lunedì 15 aprile 2024

SOVVERTIRE LE USANZE

 


Lo abbiamo infatti udito dichiarare che Gesù, questo Nazareno, distruggerà questo luogo e sovvertirà le usanze che Mosè ci ha tramandato (At 6.8). Il problema è il sovvertimento delle tradizioni, che la proposta di Gesù sembra provocare. Non c’è la messa in discussioni delle tradizioni, ma la preoccupazione che rimangano inalterate. Anche perché, ormai, con l’azione e l’attività delle prime comunità cristiane, la parola è uscita nella storia e sta divenendo realtà. È il modo di vivere dei cristiani che preoccupa il potere, perché è così diverso da smascherare l’inganno delle false tradizioni, che il potere politico e religioso ha imposto nel tempo. Il problema, a questo punto, diventa il popolo semplice, che non s’interroga e che non ha la forza di contrastare il peso delle tradizioni. Gesù, invece, ha gli argomenti che dimostrano l’inganno delle tradizioni umane che si sono sostituite addirittura alla Parola di Dio (cfr. Mc 7, 1s).

In verità, in verità io vi dico: voi mi cercate non perché avete visto dei segni, ma perché avete mangiato di quei pani e vi siete saziati (Gv 6,26). Versetto molto legato a quello precedente degli Atti. C’è una materialità nella sequela che va tenuta conto. Ci sono delle domande che sorgono nella vita religiosa che non hanno un carattere spirituale, ma materiale. Le tradizioni nascono proprio perché offrono risposte ai problemi materiali. Senso di sicurezza, è questo che offrono le tradizioni, che s’inseriscono perfettamente sull’istinto di sopravvivenza. Il nuovo provoca tensioni, destabilizza e, per questo, è rifiutato. L’annuncio di Gesù è destabilizzante proprio perché mette in crisi le istituzioni, le tradizioni, mostrandone i limiti e, spesso e volentieri, la falsità. Ci sono infatti tradizioni, che ingannano l’uomo, e sono create proprio per servire il potere. È di questo tipo di tradizioni fraudolente che il Vangelo diventa corrosivo, perché mostrandone l’inganno, allo stesso tempo indica il cammino per una trasformazione che deve giungere ad una sostituzione. 

giovedì 11 aprile 2024

DENTRO LA STORIA

 



 

Paolo Cugini

Bisogna obbedire a Dio invece che agli uomini” (At 5). Che cosa significa, concretamente, questa frase dell’apostolo Pietro? Come si fa ad obbedire a Dio? C’è un cammino di discernimento da compiere che passa attraverso un duplice percorso. Il primo è la relazione con il Signore, la sua Parola assimilata quotidianamente nella meditazione e nella riflessione si personale che comunitaria. Il secondo è la costante attenzione alla realtà, al vissuto quotidiano.

 È infatti nel presente della storia che è possibile scorgere gli indizi della presenza del risorto. Fare la volontà del Signore, dunque, non è l’indicazione dell’osservanza di parole, ma l’attenzione ad una presenza che indica un cammino che è dentro la storia, che porta i tratti dell’umanità del Signore, delle sue attenzioni.

Questo, a mio avviso, è il significato di una spiritualità autentica, che non conduce le persone fuori dalla storia, in un mondo altro ma, al contrario, dentro alla storia, estremamente inserite nelle dinamiche del vissuto quotidiano, per viverle con il nuovo stile proposto da Gesù.

 

sabato 6 aprile 2024

ASCENSIONE DEL SIGNORE/C – SOLENNITA’

 




Atti 1, 1-11; Sale 47; Ef 1,17-23; Lc 24,46-53

Paolo Cugini

 

La solennità dell'Ascensione del Signore, che celebriamo oggi, deve aiutarci a comprendere il senso della missione della Chiesa nel mondo e anche del nostro battesimo, dato che è in questo sacramento che riceviamo lo Spirito Santo. Infatti, è nell'Ascensione del Signore che i discepoli ricevono il mandato di annunciare il Vangelo a tutte le genti. Il compito della Chiesa, quindi, è quello di essere testimone di Cristo. Inoltre, l'Ascensione del Signore ci insegna che il Vangelo non è solo un annuncio terreno, che si conclude sulla terra. Il Vangelo non è un codice di comportamento morale, ma è l'indicazione di un cammino che ha come meta l'incontro con il Padre. Così come Gesù è passato, attraverso la sua passione e morte, da questo mondo al Padre (Gv 13) - questo è il senso della sua Pasqua: anche noi dobbiamo ascoltarlo per poter passare con Lui da questo mondo al Padre. Per questo siamo invitati ad annunciare al mondo il suo Vangelo, sua unica via di salvezza. E qui sorge il problema: come è possibile annunciare questo cammino di salvezza?

Fu a loro che Gesù si mostrò vivo dopo la sua passione (At 1, 3).

Il primo criterio per testimoniare Gesù nel mondo è conoscerlo, conoscere Lui. Gesù non è un'idea astratta, ma una persona concreta, Gesù non è una creazione letteraria, non è il frutto della fantasia umana. Gesù è Dio che si è fatto uomo ed è venuto ad abitare in mezzo a noi: è Dio che si è avvicinato a noi. Ecco perché è impossibile conoscere Gesù se non attraverso un'esperienza viva, autentica, profonda. Gesù non manda i discepoli ad annunciare un'idea, o qualcosa del genere, ma quell'esperienza specifica che hanno avuto con il Signore. Non è un caso che Gesù, dopo la sua morte e risurrezione, sia apparso solo ai suoi discepoli, a coloro, cioè, che hanno saputo riconoscerlo. Pertanto, alla radice della nostra testimonianza – poiché questo è il senso del nostro battesimo! – deve esserci la nostra esperienza con il Signore Gesù. Non possiamo annunciare Cristo se non lo conosciamo. Nella prima lettera, Giovanni riporta questa stessa riflessione: ciò che abbiamo udito, ciò che abbiamo toccato con le nostre mani, ve lo annunziamo (cfr 1 Gv 1,1-4). La vita cristiana non è fatta solo di parole, ma di autentica esperienza con Cristo. È la conoscenza di Lui che ci permette di conoscerlo e, quindi, di comunicarlo al mondo.

Riceverete potenza dallo Spirito Santo che scenderà su di voi (At 1,8).

La conoscenza esperienziale e personale del Signore, però, non basta: occorre lo Spirito Santo. Solo lo Spirito di Dio può dare ai discepoli il coraggio di annunciare, di testimoniare il Signore risorto in un mondo che lo odia, che lo massacra, che odia Dio e, di conseguenza, odia tutti coloro che parlano del Figlio. Questo coraggio non è una forza psicologica, di origine umana, ma qualcosa che viene da Dio, dal suo Spirito.

