giovedì 31 marzo 2022

V DOMENICA DI QUARESIMA C





Paolo Cugini

 

C’è una novità che siamo chiamati a cogliere durante questo tempo di quaresima, una novità di vita nuova, che è capace di dare un senso alla nostra esistenza, a fornire acqua nel deserto delle nostre vie aride. Sembra incredibile, ma è così. Per poterla cogliere, però, occorre un requisito fondamentale, indicato dal profeta Isaia nella prima lettura di oggi, vale a dire, smettere di pensare al passato.

Non ricordate più le cose passate,
non pensate più alle cose antiche!
Ecco, io faccio una cosa nuova:
proprio ora germoglia, non ve ne accorgete?
(Is 43,18).

La stessa idea la troviamo nella seconda lettura di oggi, quando Paolo afferma: ritengo che tutto sia una perdita a motivo della sublimità della conoscenza di Cristo Gesù, mio Signore. Per lui ho lasciato perdere tutte queste cose e le considero spazzatura, per guadagnare Cristo ed essere trovato in lui (Fil 3,8). C’è dunque un atteggiamento spirituale che non permette di cogliere la novità di Gesù, il suo messaggio innovatore, la sua presenza salvifica per l’umanità. Chi rimane ancorato alle forme tradizionali della religione, non riesce a cogliere in pieno la novità che è Gesù.

Di che cosa si tratta e qual è lo spessore qualitativo di questa novità è espresso nel brano di Vangelo di oggi, che narra una storia che ha impiegato secoli per essere ammessa nel canone. Il perdono da parte di Gesù di un’adultera era considerato, infatti, inammissibile, perché avrebbe creato, secondo i detrattori di Gesù, un clima di lassismo tale da avrebbe aperto il varco di giustificare il tradimento delle mogli nei confronti dei mariti. Interessante è anche il quadro maschilista della scena, in cui è solo la donna che viene portata davanti a Gesù per un giudizio: e l’uomo, e l’adultero perché non è stato incriminato? È il risultato di quella cultura patriarcale che ha scavato nei secoli un fossato tra la condizione maschile e quella femminile, un fossato fatto di ingiustizie e soprusi.

Dicevano questo per metterlo alla prova e per avere motivo di accusarlo. Gli scribi e i farisei cercano Gesù non per ascoltarlo, come fa il popolo, ma per metterlo alla prova. Interessante è che il verbo che il vangelo utilizza per spiegare il motivo del loro avvicinarsi a Gesù è lo stesso che viene utilizzato per spiegare l’attività di satana: metterlo alla prova. Agli scribi e farisei non interessa ascoltare Gesù, lo vogliono screditare davanti al popolo, perché con la sua azione e la sua parola, sta mettendo a soqquadro quelle tradizioni religiose, che danno potere e sostegno alla classe sacerdotale. C’è dunque, del male nell’azione degli scribi e farisei, quel male che nasce da chi è accecato dal proprio passato, chi non vuole guardare la novità del presente, perché vorrebbe dire mettersi in discussione, porsi in una prospettiva di cambiamento di vita.

Alla provocazione degli scribi e farisei Gesù risponde scrivendo per terra in silenzio: come mai? Cosa vuol dire questo atteggiamento? In realtà, si tratta di un gesto profetico che fa riferimento ad un brano di Geremia: “quanti ti abbandonano resteranno confusi; quanti si allontanano da te saranno scritti nella polvere, perché hanno abbandonato il Signore, fonte di acqua viva (Ger 17,13). Del resto c’era poco da dire, perché dalla parte dei farisei non c’era la minima volontà di ascoltare e mettersi in gioco. Ecco perché Gesù non scende sul campo della diatriba teologica, ma provoca un cammino di interiorizzazione. si alzò e disse loro: «Chi di voi è senza peccato, getti per primo la pietra contro di lei». È nella coscienza personale che Gesù provoca la riflessione degli ascoltatori, perché è lì che c’è la possibilità di ascoltare quella voce interiore che rivela il senso autentico delle cose.

«Donna, dove sono? Nessuno ti ha condannata?». Ed ella rispose: «Nessuno, Signore». E Gesù disse: «Neanch’io ti condanno; va’ e d’ora in poi non peccare più». È questo lo scandalo, l’affermazione che gli scribi e i farisei non volevano ascoltare e che per diversi secoli ha lasciato questo brano fuori dal canone: neanch’io ti condanno. Gesù è solo amore, solo misericordia, è possibilità per tutti e tutte di ripartire, di riprendere il cammino. È questa la parola che la chiesa deve saper dire al mondo: neanch’io ti condanno e, in questo modo, aprire cammini di misericordia, liberando gli uomini e le donne dai sensi di colpa che li schiavizzano e che producono l’immagine del Dio terribile, retaggio delle paure ancestrali.

Il senso del cammino di quaresima dovrebbe essere proprio questo: farci scoprire il volto totalmente buono e misericordioso del Padre. Nessuna condanna, nessuna imposizione, ma possibilità di un nuovo cammino.

 

mercoledì 30 marzo 2022

LA LUCE DEL RISORTO CI LIBERA DALLA FALSA RELIGIONE





 

DOMENICA 22 MAGGIO 2022 – VI DEL TEMPO DI PASQUA/C

 

Paolo Cugini

 

Nel tempo di Pasqua la liturgia ci propone una riflessione sul significato della presenza del risorto nella vita della comunità cristiana, nella vita di coloro che lo hanno incontrato. Di fatto, dovrebbe essere questo il senso della chiesa e cioè il gruppo di persone che hanno fatto l’esperienza dell’incontro con il risorto e lo testimoniano con uno stile di vita nuovo, che presenta delle caratteristiche specifiche. Nella narrazione degli Atti degli Apostoli, tute le volte che Paolo è chiamato a difendersi davanti all’autorità romana dalle accuse dei giudei (At 22 e 26) lo fa narrando il suo cambiamento provocato dall’incontro con il risorto. Questa è allora, la domanda, che cerca di aprire il significato delle letture proposte oggi dalla liturgia: che cosa dovrebbe accadere alle persone che hanno incontrato il risorto?

