domenica 26 settembre 2021

VINO NUOVO IN OTRI NUOVI

 





ESERCIZI SPIRITUALI PARROCCHIALI

23-26 SETTEMBRE 2021

Sesta meditazione


Paolo Cugini

 Nessuno cuce una toppa di panno grezzo su un vestito vecchio; altrimenti il rattoppo nuovo squarcia il vecchio e si forma uno strappo peggiore. E nessuno versa vino nuovo in otri vecchi, altrimenti il vino spaccherà gli otri e si perdono vino e otri, ma vino nuovo in otri nuovi» Mc 2, 21-22.

 

Che cosa significa questa espressione di Gesù?

La novità di Gesù richiede una coscienza svuotata dal passato, uno stile di vita che faccia spazio alla novità. Gesù, per certi aspetti, mette il dito su una piaga che affligge la persona umana, vale a die, la tendenza a ripiegarsi su di sè, a rinchiudersi nel proprio passato, come forma di rifiuto della realtà presente. In questo modo, s’identifica lo star bene con la riproduzione delle situazioni vissute nel passato, delle tradizioni antiche, facendo di queste l’elemento fondante la propria identità. Quando il presente è ripieno di un materiale che proviene dal passato, non c’è più spazio per il nuovo. Questo discorso non vale solamente per le nuove generazioni, ma per tutti. Coloro che desiderano seguire il Signore e la sua proposta di una vita piena e autentica, devono liberarsi dalle forme religiose del passato, dall’attaccamento a ciò che determinava la vita anteriormente.

Il profeta Isaia ha un passaggio che ci può aiutare in questo percorso

Isaia 43:16-21

16 Così parla il Signore, che aprì una strada nel mare e un sentiero fra le acque potenti,
17 che fece uscire carri e cavalli, un esercito di prodi guerrieri; tutti quanti furono atterrati e mai più si rialzarono; furono estinti, spenti come un lucignolo. 18 Non ricordate più le cose passate,
non considerate più le cose antiche: ecco, io sto per fare una cosa nuova; essa sta per germogliare; non la riconoscerete
?

Il contesto di questo brano è il ritorno del popolo d’Israele dall’esilio in Babilonia. La tentazione, secondo il profeta, è che il popolo rimanga così tanto con la mente fissa dai ricordi del passato che, con il tempo, diventano gloriosi, cioè superano nell’immaginazione di gran lunga la realtà degli effettivi eventi storici, da non riuscire a vedere ciò che Dio sta per compiere. Questo è il problema, che è allo stesso tempo spirituale ed esistenziale. Non ricordate più le cose passate,
non considerate più le cose antiche,
dice Isaia, perché se la mente e il cuore non fanno altro che rivolgersi indietro non ci sarà la possibilità di vedere ciò che sta per accadere. Le cose avvengono sotto i nostri occhi, ma noi non siamo in grado di cogliere, perché preoccupati di riprodurre fedelmente le nostre cose del passato.

Anche san Paolo, mentre riflette sulla propria storia, condivide una riflessione simile a quella che stiamo proponendo.

Filippesi 3

1 Per il resto, fratelli miei, state lieti nel Signore. A me non pesa e a voi è utile che vi scriva le stesse cose: 2 guardatevi dai cani, guardatevi dai cattivi operai, guardatevi da quelli che si fanno circoncidere! 3 Siamo infatti noi i veri circoncisi, noi che rendiamo il culto mossi dallo Spirito di Dio e ci gloriamo in Cristo Gesù, senza avere fiducia nella carne, 4 sebbene io possa vantarmi anche nella carne. Se alcuno ritiene di poter confidare nella carne, io più di lui: 5 circonciso l'ottavo giorno, della stirpe d'Israele, della tribù di Beniamino, ebreo da Ebrei, fariseo quanto alla legge; 6 quanto a zelo, persecutore della Chiesa; irreprensibile quanto alla giustizia che deriva dall'osservanza della legge. 7 Ma quello che poteva essere per me un guadagno, l'ho considerato una perdita a motivo di Cristo. 8 Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo 9 e di essere trovato in lui, non con una mia giustizia derivante dalla legge, ma con quella che deriva dalla fede in Cristo, cioè con la giustizia che deriva da Dio, basata sulla fede.

Paolo ha compreso che, dinanzi alla novità che la proposta di Cristo stava offrendo, tutto ciò che aveva fatto nel passato, compreso la legge mosaica e le tradizioni degli ebrei, non valevano più nulla e, quindi, potevano essere abbandonate, per fare spazio alla novità. Anzi, tutto ormai io reputo una perdita di fronte alla sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore, per il quale ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero come spazzatura, al fine di guadagnare Cristo. Dal punto di vista spirituale ciò significa che, l’attaccamento morboso al passato, morboso nel senso che non si riesce a staccarci, il legame con il passato è divenuto così forte da produrre una specie d’identificazione esistenziale, è il sintomo di una scarsa conoscenza del Signore e della sua proposta. L’incontro con il Signore, infatti, e questo fenomeno è visibile non solo in Paolo, ma in tutti coloro che hanno percepito la presenza del risorto nella loro vita, è così profonda da provocare in poco tempo lo svuotamento della coscienza dagli attaccamenti al passato, per divenire così disponibile a realizzare cose nuove, quelle cose per il quale Dio ci chiama in Cristo. La verità dell’incontro con il Signore è lo svuotamento dell’anima dalle forme del passato.

C’è un ultimo testo che mi sembra importante citare in questo percorso alla ricerca dell’atteggiamento spirituale dei discepoli e delle discepole del Signore.

Apocalisse 21

Vidi poi un nuovo cielo e una nuova terra, perché il cielo e la terra di prima erano scomparsi e il mare non c'era più. 2 Vidi anche la città santa, la nuova Gerusalemme, scendere dal cielo, da Dio, pronta come una sposa adorna per il suo sposo. 3 Udii allora una voce potente che usciva dal trono: «Ecco la dimora di Dio con gli uomini! Egli dimorerà tra di loro ed essi saranno suo popolo
ed egli sarà il "Dio-con-loro".  E tergerà ogni lacrima dai loro occhi; non ci sarà più la morte,
né lutto, né lamento, né affanno, perché le cose di prima sono passate».  E Colui che sedeva sul trono disse: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose»; e soggiunse: «Scrivi, perché queste parole sono certe e veraci.