C'è qualcosa di più. Per essere testimone ci vuole la forza che deriva dall'essere credibili. Ciò significa che, se vogliamo essere testimoni del Signore, il nostro incontro con Lui deve aver cambiato significativamente la nostra vita. Come possiamo, infatti, annunciare l'amore di Cristo ai nostri nemici se odiamo qualcuno? Come possiamo essere testimoni della comunione di Cristo se siamo strumenti di lotte e di difficoltà? Come possiamo essere testimoni della morte di Cristo che ha perdonato i nostri peccati, se non siamo capaci di perdonare? Come possiamo annunciare l'amore di Cristo ai poveri se passiamo il nostro tempo ad accumulare ricchezze, diventando così strumenti di ingiustizia? Testimoniare significa raccontare ciò che Gesù ha fatto non solo con le parole, ma anche e, soprattutto, con la nostra stessa vita.  La verità di ciò che annunciamo deve essere ben visibile nella nostra carne, nella nostra storia. Testimoniare non significa dire quello che ha fatto Gesù, ma quello che Gesù ha fatto per me, la salvezza che ha portato nella mia vita. Se siamo chiamati ad annunciare la Salvezza che Cristo ha operato nella storia attraverso la sua passione, morte e risurrezione, allora tutto questo deve essere scritto nella nostra vita, deve essere ben visibile nella nostra carne, nel nostro modo di essere, di vivere, di pensare . Ciò diventa possibile solo se l'incontro con il Signore ha veramente portato salvezza nella nostra esistenza. Solo allora le parole diventano credibili, raggiungendo un peso e una forza impressionanti, che penetrano nel cuore del mondo, sconvolgendolo, preoccupandolo, prendendolo sul serio. Per questo san Luca, poco dopo negli Atti degli Apostoli, nel capitolo quarto, narra come si era strutturata la comunità dei primi cristiani, a seguito della predicazione dei discepoli.

La moltitudine di coloro che erano venuti alla fede erano di un solo cuore e di una sola anima. Nessuno ha detto che la sua proprietà era ciò che possedeva, ma tra loro tutto era in comune (At 4,32).

Per questo la predicazione dei discepoli attirava le folle: non era un problema di discorsi e di capacità retoriche, ma di testimonianza. Ciò che i discepoli annunciavano, cioè la salvezza mediante il Vangelo di Gesù (cfr 1Cor 15,1-3) era chiaramente visibile nelle loro comunità, fatte di persone che nel nome di Gesù vivevano in modo totalmente nuovo, non più animato dall'egoismo umano che provoca solo divisioni e rivalità, ma dall'amore di Gesù che suscita tra loro la carità e la condivisione.

Quali sono i segni che lo Spirito Santo produce nella nostra umanità che rendono credibile il nostro annuncio?

Innanzitutto, l'umiltà. Infatti, solo Dio dovrebbe essere glorificato attraverso la nostra azione. Solo lo Spirito può produrre in noi questo sentimento fondamentale della vita cristiana, così presente nella vita di Cristo.

In secondo luogo, la gioia. I cristiani sono gioiosi non per il loro conto in banca o altri beni materiali, ma perché vivono con Gesù. Questo intendeva Santa Teresa di Gesù quando scriveva: “Chi ha Dio non manca di nulla. Solo Dio è sufficiente”.

Chiediamo a Dio che in questa Eucaristia che stiamo celebrando, lo Spirito Santo possa produrre nella nostra vita quell'umiltà e quella gioia tanto necessarie per l'autentica testimonianza del suo Vangelo.

 

venerdì 5 aprile 2024

XI DOMENICA TEMPO ORDINARIO /C

 




2 Sam 12,7-10.13; Sale 32; Gal 2,16,19-21; Lc 7,36-8,3

 

 

 

 

Il tema di questa Undicesima Domenica del Tempo Ordinario è il perdono. È un tema estremamente importante, poiché ci mette in guardia su uno degli aspetti specifici della vita cristiana, uno degli elementi che fanno la differenza nell'esperienza cristiana. La sequela di Gesù, che nasce dalla fiducia in Lui, deve produrre un modo diverso di vivere: è questo modo che muove il mondo, provocandolo, interrogandolo. Questo nuovo modo di vivere, ben visibile in Gesù e che lo Spirito Santo vuole formare in noi, si manifesta in alcuni atteggiamenti, uno dei quali è senza dubbio la capacità di perdonare e pentirsi degli errori commessi. Solo lo Spirito è capace di realizzare questo nella vita delle persone, poiché siamo umanamente portati dal nostro orgoglio a chiuderci, ad indurirci. È lo Spirito Santo che scalda il cuore, lo intenerisce, lo addolcisce affinché diventi capace di tornare indietro, di vincere la resistenza naturale dell'orgoglio e di cercare la misericordia di Dio. Se siamo qui attorno a questo tavolo è perché riconosciamo implicitamente la nostra incapacità di controllare il nostro orgoglio e, allo stesso tempo, ci rendiamo conto della bellezza di una vita liberata da ogni forma di risentimento. Ecco perché è importante ascoltare le letture di oggi, per comprendere il cammino che Gesù ci invita a percorrere nella prospettiva di una vita più umana, più dignitosa.

La scena che ascoltiamo nel Vangelo si svolge nella casa di un fariseo. Gesù sceglie di annunciare la Parola di Dio in ogni situazione: per questo lo troviamo nelle piazze, nelle strade, nelle case. Questa libertà di azione dovrebbe insegnarci qualcosa sulle strategie di evangelizzazione, soprattutto nel nuovo contesto culturale che si sta formando, un'evangelizzazione che non aspetta le persone, ma le incontra là dove sono. È nella casa del fariseo che avviene l'evento che diventa vangelo: «Una donna, conosciuta in città come peccatrice, seppe che Gesù era a tavola con il fariseo...».

Questo versetto evidenzia l'incontro di due libertà: la libertà di Gesù che entra in relazione con qualsiasi persona, senza fare distinzioni di classe, genero, razza e, dall'altra, la libertà della donna, che infrange il protocollo e, nonostante la sua condizione di peccatrice, entra nella casa del fariseo e si prostra ai piedi di Gesù, toccandolo. Perché la donna si è comportata in questo modo? Forse perché intravedeva la bontà in Gesù; notò in lui uno sguardo diverso, un atteggiamento misericordioso. Questa è già una grande domanda per noi: cosa vedono le persone in noi? Forse le persone si allontanano dalla Chiesa o dalla comunità a causa della nostra presa di posizione, della nostra durezza di cuore, del nostro modo di giudicare, di escludere i nostri fratelli e sorelle. È il modo di vedere la realtà osservato dal fariseo che ospitò Gesù in casa: «Vedendo ciò, il fariseo che lo aveva invitato pensava: se costui fosse un profeta, saprebbe che specie di donna lo tocca." (Vidi).

Il fariseo guarda la realtà esterna, non la penetra, guarda e giudica secondo schemi culturali, pregiudizi. Sembra che per il fariseo la conoscenza biblica sia puramente materiale, non plasma la realtà, ma è la realtà materiale a dominare anche i contenuti biblici. Lo sguardo di Gesù è molto diverso. Osserva l'atteggiamento della donna senza lasciarsi filtrare da pregiudizi culturali. Gesù guarda la donna come la guarda il Padre, non con uno sguardo di condanna, ma piuttosto di misericordia e di benevolenza. «Voglio misericordia, non sacrificio» (cfr Mt 12). Questo insegnamento profetico, che troviamo ripetuto più volte da Gesù, soprattutto nel Vangelo di Matteo, detta il modo in cui Gesù guarda la realtà, le persone. Infatti, in questi versetti, come in altri, Gesù non si lascia distrarre dalle apparenze materiali, ma penetra nel cuore delle persone, guarda le intenzioni dietro le loro azioni.