Le prime due letture ci offrono un materiale simile per la nostra risposta, che potremmo formulare in questo modo: l’incontro con il risorto ci libera dalla falsa religione, quella fatta di norme e di prescrizioni, che schiavizzano l’uomo e la donna invece di liberali. È stata questa l’esperienza di Paolo che cerca di condividere nei suoi viaggi missionari, affermando che il Vangelo di Gesù ha liberato l’umanità da tutte quelle prescrizioni, che invece di avvicinare l’umanità al Padre, la allontanano. Sarà proprio su queto punto che Paolo e Barnaba incontreranno una dura resistenza da parte dei giudei convertiti al cristianesimo, che volevano imporre le leggi mosaiche anche ai pagani convertiti. In quei giorni, alcuni, venuti dalla Giudea, insegnavano ai fratelli: «Se non vi fate circoncidere secondo l’usanza di Mosè, non potete essere salvati» (At 15, 1). Il Concilio di Gerusalemme, di cui nella prima lettura viene riportato uno stralcio del documento finale, discuterà proprio su questo punto e saranno fondamentali le testimonianze di Pietro e Paolo sulla discesa dello Spirito Santo anche sui pagani. In sintonia con questo cammino, sono le parole dell’Apocalisse riportate nella seconda lettura, in cui si afferma che, nella nuova Gerusalemme conforme alla visione di Giovanni, non vi sarà alcun tempio, perché: “il Signore Dio, l’Onnipotente, e l’Agnello sono il suo tempio”. (Ap 21, 22). Il tempio di Gerusalemme, in modo particolare il secondo tempio, quello riscostruito al ritorno dall’esilio in Babilonia, era diventato il simbolo di una religione fatta di così tanti precetti e norme da rendere impossibile un rapporto sereno con Dio. Per questo, nel dialogo con la Samaritana, Gesù dirà che, per un autentico dialogo con il Padre, non ci sarà più bisogno di templi perché: “i veri adoratori adoreranno il Padre in Spirito e verità” (Gv 4,23).

La comunità di coloro che hanno incontrato il risorto oltre a liberarsi della falsa religione dei precetti, diventano nel mondo una presenza di pace. Vi lascio la pace, vi do la mia pace. Non come la dà il mondo, io la do a voi (Gv 14,25-26). La Sacra Scrittura considera la pace, non solamente come assenza di guerra, ma soprattutto come dono di Dio e come pienezza di tutte le sue benedizioni. È questo il messaggio centrale della speranza messianica annunciata dai profeti, che la vedono realizzarsi nell’ armonia delle origini tra l’uomo e il creato: «Il lupo dimorerà insieme con l’agnello…» (Is 11,6-9; Cfr. Is 65,25) e nella convivenza pacifica e fraterna: «Spezzeranno le loro spade e ne faranno aratri, delle loro lance faranno falci… non impareranno più l’arte della guerra» (Is 2,4). È questa pace che Gesù ha portato in mezzo a noi, come rifiuto di ogni forma di violenza. Gesù, infatti, come ci dice san Paolo, ha riconciliato i popoli in conflitto attirando il loro odio sulla sua propria carne (cfr. Ef 2,14s). La vita del risorto è visibile, allora, nello sforzo che poniamo in atto ogni giorno per costruire la pace, per riconciliare le persone, per fare in modo che gli opposti possano convivere.

LA LUCE DEL RISORTO NELLA CAPACITA’ DI AVERE VISIONI







 

DOMENICA 15 MAGGIO 2022 - V DEL TEMPO DI PASQUA/C

 

Paolo Cugini

Che cosa significa il tempo di Pasqua per la comunità cristiana, che cosa dovrebbe provocare la resurrezione di Cristo per i suoi discepoli e le sue discepole? Mi sembra questa la domanda che può aprire la comprensione delle letture ascoltate.

Designarono quindi per loro in ogni Chiesa alcuni anziani (At 14,21). La prima risposta la troviamo negli Atti degli Apostoli. Nel brano di oggi Luca ci parla del primo abbozzo di strutturazione della comunità. Paolo e Barnaba non solo annunciano il Vangelo ed esortano gli ascoltatori, ma si preoccupano del futuro delle comunità create. La luce del risorto si manifesta nell’intelligenza di chi la riceva, che si concretizza nel pensare a come dare continuità al messaggio del Vangelo dopo l’assenza dei missionari. C’è una progettazione che, prima di essere segno di efficientismo esasperato, diviene manifestazione visibile dell’amore verso le persone incontrate nel cammino di evangelizzazione.

Io, Giovanni, vidi un cielo nuovo e una terra nuova: il cielo e la terra di prima infatti erano scomparsi e il mare non c’era più (Ap 21,1). La seconda idea significativa che emerge dalle letture di oggi sulla novità prodotta dalla luce del risorto nelle persone che l’accolgono è la capacità di vedere la novità. Come i profeti erano dei visionari, persone capaci di vedere vita dove le persone pensavano solo alla morte, così la comunità cristiana che ha incontrato il Signore della vita si caratterizza da questa attitudine, che si manifesta nel dono di vedere pace dove l’umanità vede guerra, vedere amore dove non si riesce a scorgere altro che dinamiche di odio. Volendo attualizzare il messaggio, in questa situazione apparentemente disperata della guerra in Ucraina, mentre i governi propongono misure di riarmo come cammino per ottenere la pace, l’unica voce fuori dal coro sembra essere quella di Papa Francesco, che insistentemente sostiene che la pace si fa con il dialogo, la diplomazia e che le armi producono solamente morte e guerre. Perciò rinnovo il mio appello: basta, ci si fermi, tacciano le armi, si tratti seriamente per la pace (Papa Francesco, Angelus, domenica 27.3.2022).

Da questo tutti sapranno che siete miei discepoli: se avete amore gli uni per gli altri (Gv 13,34). Terza indicazione significativa che le letture ci comunicano sui segni della presenza del risorto nella comunità è il processo di essenzializzazione che produce. Che cos’è, infatti, il comandamento dell’amore che Gesù indica ai discepoli poco prima della sua morte in croce, se non il senso più profondo della vita? Sembra un aspetto banale, puerile e invece è l’unica cosa che dà davvero sapore all’esistenza. A volte ci rendiamo conto di questo, dopo essere passati attraverso esperienze dolorose di solitudine, causate da nostre scelte incentrate su noi stessi, sull’illusione che possiamo fare da soli. Avere amore gli uni per gli altri è allo stesso tempo un dono e un compito. È il dono che il Signore ci offre con il suo Spirito, il suo insegnamento. È anche e soprattutto un compito, che costruiamo ogni giorno, ponendo dei gesti di gratuità e di servizio con le persone che ci sono accanto o anche con quelle che incontriamo sul nostro cammino. Può sembrare poco, ed è la sensazione che viene al nostro incontro quando cerchiamo il giudizio degli altri, nel processo di costruzione della nostra identità. È un dono grande, invece, e lo percepiamo quando dalla vita abbiamo imparato ad assaporare la bellezza e la ricchezza di un sorriso, di uno sguardo attento dato e ricevuto. Sono questi piccoli gesti che, oltre a dire della verità e dell’autenticità delle nostre relazioni, permettono alla luce del risorto di divenire visibile, affinché il mondo creda.