Riusciamo a vedere un nuovo cielo e una nuova terra se abbiamo l’anima libera dalle cose vecchie, del passato, che sono state belle un giorno, ma che ora devono lasciare spazio alla novità del presente. Non intasiamo il presente della vita con il passato che non c’è più. Apriamo la nostra anima alla novità nella quale Cristo vuole condurci. Ecco, io faccio nuove tutte le cose. È questa la volontà del Signore.

 

Ascoltiamo, in conclusione, alcune affermazioni di Papa Francesco.

Il cristiano che si nasconde dietro il «Si è sempre fatto così...» commette peccato, divenendo idolatra e ribelle e vivendo una «vita rattoppata, metà e metà», perché chiude il suo cuore alle «novità dello Spirito Santo». È un invito a liberarsi dalle «abitudini», per lasciare spazio alle «sorprese di Dio», quello che Papa Francesco ha lanciato durante la messa celebrata lunedì mattina, 18 gennaio, nella cappella della Casa Santa Marta (19 gennaio 2016).

Marco 2, 18-22:

Abbiamo ascoltato la Parola di Dio nel libro dell’Apocalisse, e dice così: «Ecco, io faccio nuove tutte le cose» (21,5). La speranza cristiana si basa sulla fede in Dio che sempre crea novità nella vita dell’uomo, crea novità nella storia, crea novità nel cosmo. Il nostro Dio è il Dio che crea novità, perché è il Dio delle sorprese. Non è cristiano camminare con lo sguardo rivolto verso il basso – come fanno i maiali: sempre vanno così – senza alzare gli occhi all’orizzonte. Come se tutto il nostro cammino si spegnesse qui, nel palmo di pochi metri di viaggio; come se nella nostra vita non ci fosse nessuna meta e nessun approdo, e noi fossimo costretti ad un eterno girovagare, senza alcuna ragione per tante nostre fatiche. Questo non è cristiano Papa Francesco.

 

 

sabato 25 settembre 2021

Cercate il regno di Dio

 


ESERCIZI SPIRITUALI

GALEAZZA 23-26 SETTEMBRE 2021
QUINTA MEDITAZIONE


La parte centrale del Vangelo secondo Luca (9, 51-19, 27), quella lunga sezione che racconta il viaggio di Gesù con i suoi discepoli verso Gerusalemme, può essere considerata un cammino di iniziazione al discepolato: c’è il racconto di un itinerario; mentre si cammina verso Gerusalemme, Gesù istruisce i suoi discepoli sulle necessità della vita del credente. Tra queste istruzioni un posto grande ha, secondo S. Luca, l’uso del denaro e dei beni; tanto che alcuni capitoli sono dedicati proprio a questo tema. Il brano che abbiamo ascoltato ne è in qualche modo un esempio: ci sono due fratelli che litigano per una eredità; uno di loro si rivolge a Gesù per chiedere il suo arbitrato ma riceve un rifiuto e un’esortazione ad evitare la cupidigia. L’episodio si capisce facilmente, anzitutto le liti per l’eredità sono fatali e antiche quanto è l’uomo, e nemmeno il legame di parentela che unisce i fratelli è una garanzia per evitarlo, anzi sembra che questo renda le liti ancora più aspre, spesso senza possibilità di accordo. Dicevo: uno dei due fratelli si rivolge a Gesù; perché? Perché Gesù si presenta come un rabbi. In Israele i rabbi sono i maestri della legge, conoscono la legge di Mosè e tutte le spiegazioni e le casistiche che gli esperti hanno raccolto durante i secoli; sono quindi giuristi, possono essere chiamati ad operare come giudici o come avvocati o come arbitri, proprio per la loro professione e conoscenza. Ma Gesù non si colloca nella linea tradizionale dei rabbi e rifiuta decisamente ogni arbitrato. Perché non è questa la missione che lui ha ricevuto dal Padre; egli è qui per annunciare il Regno di Dio, per sottomettere alla sovranità di Dio la vita delle persone; le decisioni giuridiche sui beni materiali non lo interessano. E d’altra parte Gesù ha una famiglia, ma è quella costituita dai discepoli che «ascoltano la Parola di Dio e la mettono in pratica» (Lc 8, 21). Se una vita dovesse riguardare questa famiglia, la vita della comunità, ne sarebbe coinvolto Gesù stesso; ma le liti che riguardano la famiglia del mondo (per motivi mondani), non sono per Lui, le sente come estranee.

Però da quest’episodio Gesù ricava una lezione precisa: «Guardatevi e tenetevi lontano da ogni cupidigia, perché anche se uno è nell’abbondanza, la sua vita non dipende dai suoi beni» (Lc 12, 15). Per vivere sono necessarie molte cose, anche il denaro attraverso cui le cose possono essere acquistate; ma bisogna guardarsi bene dal confondere il senso della vita con i beni necessari per sostenerla. Forse questo è uno degli equivoci più presenti nella nostra società che, dicono gli esperti, è ricca di mezzi ma povera di fini. “Ricca di mezzi”, si capisce: non c’è mai stata nella storia una società umana che avesse a disposizione tanta ricchezza e strumenti per arricchire la vita. E questo va bene. Ma dice Gesù: “Sarebbe un’illusione identificare questa abbondanza dei mezzi con la felicità o anche solo con la pienezza della vita”. L’uomo è un essere che pensa e quindi non riesce a fare niente se non per uno scopo degno dello sforzo che si fa per raggiungerlo, altrimenti la vita dell’uomo rimane inevitabilmente vuota e priva di sapore, di gusto e di senso; e quale può essere il fine, se non consacrare la propria vita a qualche cosa di bello, di grande e di degno? Non voglio demonizzare la ricchezza, ma se uno è ricco deve pure avere qualche cosa al cui servizio mettere questa ricchezza; e deve essere qualche cosa di utile e di buono, altrimenti la ricchezza diventa sterile e la vita dell’uomo ricco diventa una vita inaridita e rinsecchita dai soldi.

