa significa? In primo luogo, che non è immediato, vale a dire che lo stile proposta da Gesù non viene percepito immediatamente come qualcosa di straordinario, capace di realizzare le potenzialità umane. In secondo luogo, il fatto che sia nascosto significa che per manifestarsi non utilizza l’esteriorità, l’apparenza, la visibilità. Attualizzando il discorso, potremmo dire che il Regno dei cieli non viene pubblicizzato sui social, perché il suo modo di manifestarsi e farsi conoscere non segue il cammino dell’apparenza, ma dell’interiorità, della coscienza. Si accorge della bontà della proposta di Gesù solamente colui e colei che è abituato a riflettere, a farsi delle domande, a cercare l’autenticità della vita.

Un uomo lo trova e lo nasconde; poi va, pieno di gioia, vende tutti i suoi averi e compra quel campo (Mt 13, 44). Il fatto che l’uomo trovi il tesoro significa che non è dipeso dai suoi sforzi: è un dono gratuito. Il Regno dei cieli non ce lo meritiamo per le nostre buone azioni, ma è un dono gratuito di Dio. Di nostro ci può essere il senso della ricerca che ci permette d’identificare quella situazione, quella persona come un tesoro: questo è già un passo molto positivo. In ogni modo, la parabola vuole sottolineare la gratuità del Regno. Il fatto che colui che trova il tesoro vende tutti suoi averi per comprare il campo in cui si trova il tesoro, può significare la totalità che il Regno dei cieli dee assumere nella vita di coloro che lo accolgono. D’ora innanzi, ogni pensiero e ogni azione dovranno trovare il loro fondamento nella proposta di Gesù: tutto dev’essere orientato da Lui. Vengono in mente le parole di Paolo nella lettera ai Filippesi, in cui descrive cos’è stato per lui l’incontro con Gesù: Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo (Fil 3,7-8).

Il regno dei cieli è simile anche a un mercante che va in cerca di perle preziose (Mt 13, 44). La parabola della perla preziosa è in corrispondenza a quella precedente. Mentre nella prima, come abbiamo visto, l’accento è sulla gratuità di ciò che si trova, qui viene sottolineato lo sforzo personale. Anche qui c’è il valore del dono, che viene sottolineato dal fatto che il cercatore torva la perla preziosa e poteva anche non trovarla. Ciò che, però, viene messo in risalto è lo sforzo personale, la ricerca che viene premiata. Provando ad attualizzare il significato di queste parole. Il Regno dei cieli, che è lo stile di vita di Gesù, lo si acquisisce nella ricerca costante e quotidiana di vivere ciò che ascoltiamo da Lui nel Vangelo. È in questo modo che, grazie all’azione dello Spirito Santo, si viene formando quell’umanità nuova, che rende visibile la presenza del Signore nel mondo. In fin dei conti, il corpo di Cristo è la comunità cristiana che si alimenta e vive del Signore: è questo uno dei temi cari a san Paolo.

Così sarà alla fine del mondo. Verranno gli angeli e separeranno i cattivi dai buoni e li getteranno nella fornace ardente, dove sarà pianto e stridore di denti. (Mt 13, 49). L’ultima delle sette parabole del Regno contenute nel capitolo 13 del Vangelo di Matteo, conclude l’itinerario mostrando il cammino che dobbiamo compiere, che consiste nel camminare dietro al Signore. L’immagine della fornace e dello stridore di denti hanno un valore pedagogico, per stimolare gli ascoltatori a prendere sul serio le parole di Gesù e vivere do conseguenza.

 

mercoledì 19 luglio 2023

FEDELI ALLA TERRA

 



Paolo Cugini

 

L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava (Es 3, 2).

Dio si manifesta nella storia degli uomini e delle donne sullo stesso piano in cui ci troviamo, quello materiale, immanente e lo fa ponendo una differenza qualitativa, che provoca la curiosità di Mosè. Per conoscere il Signore bisogna essere un po' curiosi, indagatori, persone interessate, animate dalla sete di conoscere.

Qui abbiamo due dati interessanti: è Dio che viene verso di noi e ci vuole incontrare. È il concetto opposto che viene presentato dalla filosofia o dalla religione devozionale, che presenta un Dio che esige riverenza e che dobbiamo cercare, che esige devozioni, sacrifici. Il brano in questione dice tutto il contrario: non siamo noi che dobbiamo salire a Dio, ma è Lui che viene alla nostra ricerca e, di conseguenza, non dobbiamo fare nulla per avvicinarlo.

L’altro dato importante da sottolineare è che Dio per incontrarci utilizza il nostro livello umano. Ciò significa che, se volgiamo incontrare Dio per conoscerlo, non abbiamo bisogno di salire al cielo, ma di guardare alla terra. È la nostra fedeltà alla terra, la nostra attenzione agli eventi, alle situazioni che ci permette di scoprire la presenza di Dio in mezzo a noi. È questo, tra l’altro, il senso dell’incarnazione. Quel cammino di discesa di Dio verso l’omo e la donna, visibile nella narrazione del rovo ardente, è continuata sino alla venuta di Dio in mezzo a noi nella persona di Gesù e continua nell’azione del suo Spirito.