LA LUCE DEL RISORTO NELLA QUALITA’ DELLE NOSTRE RELAZIONI




DOMENICA 8 MAGGIO 2022 - IV DEL TEMPO DI PASQUA/C

Paolo Cugini

Leggere il brano di Vangelo di questa domenica nella prospettiva di come è stato scritto, vale a dire, come rilettura degli eventi che hanno caratterizzato la vita di Gesù alla luce del risorto, può aiutare a comprendere alcune questioni importanti del cammino di fede. Tra queste vi è la domanda sulla possibilità d’intravedere la luce del risorto nell’oggi della vita quotidiana.

 Il brano del Vangelo ci dice che la luce del risorto è presente ogni volta che riusciamo a creare relazioni significative, capaci di durare nel tempo. Le mie pecore ascoltano la mia voce e io le conosco ed esse mi seguono (Gv 10,27). Per creare relazioni così profonde al punto che non andranno perdute in eterno, occorre non solo dedicare tempo, ma considerarle come uniche. È questo che ha fatto Gesù con i suoi discepoli e le sue discepole: ha speso la sua vita per loro. Tutto l’amore di Gesù riversato per quelle specifiche persone che, agli occhi del mondo, erano persone da poco. Tutto l’amore di Dio in quelle povere persone in quel luogo, la Galilea, terra lontana dai giochi di potere. C’è un grande insegnamento nella scelta di Gesù. Non esistono persone privilegiate da amare o luoghi specifici in cui l’amore di Dio è più intenso. Sono le persone che ci sono accanto, che esigono tutta la nostra attenzione, nel luogo specifico in cui viviamo, che ci permettono di percepire la luce del risorto. L’attenzione al presente ci libera dalla tentazione delle fughe in avanti prodotte dalle illusioni, o dalle nostalgie del passato, che ci distolgono da coloro che attendono da noi un sorriso, una parola, un po' di attenzione. Quando questo avviene, la luce del risorto splende nella storia, perché passa nel punto più reale del tempo: il presente.

Lo stesso principio di realtà, come evento in cui incontrare la luce del risorto, lo si nota nell’episodio narrato da Luca negli Atti degli Apostoli, nella prima lettura di questa domenica. Nella sua predicazione nella sinagoga in giorno di sabato, Paolo non si lascia demoralizzare dalla resistenza degli ascoltatori giudei: pensa oltre, ascolta l’evento. A più riprese negli Atti degli Apostoli, Luca sottolinea il fatto che Paolo segue le indicazioni dello Spirito Santo che, in diverse circostanze, gli scombina i piani. Che cosa significa questo dato, ben visibile anche nel brano di oggi? È l’esperienza vivissima della luce del risorto, fatta da Paolo nel cammino verso Damasco (At 9), che segnerà tutta la sua esistenza. Paolo sa, una conoscenza che gli deriva dalla sua esperienza personale, che il risorto è vivo e che il suo Spirito è attivo nella storia. Paolo ne percepisce l’attività negli eventi, nelle situazioni che vive, anche quelle più negative ed ostili alla sua missione. Era necessario che fosse proclamata prima di tutto a voi la parola di Dio, ma poiché la respingete e non vi giudicate degni della vita eterna, ecco: noi ci rivolgiamo ai pagani (At 13,14). L’attenzione al presente permette a Paolo di comprendere che lo Spirito del risorto gli stava dicendo che, la resistenza dei giudei alla sua predicazione, apriva le porte alla predicazione ai gentili, esattamente com’era stato profetizzato da Isaia (Is 62). Non c’è un libro dov’è scritto l’itinerario della nostra vita: lo impariamo vivendo nel presente, ponendo attenzione a chi incontriamo a quello che accade.

Diceva il filosofo francese Emmanuel Mounier, che l’evento è il nostro maestro interiore. L’attenzione a chi abbiamo dinanzi nell’evento presente, ci permette di cogliere quella luce che ha cambiato la vita di Paolo e di tante persone: la luce del risorto. 

lunedì 28 marzo 2022

ATTI DEGLI APOSTOLI 25-26

 



[Annotazioni]

 

1-12: Processo sotto Festo. L’appello a Cesare

Tra Paolo e l’autorità giudaica il fossato diviene sempre più largo.

Nei cap. 24-26 non si fa mai menzione della cittadinanza romana d Paolo. Ogni suddito poteva ricorrere a Roma.

2-3: il caso di Paolo sembra rappresentare l’unica preoccupazione dell’autorità giudaica.

 

13-22: Visita di Agrippa e Berenice a Festo

La sezione non presenta nulla di nuovo per il lettore. Appare per la prima volta il nome di Gesù e l’affermazione della sua risurrezione. 19: Festo coglie il centro del dibattito religioso, cioè la questione della resurrezione, mentre il tema della profanazione viene omesso.

20: Festo riconosce la propria incompetenza in materia religiosa.

 

23-27: introduzione solenne al discorso di Paolo

Siccome Paolo è innocente Festo non sa che cosa scrivere.

25: Festo non può che riaffermare l’innocenza politica di Paolo nell’ottica dell’autorità romana.

 

CAPITOLO 26

 

1-23: la testimonianza di paolo dinanzi al re Agrippa

È l’ultimo grande discorso di Palo negli Atti e per la terza volta narra la sua vocazione. La difesa di Paolo davanti al re Agrippa è una sorta di testimonianza di fede.

L’evento di Damasco è considerato una prova inequivocabile della risurrezione di Gesù. Se Paolo predica è a causa del compito che gli ha affidato il risorto.

Il racconto della vita di Paolo costituisce di per sé un annuncio.

Lc attribuisce a Paolo un ruolo significativo nella storia della salvezza. Si possono fare due considerazioni a questo riguardo:

1.      Insistenza sulla fedeltà, in quanto fariseo, alla più pura ortodossia, con cui condivide la speranza nella risurrezione come speranza fondamentale di Israele già annunciata dai profeti; poi come ministro di Cristo ne proclama il compimento in Gesù. Paolo Incarna la continuità tra Israele e la missione universale e quindi la realtà della Chiesa al tempo di Luca.  

 

2.      La posizione unica di Paolo, proprio in relazione alla missione universale della Chiesa. Questi versetti, infatti, fanno venire in mente Atti 1,8 e Lc 24,44-49.

 

3.      Gesù e Paolo appaiono come i personaggi principali dell’intera opera lucana, anche se il secondo è subordinato al primo. Riappare il tema della luce da portare alle nazioni (Cfr. 18.23); Lc 2,30-32) tema che costituisce una delle grandi inclusioni dell’opera lucana. Paolo non porta solo a termine il mandato dei Dodici, ma la stessa funzione messianica di Cristo. Paolo è l’apostolo tipo nel quale il risorto pota a termine la propria missione salvifica universale, il grande disegno di Dio sull’umanità annunciato dai profeti.