 

 «Io vi dico: i tanti peccati che ha commesso le sono perdonati perché ha mostrato molto amore (Lc 7,47).

Ecco ciò che Gesù guarda: l'amore. E, in questo caso specifico, l’amore si manifesta come pentimento, come umiliazione davanti al Signore della misericordia. Per Gesù l’umiltà di questa donna peccatrice vale molto di più di tutta la saggezza e la potenza del fariseo. Queste parole di Gesù, piene di gentilezza e di misericordia, sono un balsamo nella nostra vita di fede, poiché provocano la ricerca dell'essenziale, di ciò che vale di più, ad abbandonare e lasciare ciò che è in eccesso, ciò che è superfluo nel mondo. cammino alla sequela di Gesù. Se la partecipazione alla vita della Chiesa non produce amore, umiltà, disponibilità al pentimento, non serve a nulla. Se seguire Gesù non ci rende più umani, più sensibili, più attenti alle persone e meno legati all’esterno, alla ricerca delle apparenze, questo cammino è inutile. Questo è ciò che appare molto bene nel paragone che Gesù fa tra l'atteggiamento del fariseo e quello della donna.

  “Vedi questa donna? Quando sono entrato in casa tua, non mi hai offerto l'acqua per lavarmi i piedi, ma lei mi ha bagnato i piedi di lacrime...” (Lc 7,44s).

  Nella vita di fede dobbiamo essere costantemente attenti a ciò che Dio guarda, dobbiamo prestare attenzione alla sua Parola per cercare ciò che vale la pena e lasciare da parte, ciò che non è utile. Inoltre, se i tanti peccati della donna vengono perdonati, ciò significa che Gesù non si scandalizza della grandezza dei nostri peccati, non è infastidito dai peccati, ma dai peccatori. Il problema di Gesù è la salvezza dei peccatori. Questa stupenda verità evangelica, che rappresenta una meravigliosa rivelazione del pensiero di Dio, dovrebbe produrre nei suoi seguaci una certa liberazione dal formalismo farisaico. A volte siamo così devastati dai nostri peccati, così delusi, che ci allontaniamo persino da Dio. Quando questo accade è perché lo spirito farisaico si è impadronito di noi; è l'orgoglio che non vuole accettare la nostra debolezza. Al contrario, il vero spirito cristiano produce in noi la certezza che saremo sempre perdonati, che non esiste peccato che Dio non possa perdonare. Lo Spirito che riceviamo nei sacramenti ci permette di intravedere nella storia la presenza di una fonte inesauribile di vita, che si manifesta come perdono. È questa consapevolezza spirituale che produce in noi quel movimento che ci porta a mettere le ginocchia a terra, per implorare il perdono di Dio. È la peccatrice pentita che Gesù pone come nostra guida e il fariseo orgoglioso è il cattivo esempio che dobbiamo evitare.

Chiediamo a Dio che questa Eucaristia doni in noi quell'intelligenza spirituale, che ci porta a seguire ciò che Gesù ci propone e ad evitare tutto ciò che è inutile.

X DOMENICA TEMPO ORDINARIO/C

 




1Re 17, 17-24; Sale 130; Gal 1,11-19; Luca 7, 11-17

 

Paolo Cugini

 

Ascoltando le letture di oggi ci si rende conto che il tema centrale è la vita. Infatti, sia nella prima lettura che nel Vangelo, assistiamo al miracolo della risurrezione di qualcuno che era morto. Evidentemente, come sempre, la liturgia ci chiede di andare oltre il dato materiale che i testi offrono, per ricercare il senso nascosto, il senso profondo che solo lo Spirito può rivelarci. Possiamo allora chiederci: cosa possono rivelarci queste letture sul senso della vita? Siamo disponibili a mettere in discussione i nostri stili e le nostre vite? Il cammino di conversione, che è l'obiettivo dell'annuncio della Parola di Dio, ha bisogno di essere attivato da un'anima disposta all'ascolto, a mettersi in discussione, a dubitare delle proprie verità presunte. Solo così lo Spirito del Signore trova uno spiraglio per entrare e immettere il suo respiro, la sua forza vitale.

Quando giunse alla porta della città, videro qualcuno che trasportava un morto (Lc 7,12).

È un versetto dall’incredibile potere paradossale. Gesù è venuto nel mondo e cosa aveva da offrirgli il mondo? Un defunto. È un quadro estremamente drammatico e rivelatore, rivela cioè molto sul senso della venuta di Gesù nella storia. Gesù, durante tutta la sua vita, ha incontrato costantemente un’umanità morta, perché ciò che ha trovato era proprio quella, un’umanità immersa nell’oblio di Dio. Questa pagina, allora, ci arriva con una domanda devastante: come si manifesta la morte nella nostra vita? Che volto presenta la morte nella nostra esistenza? Se tutti hanno il peccato, come sostiene Paolo (cfr Rm 3), la morte è entrata nel mondo a causa del peccato, allora, in ogni caso, la morte agisce nella nostra esistenza. Quello che proponiamo non è pessimismo apocalittico, che guarda solo al lato negativo delle cose, ma è il modo della Bibbia di vedere la realtà. Se Dio ha creato l'uomo a sua immagine e somiglianza, questa identità rimane autentica anche quando la vita dell'uomo è orientata verso Dio; altrimenti, quando l’uomo si allontana da Dio, la sua vita non è più un riflesso dell’immagine di Dio, ma del suo egoismo, del suo orgoglio. Dio attraverso il suo Figlio Gesù entrando nel mondo si imbatte in un cadavere: chi è questo cadavere? Solo chi avrà l'umiltà di identificarsi con il cadavere potrà accogliere il soffio di vita che Cristo ha portato. Al contrario, saremo per sempre immersi nella nostra piccola meschina vita, che non sfugge alla chiusura narcisistica, che cerca solo di apparire e cerca questo perché dentro è vuota, morta.

Giovane, ti comando: alzati (Lc 7,14).

È abbastanza sintomatico che le due persone morte e resuscitate nelle due letture di oggi siano un bambino e un giovane: che cosa vuol dire? Forse la Parola di Dio vuole sottolineare il fatto spirituale, che sono le giovani generazioni a rischiare più degli adulti di abbandonare la strada di Dio. Un bambino è molto fragile, ha bisogno di molte cure affinché impari a camminare con sicurezza. La stessa riflessione si può fare per un adolescente e un giovane: quanto è difficile in questa delicata età seguire la strada che Dio indica! Quanto è difficile per un adolescente resistere ai tentacoli della morte che il mondo offre! Quanto è difficile in gioventù discernere il senso profondo della vita dalle illusioni che rovinano l'esistenza! Il problema a questo punto è: cosa fare? Cosa può fare una famiglia, una parrocchia, un cristiano per aiutare il mondo a trovare la vita vera e a rimanervi? Cosa possiamo fare noi che crediamo in Dio affinché i giovani possano incontrare il Signore della vita?

Quando Gesù la vide, ne sentì compassione e le disse: non piangere. Si avvicinò, toccò la bara e quelli che la trasportavano si fermarono. Allora Gesù disse… (Lc 7,14).