Solo chi è fedele alla terrà avrà la possibilità di vedere Dio e scoprire che il Dio che si è manifestato in Gesù non è l’essere onnipotente e onnisciente, lontanissimo da noi mortali, ma: Io sono il Dio di tuo padre, il Dio di Abramo, il Dio di Isacco, il Dio di Giacobbe. Pensiamoci.

martedì 18 luglio 2023

OMELIA DOMENICA 23 LUGLIO 2023

 



XVI DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Sap 12, 13.16-19; Sal 85; Rm 8,26-27; Mt 13,24-43

 

Paolo Cugini

 

Domenica scorsa abbiamo iniziato ad ascoltare il capitolo 13 del Vangelo di Matteo, che contiene il discorso in parabole, che fa parte della sezione: il mistero del Regno dei cieli. Stiamo, dunque, ascoltando delle narrazioni che cercano di spiegarci il contenuto dell’annuncio principale di Gesù, vale a dire la rivelazione del Regno dei cieli, che in altre parole non è altro che la modalità di vita conforme alla volontà del Signore. Ascoltando con attenzione il contenuto di queste parabole ci rendiamo conto che si tratta di insegnamenti molto concreti, che riguardano la vita quotidiana delle persone, di coloro che desiderano camminare sulle vie del Signore. Ascoltiamo, allora, ciò che Gesù ha da insegnarci oggi.

Ma, mentre tutti dormivano, venne il suo nemico, seminò della zizzania in mezzo al grano e se ne andò (Mt 13,25). Nel campo della nostra vita non ci sono solo le sementi che di nostra iniziativa poniamo, ma anche quelle che il mondo semina in noi. Ci sono delle idee che assimiliamo sin dall’infanzia, che consideriamo come vere senza averle mai verificate. Nella giovinezza e nella vita adulta, uno dei compiti importanti per sviluppare una mentalità conforme al Vangelo, è approfondire la conoscenza delle idee assimilate per un discernimento costante e capire ciò che proviene dal vangelo e ciò che invece è tipico dalla mentalità del mondo. È un lavoro lento, ma necessario, anche perché ciò che la cultura semina in noi, si è formato nel tempo e, per questo, viene identificato como autentico. Sol per fare un esempio. Il patriarcato, la misoginia, l’omofobia sono tutti elementi culturali che vengono da molto lontano e che noi sin dall’infanzia assimiliamo inconsciamente perché sono elementi che fanno parte della nostra cultura. Saperli individuare, cogliendo sino a che punto si sono radicati nelle nostre scelte, è un lavoro necessario, che richiede tempo e dedizione. Possiamo dire che uno dei frutti maturi della vita spirituale, consiste proprio nella capacità di liberarsi dalle sementi negative assimilate sin dall’infanzia, sradicarle totalmente: solo così potremo vivere in modo libero e autentico.

Non succeda che, raccogliendo la zizzania, con essa sradichiate anche il grano. Lasciate che l'una e l'altro crescano insieme fino alla mietitura e al momento della mietitura dirò ai mietitori: Raccogliete prima la zizzania e legatela in fasci per bruciarla; il grano invece riponetelo nel mio granaio" (Mt 13, 30). C’è un secondo livello d’insegnamento della parabola di oggi. Se ci sono sementi negative che ereditiamo dalla cultura in cui viviamo e che possiamo sradicare, ve ne sono altre che, crescendo e sviluppandosi fortemente, non possono essere sradicate perché si rischierebbe di estirpare anche quelle buone. Che cosa ci vuole insegnare Gesù con questo secondo passaggio della parabola? Ci vuole dire che nella vita adulta dobbiamo imparare a convivere con il male. Anche questo è uno dei frutti positivi della vita spirituale. L’insegnamento di non rispondere al male è un tema importante della predicazione di Gesù, perché lo riprende anche in altri contesti. Nel discorso della montagna, infatti, Gesù afferma: Ma io vi dico di non opporvi al malvagio; (Mt 5,39) e, subito dopo, invita a ad amare e a pregare per coloro che ci odiano e ci perseguitano (cfr. Mt 5, 44). Il pericolo, infatti, quando non resistiamo al male ricevuto e rispondiamo con la stessa moneta, consiste nell’essere travolti dallo stesso male, che entra dentro di noi e ci conduce a pensare e a compiere cose che non vorremmo. Anche Paolo è sulla stessa linea di pensiero e, nella lettera ai Romani esorta i fratelli e le sorelle della comunità a non lasciarsi vincere dal male, ma di vincere il male con il bene (cfr. Rom 12,21). È questo un insegnamento nuovo, che va contro la mentalità maschilista e patriarcale che genera violenza e sostiene l’istinto che spinge a farsi giustizia da soli. Non così i cristiani che desiderano vivere nella pace del Signore e la comunicano al mondo con uno stile di vita non-violento, lo stesso appreso dal Maestro. Anche la sapienza d’Israele, qualche decennio prima della venuta di Gesù, aveva colto il modo umile e mite dell’azione di Dio nella storia. Questa idea l’abbiamo ascoltata nella prima lettura: Padrone della forza, tu giudichi con mitezza e ci governi con molta indulgenza (Sap 12,16).