6-7: La convinzione religiosa di Paolo è in perfetta sintonia con la fede degli antenati.

8: la domanda di Paolo acquista il valore di un appello alla conversione.

10-11: può essere che Luca trasferisca su Paolo la situazione della Chiesa alla fine del I secolo, minacciata dall’autorità romana e dalla sinagoga della diaspora.

14: senso del proverbio: inutile resistere contro una potenza più forte. Questo proverbio è una novità, in quanto non è presente nelle altre narrazioni di vocazione di Paolo.

16: il risorto rivela il senso dell’apparizione, che è quella di fare di Paolo un servitore e un testimone della risurrezione di Gesù.

20: Nella sua obbedienza al Signore Paolo ha percorso l’iter missionario che corrisponde alle tappe del programma che il Risorto aveva dato ai Dodici: Gerusalemme, la Giudea, le nazioni. È un’evangelizzazione che si estende dalla Giudea al mondo pagano.

Il contenuto dell’annuncio missionario riflette le catechesi battesimali:

1.      Conversione, cambiare mentalità distogliendosi da un passato peccaminoso;

2.      Rivolgersi a Dio

3.      La conversione deve tradursi in vita nuova, in opere concrete, in un comportamento conforme alle esigenze del Vangelo.

22-23: l’apologia acquista il carattere di testimonianza e, questa, non fa che annunciare tutto ciò che la Scrittura aveva annunciato.

La luce che aveva avvolto Paolo, si riversa ora sul mondo.

 

24-32: reazione positiva del re Agrippa

24: come gli ascoltatori di Atene (At 17,32) Festo interrompe la difesa arrivata al tema della Risurrezione di Cristo. Paolo è pazzo! Festo insinua che il troppo studio ha fatto impazzire Paolo, gli ha fato perdere il buon senso.

 

martedì 22 marzo 2022

ATTI DEGLI APOSTOLI 23-24



[Annotazioni]

 CAPITOLO 23

1-10: Discorso di Paolo al Sinedrio

Paolo appare come un giusto e fedele giudeo accusato ingiustamente da un giudaismo fanatico e diviso in se stesso.

Paolo si difende non per l’incidente avvenuto nel tempio, ma perché in quanto fariseo crede nella risurrezione.

Insegnamento di Luca: tra il cristianesimo e il giudaismo non vi sono divergenze maggiori di quelle che esistono già nel giudaismo ufficiale.

La differenza tra cristiani e farisei sta nel fatto che questi ultimi rifiutano Gesù come Cristo.

Anania: sommo sacerdote tra il 47/48. Insolente, irascibile, filoromano, fu ucciso assieme a suo fratello Ezechia all’inizio della guerra giudaica nel 66 da sicari zeloti.

6: Paolo provoca una spaccatura tra i presenti.

Sono fariseo: anche come cristiano Paolo rimane fedele alla tradizione giudaica. Probabilmente si tratta di un’interpretazione lucana, in quanto il Paolo storico avrebbe detto: ero fariseo.

 

11: l’apparizione notturna

Viene rammentato al lettore il cammino ideale della diffusione del Vangelo: da Gerusalemme a Roma. Paolo è chiamato a rendere testimonianza nel cuore dell’impero romano come in quello del giudaismo. Tutto fa parte di un disegno divino.

 

12-22: Complotto contro Paolo

Il fanatismo dei giudei li porta a fare un giuramento.

Sino a questo momento non si sa nulla della sorella e del nipote di Paolo: forse abitavano a Gerusalemme.

 

23-35: Trasferimento di Paolo a Cesarea

Sorprende la sproporzione dello schieramento militare: 470 soldati sui mille presenti a Gerusalemme. Luca vuole sottolineare la gravità del pericolo che minaccia Paolo.

 

 

 

CAPITOLO 24

1-9: Requisitoria di Tertullo

2-3: secondo la legge romana l’imputato viene chiamato davanti agli accusatori, ha il diritto di stare faccia a faccia con essi per un confronto.

Tertullo lusinga il procuratore con il riferimento all’ideologia romana della pace e del benessere. Poi trasferisce le accuse dal piano delle dispute religiose interne al giudaismo, al piano politico su cui la legge romana può intervenire. Pone il tema della pace in contrasto con il comportamento di Paolo.

5: Paolo viene definito come una peste, un essere pericoloso. Provoca sedizioni e turba, di conseguenza, la pax romana. L’accusa richiama alla mente quella mossa contro Gesù. Paolo è visto come il rappresentante della chiesa universale: capo dei Nazorei. Ciò corrisponde all’idea di Luca. Paolo viene accusato di essere a capo di un movimento sovversivo diffuso in tutto l’impero.

6. Paolo è accusato di profanare il tempio. È un’accusa di sfondo religioso ma anche politico perché Roma ha cura di proteggere i luoghi di culto.

 

10-21: la difesa di Paolo

Paolo si difende dall’accusa di sedizione. Una permanenza di dodici giorni è troppo breve per creare tumulto. In questo recente periodo tutte le mosse di Paolo essere controllate e confermate da testimoni.

14-15: Paolo serve lo stesso Dio dei padri che servono anche i suoi accusatori. Paolo crede nella Legge e ni profeti. Proprio dalle scritture nasce la speranza nella risurrezione, condivisa da quel giudaismo autentico del quale Paolo fa parte: i farisei. Di conseguenza riconoscersi cristiano significa essere un vero giudeo, perché il cristianesimo altro non è se non il compimento del vero giudaismo. Per questo Paolo contesta il titolo di setta che viene attribuito al cristianesimo: egli preferisce il termine Via, perché è un termine che ha risonanze bibliche (la via del Signore).

17: Luca menziona il motivo del viaggio di Paolo a Gerusalemme: l’elemosina per i poveri della comunità. Ciò significa che Luca era conoscenza di ciò, anche se non lo menziona mai.

18-19: siccome Paolo si trova nel tempio come purificato, non è stato lui a creare tumulti, ma i giudei quando sono andati a prenderlo.

 

22-27: Paolo in prigione sotto Felice

La decisione di non emettere una sentenza è considerata favorevole a Paolo: i suoi avversari non sono riusciti a farlo condannare e quindi, una prova indiretta della sua innocenza. Paolo, comunque, resta in prigione innocente solo perché l’autorità vuole compiacere i giudei e aspetta denaro.

La prigione non è un impedimento all’attività apostolica: Paolo si fa missionario e catecheta. L’attesa del giudizio lo costringe a una vita ascetica e moralmente impegnata. In qualunque situazione paolo è un esempio da imitare.

Il procuratore, anche se si dimostra interessato alla fede cristiana, è venale e corrotto.

Al contrario di Felice, Festo è considerato un funzionario integro.