Gesù spiega tutto questo con una parabola: «La campagna di un uomo ricco aveva dato un buon raccolto. Egli ragionava tra sé: Che farò, perché non ho dove riporre i miei raccolti? E disse: Farò così: demolirò i miei magazzini e ne costruirò di più grandi e vi raccoglierò tutto il grano e i miei beni. Poi dirò a me stesso: Anima mia, hai a disposizione molti beni, per molti anni; riposati, mangia, bevi e datti alla gioia» (Lc 12, 16-19). Molto spesso le parabole giocano su una svolta improvvisa che capovolge l’aspetto iniziale delle cose. Nel nostro caso il protagonista è dipinto come una persona in gamba e fortunata: il raccolto è tanto buono che i granai non riescono a contenerlo. Cosa c’è di male in questo? Evidentemente nulla, perché non si dice che quell’uomo sia stato disonesto o che abbia accumulato il suo capitale angariando gli operai. Si dice solo che il risultato del suo lavoro è stato ottimo. Ebbene, provate a collocare un uomo così nella nostra società e chiedetevi che valutazione meriti, che voto riceverebbe dall’opinione pubblica? Non sarebbe un voto ottimo? È un bravo imprenditore, ha operato con successo, ha avuto anche fortuna: il bel tempo o la pioggia sui suoi campi al momento opportuno; bravo e fortunato.

«Stolto»: questa è la parola che cambia tutto e che deve risuonare con forza contrastando i nostri giudizi, le attese e le valutazioni. Agli occhi del mondo è un uomo di successo. «Stolto», dice Dio. E naturalmente dobbiamo pensare che il giudizio di Dio sia più vero di quello che daremmo istintivamente noi. «Stolto» non dice disonesto, perché non è questo che il racconto vuole sottolineare; ma stolto significa poco intelligente. E bisognerebbe aggiungere poco furbo. Capite, un uomo che ha fatto molti soldi è considerato poco furbo. Non è paradossale? Non va contro tutti i nostri schemi mentali? Dobbiamo allora tentare di capire perché è data una valutazione di questo genere. E la parabola dà due indicazioni per capire.

 

1). La prima: «Questa notte stessa ti sarà richiesta la tua vita. E quello che hai preparato di chi sarà?» (Lc 12, 20). E possiamo spiegare: i beni materiali possono anche essere molti e preziosi, ma sono sempre beni esterni all’uomo, che in quanto tali non cambiano l’essere, il valore della persona. Se ci si preoccupa solo di questi beni, si finisce per avere molto, ma per essere poco. Il valore di una persona non dipende da quello che ha, ma da quello che è. Una verifica di questa realtà è proprio la morte. Di fronte alla morte, tutto quello che l’uomo possiede è inutile, perché passa a qualcun altro, agli eredi, non rimane al proprietario. Oltre alla morte, rimane solo quello che l’uomo è: la sua bontà o cattiveria, la sua saggezza o stoltezza, la sua mitezza o prepotenza. Cioè, se tu hai fatto buon uso del tuo denaro, il bene che hai fatto ti accompagna per l’eternità, ma solo perché tu sei diventato buono, perché la decisione di fare del bene con il denaro ha plasmato il tuo cuore e lo ha reso bello, della bellezza dell’amore fraterno. È il tuo cuore pulito, generoso e leale che varcherà il limite estremo della morte e che entrerà al cospetto di Dio, non il denaro. Essere o avere è un’alternativa che è ripresa spesso dai filosofi, dagli psicologi e dai predicatori. Naturalmente non si tratta di contrapporre le due realtà, ma di metterle nel rapporto giusto. Non vuole dire: solo l’essere è importante e l’avere non conta nulla. Invece, vuole dire: essere è lo scopo e l’avere è il mezzo e lo strumento. È solo se queste due cose sono collocate al posto giusto che allora la nostra vita diventa un’esistenza matura. Il rischio sempre presente è che l’avere occupi tanto l’attenzione, il desiderio e il progetto dell’uomo, che non rimane il tempo o l’energia per educare o arricchire il cuore per formare la coscienza e maturare la personalità. Allora si è materialmente ricchi, ma spiritualmente meschini; apparentemente belli, ma sostanzialmente vuoti. Un tempo si diceva: l’uomo manichino, che è ricoperto di un vestito bellissimo e fa figura, tanto che ci si ferma per ammirarlo; si valuta il valore del vestito firmato e però ci si ferma lì. Ma questo è un uomo? Sopporteremmo di essere valutati così? Per il valore del vestito che portiamo? Valiamo così poco? Solo una distesa di magazzini di grano? Oppure un portafoglio di carte di credito? Ecco, quello che il Vangelo vuole, è difendere l’umanità dell’uomo, il primato del cuore, della coscienza, della libertà e della ricchezza dei sentimenti; insomma, l’uomo come Dio lo ha pensato e sognato ad immagine e somiglianza di Lui. Forse che i soldi possono dire molto di questa somiglianza con Dio? I soldi ci fanno somigliare a Dio? Di questa somiglianza non ne parla meglio la sincerità e la lealtà? Ma si potrebbe dire: però l’uomo della parabola poteva anche essere sincero, leale e generoso? Di questo il racconto non ne parla, non lo dice, ma non lo nega neanche; ed è vero. Ma la parabola vuole insistere sul rischio che comporta la ricerca dei beni esterni. Siccome l’uomo può fare attenzione ad una cosa sola alla volta, e siccome la sua vita è una sola e il tempo che ha a disposizione è limitato, l’energia che spende per fare i soldi non gli rimane a disposizione per altri scopi. Toccherà a lui cercare con fatica l’armonia che gli permetterà di crescere nel modo giusto: tanto impegno per fare soldi, quanto è necessario per crescere come persona umana e come credente. Perché lo scopo è questo: il mezzo deve essere subordinato e sintonizzato sullo scopo. Il problema dell’uomo della parabola è di avere misurato il valore della vita sulla quantità del grano prodotto dai suoi campi; ne ha ottenuto una quantità immensa, da essere convinto di avere risolto il problema della vita.