Lo Spirito viene in aiuto alla nostra debolezza; non sappiamo infatti come pregare in modo conveniente, ma lo Spirito stesso intercede con gemiti inesprimibili (Rom 8, 26). A questo punto del discorso potremmo obiettare sostenendo che, ciò che Gesù chiede come atteggiamento dinanzi al male che riceviamo, è troppo difficile, troppo oltre il nostro modo di sentire, troppo oltre la nostra capacità umana di sopportazione. Non solo, ma è contraria alla prospettiva culturale in cui viviamo, che ci spinge a farci giustizia da soli. Ci vengono in aiuto le parole di Paolo nella bellissima catechesi sullo Spirito Santo del capitolo 8 della lettera ai romani, che stiamo ascoltando in queste domeniche. Gesù, infatti, non solo ci offre il suo esempio, ma ci dona anche il suo Spirito, che agisce in coloro che lo accolgono. Gesù non ha solo insegnato di resistere al male con il bene, ma lo ha anche fatto. Quando era sul legno della croce ha pregato il Padre per coloro che lo stavano uccidendo, chiedendo il loro perdono. È lo Spirito di Gesù che invochiamo, affinché ci dia forza nei nostri pensieri e nelle nostre azioni e, in questo modo, permettergli di strutturare un pezzo di umanità non dominato dalle logiche della violenza e dall’odio, ma dall’amore gratuiti di Dio.

 

COMPASSIONE AL FEMMINILE

 



Paolo Cugini

Es 2,1-15. È la storia di una serie di disobbedienze che hanno come protagoniste delle donne, che non accettano l’imposizione del faraone, che aveva decretato la morte dei bambini maschi. La storia inizia con la disobbedienza di una mamma ebrea che non uccide subito il bambino, ma lo tiene nascosto e poi lo mette in un cestello per deporlo nel fiume. Poi entra in scena la figlia del faraone che vedendo il bambino “ne ebbe compassione” e si organizza per salvarlo. A questo punto entra in gioco la sorella del bambino salvato, che aveva accompagnato la scena da lontano e coinvolge la madre del bambino, che è anche la sua propria madre. Tutta questa disobbedienza all’ordine del faraone, che vede coinvolte diverse donne, ha come punto di partenza l’amore alla vita, che provoca la compassione, che è tale quando fa di tutto per mettere in condizioni il malcapitato – in questo caso un bambino - per poter vivere.

 È un brano che narra la sensibilità misteriosa delle donne dinanzi alla vita, sensibilità che non segue la ragione – l’ordine del faraone -, ma il cuore, la coscienza. C’è un grande insegnamento in questa breve narrazione, che è questo: qualsiasi norma che l’uomo propone deve passare il vaglio della coscienza, perché è nella coscienza che Dio si manifesta, come ci ha insegnato il Concilio Vaticano II.

Altro dato interessante che emerge da questo racconto è il protagonismo delle donne all’interno di un mondo di maschi e di una narrazione, quella biblica, raccontata dagli uomini. Come ci insegnano le bibliste, è dal silenzio delle donne nella Bibbia, che si scoprono i percorsi di Dio nella storia umana: occorre saperli ascoltare. 

lunedì 17 luglio 2023

ETERNO RITORNO

 




 

Paolo Cugini

In quei giorni, sorse sull’Egitto un nuovo re, che non aveva conosciuto Giuseppe (Es 1,8). Bisogna uscire dall’illusione che la storia, la vita, sia una linea progressiva, che la conquista positiva di oggi porterà a cose migliori domani: pura illusione. La storia segue i ritmi della natura, che non sono lineari, ma circolari. Si torna, più o meno, sempre allo stesso punto. La gente muore, gli anni passano, e tutto finisce nel dimenticatoio. E così, le conquiste frutto di tanti sacrifici, vengono spazzate via dalle nuove generazioni, che non solo non ricordano, ma se ne infischiano del passato e vanno avanti per la loro strada, perché questo è il dato di fatto: ogni generazione vuole lasciare il proprio segno indelebile nella storia e, in alcuni casi, fa di tutto per cancellare ciò che c’era prima. È come viene narrato nel brano di oggi.

 Il nuovo re d’Egitto, non aveva conosciuto Giuseppe, nemmeno cerca di sapere chi fosse e risolve i problemi del popolo d’Israele come gli pare e piace, senza preoccuparsi di prendere informazioni, per dare continuità al lavoro fatto in precedenza. Imparare a convivere con la realtà delle cose aiuta a non vivere con la testa piena di illusioni che, con il passare del tempo, diventano frustrazioni.

sabato 15 luglio 2023

NON ABBIATE PAURA

 



Paolo Cugini

 

Non abbiate paura” (Mt 10, 26). È il tema del vangelo di oggi: l’espressione viene ripetuta tre volte. Non aver paura significa imparare a vivere ogni attimo della propria vita nell’orizzonte di Dio. Significa vivere il presente sapendo che contiene le sementi del Verbo, che, accogliendole, trasformano tutto in vita e amore. Non avere paura significa anche imparare che ogni evento non ha solamente una dimensione materiale, ma anche intenzionale. Nell’universo c’è lo Spirito che giuda il cosmo ed è capace di trasformare tutto in amore.