Il primo movimento che la Chiesa è chiamata a compiere, di fronte all’umanità immersa nella morte, è provare compassione. È un sentimento profondo, che nasce dalla partecipazione alla visione di Dio sull'umanità, partecipazione che possiamo solo ricevere. Non si tratta di organizzare, progettare, pianificare, ma di sentire, di compassione. È di un cuore compassionevole quello di cui la Chiesa ha bisogno per incontrare l’umanità sofferente. È questo sentimento profondo che produce i due movimenti successivi: avvicinarsi e toccare. L’inerzia di tante comunità e di tanti cristiani è un chiaro sintomo di mancanza di compassione. Chi prova compassione condivide il cuore di Gesù e si sente spinto ad agire, ad avvicinarsi. Questi due verbi menzionati nel testo evangelico, cioè, avvicinarsi e toccare, indicano il cammino che ogni cristiano deve percorrere ogni volta che incontra persone lontane da Dio. È necessario sospendere ogni giudizio negativo e fare di tutto per avvicinarsi e toccare, cioè per formare legami personali. Solo così è possibile pronunciare la Parola di vita. È importante, infatti, sottolineare che Gesù, prima di parlare, si avvicina e tocca il morto. Ciò significa molte cose. Innanzitutto, l'annuncio della Parola ha bisogno delle relazioni umane, infatti la stessa relazione spesso precede e spiega in anticipo il significato della Parola. In secondo luogo, non possiamo fare della Parola un talismano, come se bastasse pronunciarla per avere effetto. Gesù è la Parola di Dio incarnata e questo significa che la Parola di Dio è entrata nella storia, ha assunto la nostra condizione umana e necessita di un tuffo nell'umanità per essere annunciata. La vita cristiana dovrebbe, quindi, aiutarci a diventare più umani, più sensibili alle sofferenze di questo mondo e ad annunciare la Parola come annuncio misericordioso di amore.

Tutto questo è chiaramente visibile nella vita di Paolo. Nella seconda lettura di oggi ascoltiamo il grande cambiamento di vita avvenuto a Paolo dopo l'incontro con il Signore. Una vita che ha prodotto altra vita, avvicinandosi e toccando l'umanità per annunciare a tutti la Buona Novella. Così anche noi, che siamo qui attorno a questa tavola perché il Signore ci tocchi con il suo Corpo, possiamo diventare annunciatori della vita in questo mondo. Sta a noi trasformare questa Eucaristia in un nuovo stile di vita che coinvolga tutti e tutti quelli che incontriamo durante la settimana.

VI DOMENICA TEMPO ORDINARIO C

 





Ger 17,5-8; Sale 1; 1Cor 15, 12.16-20;Lc 6,17.20-26

 

 Paolo Cugini

 

 Riuscire a non turbare una liturgia della Parola come questa non è facile. Per commentare questa Parola in modo che penetri nel cuore delle persone con tutta la forza di cui Essa è costituita, è necessario camminare in modo molto coerente con il contenuto del testo. Perché il pericolo costante del predicatore è quello di diluire il contenuto della Parola secondo i propri limiti, cioè di non lasciare che la Parola dica quello che voleva dire, ma trascinarla dalla propria parte, giustificando così la propria mancanza di fede, l’incapacità di seguire Gesù con quella coerenza di vita che il Vangelo esige. In questo modo, non solo il predicatore non si converte, ma anche il popolo di Dio, soprattutto quello più debole nella fede, che non si sforza di informarsi leggendo e sfogliando il testo della Scrittura, ma si lascia trascinare dal discorso del predicatore. Infatti, di fronte alle Parole appena ascoltate, possiamo riflettere entrando in noi stessi e pensando: “Come mai gli uomini, le donne di fronte ad una Parola come questa, continuano a mantenere lo stesso sistema corrotto che si nutre di ignoranza e pigrizia? ".

 «Beati voi poveri, perché vostro è il Regno di Dio. Beati voi che ora avete fame... Beati voi che ora piangete... Beati voi quando gli uomini vi odieranno... a causa del Figlio dell'uomo (Lc 6,20s).

Parole impressionanti che richiedono una pausa di riflessione. In realtà, queste sono parole che contraddicono ciò che viviamo quotidianamente, dove i poveri vengono sminuiti, umiliati e massacrati. I poveri soffrono, soprattutto, perché sono umiliati nella loro dignità: sono degradati, considerati come persone di seconda fascia. Ecco perché i poveri non si piacciono e spesso cercano di mascherare la propria condizione sociale, per sentirsi accolti come persone e non rifiutati come qualsiasi altro animale. È questa persona umiliata, calpestata nella sua dignità che Dio pone al suo fianco, come suo primo erede. Il padrone del Regno di Dio non sarà uno dei potenti di questo mondo, ma, al contrario, uno tra gli esclusi, gli affamati, gli assetati, cioè tutti coloro che, in questo mondo, hanno sperimentato disaccordi a causa dell'ingiustizia umana. Questo è l'altro lato della storia. Dal punto di vista di Dio, nessuno è povero perché lo ha voluto, né perché Dio lo ha voluto. Se ci sono tanti poveri, non è a causa del disegno di Dio, ma a causa della malvagità dell'uomo, che non si accontenta di ciò che ha, ma vuole sempre di più. La povertà non è solo un problema sociale che gli uomini non possono risolvere: è soprattutto un problema spirituale. È lo stesso profeta Geremia che, nella prima lettura, ci fornisce il materiale per comprendere il punto di vista di Dio:

Maledetto l'uomo che confida nell'uomo e fa consistere nella carne umana la sua forza (Ger 17,5).

Questo è il problema: una vita confidando nelle proprie forze, nella ricerca dell'autosufficienza, dell'autonomia, che porta lontano dalle vie di Dio. Un uomo così, una donna così, che confida solo in se stesso e guarda solo il proprio ombelico, è maledetto da Dio, perché i frutti che produce sono frutti di morte. Chi bada solo al proprio interesse non si preoccupa dei problemi dei fratelli e delle sorelle che Dio mette sul suo cammino.

È una vita egocentrica, alla continua ricerca del proprio interesse, del soddisfacimento del proprio egoismo che, di conseguenza, provoca situazioni di tremenda ingiustizia e disuguaglianza.. I problemi che affrontiamo ogni giorno sono problemi sociali che hanno un'origine spirituale, cioè, sono stati tutti generati da persone egoiste, che hanno fatto e continuano a fare di tutto per trarre il massimo dalle situazioni in cui si sono trovate. Di fronte a questa situazione travolgente, Gesù esprime l'opinione di Dio, che non resta né silenzioso né neutrale di fronte al massacro dei suoi figli e figlie, ma assume una posizione molto chiara che deve condurre i cristiani sulla stessa strada. Pertanto, di fronte a questa pagina chiarissima, che non ha nemmeno bisogno di spiegazioni, potremmo chiederci: chi stiamo adulando? Su chi contiamo nel nostro presente e nel nostro futuro? Cosa e chi stiamo cercando? Non ha senso parlare continuamente di Dio, entrare in chiesa ogni domenica, mangiare il Corpo di Cristo se poi, nella vita concreta di tutti i giorni, il Corpo di Cristo viene lasciato indietro, perché cerchiamo i favori dei politici corrotti del mondo ogni giorno.

Guai a voi, ricchi, perché avete già la vostra consolazione! (Lc 6,24).