 

2). C’è un secondo motivo per cui il protagonista della parabola viene definito stolto. Dice il Vangelo: «Così è di chi accumula tesori per sé, e non arricchisce davanti a Dio» (Lc 12, 21). Il primo contrasto era: beni esterni e crescita interiore dell’uomo personale. Il secondo contrasto è: per sé o davanti a Dio. Dice il Vangelo: Ho un’idea di me stesso e mi spendo per realizzarla. E va bene; ma non basta. Dio ha una certa idea di me ed è a questa che devo rispondere: alla chiamata e vocazione del Signore. Io sono quello che il Signore chiama, quel nome che il Signore mi ha dato. Devo imparare a crescere in questa identità, non in quello che si aspettano gli altri da me, nemmeno in quello che mi aspetterei io da me stesso, ma in quello che Dio si aspetta da me. La vita dell’uomo, quando risponde alla chiamata di Dio, raggiunge la sua pienezza, altrimenti rimane monca. L’uomo della parabola aveva raggiunto la meta che si era prefisso, ma non aveva risposto alle attese di Dio, non ha compiuto quello che era prezioso davanti a Dio, mentre rimane solo quello che è prezioso davanti a Dio. Il discorso del Vangelo si conclude con una lunga esortazione di Gesù alla fiducia in Dio Padre, che è onnipotente e quindi tiene tutto nelle sue mani. È Padre misericordioso e quindi vuole la vita dell’uomo. Allora diventa possibile avere fiducia, anzi diventa, secondo il Vangelo, l’unica strada per trovare pace e serenità: «Non datevi pensiero per la vostra vita, di quello che mangerete; né per il vostro corpo, come lo vestirete. La vita vale più del cibo e il corpo più del vestito» (Lc 12, 22-23). Non state con l’animo in ansia. Proviamo a spiegare questo discorso: l’uomo, come tutte le creature, ha bisogno di altre cose per vivere, e siccome è una creatura complessa ha molte più necessità delle altre creature. Come il giglio dei campi, l’uomo ha bisogno di luce e di calore, di minerali e di acqua; come gli uccelli del cielo, ha bisogno di cibo e di spazio libero in cui muoversi. Ma oltre a tutto questo l’uomo ha bisogno di conoscenza, di affetto, di amore, di salute e di soldi; ha bisogno di essere accettato e perdonato. E si potrebbe continuare a lungo. Da questa condizione nascono spontaneamente l’ansia e l’inquietudine. Io ho bisogno di pane e allora sono in ansia finché non ho trovato il pane; e quando l’ho trovato posso rimanere ancora in ansia perché qualcun altro potrebbe portarmelo via. E così l’inquietudine diventa infinita; quando mi mancano le cose necessarie, sono in ansia per il timore di non raggiungerle; quando le ho sono in ansia per la paura di perderle. Così la vita passa tra un desiderio ansioso e una paura ossessiva. Il desiderio di vivere, si tramuta in ansia e paura dalla quale sembra impossibile liberarsi. Provate a pensare al paradosso della società contemporanea, è, come dicevamo, incomparabilmente più ricca di tutte le forme di società che ci hanno preceduto nei secoli. Ma questa ricchezza si è trasformata in serenità e in sicurezza? Sembra proprio di no. L’uomo di oggi vive impaurito ed incerto come l’uomo di sempre. Dunque, non è la ricchezza che toglie l’ansia, non è dalla ricchezza o dalla forza che scaturisce la sicurezza. Ancora: abbiamo inventato migliaia di macchine per rendere più leggero e veloce il lavoro dell’uomo. Dovremmo quindi vivere con maggiore libertà, invece siamo sempre più indaffarati. Come è stato scritto, con il moltiplicarsi delle nostre macchine diventiamo sempre più stanchi, ansiosi, nervosi e insoddisfatti, perché qualunque cosa abbiamo, vogliamo qualche cosa di più. Insomma la tecnica non sembra averci regalato del tempo, ma sembra avercelo rubato. Naturalmente non è colpa della tecnica; è il nostro cuore che non riesce a trovare l’atteggiamento giusto. Ogni cosa che possediamo diventa uno sprone, un tormento per cercare qualche cosa d’altro, per una cupidigia infinita. C’è il modo di uscire da questa catena? Da questo tormento?

Il Vangelo risponde: «Non cercate che cosa mangerete e berrete, e non state con l’animo in ansia: di tutte queste cose si preoccupa la gente del mondo; ma il Padre vostro sa che ne avete bisogno. Cercate piuttosto il regno di Dio, e tutte queste cose vi saranno date in aggiunta» (Lc 12, 29-31). Si tratta di metterci davanti a Dio e di prendere coscienza dell’amore provvedente di Dio verso di noi, e quindi di imparare di affidarci. «Dio veste meravigliosamente i gigli del campo; nutre i corvi che pure non seminano e non mietano». Ora l’uomo è, davanti a Dio, certamente più prezioso dei gigli del campo e dei corvi; e se Dio nella sua provvidenza si prende cura di queste creature che valgono relativamente poco, volete che non si prenda cura dell’uomo che Dio ha chiamato ad essere suo figlio? Naturalmente il Vangelo non vuole dire che dobbiamo imitare i corvi e quindi rinunciare a seminare o a mietere; o che dobbiamo imitare i gigli e quindi attendere il raggio del sole o lo scroscio d’acqua. Dio ci ha dato la testa e le mani perché ci s’impegni a pensare con la testa e a lavorare con le mani. Ma possiamo fare questo senza troppa ansia per il futuro, mantenendo la fiducia in Dio che è Padre e vuole per noi la vita. Potrebbe sembrare un invito alla passività o alla serenità superficiale, ma non è così. Gesù non dice che non dobbiamo fare nulla; dice invece che dobbiamo cercare il regno di Dio. Ora il regno di Dio è l’esercizio concreto della sovranità di Dio sul mondo, quindi dobbiamo cercare di far sì che il mondo, l’uomo e la storia si muovano nella linea dell’obbedienza a Dio, alla sua Parola. Non c’è bisogno di spiegare che questo è un compito immenso, che coinvolge tutti i nostri pensieri ed azioni. L’esistenza dell’uomo di fede è attiva e mai rassegnata, è sempre alla ricerca di un ordine che supera ogni possibile realizzazione mondana. Ma è una ricerca fiduciosa e non ansiosa, perché parte dalla convinzione che la salvezza del mondo non dipende da noi, e che la nostra ricerca è sostenuta e resa efficace dall’amore di Dio. Voglio dire: alla nostra vita c’è una base, un fondamento, che ci è stato regalato gratis e che quindi non ci viene portato via da nessuno. È questo fondamento che noi non possiamo porre, ma che Dio ci regala, la base della nostra fiducia e speranza.

Un’ultima cosa. Questa fiducia nella provvidenza di Dio non è superficiale o facilona; non si identifica con la fiducia infantile (che tutto alla fine si aggiusterà in un modo magico). È piuttosto una fiducia che deve mettere in conto anche la croce e quindi anche un possibile esito fallimentare dal punto di vista umano. Dal punto di vista umano e storico, Gesù è fallito; il suo progetto si è scontrato con la Croce; però Gesù ha posto la sua fiducia nel Padre e con questa ha camminato. Ed in questa fiducia è rimasto anche sulla croce: «Padre, nelle tue mani affido il mio Spirito» (Lc 23, 46). Dunque, quello che c’è garantito non è un benessere facile o magico, ma è il sostegno e la protezione di Dio, come Padre, in qualunque momento della nostra vita; nessuna forza è capace di strappare la nostra vita all’amore che Dio ha per noi. Allora su questa base possiamo camminare, lavorare, sperare e pregare, mantenendo un briciolo di fiducia e l’abbandono nella provvidenza di Dio.