Vivere il presente nella consapevolezza che l’attimo non è fine a se stesso, ma contiene una presenza che solo l’anima spirituale è capace di percepire e, per questo, vive serena anche negli eventi avversi. Per questo il non avere paura è il segno della fede, della fiducia in quel Dio percepito dentro la storia e non fuori, perché la trascendenza di Dio è nell’immanenza delle cose e della storia. Non avere paura significa aver posto la propria vita al sicuro, aver compreso che non siamo soli, che c’è lo Spirito della vita dentro di noi e che l’amore è più forte dell’odio ed è capace di trasformare tutto.

lunedì 10 luglio 2023

OMELIA DOMENICA 16 LUGLIO 2023

 



XV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Is 55,10-11; Sal 64; Rm 8,18-23; Mt 13,1-23

 

Paolo Cugini

 

Quel giorno Gesù uscì di casa e sedette in riva al mare. Si radunò attorno a lui tanta folla che egli salì su una barca e si mise a sedere, mentre tutta la folla stava sulla spiaggia (Mt 13,1). La parabola del seminatore ci permette di addentrarci nel mistero della Parola di Dio. Quelle pronunciate da Gesù sono parole non solo profonde e autentiche, ma soprattutto, sanno descrivere in modo sorprendente la dimensione della vita spirituale. Da una parte c’è la bontà di una Parola che ci viene donata gratuitamente per poter diventare ciò che siamo: figli e figlie di Dio. Dall’altra, c’è tuta la nostra realtà, il fatto che la Parola di Dio aspetta di essere accolta, interiorizzata. In altre parole: l’ascolto del Vangelo di per sé non produce il miracolo, ma aspetta che entri in azione la nostra libertà, che si deve operare per creare le condizioni esistenziali e spirituali affinché la Parola possa produrre i frutti corrispondenti. Prendiamo, allora, come buona per noi, l’indicazione iniziale di questa bellissima pagina del Vangelo: mettiamoci a sedere come Gesù fece quel giorno, prendiamoci del tempo per ascoltare e meditare.

Solitamente ci si ferma a commentare il contenuto della parabola, perdendo di vista i passaggi centrali, che invece offrono diversi spunti di riflessione. Il testo ascoltato dice che Gesù parla in parabole al popolo perché: guardando non vedono, udendo non ascoltano e non comprendono: che cosa significa? Solo chi decide di mettersi in un cammino di discepolato si pone in una situazione esistenziale capace di comprendere ciò che ascolta. Il contenuto delle parabole non può essere compreso se non da coloro che hanno deciso di mettersi in cammino dietro a Gesù. Per coloro, invece, che pretenderanno di comprendere ciò che il Signore dice senza fare il minimo sforzo di sequela, sarà impossibile capire il significato profondo delle parabole. Il radicalismo di Gesù ha come obiettivo di stimolare l’ascoltatore a porre nella propria vita le scelte necessarie per divenire discepolo e discepola. La contrapposizione tra discepoli e il mondo è così radicale che Gesù arriva a sostenere che: a colui che ha, verrà dato e sarà nell’abbondanza, ma a colui che non ha, sarà tolto anche quello che ha. Senza dubbio non siamo nell’ambito dei beni materiali, ma della conoscenza dei misteri. Coloro che non hanno posto la loro vita nella condizione di comprendere facendosi discepoli, verrà tolto loro anche quello che presumono di avere, vale a dire quella conoscenza superficiale di Dio, frutto di un’adesione effimera.

Ogni volta che uno ascolta la parola del Regno e non la comprende… Nella prima parte della parabola Gesù elenca una serie di ostacoli che non permettono la comprensione della Parola di Dio. Il primo dato fondamentale che fa da corollario a tutto il discorso è che la Parola per portare frutto dev’essere compresa. Quest’affermazione si lega a ciò che Gesù ha affermato poco prima e che abbiamo tentato di spiegare, che, in definitiva significa: sino a quando non mettiamo in cammino dietro al Signore la nostra vita rimane impermeabile ai contenuti della Parola di Dio al punto che, possiamo anche ascoltarla ma non comprenderemo mai il senso profondo.

I maggiori ostacoli per la comprensione della Parola sono due: le persecuzioni e gli affanni della vita. Nel primo caso, alla gioia iniziale provocata dall’accoglienza della Parola, si arriva a desistere dal cammino intrapreso quando si cominciano a sentire le conseguenze che tale cammino comporta. Vivere il Vangelo dell’amore e della giustizia in un mondo fatto d’interessi personali e di relazioni dettate dal rancore e dall’odio, provoca lacerazioni e persecuzioni anche all’interno della tessa comunità. La tentazione che assale il discepolo è quella di desistere anche a causa della poco profondità del cammino. C’è implicito il consiglio di Gesù di dare profondità all’ascolto, proteggendo il proprio cammino da sguardi indiscreti, vivendo con un profilo basso, senza esporsi troppo per permettere alla semente della Parola di creare radici robuste.

la preoccupazione del mondo e la seduzione della ricchezza soffocano la Parola ed essa non dà frutto. L’altro ostacolo è molto concreto e attuale perché riguarda il nostro rapporto con il mondo e il denaro. Imparare a vivere tutto nella prospettiva del Vangelo significa che la fonte delle scelte anche le più concrete e quotidiane si trova nella Parola. Questo è il senso profondo della vita spirituale: imparare a gestire il presente con tutte le sue preoccupazioni, non prendendole di petto, ma inserendole sin dal mattino nella relazione con il Signore. Quando ci lasciamo travolgere dagli eventi della vita o dalla seduzione della ricchezza significa che la vita spirituale e la relazione con il Signore era già molto debole e fragile.  