22. Il procuratore sa che il cristianesimo non costituisce un pericolo pubblico e che la difesa di Paolo è vera.

 

venerdì 18 marzo 2022

TERZA DOMENICA DI QUARESIMA/C

 



Paolo Cugini

 

Lc 13,1-9

In quel tempo si presentarono alcuni a riferire a Gesù il fatto di quei Galilei, il cui sangue Pilato aveva fatto scorrere insieme a quello dei loro sacrifici. Prendendo la parola, Gesù disse loro: «Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo. O quelle diciotto persone, sulle quali crollò la torre di Siloe e le uccise, credete che fossero più colpevoli di tutti gli abitanti di Gerusalemme? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo». Diceva anche questa parabola: «Un tale aveva piantato un albero di fichi nella sua vigna e venne a cercarvi frutti, ma non ne trovò. Allora disse al vignaiolo: “Ecco, sono tre anni che vengo a cercare frutti su quest’albero, ma non ne trovo. Taglialo dunque! Perché deve sfruttare il terreno?”. Ma quello gli rispose: “Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai”».

 

Il tempo di quaresima ci offre un’opportunità per ricentrare la nostra vita e orientarla con maggiore determinazione nel percorso tracciato da Gesù, che troviamo nel Vangelo. In questo percorso anche le letture ci vengono incontro e ci offrono spunti significativi. Vediamone alcuni.

L’angelo del Signore gli apparve in una fiamma di fuoco dal mezzo di un roveto. Egli guardò ed ecco: il roveto ardeva per il fuoco, ma quel roveto non si consumava. Mosè pensò: «Voglio avvicinarmi a osservare questo grande spettacolo: perché il roveto non brucia?» (Es 3, 1s).

Da che esperienza religiosa proveniamo? Siamo fermi ai contenuti ricevuti nell’infanzia o è avvenuto qualcosa di nuovo che ci ha aperto gli occhi e ci ha fatto cambiare idea, prospettiva? La domanda è provocata dal brano dell’Esodo appena ascoltato. È perché Mosè è attento a quello che avviene nel presente, che si accorge di una novità, si accorge che quello che sta avvenendo sotto i suoi occhi è qualcosa di nuovo. Questo è il primo dato fondamentale della spiritualità del tempo di quaresima: ci dovrebbe aiutare, sensibilizzare all’attenzione, a guardare con occhi attenti quello che ci succede attorno. Solo in questo modo potremo accorgerci di eventi che sono qualitativamente differenti dai soliti e che, in un certo modo, rivelano qualcosa d’altro. Riusciamo ad uscire dalle fantasie infantili su Dio, da quelle fantasie che, alla distanza, c’imprigionano in una gabbia mortale, fatta di precetti e di dottrine che scatenano i sensi di colpa che non ci fanno più dormire, solo se ci accorgiamo che c’è qualcosa di diverso attorno a noi, che si sta rivelando a noi in modo personale. Questi eventi qualitativamente diversi che hanno le caratteristiche della rivelazione, coinvolgono non solo la ragione, ma tutto l’universo personale. Ci sono eventi nella vita che hanno una forza rivelativa così potente da cambiare per sempre l’orizzonte della nostra esistenza. È quello che avviene a Mosè, ad Abramo, ma anche a Pietro e a Paolo.

Il Signore, Dio dei vostri padri, Dio di Abramo, Dio di Isacco, Dio di Giacobbe, mi ha mandato a voi.

La verità del nostro cammino di fede sta nel passaggio da un modo di vivere la religione come esperienza oggettiva, che non ha alcuna incidenza nel vissuto quotidiano perché si esaurisce nell’obbedienza ai precetti, verso un incontro personale che coinvolge tutte le dimensioni della persona. Il Dio che si manifesta nella storia non è un essere astratto, ma personale, come è personale l’esperienza che ne hanno avuto Abramo, Isacco e Giacobbe.

«Credete che quei Galilei fossero più peccatori di tutti i Galilei, per aver subìto tale sorte? No, io vi dico, ma se non vi convertite, perirete tutti allo stesso modo (Lc 13, 1s).

Un effetto di questo cammino in cui facciamo l’esperienza personale del Mistero è che ci libera dalle idee ossessive su Dio, della divinità che punisce e uccide, dai sensi di colpa per non avere corrisposto alle esigenze del dio despota e cattivo. L’incontro personale con il Padre che ci ha fatto conoscere Gesù Cristo ci conduce a sperimentare la sua misericordia. Convertirsi significa questo: smettere di credere nelle favole, per fare posto alla misericordia del Padre che si è manifestata nella vita di Gesù Cristo.  Il lavoro che Gesù compie con affermazione come quelle ascoltate oggi è di decostruzione del modello religioso vigente, per liberarci e renderci persone responsabili e consapevoli.

Padrone, lascialo ancora quest’anno, finché gli avrò zappato attorno e avrò messo il concime. Vedremo se porterà frutti per l’avvenire; se no, lo taglierai.

Il Signore ci offre adesso un tempo per entrare in una relazione personale con il Padre per vivere serenamente il nostro rapporto con Lui.  L’invito che ci viene rivolto in questa terza settimana di quaresima è di approfittarne, è un invito a non rimandare questa opportunità, perché, come abbiamo ascoltato all’inizio della quaresima: è oggi il tempo della salvezza. 

mercoledì 9 marzo 2022

MODELLI DI PREDICAZIONE

 




Paolo Cugini


Giona cominciò a percorrere la città per un giorno di cammino e predicava: «Ancora quaranta giorni e Nìnive sarà distrutta». I cittadini di Nìnive credettero a Dio e bandirono un digiuno, vestirono il sacco, grandi e piccoli. Giunta la notizia fino al re di Nìnive, egli si alzò dal trono, si tolse il manto, si coprì di sacco e si mise a sedere sulla cenere (Gn 3). C’è una predicazione che ha effetto su tutto il popolo, dai più poveri sino al re. Una predicazione che arriva al cuore del popolo e provoca la penitenza, come risposta alla presa di coscienza del proprio errore. La Parola, quando trova spazio nel cuore, mostra il problema, ciò che sta provocando la morte dell’anima e rovinando l’esistenza. Allo stesso tempo, mentre mostra che cosa non sta funzionando, offre delle indicazioni per riprendere la strada con forza. Ci sono dei gesti che rivelano il pentimento, che non può essere solo mentale, non può fermarsi, cioè, al livello cella presa di coscienza, ma deve poter coinvolgere tutta la persona e, di conseguenza, il corpo. Vestirsi di sacco, sedersi sulla cenere hanno il valore di rendere visibile a se stessi la presa di coscienza che la Parola ha provocato, dei propri errori. Come si può declinare questi atteggiamenti nella situazione di vita attuale?