Con una Parola forte e chiara come questa, non c’è bisogno di chiarire da che parte sta Dio. Sì, perché la verità è questa: Dio, in Gesù, ha preso posizione, ha chiarito una volta per tutte che la ricchezza è sinonimo di ingiustizia, che, se c'è povertà è perché qualcuno è troppo egoista e a Dio non piacciono gli egoisti. Inoltre, queste parole forti e chiare ci spingono a cercare la nostra consolazione non in ciò che perisce, come la ricchezza, il denaro, l'accumulo di terre, ma in ciò che è imperituro, che dura per sempre. Per questo siamo qui e vogliamo nutrire le nostre anime con queste Parole e con il Corpo di Cristo, per rifornire la nostra vita dell'amore di Dio che si è manifestato in Cristo, che si è spogliato di tutto per donarci la propria vita. La vita di Gesù è l'opposto dell'egoismo, la sua strada è dalla parte opposta dei ricchi di questo mondo, il suo atteggiamento dischiude il significato autentico della vita umana e indica la strada che deve essere seguita da tutta l'umanità: l'amore. Cristo, infatti, non è morto solo per se stesso, per un semplice destino, ma per darci un esempio (1Pt 1,4s), affinché, interiorizzando la sua vita e le sue Parole, sappiamo guardare il mondo come Dio lo guarda e come Dio lo vuole e, ricolmi del suo amore, riuscire ad affrontare gli arroganti di questo mondo, che in ogni momento non perdono l'occasione di ingannare gli uomini e le donne con le loro vuote promesse.

Rallegratevi in ​​questo giorno ed esultate, perché la vostra ricompensa sarà grande nei ciel (Lc 6,23).

Il Vangelo è un balsamo per le nostre orecchie, una delizia per i nostri occhi: è un invito continuo a non perdersi mai d'animo, perché Cristo stesso ha già percorso questa strada. Sta a noi riempire il nostro tempo non con parole vuote, ma con quella Parola che dà senso alla nostra esistenza. Il Vangelo, da un lato, si presenta come una Parola dura, dall'altro indica la via verso la salvezza, che comporta un cambiamento radicale di vita. Chiediamo a Dio che questa Santa Eucaristia possa essere un passo avanti nella ricerca di uno stile di vita diverso, più umano ed evangelico.

mercoledì 27 marzo 2024

IL GIUDA CHE C'E' IN NOI

 




Paolo Cugini

 

Uno dei Dodici, chiamato Giuda Iscariota, andò dai capi dei sacerdoti e disse: «Quanto volete darmi perché io ve lo consegni?». E quelli gli fissarono trenta monete d'argento. Da quel momento cercava l'occasione propizia per consegnare Gesù (Mt 26,14).

Il problema di Giuda non è tanto il fatto che ha tradito Gesù - anche -, ma di come lo ha seguito, di come è stato accanto a lui per tre anni. È il modo di essere discepolo che caratterizza la personalità di Giuda, che è rivelativa di un modo di stare nella chiesa, nella comunità. Giuda è il prototipo del discepolo, potremmo dire del cristiano che segue Gesù, che entra nella comunità non perché attratto da una proposta e cerca di porre la propria vita nella direzione proposta dal Signore, ma perché ha degli interessi, ha dei propri obiettivi. Il proposito di Giuda era molto chiaro: pensava che Gesù incarnasse il tipo di messia, così com’era stato annunciato da un filone profetico, che avrebbe sconfitto i romani. Giuda, nei tre anni che ha accompagnato Gesù assieme agli altri, ha visto dei miracoli, ha ascoltato delle parole, ma non le ha assimilate cercando di comprenderne il significato, ma le ha interpretate alla luce delle sue proprie aspettative di Gesù.

Giuda ha tradito Gesù consegnandolo nelle mani dei suoi nemici, e cioè i capi religiosi del popolo, perché Giuda stesso si era sentito tradito da Gesù, nel senso che non avevo corrisposto alle sue proprie aspettative. Giuda, con l’andar del tempo, scopre che Gesù non è il messia che lui sperava che fosse: è tutta un’altra cosa, tutta un’altra proposta e, per questo, lo tradisce. A questo punto è lecita una domanda: ma quanto Giuda c’è in noi? In che modo stiamo nella comunità? Che interesse abbiamo? Che cosa cerchiamo? Aiutaci, Signore, a seguirti per essere come te e non per manipolarti e piegarti ai nostri bisogni. Amen.

 

martedì 26 marzo 2024

DAL SENO MATERNO MI HA CHIAMATO

 



Paolo Cugini

 

Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1).

Fanno sempre molta impressione questo tipo di versetti che ci ricordano da dove veniamo e cioè dal pensiero di Dio. Siamo pensati e, quindi, mati, frutti di un pensiero d’amore. È questa comprensione che permette al discepolo, alla discepola di affrontare le conseguenze del discepolato. È interessante che la liturgia ponga all’inizio della Settimana Santa, in cui siamo coinvolti a riflettere sul mistero della morte del giusto, un brano come questo. È, senza dubbio, una chiave di lettura. La forza di Gesù, la sua coerenza simo alla fine, la sua capacità di portare il pesos della solitudine e del disprezzo di coloro che lo hanno torturato e ucciso, deriva dalla sua consapevolezza di non essere solo, ma di essere amato sin dall’inizio dei tempi.

Questo dato Lui lo conosce molto bene, è la fonte della sua forza, fonte alla quale durante la vita ha continuamente attinto nelle ore interminabili di preghiera. Sa di essere da sempre amato. Sa che la sua vita terrena è immersa nell’amore ed è proprio questo amore la fonte, l’origine della motivazione di Gesù. Non si resite al male come Gesù ha resistito senza una motivazione di ferro, senza sentire dentro di sé il fuoco dell’amore. Quest’esperienza d’amore Gesù l’ha vissuta prima di tutto nella sua famiglia. Ha sentito forte l’amore di sua madre Maria, di suo padre Giuseppe. Lo si coglie da come Gesù si è mosso nella sua vita pubblica. Tanta sicurezza, tanta fermezza nelle posizioni spesso controcorrente non si vivono se non c’è la consapevolezza di essere amati.

Una persona senza motivazioni non resiste alla pressione: ci molla prima. Chi non ha motivazioni non riesce a portare avanti delle decisioni. La più grande motivazione che ci dà la forza di seguire nel cammino della vita è l’amore accumulato nel cuore: senza questo ci perdiamo. La Settimana Santa inizia con questa riflessione fondamentale. È una chiave di lettura. Per capire come ha fatto Gesù a sopportare una sofferenza così grande, dobbiamo guardare a sua madre e a suo padre, a quanto amore gli hanno dato, a quanto Gesù si è sentito voluto bene.

Se volgiamo capire che cos’aveva dentro di sé nelle ore terribile della sua passione, dobbiamo rileggerci le parole di Isaia e forse potremo comprendere qualcosa: Il Signore dal seno materno mi ha chiamato, fino dal grembo di mia madre ha pronunciato il mio nome (Is 49,1).

 

lunedì 25 marzo 2024

TRECENTO GRAMMI DI PROFUMO DI PURO NARDO

 



Paolo Cugini


Maria allora prese trecento grammi di profumo di puro nardo, assai prezioso, ne cosparse i piedi di Gesù, poi li asciugò con i suoi capelli, e tutta la casa si riempì dell'aroma di quel profumo (Gv 12,2-3).