Quello seminato sul terreno buono è colui che ascolta la Parola e la comprende; questi dà frutto e produce il cento, il sessanta, il trenta per uno. Tutta la parabola mira a mostrare la fecondità della Parola di Dio, il grande potenziale che possiede per una vita in pienezza. Ascoltare i consigli che il Signore offre significa imparare a porre la nostra esistenza sul sentiero che ci permette di divenire terreno fertile per la Parola di Dio. È questo il dato fondamentale e la grande promessa che realizza la profezia di Isaia ascoltata nella prima lettura: così sarà della mia parola uscita dalla mia bocca: non ritornerà a me senza effetto (Is 55,11). 

venerdì 7 luglio 2023

OMELIA DOMENICA 9 LUGLIO 2023

 




XIV DOMENICA TEMPO ORDINARIO

Zc 9, 9-10; Sal 144; Rm 8, 9. 11-13; Mt 11, 25-30

 

Paolo Cugini

 

Il capitolo 11 del Vangelo di Matteo apre la sezione del mistero del Regno dei cieli che, al capitolo 13, presenta le sette parabole del Regno. Il contenuto del capitolo riporta la resistenza e il rifiuto manifestato nei confronti della proposta di Gesù. Nonostante i miracoli realizzati e riportati nei capitoli 8 e 9 nella sezione sulla predicazione di Gesù, c’è un rifiuto netto da parte di una generazione che non accetta Gesù come figlio di Dio. Probabilmente il popolo d’Israele e, soprattutto, i suoi capi religiosi, si aspettavano qualcosa di diverso. È all’interno di questo quadro che vanno lette le parole che oggi il Vangelo ci propone, che sono i versetti conclusivi del capitolo 11.

Ti rendo lode, Padre, Signore del cielo e della terra, perché hai nascosto queste cose ai sapienti e ai dotti e le hai rivelate ai piccoli. Sì, o Padre, perché così hai deciso nella tua benevolenza (Mt 11,25). Ad una lettura superficiale queste parole di Gesù potrebbero apparire come un rifiuto della conoscenza e della sapienza, come se fossero di ostacolo alla comprensione dei misteri del Regno. In realtà Gesù non sta parlando della sapienza in generale, ma di uno specifico tipo di sapienza: quale? Il riferimento è a quel tipo di sapere che pretende di conoscere Dio al punto di fargli dire quello che Lui non ha mai detto. È la sapienza degli scribi, dei farisei, dei dottori della legge che, nel tempo, hanno prodotto una pericolosissima identificazione, quella tra Dio e i precetti da loro inventati, per cui, secondo loro, è possibile arrivare a Dio solamente attraverso l’obbedienza di una serie infinita di regole, precetti e riti, che non fanno altro che produrre, in coloro che provano a seguirli, tutta una serie di sensi di colpa che imprigionano le persone. Gesù, dinanzi a questa situazione, afferma che la conoscenza che viene da Dio non è accessibile alla sapienza proposta dai dottori della legge, ma esige un cammino nuovo di conversione e disponibilità. I piccoli a cui vengono dischiuse le porte della sapienza di Dio sono i discepoli e le discepole, coloro che attratti dalla bontà della proposta del Signore, si sono messi in cammino dietro di Lui. La rivelazione della presenza di Dio nella storia avviene non attraverso l’obbedienza di precetti umani, ma seguendo il cammino tracciato dal Signore.

Tutto è stato dato a me dal Padre mio; nessuno conosce il Figlio se non il Padre, e nessuno conosce il Padre se non il Figlio e colui al quale il Figlio vorrà rivelarlo (Mt 11, 27). Questa è la conoscenza che siamo chiamati ad assumere: d’ora innanzi il mistero di Dio è manifestato nel Figlio e lui lo rivela solamente a coloro che lo seguono. È, infatti, ascoltando la sua Parola e cercando di metterla in pratica che si scopre che, la sapienza del Signore, si manifesta nell’amore ai fratelli e alle sorelle che incontriamo nel cammino della vita. È andando dietro a Lui che scopriamo che l’essenziale della vita non sta nelle cose, nel denaro, nel possesso dei beni, ma nell’accoglienza dell’altro, nello sforzo costante di migliorare la qualità delle nostre relazioni. È strano constatare come i capi religiosi abbiano rifiutato questa proposta di Gesù. Strano, considerando anche il fatto, che i profeti della Prima Alleanza avevano annunciato lo stile che il Figlio di Dio avrebbe assunto venendo in mezzo agli uomini e alle donne per annunciare la buona novella. Non a caso la liturgia, nella prima lettura, ci ha proposto alcuni versetti del profeta Zaccaria che ci ricorda proprio la bontà di questa novità: Ecco, a te viene il tuo re. Egli è giusto e vittorioso, umile, cavalca un asino, un puledro figlio d'asina. Farà sparire il carro da guerra da Efraim e il cavallo da Gerusalemme, l'arco di guerra sarà spezzato, annuncerà la pace alle nazioni (Zc 9,9-10). Zaccaria è il profeta che accompagna i lavori della costruzione del secondo Tempio verso il 520 a. C. Proprio in questo contesto di ricostruzione, che è anche un contesto segnato dalla gioia del ritorno e dalla possibilità di vivere nuovamente nella propria terra, che Zaccaria ricorda al popolo il modo in cui il messia si manifesterà. In sintonia con le profezie del Primo Isaia, che predicava al popolo nel regno del Nord verso l’VIII secolo a. C., il profeta afferma che il messia-re non verrà cavalcando un cavallo con la potenza delle armi e degli eserciti per fare guerra, ma giungerà a noi con umiltà, su di un asino, per distruggere gli strumenti di guerra e portare la pace. D’ora innanzi, con la presenza del Signore, dovremo imparare a cercare Dio nei segni deboli della pace tra i popoli, in un atteggiamento di umiltà e mansuetudine. È questa novità che non piace a coloro che avevano fatto della religione un potente strumento di controllo del popolo e arma per i conflitti con le Nazioni.