 

giovedì 23 settembre 2021

VITA CRISTIANA COME CAMMINO DI UMANIZZAZIONE

 

ESERCIZI SPIRITUALI PARROCCHIALI

23-26 SETTEMBRE 2021

 


PRIMA MEDITAZIONE

Paolo Cugini

Congedata la folla, salì sul monte, in disparte, a pregare. Venuta la sera, egli se ne stava lassù, da solo (Mt 14,23).

Versetto che rivela molto di Gesù, dell’origine della sua forza, della sua capacità di vedere dentro al cuore delle persone, della sua chiarezza di vedute. Gesù è l’uomo che viene dal silenzio, che si separa dalla folla per salire sul monte a pregare in disparte. Gesù quando prega si separa dalla folla, cerca un luogo isolato. Gesù è l’uomo che cura la sua anima, gli dedica tempo. In che modo Gesù prega, che cosa fa quando prega? Non c’è scritto. Viene solo detto che quando prega si ritira in disparte, in questo caso salendo verso il monte, che è il luogo per antonomasia dell’incontro con Dio.

Dopo l’immersione nell’umanità affamata, che ha richiesto uno sforzo fisico e mentale significativo, Gesù cerca sollievo, cerca di recuperare le forze. È interessante e significativo il modo in cui le recupera.

La barca intanto distava già molte miglia da terra ed era agitata dalle onde: il vento infatti era contrario. Sul finire della notte egli andò verso di loro camminando sul mare (Mt 14,24).

Sono versetti strettamente collegati fra di loro. Colui che cura la propria anima, che cerca la solitudine per immergersi nella preghiera, è lo stesso che è capace di dominare gli eventi della storia. Per il fatto che cerca il silenzio per entrare in se stesso e porsi personalmente davanti al Padre, è capace di dominare gli eventi esterni, vale a dire, non si lascia dominare da ciò che è fuori di sé. Gesù è l’uomo che domina la realtà circostante per il fatto che ha il dominio si di sé. Il brano di oggi è, dunque, una bellissima indicazione per la vita quotidiana, un insegnamento di grande profondità spirituale. Non mi salva la partecipazione ad una religione. Mi salva il cammino che ha percorso il Signore, che esige dedicazione, impegno quotidiano per uscire da una vita autocentrata, in balia delle passioni e degli istinti, verso una vita in cui è lo Spirito del Signore che guida i miei passi. Cammino di fede nel Signore, di fiducia in Lui e nella sua parola, significa cammino di umanizzazione, in cui non c’è un punto di arrivo, ma che si realizza camminando. Dedicare tempo a questo costante lavoro di pulizia interiore, di rilettura del proprio vissuto alla luce della parola di Dio. Imparare ad isolarsi, a prendersi momenti quotidiani di solitudine, per imparare a non permettere alle passioni, agli istinti di devastare l’anima. Questo significa prendersi cura, ed è questo uno dei più grandi insegnamenti di Gesù, che non si trovano scritti in modo esplicito nei vangeli, ma che si comprende leggendo tra le righe e ponendo domande al testo. Tutta la vita sacramentale può essere ordinata e indirizzata a questo lento lavoro di trasformazione della propria umanità, affinché diventi simile a quella di Gesù.

Ormai mi sono reso conto che lo spessore e la profondità della vita di fede non si ottiene con particolari esperienze, come settimane di ritiro o esperienze eremitiche, ma nella vita di ogni giorno. Certamente queste esperienze particolari possono servire, ma non sono quelle che danno il senso della dimensione spirituale della persona. Questa dimensione la si costruisce giorno per giorno, nelle pieghe della vita quotidiana, nelle scelte che si fanno, facendo sempre precedere le azioni da previe riflessioni, È questa dimensione riflessiva della vita che le dà sapore e continuità, pur nella consapevolezza che la vita non ha un andamento lineare. Questo andamento unitario nella discontinuità è percepito dalla coscienza. La spiritualità permette di mantenere unita la vita personale. Questa sensazione di unità la si può definire anche identità. Ciò significa che la vita spirituale ha un compito fondamentale nella costruzione dell’identità di una persona. Più tempo passiamo a riflettere, ad entrare in noi stessi, maggiore è la possibilità che impariamo a stare bene con noi.

 

 

 

LO STILE INCONFONDIBILE DI GESU'

 





DOMENICA XXVI B

Mc 9,38-43.45.47-48

Paolo Cugini

 

Una caratteristica della proposta di Gesù che incontriamo nel Vangelo è la sua radicalità che, senza dubbio va interpretata. Gesù è esigente, ma non nella forma che siamo soliti pensare quando incontriamo qualcuno che ci pone con le spalle al muro. Al contrario, lo stile di Gesù è basato sulla libertà personale. Gesù, infatti, non impone, ma propone. La risposta alla sua proposta esige la capacità di entrare in se stessi, verificare la propria vita per arrivare ad una scelta. La proposta di Gesù non è una dottrina, ma uno stile di vita. La sua verità non è una formula da imparare, ma l’amore da offrire in modo gratuito e disinteressato ai fratelli e alle sorelle che incontriamo nel cammino. Proviamo, allora, ad indicare alcune caratteristiche dello stile inconfondibile di Gesù, che incontriamo nel vangelo di oggi.

Giovanni disse a Gesù: «Maestro, abbiamo visto uno che scacciava demoni nel tuo nome e volevamo impedirglielo, perché non ci seguiva». Ma Gesù disse: «Non glielo impedite, perché non c’è nessuno che faccia un miracolo nel mio nome e subito possa parlare male di me: chi non è contro di noi è per noi.