Nel giorno del giudizio, gli abitanti di Nìnive si alzeranno contro questa generazione e la condanneranno, perché essi alla predicazione di Giona si convertirono. Ed ecco, qui vi è uno più grande di Giona (Lc 11,32). Interessante: ha avuto più successo la predicazione di Giona che quella di Gesù. Ciò significa che la bontà di una predicazione non sta nel predicatore: dipende molto dal terreno in cui cade la predicazione. L’importante è seminare, certamente, ma il predicatore non può pensare di avere il controllo dei cuori a cui rivolge la predicazione. Al tempo di Gesù a predicare c’era uno che valeva ben più di Giona, che tra l’altro è presentato come il peggiore dei profeti, visto che si rifiuta in un primo momento, di annunciare la Parola. Eppure, nonostante questo, è la predicazione di Giona che ha effetto sugli ascoltatori, e non quella di Gesù. Tra le tante considerazioni che si possono fare a questo punto, una mi sembra necessaria. L’abitudine al male, l’abituarsi all’errore può rendere l’anima così dura e insensibile da resistere persino alla predicazione di Gesù. 

lunedì 7 marzo 2022

SECONDA DOMENICA DI QUARESIMA C

 




(Gen 15,5-12.17-18; Sal 26; Fil 3,17 - 4,1; Lc 9,28b-36)

 

Paolo Cugini

 


 
Lc 9,28b-36

 In quel tempo, Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare. Mentre pregava, il suo volto cambiò d’aspetto e la sua veste divenne candida e sfolgorante. Ed ecco, due uomini conversavano con lui: erano Mosè ed Elia, apparsi nella gloria, e parlavano del suo esodo, che stava per compiersi a Gerusalemme. Pietro e i suoi compagni erano oppressi dal sonno; ma, quando si svegliarono, videro la sua gloria e i due uomini che stavano con lui. Mentre questi si separavano da lui, Pietro disse a Gesù: «Maestro, è bello per noi essere qui. Facciamo tre capanne, una per te, una per Mosè e una per Elia». Egli non sapeva quello che diceva. Mentre parlava così, venne una nube e li coprì con la sua ombra. All’entrare nella nube, ebbero paura. E dalla nube uscì una voce, che diceva: «Questi è il Figlio mio, l’eletto; ascoltatelo!». Appena la voce cessò, restò Gesù solo. Essi tacquero e in quei giorni non riferirono a nessuno ciò che avevano visto.

 

Il cammino di quaresima iniziato la settimana scorsa, ci ha immesso immediatamente sul percorso dell’umanizzazione della nostra vita, mostrando chiaramente che la vita di fede non si rinchiude nell’ambito del culto, ma ci conduce a contatto con i fratelli e le sorelle. È una mentalità nuova quella Gesù ci presenta e che propone per i suoi discepoli e discepole, un o stile di vita che coinvolge ogni aspetto dell’esistenza umana.

Dio condusse fuori Abram e gli disse: «Guarda in cielo e conta le stelle, se riesci a contarle» e soggiunse: «Tale sarà la tua discendenza». Egli credette al Signore, che glielo accreditò come giustizia (Gen 15,5s).

      Prima di essere un’esperienza d’interiorizzazione, di chiusura in se stessi, il cammino di fede ci fa uscire da noi stessi. Dio conduce fuori Abramo: è questo il primo passo del cammino. Uscire dalle nostre sicurezze, dai nostri luoghi dove abbiamo il controllo di tutto: solo così potremo essere disponibili alla novità del rapporto con Dio e alle sue esigenze. Sono le situazioni di precarietà, insicurezza che provocano una richiesta di aiuto e, allo stesso tempo, una disponibilità interiore all’ascolto. Abramo, una volta uscito, è sollecitato a guardare in alto, a contare le stelle. È il contatto con la realtà. L’alleanza con Dio avviene sul piano della realtà, a contatto con la concretezza della vita. Una realtà vista con occhi nuovi, pronti alla sorpresa, alla novità e non letta da una conoscenza previa.

 Gesù prese con sé Pietro, Giovanni e Giacomo e salì sul monte a pregare (Lc 9, 28).

      Anche Gesù fa la stessa cosa con i suoi discepoli: li porta fuori dal solito contesto, li fa salire sul monte. Gesù si mostra in preghiera, in una relazione nuova con Dio, non filtrata da riti o miti, ma in una relazione personale, profonda, continua. In questa relazione il volto di Gesù si trasforma. Il volto indica l’identità della persona, il suo essere. La verità della preghiera, della relazione autentica con Dio si manifesta nel volto, nell’identità personale, nel modo di vivere, nello stile. Dentro questa nuova relazione entrano in gioco anche Mosè ed Elia, cioè l’Antico Testamento. È un dialogo che rivela la continuità e, allo stesso tempo, la novità di Gesù, che porta a pieno compimento l’Alleanza tra Dio e l’umanità. Negli apostoli, che assistono alla scena, c’è stanchezza e confusione. Il mistero dell’identità di Gesù sarà, infatti, comprensibile solamente nella prospettiva della resurrezione, vale a dire, la vita piena e definitiva. Sarà in quell’evento che diverrà chiaro che l’amore è l’essenza della vita ed è indistruttibile.

La nostra cittadinanza infatti è nei cieli e di là aspettiamo come salvatore il Signore Gesù Cristo, il quale trasfigurerà il nostro misero corpo per conformarlo al suo corpo glorioso, in virtù del potere che egli ha di sottomettere a sé tutte le cose (Fil 3).

Paolo comprende che il cammino che Gesù ha compiuto, da questo mondo al Padre, non esclusivo, non riguarda solamente Lui, ma lo ha fatto per tutti. Gesù ha mostrato il percorso che permette di vivere una vita autentica che nemmeno la morte potrà scalfire: è il cammino dell’amore gratuito, disinteressato, il cammino della ricerca della giustizia e della solidarietà con i fratelli e le sorelle più povere. La luce del risorto trasfigurerà il corpo di coloro che lo cercano e che vivono come Lui. 

HO AVUTO FAME

 




Paolo Cugini

Siate santi, perché io, il Signore, vostro Dio, sono santo (Lv 19,2). All’inizio di quaresima c’è questa indicazione religiosa, l’incito alla santità che, prima di essere un’esigenza che si esaurisce nella dimensione cultuale, è una richiesta che si esprime soprattutto sul piano sociale. Viene chiesto, infatti di non rubare, di trattare bene i sordi, i poveri, i ciechi, di essere giusto. Chi ama il Signore e desidera camminare nei suoi sentieri è chiamato ad un’attenzione particolare con le persone più deboli. La verità del rapporto con il Signore si vede nella qualità che poniamo nelle relazioni con gli altri.

