GALEAZZA
- 1° LUGLIO 2023
Ez
34, 11-16; 1 Ts 2,2-8; Mt 23, 8-12
Paolo
Cugini
Le
letture della festa del Beato Baccilieri ci conducono a riflettere sul
significato della guida di comunità, tema di grande attualità, anche per i
nuovi risvolti ecclesiali a cui stiamo assistendo.
C’è
un primo dato che potremmo chiamare antropologico, che è sotteso al tema del
pastore e delle pecore. Si tratta della naturale e strutturale carenza umana. L’uomo,
la donna è un essere carente, che ha bisogno di qualcosa di spirituale che dia
senso alla vita e di qualcuno che l’aiuti a trovarlo. Se questo lavoro
spirituale non viene impostato sin dall’adolescenza la persona cercherà
costantemente di riempire quel vuoto interiore con dei pagliativi. Vita interiore per stimolare la coscienza in
modo tale che diventi capace di scegliere il bene, la vita, il cammino dell’amore.
Famose sono le parole del Deuteronomio quando, Dio dopo aver mostrato il cammino
della benedizione e della maledizione, afferma: “scegli, dunque, la vita” (Dt 29).
Il problema è proprio questo: come arrivare a scegliere la vita se l’anima è
vuota e le idee sono confuse?
Qual è, allora, lo strumento che i pastori dovrebbero fornire per aiutare le persone
a non perdersi, a riempire il vuoto spirituale? È la Parola di Dio. È questo il
grande tema di oggi. Il pastore, la guida esercita la sua funzione quando mostra la Parola di Dio al popolo. Nella prima lettura il profeta Ezechiele rimprovera
tutti coloro che avevano una funzione di guida proprio perché, invece di donare
al popolo la Parola di Dio capace di orientare, hanno fatto gli affari loro. La
profezia di Ezechiele che abbiamo ascoltato è inserita in una serie di oracoli in
cui la medesima metafora pastorale è applicata alla casa regnante. Ezechiele
accusa di avidità i re che si sono succeduti sul trono di Davide e Salomone. Il
compito di ogni buon governante sarebbe la giustizia, ma essi si sono dedicati
al loro tornaconto. Il risultato finale di tanta ingiustizia ed incuria è il
paesaggio devastato e la dispersione del popolo in una immagine di desolazione
e paura. Quando il popolo non ascolta la Parola di Dio dimentica la sua origine,
il fine per cui è al mondo e si perde. I pastori non hanno fatto il loro dovere
e il popolo si è perso andando dietro agli idoli dei popoli limitrofi. C’è un brano
del profeta Amos che allerta Israele sul disastro spirituale al quale andranno
incontro se continueranno a dimenticare Dio: “Non di pane avranno fame, non
di acqua avranno sete, ma di ascoltare la parola del Signore. Ovunque
cercheranno con ansia la parola di Dio, da nord a sud e da ovest a est. Ma non
la troveranno” (Amos 8, 4-6). È questo il disastro spirituale che può
accadere ad un popolo: non avere accesso alla Parola di Dio sino ad avere
quella fame che non può essere saziata con nessun’altra cosa, con nessun altro
alimento. Come sappiamo, Gesù rimprovererà i capi del popolo proprio su questo
punto, perché non solo non avevano dato la popolo la Parola di Dio, ma l’avevano
ingannato dando le loro tradizioni al posto della Parola (cfr. Mc 7).
Come
mai è così importante la Parola di Dio al punto da essere insostituibile? Ci
sono diversi brani che ci possono aiutare in questa ricerca. Prima di tutto, il
termine: parola in ebraico non s’identifica con la lettera, ma con l’azione. La
parola è una parola-evento, vale a dire è l’evento che rende visibile il
contenuto della parola. Ciò significa che coloro che sono chiamati a donare la
parola al popolo non lo possono fare semplicemente riproducendo delle parole,
ma vivendo quello che dicono. In ogni modo, la forza della Parola di Dio non
dipende esclusivamente dalla qualità dell’annunciatore. Ce lo ricorda san Paolo quando afferma
che: “il Vangelo è la potenza di Dio” (Rom 1,16). Paolo è convinto che la
potenza di Dio manifestatasi in modo sublime nella resurrezione del Figlio è
contenuta nel Vangelo. Chi accoglie la Parola del Signore sperimenta il potere
di Dio, il suo amore misericordioso, che ridona vita. Anche Pietro nella sua
prima lettera afferma la stessa idea quando dice che la parola di Dio “è viva ed
eterna” (1 Pt 1,21), è un seme incorruttibile.
Le
condurrò in ottime pasture e il loro pascolo sarà sui monti alti d'Israele; là
si adageranno su fertili pascoli e pasceranno in abbondanza sui monti
d'Israele. Io stesso condurrò le mie pecore al pascolo e io le farò
riposare (Ez 34).
Che
cosa produce questa semente di vita che è la Parola di Dio, il Vangelo, in
coloro che l’accolgono? Diventano capaci di vedere con occhi nuovi. I miracoli
in cui viene narrata la guarigione dei ciechi, vuole sottolineare questo: il
passaggio da uno stato di cecità alla visione. È la stessa esperienza di Paolo
quando incontra per la prima volta il Signore: lo incontra come luce. È la
testimonianza di tanti santi come Agostino, Tommaso che narrano il proprio
incontro con il Signore come un’esperienza di illuminazione. Che cosa significa?
Questo processo di illuminazione viene descritto dal Concilio Vaticano II nel
documento Gaudium et spes al n. 16: “L'uomo ha in realtà una legge scritta da
Dio dentro al cuore; obbedire è la dignità stessa dell'uomo, e secondo questa
egli sarà giudicato. La coscienza è il nucleo più segreto e il sacrario
dell'uomo, dove egli è solo con Dio, la cui voce risuona nell'intimità”. Il
contatto con il Vangelo risveglia la coscienza e la rende capace di scegliere il
bene. Il pastore è buono quando aiuta le persone a risvegliare le proprie
coscienze assopite, dando loro il cibo della Parola di Dio, attraverso anche il proprio esempio. Quando, invece, al
posto della parola vengono offerte tradizioni umane, dottrine religiose, il pastore si sente il
garante, il solo capace di far rispettare le indicazioni delle tradizioni e la
religione, invece di divenire cammino di libertà e di risveglio delle coscienze, si trasforma in una trappola mortale di tirannia.
Ma
voi non fatevi chiamare "rabbì", perché uno solo è il vostro Maestro
e voi siete tutti fratelli (Mt 23, 8). Solo Gesù è il pastore e
chi ha funzioni di guida nelle comunità è nella prospettiva di condurre il popolo
di Dio verso l’Unico Maestro: Gesù. È questo l’aspetto che nella storia è stato
spesso interpretato male. C’è tutta una teologia sviluppatasi in epoca
medievale, che ha distorto i dati biblici, identificando il pastore con il
prete, ed è la teologia del prete alter Christus. In realtà, sfogliando le pagine
degli autori medievali, si dice chiaramente che il prete è alter Christus nel
momento in cui celebra i sacramenti. È stata la spiritualità devozionale a produrre
la stortura, provocando una problematica identificazione del pastore del gregge
con il prete, identificazione che ha portato a molte situazioni problematiche.
C’è
un unico Maestro: Gesù Cristo. È questo che intendeva la profezia di Ezechiele.
È Cristo colui che ci conduce sui pascoli e ci offre il suo Vangelo, che alimenta
la nostra coscienza, illuminandola al punto dal renderla in grado di scegliere
il bene. Aiutiamoci a compiere questo cammino.