Prendete il mio giogo sopra di voi e imparate da me, che sono mite e umile di cuore, e troverete ristoro per la vostra vita. Il mio giogo, infatti, è dolce e il mio peso leggero (Mt 11,29). È questo il cammino che dobbiamo compiere: deporre il gioco pesante e oppressivo della religione fatta di precetti e di leggi, che non fanno altro che appesantire il nostro cammino e la nostra mente, devastando la nostra anima con i sensi di colpa, per accogliere la dolcezza della proposta di Gesù, che, liberandoci dal peso della religione, ci permette di camminare liberi per vivere in pienezza di vita l’esperienza dell’amore condiviso con i fratelli e le sorelle che incontriamo nel cammino. Compiere il passaggio che ci conduce dalla religione alla fede, significa passare dalla stanchezza al riposo, da una vita oberata dal peso della fatica di andare verso Dio con i precetti, sperimentando ogni giorno la nostra incapacità, per accogliere il dono di un Dio che viene verso di noi con il Vangelo del Figlio, per invitarci a fare della nostra vita un'esperienza di amore gratuito e disinteressato. Buon cammino. 

lunedì 3 luglio 2023

OMELIA DOMENICA 2 LUGLIO 2023

 





XIII DOMENICA TEMPO ORDINARIO

2 Re 4,8-11.14-16a; Sal 88; Rm 6,3-4,8-11; Mt 10,37-42

 

 

Paolo Cugini

Con questi versetti si conclude oggi la lettura del capitolo 10 del Vangelo di Matteo iniziata due domeniche fa. È il capitolo che riporta il discorso missionario Di Gesù, l'invio dei suoi discepoli ad annunciare il Vangelo. A conclusione di questo discorso, Gesù propone una riflessione sui tratti che devono contraddistinguere tutti coloro che annunciano il Vangelo. Vediamo, allora, di cosa si tratta.

Chi ama padre o madre più̀ di me non è degno di me; chi ama figlio o figlia più̀ di me non è degno di me; chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me (Mt 10,37). La prima caratteristica che caratterizza il missionario consiste nella capacità di fondare legami basati sulla libertà. Le parole del versetto ascoltato presentano una grande radicalità, che va interpretata. Gesù ci ricorda che la relazione umana che fonda tutte le relazioni e quella con il Padre. Anche alla base delle relazioni familiari ci deve essere la relazione originaria con il Padre. Il pericolo che Gesù intravede nelle relazioni familiari consiste nella possibilità reale di creare legami di possesso. Per poter essere capaci di amare, occorre essere persone libere e questo è possibile quando si cresce all'interno di relazioni familiari che aiutano l'individuo ad libero, a sviluppare le proprie capacità per giungere a seguire il proprio cammino.

chi non prende la propria croce e non mi segue, non è degno di me. Solamente un discepolo, una discepola, libero/a può essere in grado di percorrere il cammino dell'amore, simbolizzato dalla croce di Gesù. Infatti, prima di essere l'immagine di un sacrificio, la croce di Gesù esprime il punto finale di una bellissima e intensa storia d'amore. Nella croce possiamo vedere la luce dell'umanità di Gesù, che ha saputo amare il Padre, i suoi discepoli e le sue discepole sino alla fine dei suoi giorni. Nemmeno le minacce, la tortura, le percosse e gli insulti hanno potuto arrestare la forza dirompente dell'amore di Gesù. Solo una persona libera può vivere l'amore nel modo profondo e intenso che ha vissuto Gesù. Lui stesso con i suoi discepoli e le sue discepole ha creato non legami di possesso, ma di libertà. La risorsa umana e spirituale chi animava l'amore di Gesù era il suo rapporto con il Padre. Gesù non trovava consolazione e non la ricercava nelle gratificazioni umane, che avrebbero potuto creare lacci di possesso e di dipendenza con i suoi discepoli e le sue discepole. La fonte dell'amore di Gesù, la sua consolazione la cercava nella relazione con il Padre e per questo era capace di accompagnare le persone senza legarle a sé. È questa una delle caratteristiche umane più importanti del missionario.