Che cos’è questo brano se una grande narrazione d’amore? Che libertà in questo incontro! Libertà di Maria (di Magdala?) che si lascia guidare solamente dal suo amore disinteressato per Gesù e non bada a nulla, non si preoccupa degli eventuali giudizi dei commensali, di quello che la gente potrà pensare. Libertà di Gesù che guarda al cuore delle persone e vede in Maria e nel suo Gesto qualcuno che ha colto il senso della sua presenza. Nel gesto di Maria, Gesù vede come un senso di riconoscenza infinito per ciò che è, per ciò che rappresenta nella sua vita. La lascia fare, permette di lavargli i piedi con del profumo di nardo, preziosissimo, com’è preziosa la persona di Gesù. Chi ama non bada a spese, e Maria non ha calcolato il costo del profumo che stava spalmando sui piedi di Gesù. Chi ama non calcola, non bada al prezzo, ma segue il cuore, il pensiero dell’amato.

Per questo è uno dei più bei gesti presenti nel Vangelo, perché dice che cosa dovremmo essere noi, che cosa dovrebbero diventare i discepoli e le discepole del Signore: uomini e donne ripieni dell’amore di Gesù, che camminano nel mondo spargendo profumo di nardo in coloro che portano i segni della presenza del Signore. Solo una donna poteva fare un gesto del genere! Qui c’è tutto il mistero della donna o, perlomeno, uno dei misteri. Seguire il proprio cuore, infatti, significa seguire il proprio intuito, arricchito dall’esperienza. Un intuito che non erra, che va a colpo sicuro, perché sa che il proprio cuore non sbaglia mai.

Dopo quei trecento grammi di profumo di puro nardo Gesù poteva davvero morire in pace, perché sapeva che perlomeno c’era stata sulla terra una persona che aveva compreso il suo messaggio.

 

venerdì 23 febbraio 2024

SUPERARE LA GIUSTIZIA DEI FARISEI

 



Paolo Cugini

 

Se la vostra giustizia non supererà quella degli scribi e dei farisei, non entrerete nel regno dei cieli (Mt 5,20).

Di che cosa sta parlando Gesù, in che senso dobbiamo superare la giustizia degli scribi e dei farisei? Di che giustizia si trattava? Era la giustizia retributiva e meritocratica e, di conseguenza una giustizia escludente che si basava sulla logica del favore, che tende agevolare chi è vicino al potere e danneggiare gli altri, soprattutto i poveri. Superare la giustizia dei farisei significa entrare nella logica diametralmente opposta, la logica della condivisione gratuita e disinteressata, che è la logica del Vangelo. Al centro c’è l’attenzione all’altro, soprattutto all’indigente, in ogni momento.

Quello che è importante nella comunità cristiana è fare di tutto per riconciliarsi con il fratello e la sorella con cui si ha avuto qualche screzio. Ci si riconcilia con Dio solamente riconciliandosi con il fratello e la sorella: è questo un punto decisivo della convivenza nella comunità dei discepoli e discepole del Signore. Il regno dei cieli in cui siamo invitati entrare è quello spazio di umanità nuova segnato da un nuovo stile di relazioni umane, alimentato dall’amore del Signore che riceviamo nello Spirito Santo. Entrare in questo nuovo spazio, fare parte di questa nuova umanità è il senso del cammino cristiano.

giovedì 15 febbraio 2024

QUALE VANTAGGIO?

 



 

Paolo Cugini

Se qualcuno vuole venire dietro a me, rinneghi se stesso, prenda la sua croce ogni giorno e mi segua (Lc 9,24). Rinneghi se stesso: è possibile solamente se si è incontrato nella propria vita qualcosa di così forte e importante da riorientare tutta l’esistenza. Rinnegare se stesso è lottare contro la forza dell’istinto di sopravvivenza che orienta la vita biologica e determina le scelte. È possibile uscire dalla logica istintuale solamente se si assimila un principio vitale più forte, come è appunto lo Spirito del Vangelo. Proprio per questo, dev’essere rimotivato ogni giorno, ri-assimilato, affinché diventi normale, quotidiano.  

È nell’ogni giorno il segreto. Uscire dalla logica dell’esperienza religiosa come un dato che colpisce i sentimenti, le emozioni. Sino a quando il cammino di fede nel Vangelo non s’inserisce nelle dinamiche di vita quotidiana, rimane un’esperienza sporadica che non incide ed è destinata a deragliare.

quale vantaggio ha un uomo che guadagna il mondo intero, ma perde o rovina se stesso? (Lc 9,25). Sono versetti come questi che fanno assaporare lo specifico del Vangelo. Versetti radicali, che non lasciano adito a sotterfugi, inganni, possibilità di interpretazioni diverse. Sono parole, quelle di Gesù, che inchiodano, che provocano una riflessione e, di conseguenza, una scelta.

 

lunedì 12 febbraio 2024

PERFETTA LETIZIA

 



Paolo Cugini

Considerate perfetta letizia, miei fratelli, quando subite ogni sorta di prove, sapendo che la vostra fede, messa alla prova, produce pazienza. E la pazienza completi l’opera sua in voi, perché siate perfetti e integri, senza mancare di nulla (Gc 1,2-3).

Capovolgimento della mentalità comune: è questo uno degli aspetti del Vangelo. E allora, se nel senso comune la letizia si ha quando si vive in pace, per chi segue il Vangelo non è sempre così. Occorre considerare letizia anche quando si vivono contrasti a causa delle scelte di vita provocati dal vangelo. Abitare serenamente la contraddizione: è questo che dovrebbe produrre l’azione dello Spirito Santo sui fedeli. Letizia che è vissuta da coloro che sono abituati al contrasto, che sanno che fa parte dell’opzione di fondo, che consiste nell’abbracciare un cammino che va dalla parte opposta della logica del mondo. E così, in questo cammino, si scopre che la letizia non è fuori di sé, non è una realtà che s’incontra, ma che sta dentro di noi, perché è uno dei frutti dello Spirito che lo coglie chi lo vive. Letizia come capacità di vivere nei contrasti, perché è chiaro l’obiettivo che orienta l’esistenza e che non dipende dall’opinione dell’altro.

La letizia si plasma nella pazienza, nella capacità di frenare le risposte immediate e di vivere con lo sguardo fisso sull’obiettivo. La persona che sa vivere in letizia, cha ha imparato a convivere nelle tensioni e ad affrontare serenamente i contrasti emana una grande pace che s’irradia nel contesto in cui vive.

 

giovedì 8 febbraio 2024

ELLA LO SUPPLICAVA

 



 

Paolo Cugini

Ella lo supplicava di scacciare il demonio da sua figlia. Ed egli le rispondeva: «Lascia prima che si sazino i figli, perché non è bene prendere il pane dei figli e gettarlo ai cagnolini». Ma lei gli replicò: «Signore, anche i cagnolini sotto la tavola mangiano le briciole dei figli». Allora le disse: «Per questa tua parola, va’: il demonio è uscito da tua figlia» (Mc 7,24s).

