Paolo
Cugini
C’è una novità che siamo chiamati a cogliere
durante questo tempo di quaresima, una novità di vita nuova, che è capace di
dare un senso alla nostra esistenza, a fornire acqua nel deserto delle nostre
vie aride. Sembra incredibile, ma è così. Per poterla cogliere, però, occorre
un requisito fondamentale, indicato dal profeta Isaia nella prima lettura di
oggi, vale a dire, smettere di pensare al passato.
Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete? (Is 43,18).
La
stessa idea la troviamo nella seconda lettura di oggi, quando Paolo afferma: ritengo
che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo
Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero
spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui (Fil 3,8). C’è
dunque un atteggiamento spirituale che non permette di cogliere la novità di Gesù,
il suo messaggio innovatore, la sua presenza salvifica per l’umanità. Chi
rimane ancorato alle forme tradizionali della religione, non riesce a cogliere
in pieno la novità che è Gesù.
Di
che cosa si tratta e qual è lo spessore qualitativo di questa novità è espresso
nel brano di Vangelo di oggi, che narra una storia che ha impiegato secoli per
essere ammessa nel canone. Il perdono da parte di Gesù di un’adultera era
considerato, infatti, inammissibile, perché avrebbe creato, secondo i
detrattori di Gesù, un clima di lassismo tale da avrebbe aperto il varco di
giustificare il tradimento delle mogli nei confronti dei mariti. Interessante è
anche il quadro maschilista della scena, in cui è solo la donna che viene
portata davanti a Gesù per un giudizio: e l’uomo, e l’adultero perché non è
stato incriminato? È il risultato di quella cultura patriarcale che ha scavato
nei secoli un fossato tra la condizione maschile e quella femminile, un fossato
fatto di ingiustizie e soprusi.
Dicevano
questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Gli
scribi e i farisei cercano Gesù non per ascoltarlo, come fa il popolo, ma per
metterlo alla prova. Interessante è che il verbo che il vangelo utilizza per
spiegare il motivo del loro avvicinarsi a Gesù è lo stesso che viene utilizzato
per spiegare l’attività di satana: metterlo alla prova. Agli scribi e farisei
non interessa ascoltare Gesù, lo vogliono screditare davanti al popolo, perché
con la sua azione e la sua parola, sta mettendo a soqquadro quelle tradizioni
religiose, che danno potere e sostegno alla classe sacerdotale. C’è dunque, del
male nell’azione degli scribi e farisei, quel male che nasce da chi è accecato
dal proprio passato, chi non vuole guardare la novità del presente, perché vorrebbe
dire mettersi in discussione, porsi in una prospettiva di cambiamento di vita.
Alla
provocazione degli scribi e farisei Gesù risponde scrivendo per terra in
silenzio: come mai? Cosa vuol dire questo atteggiamento? In realtà, si tratta
di un gesto profetico che fa riferimento ad un brano di Geremia: “quanti ti
abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti
nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva (Ger
17,13). Del resto c’era poco da dire, perché dalla parte dei farisei non c’era
la minima volontà di ascoltare e mettersi in gioco. Ecco perché Gesù non scende
sul campo della diatriba teologica, ma provoca un cammino di interiorizzazione.
si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra
contro di lei». È
nella coscienza personale che Gesù provoca la riflessione degli ascoltatori, perché
è lì che c’è la possibilità di ascoltare quella voce interiore che rivela il
senso autentico delle cose.
«Donna,
dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E
Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È
questo lo scandalo, l’affermazione che gli scribi e i farisei non volevano
ascoltare e che per diversi secoli ha lasciato questo brano fuori dal canone:
neanch’io ti condanno. Gesù è solo amore, solo misericordia, è possibilità per
tutti e tutte di ripartire, di riprendere il cammino. È questa la parola che la
chiesa deve saper dire al mondo: neanch’io ti condanno e, in questo modo,
aprire cammini di misericordia, liberando gli uomini e le donne dai sensi di
colpa che li schiavizzano e che producono l’immagine del Dio terribile,
retaggio delle paure ancestrali.
Il
senso del cammino di quaresima dovrebbe essere proprio questo: farci scoprire
il volto totalmente buono e misericordioso del Padre. Nessuna condanna, nessuna
imposizione, ma possibilità di un nuovo cammino.