Chi avrà̀ tenuto per sé la propria vita, la perderà̀, e chi avrà̀ perduto la propria vita per causa mia, la troverà̀. Se volessimo descrivere con un'espressione il cammino di conversione che compiono coloro che seguono il Signore e si predispongono ad annunciare a tutti la bontà del suo messaggio, la troveremmo nelle parole del versetto riportato sopra. L'incontro con il Signore ci conduce ad un passaggio fondamentale nel modo di vivere e di impostare l'esistenza. Passiamo infatti, da una vita incentrata su noi stessi a una vita donata agli altri e a Dio. Se volessimo individuare una caratteristica della nostra cultura occidentale la possiamo trovare nel modo in cui, fin da piccoli, veniamo educati ad essere al centro dalle attenzioni di tutti e tutte, spinti a diventare i migliori in ogni cosa che facciamo, ad ingrandire così il nostro orgoglio, il nostro egoismo. L'incontro con Gesù ci conduce fuori dal nostro egoismo e ci porta ad uno stile di vita orientato sugli altri.

Chi accoglie voi accoglie me, e chi accoglie me accoglie colui che mi ha mandato. Accompagnati nel cammino della libertà, che ci conduce ad amare i fratelli e le sorelle che incontriamo sul nostro cammino, veniamo stimolati a curare la qualità delle nostre relazioni umane. L'accoglienza del Vangelo, della buona novella che non solo annunciamo con le parole, ma la anticipiamo nello stile di vita vissuto in comunità, è possibile proprio attraverso le relazioni che sappiamo instaurare. È questo che ci insegna Gesù quando ci parla di coloro che sono inviati ad annunciare Il Vangelo. L'attenzione alle relazioni umane, all'ascolto dell'altro, dell'altra, in modo particolare dei più piccoli e dei più deboli, è la strada maestra che apre il cuore all'accoglienza della semente di vita eterna che è il Vangelo.

Chi avrà̀ dato da bere anche un solo bicchiere d’acqua fresca a uno di questi piccoli perché́ è un discepolo, in verità̀ io vi dico: non perderà̀ la sua ricompensa. L'indicazione dei tratti dell'umanità che deve caratterizzare coloro che sono inviati ad annunciare il Vangelo, si chiude con un paradosso. Gesù ci dice che basta un bicchiere d'acqua fresca per entrare nel Regno dei cieli. Dopo aver presentato la radicalità della sequela, Gesù alla fine sembra giocare al ribasso. In realtà, se riflettiamo attentamente su questo versetto, ci accorgiamo che non è così. Infatti, per poter dare un bicchiere di acqua fresca aa un piccolo, occorre prima di tutto riuscire a vederlo. Questo è il problema. Una vita incentrata su se stessi, sul proprio egoismo, non ci permette di vedere i piccoli che il Signore pone al nostro incontro. L'effetto che l'incontro del Signore opera nella nostra mente e nella nostra coscienza lo possiamo definire come una illuminazione. Paolo negli Atti degli apostoli definisce proprio così l'incontro con Gesù: avvolto da una luce. Anche Sant'Agostino nelle confessioni parlati illuminazione quando descrive il suo incontro con Gesù. La conversione è un cambiamento di mentalità, di modo di vedere e di stare al mondo che ci permette di vedere la realtà come la vede Gesù. Solo chi ha accolto il Vangelo del Signore si accorge dei piccoli che sono accanto a sé e solo allora potremmo offrire un bicchiere di acqua fresca. 

sabato 1 luglio 2023

OMELIA PER LA FESTA DEL BEATO FERDINANDO BACCILIERI

 




GALEAZZA - 1° LUGLIO 2023

Ez 34, 11-16; 1 Ts 2,2-8; Mt 23, 8-12

Paolo Cugini

 

Le letture della festa del Beato Baccilieri ci conducono a riflettere sul significato della guida di comunità, tema di grande attualità, anche per i nuovi risvolti ecclesiali a cui stiamo assistendo.

C’è un primo dato che potremmo chiamare antropologico, che è sotteso al tema del pastore e delle pecore. Si tratta della naturale e strutturale carenza umana. L’uomo, la donna è un essere carente, che ha bisogno di qualcosa di spirituale che dia senso alla vita e di qualcuno che l’aiuti a trovarlo. Se questo lavoro spirituale non viene impostato sin dall’adolescenza la persona cercherà costantemente di riempire quel vuoto interiore con dei pagliativi.  Vita interiore per stimolare la coscienza in modo tale che diventi capace di scegliere il bene, la vita, il cammino dell’amore. Famose sono le parole del Deuteronomio quando, Dio dopo aver mostrato il cammino della benedizione e della maledizione, afferma: “scegli, dunque, la vita” (Dt 29). Il problema è proprio questo: come arrivare a scegliere la vita se l’anima è vuota e le idee sono confuse?