Chi può esprimere un pensiero così profondo e pieno di fiducia nel Signore, come ha avuto questa donna straniera, di lingua greca e siro-fenicia? Solamente una persona povera, che non sa dove sbattere la testa e si aggrappa a ciò che percepisce come l’unica possibilità di salvezza per la propria figlia. Per questo non arretra nemmeno dinanzi alle parole sprezzanti e dure di Gesù, ma insiste, manifestando tutta la sua fede. Apriamo un varco nel cuore del Mistero quando assumiamo tutta la nostra indigenza, quando ne abbiamo coscienza e la manifestiamo nella preghiera. Non c’è possibilità per la persona arrogante, autosufficiente.

C’è possibilità di comprendere la presenza della misericordia del Mistero nella storia quando si prende coscienza della propria miseria, della propria pochezza, soprattutto, quando in uno stato di povertà si ha a cuore qualcuno che soffre. C’è tanta sofferenza e disperazione nelle parole che questa madre straniera rivolge a Gesù. Lei ha un motivo per vivere che è dato dalla sua propria figlia, che sta rischiando di perdere. La preghiera che apre un varco nel Mistero della Misericordia è impastata della verità della vita che soffre, in un contesto di fragilità e d’indigenza. Colui e colei che dirige la propria preghiera disperata a Dio scopre la presenza misericordiosa del Mistero di Dio che è Vita vera, Luce nelle tenebre, Speranza nella disperazione.

 

martedì 6 febbraio 2024

IL SUO CUORE E' LONTANO DA ME

 



Paolo Cugini

 

«Bene ha profetato Isaia di voi, ipocriti, come sta scritto: "Questo popolo mi onora con le labbra,
ma il suo cuore è lontano da me. Invano mi rendono culto, insegnando dottrine che sono precetti di uomini". Trascurando il comandamento di Dio, voi osservate la tradizione degli uomini» … Così annullate la parola di Dio con la tradizione che avete tramandato voi
(Mc 7, 1s).

Questo è un passaggio centrale del Vangelo di Marco, perché aiuta a cogliere il senso della presenza di Gesù, che è venuto a smascherare la falsa religione creata dagli uomini. Con il tempo è avvenuta una sostituzione: la dottrina degli uomini ha sostituito la Parola di Dio. Il motivo di questa sostituzione è molto semplice, vale a dire, la non disponibilità al cambiamento. La classe sacerdotale ha fatto della religione una fonte di potere e, soprattutto, di guadagno, negando alla radice il contenuto profondo della Parola di Dio, che loro stessi avrebbero dovuto vivere e trasmettere con le parole e con il loro esempio. In realtà, ciò che storicamente è avvenuto ed è il contenuto specifico della critica di Gesù nel Vangelo di oggi, è esattamente il contrario. Hanno costruito un insieme di norme e dileggi in modo tale da controllare la religione e bloccare la forza della Parola di Dio.

 È il pericolo della religione, di quella relazione con Dio che in realtà, non serve ad altro che mantenere la coscienza in pace. Mentre il rapporto di fede con la Parola di Dio stimola al cambiamento, a tagliare dalla propria vita ogni situazione che intralcia la possibilità di vivere da figlio e figlia di Dio per una vita in pienezza e trasparenza, dall’altro la religione fa di tutto per piegare Dio a servizio dell’uomo. Questo è il motivo della morte di Gesù, che ha messo il dito nella piaga della classe sacerdotale, della loro ipocrisia e, invece d’iniziare un cammino di conversione, hanno deciso di fare fuori Gesù. È la religione del tempio con i suoi sacerdoti che hanno ucciso Gesù.

 

lunedì 5 febbraio 2024

deponevano i malati nelle piazze

 



Paolo Cugini

 

Scesi dalla barca, la gente subito lo riconobbe e, accorrendo da tutta quella regione, cominciarono a portargli sulle barelle i malati, dovunque udivano che egli si trovasse. E là dove giungeva, in villaggi o città o campagne, deponevano i malati nelle piazze e lo supplicavano di poter toccare almeno il lembo del suo mantello; e quanti lo toccavano venivano salvati (Mc 6,54-56).

 La presenza di Gesù attrae gli ammalati. Gesù è una fonte di vita inserita nella storia e lo scopre chi è malato. Si può fare una lettura spirituale di questo passaggio del Vangelo. La presenza di Gesù nella storia manifesta la malattia del mondo, dell’umanità. Gesù entra in una storia malata, anzi la presenza di Dio nella storia rivela che il mondo, l’umanità è malata. È questa la grande rivelazione di Gesù. Si accorge della presenza di Gesù solamente colui, colei che accetta la propria malattia, la riconosce. Solo così si mette in cammino alla ricerca di una cura e, ad un certo punto del cammino, scopre che c’è nel mondo colui che può guarire la ferita che provoca dolore. Aiutare le persone a non nascondere la ferita, ma a guardarla con misericordia è uno dei compiti della Chiesa, perché solo così può iniziare un cammino spirituale, che è essenzialmente la ricerca di colui che cura le ferite.

C’è un salvatore nel mondo, c’è una fonte di vita inesauribile che Dio ha, per così dire, conficcato nella storia: lo capisce solamente colui, colei che si accorge di sanguinare, che si ferma a leccarsi la ferita e, guardandosi in giro percepisce la presenza misteriosa di Colui che cura.

mercoledì 24 gennaio 2024

ACCOGLIERE LA PAROLA

 



 

Paolo Cugini

Altri ancora sono quelli seminati sul terreno buono: sono coloro che ascoltano la Parola, l’accolgono e portano frutto (Mc 4,20). Ascoltare e accogliere la Parola affinché porti frutto. Il centro del discorso è sul verbo accogliere: che cosa significa? Quand’è che una persona accoglie la Parola affinché porti frutto? Sembra indicare una dimensione interiore.

Accogliere è il contrario di rifiutare. Accogliere significa fare spazio e ciò provoca un movimento di liberazione. Infatti, per fare spazio a qualcosa, devo toglierne altra. La Parola, per essere accolta, provoca una scelta: per farle spazio devo rinunciare a qualcosa; per accoglierla devo liberarmi di ciò che ne impedisce l’accoglienza. In questo percorso c’è senza dubbio e prima di tutto un aspetto positivo: riconoscere nella Parola qualcosa di unico che provoca la necessità di fare spazio. È perché riconosco la bontà della Parola che faccio di tutto per farle spazio, accoglierla.

E poi quando entra non si ferma più, assorbe tutto, sintetizza tutto ciò che incontra, lo trasforma.

giovedì 18 gennaio 2024

SI RITIRO' PRESSO IL MARE

 



Paolo Cugini

Gesù e i suoi discepoli si ritirò presso il mare (Mc3,7). Questo continuo ritirarsi di Gesù è molto interessante e molto importante. È un modo per non farsi travolgere dalla folla e dalla popolarità, che avrebbe senza dubbio stravolto il suo messaggio. Gesù non permette al mondo di travisare ciò che dice e fa. Per questo la sua azione pubblica è totalmente avvolta dal silenzio. Ciò significa che Gesù non fa dipendere il successo del suo messaggio dalla popolarità o alla fama: tutt’altro. Il percorso che Gesù compie è totalmente diverso dal solito. Non gli interessa la fama, il successo mondano, perché sa benissimo ciò che vuole. Questo è un dato sul quale non si ragiona abbastanza, ma che è rivelativo di tante cose. Dopo un evento, un miracolo, una predicazione

Gesù non si consegna alla folla per essere applaudito, come farebbe chiunque, ma immediatamente cercava un luogo deserto per immergersi nella preghiera; non si perde mai di vista, non perde mai di vista il suo obiettivo e, per questo, non permette a nessuno di confonderlo.  