In primo luogo, Gesù si pone nei confronti delle persone con delicatezza e non con arroganza. Questo atteggiamento di disponibilità nei confronti di chiunque, apre le porte ad una visione ampia della vita. Gesù non restringe il campo di azione, ma lo ampia a dismisura. Ben diverso è l’atteggiamento di Giovanni, che manifesta nei confronti di color che incontra a invocare il nome del Signore, intemperanza, fanatismo, sintomo di una visione stretta e meschina, in altre parole, persone dure, irrigidite dalla dottrina della religione. Gesù guarda al cuore delle persone e non al modo in cui rispettano le dottrine. Pone al centro la persona e non le regole. Ciò significa che nel nostro modo di fare, di relazionarci con gli altri si capisce bene ciò che sta fondamentando la nostra esistenza e anche il nostro cammino di fede. È più facile obbedire ciecamente ad una legge, che accompagnare le persone a viverla, tenendo conto del cammino che stanno facendo e delle difficoltà che stanno incontrando. Il vangelo è una questione di stile, di modalità di relazione. È lo stile che fa la differenza, non la precisione nell’osservanza di una dottrina.

Chiunque infatti vi darà da bere un bicchiere d’acqua nel mio nome perché siete di Cristo, in verità io vi dico, non perderà la sua ricompensa.

Il secondo criterio nel cammino proposto dal Signore è la carità. Saremo valutati non sull’osservanza di una legge, ma su una cosa piccolissima che chiunque può compiere, vale a dire, un bicchiere d’acqua dato ad un assetato. Tutto il Regno di Dio passa per un bicchiere d’acqua. Sembra assurdo, ma tanto strano non è. Solo chi ha il cuore pieno dell’amore di Dio condivide, si muove verso l’altro anche con un gesto semplice. Questo criterio, come si capisce bene dal contesto del vangelo, non dipende da una partecipazione a dei riti o ad una comunità, ma dalla disponibilità del cuore di una persona. Ciò significa, che c’è del vangelo, là dove c’è amore, carità, condivisione.

Chi scandalizzerà uno solo di questi piccoli che credono in me, è molto meglio per lui che gli venga messa al collo una macina da mulino e sia gettato nel mare.

Il terzo criterio sono i piccoli, che devono stare al centro della comunità. Il vocabolo utilizzato nel vangelo è micron, cioè, qualcosa di piccolissimo, quasi invisibile. Micron non indica i bambini, ma le persone emarginate della società, persone scartate. Sono proprio loro, i micron, che devono essere al centro della comunità cristiana, e vanno accolti, accompagnati con tenerezza e amore. Ecco perché Gesù è così duro nei confronti di coloro che li scandalizza, coloro cioè che li fa inciampare e perdere fiducia nella comunità. Occorre, allora, tagliare, tutto ciò che ci può portare ad atteggiamenti che possono scandalizzare i piccoli, scelte che possono provocare la fine di un cammino di fede da parte delle persone più fragili nella comunità, che invece sono da proteggere e da tutelare.

Potremmo chiederci, per approfondire un po' il discorso, come mai il riferimento alla morte in mare e qual è il significato della geenna? Gli ebrei avevano terrore di morire affogati perché, chi faceva questa morte, era escluso dalla resurrezione, secondo le loro credenze. Geenna, invece, è il burrone, dove venivano scaricati i rifiuti e poi bruciati. Se Gesù parla in questo modo di coloro che scandalizzano i piccoli, significa che il problema è grave e che va tenuto in considerazione.

 

 

 

mercoledì 15 settembre 2021

I PICCOLI AL CENTRO DELLA COMUNITA'

 



DOMENICA XXV/B

Paolo Cugini

 

    Coloro che s’incontrano attorno alla mensa del Signore nel giorno di domenica, sono coloro che stanno orientando la propria vita sui suoi insegnamenti. Del resto, come ci dice l’apostolo Paolo, la fede in Gesù dipende proprio dall’ascolto della sua parola, che non parla semplicemente di cose passate, ma che, attraverso l’azione dello Spirito Santo che, come ci ricorda il Concilio Vaticano II (DV,5), muove interiormente il cuore verso Dio, affinché possiamo comprendere e vivere la Parola di Gesù. Per questo alla domenica, il giorno del Signore, ascoltiamo il Vangelo, per comprenderlo, interiorizzarlo e vivere durante la settimana conforme a ciò che abbiamo ascoltato. Che cosa, allora, ci dice il Vangelo di oggi?

Insegnava ai suoi discepoli e diceva loro: «Il Figlio dell’uomo viene consegnato nelle mani degli uomini e lo uccideranno; ma, una volta ucciso, dopo tre giorni risorgerà». Essi però non capivano queste parole e avevano timore di interrogarlo.

Gesù condivide con i suoi discepoli quello che lui sta intravedendo come esito del suo cammino verso Gerusalemme. I farisei e i capi religiosi di Israele non accettano il suo insegnamento, il suo modo d’interpretare la Legge mosaica e capisce che, continuando di questo passo, non potrà fuggire dalla morte. Esito molto differente dalle aspettative dei suoi discepoli, he si aspettavano in Gesù il messia atteso nella forma del liberatore dall’oppressore. Per questo Marco dice che non capivano, cioè non volevano capire, non volevano accettare le parole di Gesù che distruggevano le loro prospettive umane. Da una parte, dunque, c’è quello che Gesù è ed è venuta a manifestare; dall’altra il mondo delle nostre aspettative, delle nostre motivazioni. Per seguire Gesù sul cammino della vita autentica, occorre darsi tempo per ascoltarsi in profondità e fare chiarezza, eliminando progressivamente tutto ciò che non ci permette di cogliere in profondità il senso della proposta di Gesù.

Giunsero a Cafarnao. Quando fu in casa, chiese loro: «Di che cosa stavate discutendo per la strada?». Ed essi tacevano. Per la strada infatti avevano discusso tra loro chi fosse più grande.

   È interessante l’annotazione che Marco continua a sottolineare nei momenti in cui i discepoli manifestano chiaramente quelle che sono le loro aspettative. Dice, infatti il testo, che i discepoli sono sulla strada. Ancora una volta il riferimento che è all’orizzonte, è la parola del seminatore e dei quattro tipi di terreno su cui cadono i chicchi di grano. La strada è il luogo in cui i semi caduti vengono mangiati subito dagli uccelli. C’è un modo di seguire il Signore che non porta a nulla, a nessuna differenza. Sino a quando non ci diamo il tempo di meditare, interiorizzare la parola ascoltata, continuiamo a frequentare la chiesa con la nostra mentalità, le nostre logiche, senza permettere alla Parola di Gesù di trasformarle, senza permettere alla nostra coscienza che venga a formarsi il pensiero del Signore, per poi agire di conseguenza.