Qual è, allora, lo strumento che i pastori dovrebbero fornire per aiutare le persone a non perdersi, a riempire il vuoto spirituale? È la Parola di Dio. È questo il grande tema di oggi. Il pastore, la guida esercita la sua funzione quando mostra la Parola di Dio al popolo. Nella prima lettura il profeta Ezechiele rimprovera tutti coloro che avevano una funzione di guida proprio perché, invece di donare al popolo la Parola di Dio capace di orientare, hanno fatto gli affari loro.  La profezia di Ezechiele che abbiamo ascoltato è inserita in una serie di oracoli in cui la medesima metafora pastorale è applicata alla casa regnante. Ezechiele accusa di avidità i re che si sono succeduti sul trono di Davide e Salomone. Il compito di ogni buon governante sarebbe la giustizia, ma essi si sono dedicati al loro tornaconto. Il risultato finale di tanta ingiustizia ed incuria è il paesaggio devastato e la dispersione del popolo in una immagine di desolazione e paura. Quando il popolo non ascolta la Parola di Dio dimentica la sua origine, il fine per cui è al mondo e si perde. I pastori non hanno fatto il loro dovere e il popolo si è perso andando dietro agli idoli dei popoli limitrofi. C’è un brano del profeta Amos che allerta Israele sul disastro spirituale al quale andranno incontro se continueranno a dimenticare Dio: “Non di pane avranno fame, non di acqua avranno sete, ma di ascoltare la parola del Signore. Ovunque cercheranno con ansia la parola di Dio, da nord a sud e da ovest a est. Ma non la troveranno” (Amos 8, 4-6). È questo il disastro spirituale che può accadere ad un popolo: non avere accesso alla Parola di Dio sino ad avere quella fame che non può essere saziata con nessun’altra cosa, con nessun altro alimento. Come sappiamo, Gesù rimprovererà i capi del popolo proprio su questo punto, perché non solo non avevano dato la popolo la Parola di Dio, ma l’avevano ingannato dando le loro tradizioni al posto della Parola (cfr. Mc 7).

Come mai è così importante la Parola di Dio al punto da essere insostituibile? Ci sono diversi brani che ci possono aiutare in questa ricerca. Prima di tutto, il termine: parola in ebraico non s’identifica con la lettera, ma con l’azione. La parola è una parola-evento, vale a dire è l’evento che rende visibile il contenuto della parola. Ciò significa che coloro che sono chiamati a donare la parola al popolo non lo possono fare semplicemente riproducendo delle parole, ma vivendo quello che dicono. In ogni modo, la forza della Parola di Dio non dipende esclusivamente dalla qualità dell’annunciatore. Ce lo ricorda san Paolo quando afferma che: “il Vangelo è la potenza di Dio” (Rom 1,16). Paolo è convinto che la potenza di Dio manifestatasi in modo sublime nella resurrezione del Figlio è contenuta nel Vangelo. Chi accoglie la Parola del Signore sperimenta il potere di Dio, il suo amore misericordioso, che ridona vita. Anche Pietro nella sua prima lettera afferma la stessa idea quando dice che la parola di Dio “è viva ed eterna” (1 Pt 1,21), è un seme incorruttibile.

Le condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d'Israele; là si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò riposare (Ez 34).

Che cosa produce questa semente di vita che è la Parola di Dio, il Vangelo, in coloro che l’accolgono? Diventano capaci di vedere con occhi nuovi. I miracoli in cui viene narrata la guarigione dei ciechi, vuole sottolineare questo: il passaggio da uno stato di cecità alla visione. È la stessa esperienza di Paolo quando incontra per la prima volta il Signore: lo incontra come luce. È la testimonianza di tanti santi come Agostino, Tommaso che narrano il proprio incontro con il Signore come un’esperienza di illuminazione. Che cosa significa? Questo processo di illuminazione viene descritto dal Concilio Vaticano II nel documento Gaudium et spes al n. 16: “L'uomo ha in realtà una legge scritta da Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità”. Il contatto con il Vangelo risveglia la coscienza e la rende capace di scegliere il bene. Il pastore è buono quando aiuta le persone a risvegliare le proprie coscienze assopite, dando loro il cibo della Parola di Dio, attraverso anche il proprio esempio. Quando, invece, al posto della parola vengono offerte tradizioni umane, dottrine religiose, il pastore si sente il garante, il solo capace di far rispettare le indicazioni delle tradizioni e la religione, invece di divenire cammino di libertà e di risveglio delle coscienze, si trasforma in una trappola mortale di tirannia.

Ma voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro e voi siete tutti fratelli (Mt 23, 8). Solo Gesù è il pastore e chi ha funzioni di guida nelle comunità è nella prospettiva di condurre il popolo di Dio verso l’Unico Maestro: Gesù. È questo l’aspetto che nella storia è stato spesso interpretato male. C’è tutta una teologia sviluppatasi in epoca medievale, che ha distorto i dati biblici, identificando il pastore con il prete, ed è la teologia del prete alter Christus. In realtà, sfogliando le pagine degli autori medievali, si dice chiaramente che il prete è alter Christus nel momento in cui celebra i sacramenti. È stata la spiritualità devozionale a produrre la stortura, provocando una problematica identificazione del pastore del gregge con il prete, identificazione che ha portato a molte situazioni problematiche.

C’è un unico Maestro: Gesù Cristo. È questo che intendeva la profezia di Ezechiele. È Cristo colui che ci conduce sui pascoli e ci offre il suo Vangelo, che alimenta la nostra coscienza, illuminandola al punto dal renderla in grado di scegliere il bene. Aiutiamoci a compiere questo cammino.