Sapeva quello che voleva. Sulla riva del mare cercava se stesso.

venerdì 12 gennaio 2024

COME TUTTI I POPOLI

 



 

Paolo Cugini

Saremo anche noi come tutti i popoli (1 Sam 8,20). Desiderio di un’uguaglianza che massifica, di uscire dalla differenza, perché obbliga ad un pensiero diverso sulle cose e sul mondo. Desiderio di essere uguale agli altri, perché sembra l’unica strada percorribile, soprattutto quando la corda della diversità diventa troppo tesa. È quello che avviene quando si cerca di vivere seriamente il Vangelo, quando si prova a percorrere la strada tracciata dal Maestro. Dopo qualche iniziale entusiasmo ci si rende conto che il percorso tracciato è pieno di insidie, provoca contrasti, isolamento.

Il Vangelo non segna solamente un cammino differente, ma è all’opposto di quello che è il modo comune di vivere. Questo contrato sarebbe anche sopportabile, anche perché man mano si procede nel cammino si assimilano nuove forme di vita che si consolidano nella convivenza con chi segue le stesse orme. Il problema si pone proprio a questo livello, quando si percepisce, con grande stupore, che coloro che stanno davanti nel cammino spesso e volentieri vivono adottando quelle stesse dinamiche che avrebbero dovuto abbandonare.

A questo punto l’isolamento e la sensazione di solitudine diventano angoscianti, perché si accompagna ad un sentimento di persecuzione che arriva da dove meno un se l’aspetterebbe. È a questo punto che, nella maggior parte dei casi, si sente il desiderio di tornare indietro a vivere come gli altri. Solo pochissimi continuano il cammino. Questi, sono coloro che hanno visto qualcosa, che hanno intravisto nelle parole ascoltate dei segni inconfondibili di una verità inconfutabile e invincibile. Sono questi temerari che fanno la storia, quella vera, quella che si costruisce nelle periferie, nel totale silenzio del mondo, che diventa voce nei cuori di coloro che stanno sul cammino del Maestro con autenticità. Sono questi temerari che abitano quella solitudine che libera.

mercoledì 10 gennaio 2024

LA VOCE CHE VIENE DAL MISTERO

 



Allora il Signore chiamò: «Samuele!» ed egli rispose: «Eccomi» (1 Sam 3,3). Mistero di un Dio che chiama, che fa udire la sua voce. Mistero di un Dio che chiama per nome e ciò significa che ci conosce personalmente; significa anche che per ognuno di noi ha un progetto, un compito. Mistero di un Dio che ha bisogno di noi, di ognuno di noi per realizzare la sua opera. Mistero di un Dio che interviene nella storia attraverso di noi, con il nostro aiuto. È questo un segno di debolezza e di forza. Debolezza, perché Dio accetta la sfida della libertà umana, che potrebbe mandare all’aria i suoi piani, come nel caso di Giona. È segno anche di forza, perché rivela la fiducia che Dio ha sulla propria Parola, sul potere della sua voce, su ciò che questa provoca nell’animo umano.

C’è un ultimo aspetto he vale la pena sottolineare. Il fatto che Dio ci chiama significa che ci stima, ci vuole bene, ci ama. È molto bello sapere questo. C’è qualcuno nell’universo che ci vuole bene al punto da affidarci un compito. Quando la sua voce è accolta, la vita diventa una risposta a Lui. Mistero di una vita che cambia da quella voce percepita e assimilata, che riorienta il cammino di un’esistenza. Un altro dato importante che possiamo prendere dalla narrazione è il fatto è che la chiamata di Dio a Samuele avviene nel sonno: “Samuele dormiva nel tempio de Signore”. La percezione della voce del Signore, del Mistero che ci avvolge, avviene nel silenzio, in uno stato in cui non c’è confusione fuori e dentro di noi. È una voce che si percepisce dentro, nell’interiorità. Il modo in cui avviene la chiamata è personale e determina le modalità di relazione con il Mistero. Da quel giorno Samuele diventa una nuova persona, con una missione specifica, con un’esperienza straordinaria del Mistero, che cercherà continuamente, soprattutto nei momenti difficili, creando le modalità in cui è avvenuto il primo incontro.

Dietro tutta questa storia c’è il senso di una scelta, che significa pensiero, essere pensati. Noi siamo in quanto pensati dal Mistero. Se ci pensa significa che ci ama. Rinasciamo a una vita nuova quando percepiamo la voce di colui che ci ama sin dall’eternità. Mistero insondabile!

lunedì 8 gennaio 2024

E ANNA PIANGEVA

 



 

Paolo Cugini

 

Così avveniva ogni anno: mentre saliva alla casa del Signore, quella la mortificava; allora Anna si metteva a piangere e non voleva mangiare (1 Sam 1,7). Anna può essere presa come simbolo di coloro che soffrono per essere nata in una condizione non scelta, che provoca la domanda: perché io, perché proprio a me? Non solo c’è sofferenza per una condizione di vita non voluta, ma anche per l’umiliazione prodotta dai vicini e parenti prossimi. Qui c’è l’altro grande enigma sulla malvagità umana. C’è molto male nel mondo.

 C’è una malvagità che si scatena soprattutto sui più indifesi, sulle persone più fragili della società. Invece di essere consolata per il dramma che porta con sé, Anna viene umiliata proprio sul problema che vive, che in questo modo viene ampliato: perché? C’è tutta un’umanità che si comporta come gli avvoltoi, che si cibano di prede deboli, moribonde. Ne caso di Anna, si può dire che Dio ascolta il grido dei poveri. C’è dentro lo storia un principio di uguaglianza che è come se ascoltasse nella coscienza del mondo e interviene per sanare la ferite. Questo principio di uguaglianza lo ha conficcato Cristo dentro la storia, con la sua vita, la sua compassione per gli afflitti, con il suo amore portato sino alle estreme conseguenze.

Accogliere lo Spirito del Signore, che manifestava compassione nei confronti di situazioni come quelle vissute da Anna, significa permettere allo Spirito di trasformare il cuore, affinché diventi sensibile al dolore dei poveri, alle umiliazioni inflitte dalla malvagità umana. Consolare gli afflitti: è questa una grande missione che il Vangelo stimola e che lo Spirito Santo suggerisce alle anime attente a Lui. Abitare le sofferenze umane, le afflizioni, le umiliazioni per portare consolazione, comprensione: è questa la grande missione che il Vangelo suggerisce. Pregare, in questa prospettiva, significa cercare la sintonia con il cuore di Dio, con il soffio del suo Spirito, con la voce del Verbo, che crea relazioni empatiche con chi soffre, con chi è umiliato. La preghiera fa spazio nell’anima affinché crescano i tratti dell’umanità di Gesù, la sua sensibilità con i poveri, la sua attenzione nei confronti di chi era turbato, la sua compassione nei confronti di chi era umiliato.