Sedutosi, chiamò i Dodici e disse loro: «Se uno vuole essere il primo, sia l’ultimo di tutti e il servitore di tutti». E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro e, abbracciandolo, disse loro: «Chi accoglie uno solo di questi bambini nel mio nome, accoglie me; e chi accoglie me, non accoglie me, ma colui che mi ha mandato».

  Gesù si siede. Non ci vuole fretta. Gesù sa benissimo la difficolta che i discepoli incontrano per assimilare uno stile di vita totalmente nuovo, un modo radicalmente nuovo di pensare. Infatti, se nelle logiche del mondo vale chi è più forte e chi diventa più importante a qualunque prezzo, generando una società di persone diseguali, con la conseguenza di una società di tante persone escluse e marginalizzate, non è così nella proposta di Gesù. E, preso un bambino, lo pose in mezzo a loro. Dalle narrazioni pasquali sappiamo molto bene che il centro è il luogo di Gesù nella comunità, affinché tutti possano avere accesso a Lui in modo eguale. Ebbene, quando la comunità pone al centro i bambini che, in senso figurato sono coloro che non hanno ancora sviluppato delle dinamiche di rivalità, significa che al centro della comunità c’è Gesù. Accogliere Lui nei fratelli e nelle sorelle piccole e piccoli significa accogliere il Padre. Quelle pronunciate da Gesù non sono delle semplici parole del passato, ma l’indicazione di uno stile di vita che rende presente Dio e, quando ciò avviene, il mondo ha la possibilità di vedere e di credere. 

domenica 12 settembre 2021

CHI DICE LA GENTE CHE IO SIA?

 




DOMENICA XXIV B

Paolo Cugini

È bello vedere l’andare di Gesù con i suoi discepoli per le strade della Galilea: rivela tante cose del senso che ha voluto dare alla sua missione. In primo luogo, la precarietà. Era così pieno di amore del Padre, che non aveva bisogno di cercare altre fonti di soddisfazione. E poi tanta libertà che gli permette di girare assieme ai suoi discepoli senza il pensiero di cosa mangiare, cosa vestire e altro. Precarietà e libertà vanno a braccetto.

Chi dice la gente che io sia?”. È una domanda importante, non solo perché nella narrazione di Marco siamo a metà del cammino della vita pubblica di Gesù, ma anche perché la vita dei discepoli e delle discepole dovrebbe essere una risposta alla Parola di Gesù. Cogliere, dunque, l’essenza del suo messaggio è fondamentale per l’esistenza.

Giovanni il Battista; altri dicono Elia e altri uno dei profeti”. La scoperta di Gesù è amara, perché trova un popolo ancora ancorato al passato, alle proprie storie e tradizioni. Elia e i profeti sono stati, senza dubbio, grandi personaggi del passato, che hanno avuto un ruolo importante nella storia del popolo d’Israele, ma non rivelano nulla del presente che Gesù è venuto a portare. Lo stesso Giovanni Battista, considerato il più grande dei profeti per il fatto che ha potuto vedere e conoscere Gesù, rimane comunque, ancorato l’antico Testamento. Anche la risposta di Pietro non si muove dal passato. Dicendo, infatti, “Tu sei il Cristo” non si muove dalle proiezioni del passato sul presente. Cristo, infatti, è il titolo attribuito al futuro messia, l’unto di Dio. Gesù dunque scopre che, nonostante le parole e le opere, nessuno sta cogliendo la novità del suo messaggio. Gesù scopre che non c’è stato sino ad ora nessuno sforzo di comprendere che cosa davvero stia succedendo con la sua venuta, ma tutte le sue parole e le sue azioni vengono riversate negli otri vecchi.

Che cosa significano questi versetti? Ci rivelano qualcosa dio molto profondo nell’uomo e nella donna, vale a dire la difficoltà di aprirsi al nuovo. È come se il presente fosse intasato dal passato, come se la coscienza identificasse come felicità della vita la riproduzione del passato, di alcuni momenti significativi. Riempirei l presente di passato, edulcorandolo, è un meccanismo che nasce dall’istinto di sopravvivenza, che conduce ad aggrapparsi a ciò che dà sicurezza.

Il primo passo, dunque, per un cammino di conversione, che permetta di cogliere la novità della proposta di Gesù consiste nel liberarsi dalle scorie del passato, che intasano in modo ingombrante il nostro presente. C’è una sordità psicologica ed esistenziale, che non permette di cogliere la novità del presente e che si sviluppa proprio quando la persona si attacca progressivamente in modo morboso al passato, alle tradizioni del luogo in cui vive, che rimangono pur sempre tradizioni umane.

E cominciò a insegnare loro che il Figlio dell’uomo doveva soffrire molto, ed essere rifiutato dagli anziani, dai capi dei sacerdoti e dagli scribi, venire ucciso e, dopo tre giorni, risorgere.

L’incapacità di liberarsi dal passato non permette di cogliere il senso profondo della vita che Gesù è venuto a manifestare. Seguire Gesù, abbracciare la novità della sua Parola, significa entrare nel cammino dell’amore, della ricerca della giustizia, che si manifesta come misericordia. Significa, anche, abbandonare il cammino dell’aggressività, per mettersi al servizio del progetto di costruzione costante della pace. Seguire Gesù, significa anche, abbandonare il tavolo di coloro che cercano la felicità nella ricchezza a qualsiasi prezzo, e decidono di mettersi al servizio dei poveri, degli esclusi, di quelli che per la società non contano. Questo cammino ha delle conseguenze durissime, vale a dire la sofferenza, il rifiuto e la morte. Nel futuro la resurrezione. Si capisce, allora, come agisce l’istinto di sopravvivenza che non vuole ascoltare la novità presente nella storia: fa di tutto per stare lontano di problemi, da ciò che mette in pericolo l’esistenza, cercando costantemente la tranquillità. Questo stile di vita è la morte dell’anima, perché impedisce il coraggio di entrare nel cammino dell’amore che si dona gratuitamente, della vita che si perde per gli altri, della libertà dalle tradizioni che soffocano il presente.

Faceva questo discorso apertamente. Pietro lo prese in disparte e si mise a rimproverarlo. Ma egli, voltatosi e guardando i suoi discepoli, rimproverò Pietro e disse: «Va’ dietro a me, Satana! Perché tu non pensi secondo Dio, ma secondo gli uomini»

Satana è tutta quella realtà, quelle situazioni, che ostacolano la Parola di Gesù, togliendola dal cuore delle persone. Il pensiero di Pietro è sintomatico del rifiuto del cammino proposto di Gesù, che richiede anche la capacità di rifiutare le conseguenze. Chi si lascia trascinare dall’istinto di sopravvivenza e cerca il cammino della tranquillità e della sicurezza, non sarà mai in grado non solo di capire il messaggio di Gesù, ma soprattutto di seguirlo. 

sabato 4 settembre 2021

APRITI!