Anche il Vangelo di oggi è su questa linea. Dice, infatti:

ho avuto fame e mi avete dato da mangiare, ho avuto sete e mi avete dato da bere, ero straniero e mi avete accolto, nudo e mi avete vestito, malato e mi avete visitato, ero in carcere e siete venuti a trovarmi (Mt 25). Colpisce l’identificazione che Gesù propone di se stesso con le persone che vivono situazioni di necessità: stranieri, malati, carcerati. Il cammino proposto dal Vangelo porta l’umanità ad interessarsi di quei fratelli e quelle sorelle messe ai margini della società, a prendersene cura. Ascoltare il Vangelo, permettere alla Parola del Signore di penetrare la nostra coscienza, significa iniziare a vere il mondo in un modo diverso, non più con l’ansia di prestazione, tipica di coloro che pongo al centro del mondo se stessi, ma con il desiderio di amare il prossimo e, in modo particolare, i più deboli.

 

venerdì 4 marzo 2022

PRIMA DOMENICA DI QUARESIMA C

 




Paolo Cugini

 

Lc 4, 1-13

In quel tempo, Gesù, pieno di Spirito Santo, si allontanò dal Giordano ed era guidato dallo Spirito nel deserto, per quaranta giorni, tentato dal diavolo. Non mangiò nulla in quei giorni, ma quando furono terminati, ebbe fame. Allora il diavolo gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, di’ a questa pietra che diventi pane». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Non di solo pane vivrà l’uomo"». Il diavolo lo condusse in alto, gli mostrò in un istante tutti i regni della terra e gli disse: «Ti darò tutto questo potere e la loro gloria, perché a me è stata data e io la do a chi voglio. Perciò, se ti prostrerai in adorazione dinanzi a me, tutto sarà tuo». Gesù gli rispose: «Sta scritto: "Il Signore, Dio tuo, adorerai: a lui solo renderai culto"». Lo condusse a Gerusalemme, lo pose sul punto più alto del tempio e gli disse: «Se tu sei Figlio di Dio, gettati giù di qui; sta scritto infatti: "Ai suoi angeli darà ordini a tuo riguardo affinché essi ti custodiscano"; e anche: "Essi ti porteranno sulle loro mani perché il tuo piede non inciampi in una pietra"». Gesù gli rispose: «È stato detto: "Non metterai alla prova il Signore Dio tuo"». Dopo aver esaurito ogni tentazione, il diavolo si allontanò da lui fino al momento fissato.

Ci si è sempre stata presentata la quaresima come un periodo dai toni negativi, come qualcosa di pesante, difficile, che richiede sacrifici. In realtà è tutta un'altra cosa. E' infatti, un cammino di umanizzazione, che dovrebbe aiutare il cristiano e la comunità cristiana a prendere coscienza delle possibilità di vita nuova insite ne cammino porposto da Gesù nel Vangelo. Mettiamoci, allora, in ascolto della Parola. 

Mio padre era un Arameo errante; scese in Egitto, vi stette come un forestiero con poca gente e vi diventò una nazione grande, forte e numerosa (Dt 26,4). Il primo aspetto importante della quaresima è fare memoria, fermarsi per capire dove siamo, da dove veniamo, che percorso abbiamo fatto. È quello che fa l’autore deuteronomista che scrive dalla Babilonia e si chiede che cos’è successo, come mai il popolo si trova in esilio. Per rispondere va alle origini della propria identità di popolo, perché è dalle origini che scopriamo chi siamo e possiamo cogliere la qualità del percorso intrapreso,

è all’interno di questo percorso sulla nostra memoria personale e collettiva che possiamo interrogarci sulla nostra umanità, o meglio, su come abbiamo lavorato sulle nostre fragilità. Questo è il punto cruciale della quaresima: è un cammino di umanizzazione che passa attraverso la presa di coscienza della nostra umanità, le su fragilità. Solo capendo chi siamo, possiamo decidere dove andare, in che modo e con chi. È questo quadro riflessivo che ci permette di cogliere la profondità del brano di Vangelo che introduce sempre il tempo di quaresima: le tentazioni di Gesù.

Questo brano ci dice, in primo luogo, che il cammino verso Dio è un cammino di trasformazione umano che avviene nella nostra umanità e sul piano della storia. Non c’è un luogo privilegiato per migliorare la nostra esistenza umana, perché questo percorso non è un problema di luogo, ma di spessore qualitativo della vita e riguarda la nostra capacità di curare le nostre ferite, i nostri punti vulnerabili.

Come reagiamo quando siamo sollecitati dall’istinto di sopravvivenza, che agisce sulle passioni? È questo il primo livello di fragilità che tutti siamo chiamati ad affrontare. Non possiamo permetterci il lusso di lasciarci andare ma, allo stesso tempo, non possiamo immetterci nel cammino della durezza, della rigidità: non ci farebbe vivere bene. Come reagiamo quando ci troviamo devastati dalle passioni in mezzo al deserto della vita dove percepiamo che indietro non possiamo più tornare e, guardando avanti, non vediamo nessun orizzonte? È questa una domanda esistenziale e spirituale che ci pone il Vangelo.

Ancora. Fino a che punto arriviamo, fino dove siamo disposti a procedere pur di ottenere quello che volgiamo? Fino a che punto siamo disposti a cedere della nostra dignità per raggiungere quelli che consideriamo i nostri obiettivi? Esiste un momento nella vita, o forse ci sono più momenti, in cui percepiamo che se passiamo da quel punto, da quella situazione, la nostra vita migliorerà, economicamente, in posizione sociale o altro. Allo stesso tempo, però, percepiamo che il prezzo da pagare è così alto che è senza ritorno, nel senso che se accettiamo di pagare il prezzo non saremo più gli stessi, cambieremo radicalmente. Che cosa ci può trattenere dal fare un passo falso, un passo verso l’abisso e, come sappiamo, dall’abisso non si torna indietro o, che ci riesce, ritorna molto frastornato.

Il tempo di quaresima ci pone in mezzo al deserto della vita per aiutarci a capire a che punto siamo del cammino, capire se abbiamo ancora dei margini di miglioramento o se abbiamo già sperperato tutti i bonus. Non sempre, infatti, riusciamo a fare come i gatti e cioè che anche se cadono dall’alto, riescono a cadere in piedi. A volte, e ne basta solo una, quando cadiamo, ci sfracelliamo. Il tempo della quaresima ci offre un materiale spirituale per imparare ad orientare i nostri istinti e a fissare chiaramente le nostre mete, per imparare a vivere bene, a vivere con amore, sapendo che anche questo cammino ha un prezzo durissimo da pagare ma, a differenza del primo, è un cammino che ci trasforma in persone che vanno verso la vita vera.