 DOMENICA XXIII/B

(Is 35,4-7a; Sal 145; Gc 2,1-5; Mc 7,31-37)

Paolo Cugini

 

La lettura fondamentalista della Parola di Dio, cioè l’interpretazione letterale, non solo non va bene perché non tiene conto del contesto storico e culturale in cui è stato scritto un testo, ma soprattutto perché tende a valorizzare dei dati che, presi nel contesto, sono invece marginali. Ascoltando il brano di Vangelo di oggi ci si rende conto come davvero, come dice san Paolo, “La lettera uccide, è lo spirito che dà la vita” (2 Cor 3,6). Non basta quindi leggere il Vangelo, occorre prendersi del tempo, meditarlo, permettere allo Spirito di condurci verso le profondità della Parola.

Gesù, uscito dalla regione di Tiro, passando per Sidòne, venne verso il mare di Galilea in pieno territorio della Decàpoli.

Il miracolo del sordomuto in un territorio pagano come la Decapoli, va molto al di là del puro dato materiale. Lo stesso percorso è abbastanza inverosimile. Basta prendere una mappa per rendersi conto che il percorso indicato da Marco non è geografico, ma teologico. E’, infatti, un non senso passare nel territorio della Decapoli per andare da Sidone verso il mare di Galilea, perché non è sulla strada, per così dire, ma bisogna volerci andare. Con questo percorso Marco vuole sottolineare che il messaggio di Gesù è per tutti, non solo per un gruppetto, per i soliti che si riuniscono nella sinagoga. Gesù vuole portare il suo messaggio di salvezza a tutti e tutte e, per questo, modifica il percorso. Sarebbe interessante prendere questi semplici versetti per verificare il desiderio delle nostre comunità di portare il Vangelo a coloro che sono al di fuori del perimetro della chiesa, che volontà c’è di questo movimento missionario, che pensiero esprimiamo per questo percorso che Gesù inaugura visitando il territorio della Decapoli.

Guardando quindi verso il cielo, Gesù emise un sospiro e gli disse: «Effatà», cioè: «Apriti!». E subito gli si aprirono gli orecchi, si sciolse il nodo della sua lingua e parlava correttamente.

C’è una cura materiale che dice qualcosa di spirituale. Senza dubbio Gesù ha compiuto un miracolo che però, nella prospettiva dell’annuncio del Regno che Gesù sta realizzando, vuole dire qualcosa di più. C’è un orecchio dell’anima, per così dire, che dev’essere curato. C’è una resistenza alla Parola i Dio, alla sua proposta, che viene da molto lontano. Anni di vita trascinata dagli istinti, a servizio del proprio egoismo, lasciano un segno profondo, un’assuefazione cronica alla vita materiale che non permette più di percepire la dimensione spirituale dell’esistenza. Non a caso sono stati gli amici a portare il malato da Gesù affinché lo guarisse. Era messo così male, era così intontito dall’assuefazione al male che non ci sentiva più, che non ascoltava più nessuno.

Lo prese in disparte, lontano dalla folla, gli pose le dita negli orecchi e con la saliva gli toccò la lingua; guardando quindi verso il cielo, emise un sospiro.

In che modo Gesù guarisce il sordo-muto? Portandolo in disparte, lontano dalla folla: perché? Che cosa significa? C’è una relazione personale che Gesù vuole costruire per comunicare vita. La sua forza donata all’umanità non è un gioco di prestigio da applaudire, ma un dono da accogliere. Anche i gesti che Gesù compie nella guarigione sono importanti: le dita negli orecchi e la saliva con cui gli tocca la lingua. Gesti che indicano che la guarigione che Gesù è venuta a portare è fatta della stessa nostra materia. Non c’è un intervento prodigioso, qualcosa di strano che provoca la guarigione del sordo-muto, ma dei semplici gesti umani, che utilizzano elementi umani. È con la nostra stessa umanità che Gesù ci trasforma e ci guarisce dalle forme di sordità che non ci permettono di comprendere la sua Parola e, di conseguenza, di dirla con la voce e con la vita.

C’è poi l’ultimo aspetto nel cammino di guarigione ed è il guardare in alto ed emettere un sospiro da parte di Gesù, come per dire che non bastano gli elementi materiali, ma occorre mettere tutto nelle mani di Dio. È questo il senso profondo della preghiera, che inizia da una presa di coscienza di se stessi, del proprio cammino, comprese le proprie mancanze, per aprirsi al mistero, cercando la volontà del Padre. Ciò significa che Dio entra nella nostra vista attraverso la nostra umanità.

 

venerdì 3 settembre 2021

IN VISTA DI LUI

 



Paolo Cugini


Tutte le cose sono state create per mezzo di Lui e in vista di Lui (Col 1, 18). Tutto sa di Cristo, tutto porta il suo sigillo: è difficile non riconoscerlo. La meditazione e l’assimilazione della Tua Parola mi deve condurre a riconoscerti nelle cose che incontro, nei gesti che dicono di Te, del Tuo amore. E poi, c’è una forza dentro la storia che imprime una direzione, una finalità. Tutto è trasformato in amore, quell’amore che Cristo ha portato al mondo è ancora presente e sta guidando la storia alla piena realizzazione. Per questo Paolo nella lettera ai Colossesi sostiene che: “è piaciuto a Dio che abiti in Lui tutta la pienezza”.

 Cristo è così pieno dell’amore del Padre che lo riversa sull’umanità in modo libero e impercettibile, percepibile solo per coloro che sono nel cammino. La parola dell’amore che Gesù è venuto a portare si declina con riconciliazione per la quale ha donato la sua vita senza risparmiarsi. “Per mezzo di Lui e in vista di Lui siano riconciliate tutte le cose”. C’è un processo di riconciliazione dentro la storia, che passa anche attraverso lo sforzo di ogni persona che crede in Lui, che accoglie il suo Spirito.

Il segno, allora, visibile che siamo nel suo cammino è che ci impegniamo a porre cammini di pace nel mondo in cui viviamo, a continuare la sua opera di riconciliazione con le cose.