 

 

IL VERO DIGIUNO

 




Non è piuttosto questo il digiuno che voglio:
sciogliere le catene inique,
togliere i legami del giogo,
rimandare liberi gli oppressi
e spezzare ogni giogo?
Non consiste forse nel dividere il pane con l'affamato,
nell'introdurre in casa i miseri, senza tetto,
nel vestire uno che vedi nudo,
senza trascurare i tuoi parenti?
Allora la tua luce sorgerà come l'aurora,
la tua ferita si rimarginerà presto.
Davanti a te camminerà la tua giustizia,
la gloria del Signore ti seguirà.
Allora invocherai e il Signore ti risponderà,
implorerai aiuto ed egli dirà: "Eccomi!"».
(Is 58),  

Parole di Isaia contro la ritualità e la liturgia fine a se stessa, che non ha una ricaduta sulla vita quotidiana. Quello che celebriamo nel tempio si deve vedere sulla piazza. Celebriamo, infatti, la vita nuova che si è manifestata in Gesù e che ricordiamo nell’eucarestia. Questa stessa vita che assimiliamo nella Parola e nel cibo del suo corpo e del suo sangue, ci conduce a vivere come Lui e di Lui. Tutto ciò significa che c’è una liturgia che non funziona, ma che è nociva; c’è tutta una religione e dei riti che invece di produrre cammini di vita nuova, producono cammini di morte, perché sono a servizio dell’egoismo umano e del suo orgoglio.

Lo spezzare il pane eucaristico divine visibile nella condivisione con i più poveri: è questo il senso dell’eucaristia. La libertà di Gesù che celebriamo nei sacramenti diviene reale quando ci sforziamo di spezzare i gioghi degli oppressi, ci impegniamo ad aiutare le persone che vivono situazioni di schiavitù. Quaresima, allora, come tempo per liberarci una volta per tutto dal gioco sottile e perverso della falsa religione, fatta di ipocrisie, ma che lentamente ci svuota. Liberarci dalla falsa religione per poter vivere in modo libero e sereno un nuovo rapporto con il Signore della vita, che si è donato per amore e ci invita anche noi a fare della nostra vita una storia d’amore e di libertà.

 

giovedì 3 marzo 2022

ATTI DEGLI APOSTOLI CAPITOLO 21-22



 [annotazioni]

 

1-14: Da Mileto a Gerusalemme

C’è un crescendo narrativo drammatico che termina con l’intervento del profeta Agabo. L’itinerario percorso è dettagliato e corrisponde ai dati dell’epoca.

Luca ha descritto il cammino di Paolo verso Gerusalemme come un cammino molto simile a quello di Gesù. Infatti, come per Gesù, viene annunciato per tre volte a Paolo il destino di dolore che lo attende. In realtà Paolo verrà messo in salvo dai pagani (romani) quando rischiò di essere linciato dai giudei.

4. C’è una tensione tra la volontà di Paolo e la volontà della comunità sull’itinerario verso Gerusalemme, tensione che aumenta in quanto entrambi fanno riferimento allo Spirito Santo. C’è in atto un processo di discernimento.

5-6: Viene messa in luce il legame delle comunità con l’apostolo.

8-9: perché Lc chiama Filippo di “evangelista”? In che senso? Filippo sembra essere il punto di riferimento di una comunità fortemente carismatica.

10-12: Agabo

13: la decisione di Paolo rimane ferma come quella di Gesù.

 

15-26: Prigionia a Gerusalemme

A Paolo viene chiesto un atto di pietà che dimostri la sua fedeltà alla legge. La descrizione è confusa.

Problema: perché Lc non parla della colletta?

La situazione reale che Paolo ha dovuto affrontare in questo contesto si trova in Rom 15,30s.

a.       Pericolo dei giudei della Palestina

b.      Paolo teme l’opposizione dei giudeo-cristiani. La fede doveva dare prova di fedeltà alle pratiche della Legge.

Paolo si scontra con i giudaizzanti che contrastano la sua missione (cfr. lettera ai Galati, che si era diffusa nelle prime comunità).

Paolo è accusato di chiedere ai giudei convertiti il rinnegamento della Torah, per testimoniare l’unità della Chiesa. È in questo contesto polemico che la colletta, segno di unità tra la chiesa pagano-cristiana e quella giudeo-cristiana, acquista un enorme significato: se non veniva accolta Paolo avrebbe corso invano.

Ecco perché Giacomo vuole obbligarlo ad un compromesso e chiede a Paolo una dimostrazione di fedeltà per difendersi dalle accuse e salvare l’unità nella chiesa.

15: Lc presenta Masone come un discepolo della prima ora originario di Cipro, come Barnaba, un giudeo-cristiano.

21: versetto cruciale del capitolo. Circolano voci provenienti dall’ambito delle chiese paoline: Paolo incita i giudei divenuti cristiani a trascurare le prescrizioni della Legge di Mosè, in particolare a non circoncidere i figli. Era il suo insegnamento che generava le accuse.

Cfr: Rom 10,4; Gal 5,3-4.

Paolo non aveva intenzione di attaccare il giudaismo, ma di difendere i pagano-cristiani da una loro giudaizzazione.

 

21, 27-36: Arresto di Paolo

La passione di paolo inizia nel Tempio.  I giudei sono visti come persecutori dei cristiani e fomentatori di disordini

29. Lc fa notare che l’accusa rivolta a Paolo è infondata.

 

37-40: Paolo e il tribuno

Lc sottolinea che da parte dell’autorità romana Paolo e i cristiani non possono essere confusi con gli aderenti dei movimenti pseudo-messianici allora in voga. Lc mette insieme il messianismo di tipo esaltato (l’egiziano) con quello di tipo violento – sicari – esistenti in Palestina all’epoca dell’incarcerazione di Paolo.

 

 

CAPITOLO 22

 

1-21: apologia di Paolo

Lc costruisce il discorso di Paolo con materiale già utilizzato (At 9) aggiungendo le visioni nel tempio. Paolo è accusato di invitare i cristiani delle nuove comunità di non vivere più conforme alla Torà. La conversione di Paolo non è vista come rottura con il passato: egli non ha mai abbandonato le tradizioni del suo popolo. Proprio il passato di Paolo, è questo il tema dell’apologia, dovrebbe far riflettere i giudei.

17: la conversione di Paolo è messa in relazione con il tempio.

22-29: Paolo cittadino romano

Il discorso di Paolo non ha avuto l’effetto desiderato da Paolo, ma conferma la parola del risorto: il Vangelo non sarà accolto e Paolo perde tempo a Gerusalemme.

22-23: l’interruzione del discorso avviene quando Paolo menziona il mandato di rivolgersi ai pagani. La cosa di per sé non costituiva problema, ma il problema nasce dalle premesse e dalle conseguenze della missione di Paolo: il superamento della Legge e del tempio col suo culto.